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mercoledì 28 settembre 2022

Qualcosa di personale - umiltà .... mansuetudine

 

Pur sempre umiltà e mansuetudine conquistano i cuori
Aff. Canonico F(elice) Galluzzo

Il canonico Felice Galluzzo è apparso di già qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2013/10/corpoceleste-pt6.html

- Immagine e testo contenuti nell'album personale di Ernesto Gliozzi il vecchio.

domenica 18 settembre 2022

La casa del buon ritorno [di Beppe Cino - 1986]



Per un ennesimo tributo al padre, Maria Antonia Romeo da Buenos Aires è tornata a Platì, paese delle sue origini e all'abitazione di via Domenico Agostino n. 23 dimora di famiglia fino a quel giorno, era il 1946 e l’Italia era appena una Repubblica, in cui svendendo uno sparuto gregge di pecore, insieme ai suoi fratelli Giuseppe Romeo (1919 – 2012) di Saverio e Maria Antonia Barbaro raggiunse Napoli per salpare verso l’Argentina.
Maria il paese lo aveva già conosciuto nella primavera del 1993, la ospitarono i ciceroni Barbaro Pasquale alias "U Glorijusu", barbiere e cugino di Maria, e Strangio Andrea.
Oggi la casa natale del padre nel suo abbandono è rimasta pressoché intatta.
Prima di salutarla, Maria mi svela quanto suo padre desiderasse rivedere il paese, rivolgendo alla Madonna di Loreto sempre la stessa preghiera, che gli apparisse in sogno la Platì di quando era ragazzo.
Giuseppe Romeo di Savo e Maria Antonia Barbaro aveva una sorella, Giuseppa classe 1915, i fratelli partiti con lui erano Bruno (1917), Rosario (1926) e Antonio Lucio (1930).
MICHELE PAPALIA

Tutte le foto, tranne l'ultima di Michele Papalia, sono di Maria Antonia Romeo che cortesemente le ha concesse per l'odierna pubblicazione: nella prima Giuseppe Romeo a Buenos Aires a seguire la stessa con Andrea Strangio e Pasquale Barbaro nel 1993, infine il recente viaggio a Platì di Maria Antonia.


domenica 11 settembre 2022

Il canto dell'usignolo - Platì incontra Pier Paolo Pasolini

Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà. Pier Paolo Pasolini

 

Trimboli Rocco “U Ciuciu” cl. 1943
Nipote di gentiluomo brigante, figlio di pastore, pastore anch’egli già a undici anni. La sua infanzia tra le gole d’Aspromonte, vide sradicare il ciocco dai suoi zii, apprese come scalare le querce e catturare i ghiri, da autodidatta imparò a leggere e scrivere e, soprattutto, non si perse le serate di chitarra e strambotti. Andò incontro al mondo quando chiamato militare partì per Pordenone, lì assicura di aver visto Pasolini passeggiare tra le vie di Casarsa. Tornato in paese cominciò a rimare.
 
GUARDATI GENTI
“Guardati genti chi succeriu,
lu mundu in peggiu cambiau
e non si poti cchiù pregari a Diu,
ca u Viscuvu puru u previti cacciau.
Lu cunsigghju pasturali lu sciogghjiu,
ca li reguli soi disobbedii.
Guardati ‘nta stu paisi chi succeri
ca l’Islam ‘ndi voli ‘ncrementari,
chisti guardati sunnu cosi veri,
la religioni vonnu cancellari”
 
Barbaro Giuseppe “U Pintu” cl. 1947
Se per divenire poeti c’entra la genetica, l’insegnante di Barbaro Giuseppe ne fu la madre da cui apprese l’arte, anch’egli figlio della tradizione contadina, vino quanto basta ma mai poco eppure sempre sobrio, poeta di garbo, altero si porta appresso il bagaglio linguistico della propria epoca, un oracolo per dispensare dialetto e saggezza.

