https://iloveplati.blogspot.com/2013/10/corpoceleste-pt6.html
- Immagine e testo contenuti nell'album personale di Ernesto Gliozzi il vecchio.
- Immagine e testo contenuti nell'album personale di Ernesto Gliozzi il vecchio.
Tutte le foto, tranne l'ultima di Michele Papalia, sono di Maria
Antonia Romeo che cortesemente le ha concesse per l'odierna pubblicazione:
nella prima Giuseppe Romeo a Buenos Aires a seguire la stessa con Andrea
Strangio e Pasquale Barbaro nel 1993, infine il recente viaggio a Platì di
Maria Antonia.
La poesia dialettale è un paesaggio notturno colpito
a un tratto dalla luce. Per quanto mediocre essa sia … pone sempre di fronte a
un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio. Pier
Paolo Pasolini
Un'istanza al
Prefetto per la situazione di Senoli
(F. C.) – Conseguentemente al nostro servizio
sulla dolorosa situazione di Senoli, la piccola frazione di Platì, da parte dei
cittadini senolesi è stata in proposito presentata una motivata istanza al Capo
della Provincia, sottoscritta da tutti i nuclei familiari residenti in
quell'assolato borgo. Ripetiamo il pressante appello d'intervenire, nella
speranza che i voti degli abitanti di Senoli vengano sollecitamente esauditi.
La mancanza idrica in quel di Senoli è denunciata ancora oggi. I senolesi continuano a pagare le tasse senza acqua alla gola.
Figlio di Michele Papalia e Anna
Trimboli, il padre appellato mastro senza che gli atti dello stato civile indichino
in quale arte eccellesse, piuttosto ora vaccaro ora pecoraro, facile immaginare
anch’egli artista nella rima. Sempre il padre, nella tassa fra gli usuari del
1831 denuncia il possesso di due bovi, la madre a filare il telaio alla luce
della finestra, fino a sera al lume della lucerna a olio, fino ad accecarsi; Ciccio
era figlio insieme ad altri otto, la storia ce lo consegna come il poeta del
popolo, il signore del volgo.
Nel 1849 il nostro sposò Catanzariti
Pasqualina che dopo avergli dato cinque figli lo lasciò vedovo per vent’anni, e
da qui la sua maggiore produzione in vernacolo, le opere tutte tramandare
oralmente. Rimane celebre il dialogo con l’arciprete Filippo Oliva con cui anticipò
di un secolo A livella del principe Totò De Curtis: “quandu veni la
morti e ti stendicchjia, cu ndavi e cu no ndavi mangia cazzi”.
Era spesso ospite ai pranzi delle
famiglie nobili che ne chiedevano intrattenimento. Tra gli aneddoti quello
della morte del signorotto: un giorno in montagna due pastori di Oppido chiesero
al poeta informazioni sulla salute di Don Ciccio Oliva, e Ciccio rispose: ”il
Don è morto”, e allora il Don recepita l’antifona chiamò a palazzo Ciccio che
giunse a dorso di mulo, e dagli inservienti ne fece caricare il basto di viveri
e vino.
Morì una mattina d’inverno del 1901
nella sua casa in Via Vignale, su un materasso rabberciato con foglie di
pannocchie. I poeti del circondario ne vegliarono la salma e i ritardatari si
portarono al cimitero. La sua tomba venne sradicata dall’alluvione del 1951,
usurpate le sue ossa dal fiume Ciancio e poi al mare Jonio, la dispersione del
corpo invece di consegnarlo all’oblio ebbe l’opposto effetto, ne accrebbe il
mito, l’analfabeta che sfidava con le parole il potere dei baroni, con Ciccio
Papalia e per mezzo della sua opera i platiesi capirono di avere una coscienza
sociale.
Testo e foto:
MICHELE PAPALIA
Cicciu i mastru Micheli è apparso precedentemente qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2020/02/poesia-senza-fine-di-alejandro.html
In apertura: Domenico Papalia (1855 - 1942) unico figlio maschio del poeta.
umilmente
prostrati ai piedi di Vostra Santità implorano la Benedizione
Apostolica e l’Indulgenza
Plenaria in articulo mortis anche quando non
potendosi confessare né ricevere la S. Comunione invocheranno pentiti con la
loro bocca e col cuore il Nome Santissimo di Gesù.
I fotogrammi riprodotti appartengono al film sovietico Donna di Riazan (Babi Ryazanskie) del 1927, regista Olga Preobrazhenskaya. Il tilaru che si vede è identico a quello usato anche dalle donne di Platì, e tra queste la nonna Lisa (Mittiga in Gliozzi) e la zia Angeluzza (Mittiga in Lentini). Serviva per tessere coperte, tappeti, tovaglie, lenzuola, mappine. Le materie prime adoperate erano la lana, la ginestra, il cotone e la seta. Dubito che in paese sia conservato un modello simile, né tanto meno c’è un falegname atto a riprodurlo, non essendo più utilizzato. Non c’è nemmeno un archivio storico o Mimmo Addabbo a proiettare il film citato.