RICORDI
Dui occhi e mi veni ravanti,
nu paisi nu pocu curiusu,
na finestra chi guarda a levanti,
na’ vineja chi vaji pa’gghjùsu.
A cummari ‘ssettata javanti,
ca cunocchjia c’u fusu e u tilaru,
eu mi giru, mi votu fra tanti,
mi ricordu quandu era cotraru.
Teni ‘u mugnu la ‘gnura Cuncetta,
sciacqua i panni cu l’acqua e sapuni,
cu ricama e cu faci a carzetta
 è ssettata supa o barcuni.
Sunnu cosi du tempu passatu,
lapru l’occhji e non viju ‘cchiù nenti,
ca ora i cosi su’ tutti cangiati,
 ‘rresta sulu nu bruttu prisenti”

Perre Francesco “U Biscottu” 1959
Incarcerato. Tre mesi per associazione ndtranghetistica. Pena accessoria. In carcere gli venne proibito di accordare le sue rime alle corde della chitarra. Porta al petto della giacca la stella di poeta dialettale e operaio forestale. Salite a Platì, lo troverete in altura con la chitarra battente, nel presentarvi al vostro nome seguirà una rima baciata. Porta in tasca copia del decreto di liquidazione riconosciutagli per l’ingiusta detenzione subìta, lo sventola ai carabinieri ogni volta che indefessi tutori della legge lo controllano al posto di blocco, controlli di rito gli rispondono alle sue proteste, pur sempre poeta pregiudicato è.
 
U CARCIRI
Pari ca catti u cielu e mi ‘mpittau,
chi staju passandu u sapi sulu Diu.
Ma puru Diu ora mi ‘bbandunau
cu sti penseri sugnu ancora eu.
Sentu ‘u cori meu chi staci mali,
pacchì i sti porti si sperdiru i chjiavi,
i porti du ‘mpernu si lapriru,
jettaru i chjavi e ccà intra mi rassaru.
Quandu arbisci a matina
u cori meu si risbigghja e si ‘lluntana,
sentu puru u trenu quandu passa,
si leva i soi penseri e i mei mi rassa.
Penseri chi mi stannu cunsumandu,
pari ca finìu pammia chistu mundu.
Mundu salatu, dimmi, chi ti fici?
Notti e jornu nommu pigghju paci.
Paci trova sulu sta vita mia
quandu tornu ammata ca famigghja mia.
 
Papalia Francesco “U Burettu” cl. 1990
Nipote diretto del poeta analfabeta Michele Papalia (1933 - 2017). Un giorno di aprile si mise a spulciare all’archivio diocesano per ricostruire il suo albero genealogico e scoprì quello che aveva sempre presentito: Francesco Papalia, ossia “Cicciu i Mastru Micheli” era un suo arcavolo. Francesco e Michele, nomi che si rincorrono senza soluzione di continuità nella genealogia dei Papalia. Pertanto, da un Francesco Papalia a un altro, persistenza transgenerazionale, due secoli in versi, la poesia a tinte pastello a colorare il buco nero della nostra esistenza.
 
L’ARMACERA
Quandu la facci bona si posa,
pari na fimmina cu ll’abitu i spusa,
‘ndavi cent’anni e puru non pari,
 sa conzi giusta ija non cari.
Vaji cumpagna cu li soi sorelli,
 ma non vaji sa sunnu gemelli.
Sa potìa quantu cuntava
di riscipuli e mastri a unu a unu
Sa esti chjatta o tunda o stritta
cu chjumbu e ‘lliveju ti veni ‘ddritta.
Teni puru a cchjiù randi muntagna
 l’armacera chi ‘ndaju ‘a campagna.
 
Perre Giuseppe “U Cicerca” cl. 1981
Con superiore capacità di osservazione e analisi del mondo platiese, accorda musica e poesia, li tiene a braccetto. Egli si volta a guardare indietro alla ricerca dei grumi del secolo scorso, invecchia e suona, incanutisce e scrive, di rima vive.
 
LI TURMENTI
“Stasira mi ritrovu a passijari,
‘nta chista ruga bella e profumata,
nu pocu i ventu e nu cielu stijatu
na umbra esti chi balla nta la notti.
E bonasira a vui stija lucenti,
di chistu cori nesciunu sti canti,
fustivu a causa di tanti turmenti,
chi scumpariru tutti ora ‘ccà vanti”

La poesia dialettale è un paesaggio notturno colpito a un tratto dalla luce. Per quanto mediocre essa sia … pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio. Pier Paolo Pasolini

Testo e foto : MICHELE PAPALIA

In apertura: Rocco Trimboli, Giuseppe Barbaro e Perre Francesco

Trimboli Rocco alias u Ciuciu e
Barbaro Giuseppe alias u Pintu sono apparsi qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/08/poeti-al-chiaro-di-luna-lu-sensu-e-la.html
 
Una selezione di poeti & poesie qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2018/01/rapsodia-in-agosto-reg-akira-kurosawa.html
 
Perre Francesco alias u Biscottu e apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2018/09/carcere-di-george-hill-1930.html

giovedì 8 settembre 2022

Sete [di Ingmar Bergman - 1949]



UN PAESE COMPLETAMENTE ABBANDONATO
A Senoli di Platì mancano tutti i “comforts” moderni
La popolazione vive in uno stato di miseria –
Difettano acqua, strade, luce, servizi sanitari e igienici
 
Natile Nuovo, 25 luglio
Senoli, frazione di Platì, consta di circa 200 abitanti, pari, ad un numero di quasi 30 famiglie, in gran parte dedite all'agricoltura ed alla pastorizia, che non sanno se considerarsi cittadini italiani, esseri appartenenti ad una Patria comune poiché vivono in condizioni primitive e pietose, in uno stato di vita sacrificata e difficile resa tale dalla mancata risoluzione dei principali e più urgenti problemi che attanagliano la loro esistenza ponendola al difuori dei limiti del mondo e del vivere civile.
A Senoli manca tutto: acqua, strada, luce elettrica, scuole, servizio sanitario, servizio postale, un problema più urgente dell'altro, necessità, sentite e che sono di complemento alla vita.
L’acqua, in primo luogo, costituisce la principale esigenza. Ci è ancora presente il triste spettacolo cui abbiamo assistito: abbiamo visto cittadini senolesi attingere il prezioso liquido a pozzi, ruscelli e sorgenti inquinati, ricettacolo d'ogni sorta di microbi, d'aver noi stessi, costretti dall'arsura, bevuto acqua di calce e di gesso a spontanee sorgenti, non senza una mossa di disgusto per l’assoluta impotabilità, di quell'acqua, dovuta soprattutto alla mancanza di iodio in essa. L’essere stati costretti in passato e l’essere ancora costretti a deporre le labbra arse dalla calura estiva su un liquido assolutamente impotabile, è ben ricordato nella mente degli abitanti di Senoli perché fra essi si sono avuti moltissimi casi di tifo, paratifo ed altre gravissime malattie che hanno arcor più intristito l’esistenza di questi laboriosi contadini.
Perché continuare a sottoporre quella popolazione al supplizio di Tantalo, quando a circa 200 metri dal loro abitato, scorre fresca, limpida e cristallina nelle tubazioni dell’acquedotto consorziale Natile-Ardore il prezioso liquido che si potrebbe facilmente deviare per Senoli?
Il Sindaco di Platì si era in merito fattivamente interessato ma la sua proposta è crollata dinanzi al «ferreo non possumus» dei dirigenti dell’acquedotto consorziale medesimo e non venne accolta dai Sindaci dei centri consorziati. Manca una strada rotabile che possa rendere più agevoli le comunicazioni necessarie con Platì, favorendo così l'allacciamento della Frazione alla SS. 112 e con essa al mondo civile. È stata, è vero, costruita una stradetta mulattiera per congiungere Senoli alla Statale 112, ma essa non ha affatto risolto il problema, oltre a non essere stata completata.
Non esiste la luce elettrica, ma funzionano, ancora, in pieno secolo ventesimo, le lucerne ad olio ed i lumi a petrolio. Manca un plesso scolastico, sia pure in misura ridotta, che possa ospitare insegnanti ed alunni costretti gli uni svolgere, gli altri ad accogliere la missione educativa in umide stamberghe. in ambienti malsani ed antigienici privi d'aria o di luce.
Manca assolutamente anche il servizio sanitario e gli ammalati, con la neve o il solleone o la pioggia dirotta che ingrossa i burroni separanti la Frazione, ed attraverso impervi sentieri, devono essere trasportati su improvvisate barelle nei paesi più vicini per la necessaria assistenza medica. E quando si verificano casi gravi di malattie, allora il calvario, diviene più doloroso...
Manca il servizio postale e gli abitanti di Senoli, per l'inoltro ed il ritiro delle loro corrispondenze e per tutte le operazioni effettuabili presso gli Uffici Postali, devono portarsi altrove, percorrendo chilometri di strada malagevole. E questo problema, a nostro modesto avviso, e come anche fattoci presente dai Senolesi, si potrebbe risolvere subito disponendo che il servizio di portalettere, recentemente istituito a Natile Nuovo, venisse esteso anche per Senoli, nel senso cioè che il portalettere di Natile effettuasse giornalmente in quella località la distribuzione delle corrispondenze in arrivo di pertinenza di quegli abitanti, prelevando inoltre quelle in partenza per la raccolta delle quali si renderebbe, di conseguenza, necessaria l’installazione a Senoli di una cassetta d'impostazione.
Questo, purtroppo, il desolante quadro di squallore che si è offerto ai nostri occhi, un quadro ognora presente nella mente dei cittadini di Senoli, una dolorosa realtà viva palpitante che turba i loro sonni e la loro quotidiana esistenza, ponendola nelle condizioni di inferiorità rispetto al più sperduto villaggio delle più lontane plaghe dell'infinito. Eppure, ciò nonostante, Senoli è sempre tenuto ben presente quando si è trattato o si tratti di sfruttamento elettoralistico da parte di tutti gli Onorevoli «papaveri» che al tempo delle votazioni promettono mari e monti che poi vagamente sfumano nell'eterno fluire del tempo... Passa il Santo e... passa la festa...!  Inoltre Senoli paga profumatamente le tasse ed in tutti gli eventi bellici, ha dato alla Patria in armi i suoi figli migliori.
Forse e senza forse Senoli è il più sperduto piccolo centro d'Italia, nel quale non vi esista neppure l’ombra dei principali comforts, presenti in ogni paese civile.  
Lasciamo Senoli all’imbrunire, presi anche noi dallo sconforto aleggia su quella gente. E non potremmo chiudere il presente servizio senza rievocare la figura di una madre che alla nostra partenza ci avvicinò e con il volto su cui si leggeva il pallore della miseria, mostrandoci i cinque figlioletti attaccati alla sua gonnella, ci disse «scriva che i nostri figli hanno bisogno di mangiare, i nostri uomini di lavorare e noi donne a non sentire il quotidiano tormento di una dolorosa situazione alla base della quale s'intrecciano i motivi logici ed umani della nostra vita, della nostra vita di cittadini d'Italia che abbiamo il diritto di chiedere ed essere esauditi».
FRANCO CALLIPARI
GAZZETTA DEL SUD 26 luglio 1957

Un'istanza al Prefetto per la situazione di Senoli

 (F. C.) – Conseguentemente al nostro servizio sulla dolorosa situazione di Senoli, la piccola frazione di Platì, da parte dei cittadini senolesi è stata in proposito presentata una motivata istanza al Capo della Provincia, sottoscritta da tutti i nuclei familiari residenti in quell'assolato borgo. Ripetiamo il pressante appello d'intervenire, nella speranza che i voti degli abitanti di Senoli vengano sollecitamente esauditi.

La mancanza idrica in quel di Senoli è denunciata ancora oggi. I senolesi continuano a pagare le tasse senza acqua alla gola.

Francesco Callipari è stato corrispondente dai primi anni dell'edizione reggina della Gazzetta del Sud sino agli anni ottanta del secolo passato, altre sue corrispondenze sono apparse qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/silenziosa-minaccia-reg-christian-jaque.html
https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-1985minacce-senza-fine.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/03/unanguilla-da-300-milioni-dal-ciancio.html


La foto d'apertura con un restyling photoshoppiano girava, gira?, nella rete.
 



venerdì 2 settembre 2022

Il sole sorge ancora - e ancora


 Caci il brigante di Michele Papalia
MARIA FRANCO
 
 Il 17 giugno 1861, «nel più profondo e remoto Sud, laddove il Signore perse scarpe e camicia, volge al termine un giorno uguale a mille altri. Sul promontorio dell’Aria del Vento, mille metri d’altura attorniati da lecci e querce, siede un uomo, barba incolta e occhi nelle orbite scavate dalle ultime notti insonni lo fanno più vecchio dei suoi trentacinque anni. (…) Tutto gli incombe, vede il buio scendere e accarezzare le pareti della montagna, sente aneliti di morte ansimargli contro. Travolto da una dolorosa stanchezza, Caci chiude gli occhi; è un attimo condensato in un riflusso di immagini: quelle della sua vita, gli scorrono davanti come una recondita illusione.»
Caci il brigante di Michele Papalia, edito da Leonida, ripercorre la vita di Ferdinando Mittica, nato a Platì il 23 giugno 1826, primogenito maschio di una famiglia della buona borghesia locale: «Quella Platì è terra di rivalità, delazioni e faide familiari a sfondo politico, alleanze irrimediabilmente compromesse e vecchie inimicizie. La competizione politica è sentita, bisogna impadronirsi dei terreni demaniali al fine di accrescere prestigio familiare e incamerare vantaggi economici. In questo microcosmo sociale sarà lunga e cruenta la lotta combattuta all’apice del Decurionato tra la potente famiglia Oliva e la rispettabile famiglia Mittica.»
Quest’ultima, pur senza quarti di nobiltà, ha una certa consistenza patrimoniale: «al Catasto Murattiano, Ferdinando Mittica, nonno di Caci, denuncia la proprietà di una casa a quattro vani con rendita catastale pari a 13 ducati e mezzo, un vigneto e un giardino adibito ad orto.»
Iscritto dal padre al seminario diocesano, Ferdinando «non uscirà con l’abito talare, tuttavia il grado di istruzione umanistica acquisito gli sarà sufficiente per affrontare un mondo impregnato di analfabetismo.»
«Agile di mano e svelto di mente», si misura con il suo paese: «un villaggio pericolosamente affamato e angariato da squallidi privilegi baronali, uomini di apparente prestigio che annegano nel vizio, foresi analfabeti e sciancati manovrati da clero e nobiltà, bari e marioli; una capitale di cui si racconta ogni sontuosità ma maledettamente lontana, l’impotenza di uomini e mezzi a sradicare sistema e regime, a rovesciare un re smemorato fellone e continuo debitore verso la Calabria e i calabresi.»
Finito presto in galera per una rissa, Ferdinando fa amicizia con alcuni reclusi, in particolare Domenico Carbone detto cucinata e decide presto «cosa fare da grande.»  Diventa così Caci il brigante, oppositore, prima, del sistema borbonico e poi difensore della monarchia napoletana contro l’unificazione italiana, fino alla sconfitta della sua banda e alla sua uccisione.
Michele Papalia segue le vicende di Caci con una minuziosa ricerca di documenti storici e una sensibile immaginazione, cercando di coglierne tutti gli aspetti della personalità e senso e limiti della sua scelta: «L’origine del brigantaggio di Caci non è ben delineata, non può essere altrimenti quando la storia la fanno e la scrivono i vincitori. Per essi (…) Mittica è un dannato, delinquente della peggior specie che combatte per ristabilire il tiranno borbonico. Invero lo status delinquenziale di Caci è da ascrivere al solco delle private inimicizie e delle lotte intestine al suo villaggio vissute sin dalla gioventù; e l’ostilità verso alcuni notabili del paese avvezzi dapprima al regime borbonico per poi assumere il ruolo di liberali e le prepotenze percepite nei rapporti tra plebe e padroni non sono che la ragione per un ulteriore, definitivo, spera il brigante, scontro. In particolare, Mittica punta l’indice contro l’etica predatoria della classe baronale, capofila la dominante famiglia Oliva padrona delle terre e del Decurionato percepito alla stregua di una grossa mammella, il latte che ne esce ha il sapore dei ducati mentre l’odore è quello della terra bagnata dalle prime piogge settembrine.»
Michele Papalia, Caci il brigante, Leonida, euro 12

lunedì 29 agosto 2022

Il canto dell'usignolo [di Antonio del Amo 1957]



Francesco Papalia “Cicciu i Mastru Micheli” (1818 - 1901)


Figlio di Michele Papalia e Anna Trimboli, il padre appellato mastro senza che gli atti dello stato civile indichino in quale arte eccellesse, piuttosto ora vaccaro ora pecoraro, facile immaginare anch’egli artista nella rima. Sempre il padre, nella tassa fra gli usuari del 1831 denuncia il possesso di due bovi, la madre a filare il telaio alla luce della finestra, fino a sera al lume della lucerna a olio, fino ad accecarsi; Ciccio era figlio insieme ad altri otto, la storia ce lo consegna come il poeta del popolo, il signore del volgo.

Nel 1849 il nostro sposò Catanzariti Pasqualina che dopo avergli dato cinque figli lo lasciò vedovo per vent’anni, e da qui la sua maggiore produzione in vernacolo, le opere tutte tramandare oralmente. Rimane celebre il dialogo con l’arciprete Filippo Oliva con cui anticipò di un secolo A livella del principe Totò De Curtis: “quandu veni la morti e ti stendicchjia, cu ndavi e cu no ndavi mangia cazzi”.

Era spesso ospite ai pranzi delle famiglie nobili che ne chiedevano intrattenimento. Tra gli aneddoti quello della morte del signorotto: un giorno in montagna due pastori di Oppido chiesero al poeta informazioni sulla salute di Don Ciccio Oliva, e Ciccio rispose: ”il Don è morto”, e allora il Don recepita l’antifona chiamò a palazzo Ciccio che giunse a dorso di mulo, e dagli inservienti ne fece caricare il basto di viveri e vino.

Morì una mattina d’inverno del 1901 nella sua casa in Via Vignale, su un materasso rabberciato con foglie di pannocchie. I poeti del circondario ne vegliarono la salma e i ritardatari si portarono al cimitero. La sua tomba venne sradicata dall’alluvione del 1951, usurpate le sue ossa dal fiume Ciancio e poi al mare Jonio, la dispersione del corpo invece di consegnarlo all’oblio ebbe l’opposto effetto, ne accrebbe il mito, l’analfabeta che sfidava con le parole il potere dei baroni, con Ciccio Papalia e per mezzo della sua opera i platiesi capirono di avere una coscienza sociale.

Testo e foto: 

MICHELE PAPALIA


Cicciu i mastru Micheli è apparso precedentemente qui:

https://iloveplati.blogspot.com/2020/02/poesia-senza-fine-di-alejandro.html  


In apertura: Domenico Papalia (1855 - 1942) unico figlio maschio del poeta.


venerdì 19 agosto 2022

Fuga in Francia [di Mario Soldati 1948]


È espatriato in Francia
l’ergastolano Rocco Corso

REGGIO CAL., 25 (A. P.)
Nel territorio della nostra provincia da tempo vagava l'ergastolano Corso Rocco, evaso da un penitenziario allorché la guerra era cominciata a divampare sul territorio nazionale. Il Corso che cercava di far silenzio attorno al suo nome, onde evitare la cattura, veniva in aperto contrasto con un suo fratello, specie quando quest’ultimo uccise il collettore delle imposte di Varapodio, sig. Simone richiamando sulla sua famiglia l’attenzione della polizia. Ad un certo momento l'ergastolano uccise il fratello che, rendendosi autore di
altri fatti di sangue, aveva messo in allarme i carabinieri della zona.
Ormai il ghiaccio era rotto e l’evaso uscito dal riserbo che prima si era imposto, si abbandonò alle ribalderie, una delle quali, e l’ultima in ordine di tempo, è stata la rapina consumata in danno di Gliozzi Giuseppe da Platì, in combutta con il pregiudicato Innocenti Nazzareno, da Varapodio.
Messisi alla caccia dei due rapinatori, i Carabinieri mentre sono riusciti ad acciuffare l’Innocenti, hanno dovuto constatare la irreperibilità dell’ergastolano, che aveva pensato bene di tagliare la corda espatriando in Francia.
Nell'espatrio il Corso è stato favorito dai contadini Morabito Ernesto e Ursida Rosario Carmelo, entrambi da Molochio e residenti a Ventimiglia, ì quali sono stati denunziati per favoreggiamento.
IL GIORNALE D’ITALIA, giovedì 26 maggio 1949

La rapina ai danni dello zio Pepè è una cronaca che si rinnova mentre vengono scoperti nuovi tasselli che arricchiscono le precedenti edizioni. Avevo dato a Rocco Corso il volto di Lee Marvin, oggi cambio dando a lui quello di Pietro Germi ed al suo compare di combutta Innocenti Nazzareno quello di Folco Lulli, anche per agganciarli al film citato in apertura. Le precedenti edizioni andavano sotto il titolo I cancelli del cielo, film culto di Michael Cimino e le trovate qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2011/04/i-cancelli-del-cielo-reg-michael-cimino.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/11/i-cancelli-del-cielo-di-michael.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/02/i-cancelli-del-cielo-ecco-i-fatti.html


 

mercoledì 3 agosto 2022

Dopo il matrimonio [di Bart Freundlich 2019]


Beatissimo Padre.
Trimboli Maria Teresa
Mittiga Rosario
nel loro 50° di Matrimonio
24 – 8 – 1907   24 – 8 – 1957

umilmente prostrati ai piedi di Vostra Santità implorano la Benedizione Apostolica e l’Indulgenza Plenaria in articulo mortis anche quando non potendosi confessare né ricevere la S. Comunione invocheranno pentiti con la loro bocca e col cuore il Nome Santissimo di Gesù.

Il Santo Padre concede di cuore l’implorata Apostolica Benedizione – Dal Vaticano lì 12 Settembre 1957
Vanini
 
Ci fu un tempo, ci sarà ancora, in cui nella stanza da letto dei nonni al di sopra della testiera accanto all’immagine di Gesù col Cuore in mano c’era incorniciata la pergamena della Benedizione Apostolica concessa dal Santo Padre, in occasione del 50° anno di matrimonio. Era un fregio che non tutti si potevano permettere in quanto la stessa veniva rilasciata dietro compenso, oggi si dice donazione, anche perché c’era il lavoro dell’amanuense che la doveva dipingere e scrivere in rigoroso font gotico. La riproduzione in apertura è un tributo ai nonni Luigi Gliozzi – Lisa Mittiga e Rosario Mittiga – Mariuzza Trimboli

venerdì 29 luglio 2022

Donna di Riazan [di Olga Preobrazhenskaya 1927]







I fotogrammi riprodotti appartengono al film sovietico Donna di Riazan (Babi Ryazanskie) del 1927, regista Olga Preobrazhenskaya.  Il tilaru che si vede è identico a quello usato anche dalle donne di Platì, e tra queste la nonna Lisa (Mittiga in Gliozzi) e la zia Angeluzza (Mittiga in Lentini). Serviva per tessere coperte, tappeti, tovaglie, lenzuola, mappine. Le materie prime adoperate erano la lana, la ginestra, il cotone e la seta. Dubito che in paese sia conservato un modello simile, né tanto meno c’è un falegname atto a riprodurlo, non essendo più utilizzato. Non c’è nemmeno un archivio storico o Mimmo Addabbo a proiettare il film citato. 

Il telaio era apparso dapprima qui:https://iloveplati.blogspot.com/2019/10/the-frame-il-telaio-di-jamin-winans-2014.html




mercoledì 27 luglio 2022

In vino veritas [di Mark Gentile, 2019]


 

La musica è un’altra vita nella vita; ma la vita è il vino
Platì 3 – 4 – 1921
L’astemio 
Rosario Zappia Oliva