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martedì 27 dicembre 2016

Afferra il tempo (reg. Antonello Branca - 1973)

Come navi che passano nella notte e passando si parlano soltanto con segnali, e voci distanti nell'oscurità; così sull'oceano della vita noi passiamo e ci parliamo, soltanto uno sguardo e una voce; poi di nuovo oscurità e silenzio. Henry Wadsworth Longfellow



Questo libro era posto negli scaffali inferiori della biblioteca dello zio Ernesto il giovane, a Platì, soffocato da altri volumi. Quando lo tirai fuori, dopo una sommaria e frettolosa visione lo riposi subito, snobbandolo. In quei tempi ammettevo solo la lettura dei classici e qualche causale scoperta da loro derivata. Ora quei tempi sono passati e i classici pure. Oltretutto neppure esiste più la biblioteca, solo scansie impolverate che attendono la resa finale.
Sull’autore del romanzo non vi sono informazioni se non quanto riportato nella dedica allo zio Ciccillo e per via di questa ho chiesto alla zia Amalia: “lo si vedeva spesso, a Polsi”, la risposta. Ecco che un minimo di biografia dobbiamo ricavarla dalla lettura del testo.
Nativo di un paese posto nel litorale ionico tra Reggio e Bovalino o forse di uno di quelli collinari, che su quel mare antico si affacciano, ebbe modo di studiare all’Università di Messina provenendo da una famiglia con qualche possedimento. Forse si laureò … Il resto … scopritelo da soli se riuscite ad impossessarvi dell’unica copia in vendita sulla borsa nera eBai, anche quella con dedica.
Roberto il protagonista de Il ponte sullo Stretto è un’anima in pena. La sua è una ricerca della bellezza e dell’amore in un periodo che sembra rigettarle. Per non annoiarvi, e senza nessuna competenza, sarò breve, dopo questa lunga presentazione, attenendomi soltanto ai tempi ed ai luoghi del romanzo.
Stefano D’Arrigo situerà le gesta del suo Orcaferone proprio in quel lembo di mare descritto dapprima da Renzo Pettè, sebbene spostandole verso il Golfo dell’Aria, mentre il nostro fa agire i suoi personaggi fra il Capo d’Armi e la foce del Bonamico, in quel lembo di costa razziato dapprima dai saracini e successivamente dal corsaro dei corsari: Ruggero di Lauria. A corollario anche una parte aspromontana che si estende da Gambarie, Montaldo e attraverso il Sanatorio giunge a Polsi.
La scrittura non ha niente a che vedere con le stelle della calabra letteratura sebbene qualche passo polsiano possa far pensare a Francesco Perri – a questo proposito posso dirvi che il Pettè non lo conoscevano neanche quanti, sotto la spinta di don Giosofattino Trimboli, si radunarono, nel settembre 1988, a discutere su: S. Maria di Polsi storia e pietà popolare -. Francis Scott Fitzgerald (Roberto è un controtipo del Grande Gatsby), Hammett, Chandler, Dos Passos, Ernest Hemingway sono i nomi che mi sorgevano in mente mentre leggevo; autori che ai nostri odierni conterranei delle belle lettere non hanno mai ispirato un rigo; scrittori, questi citati che avevano rinnovato la letteratura influenzati dal cinema e da William Faulkner.
Al termine, il romanzo e la sua composizione non sono altro che la parabola della vita di Pettè: dopo aver condotto una esistenza avventurosa, portato a temine il libro, a seguito di un viaggio purificatorio a Polsi non rimane altro che tuffarsi nell’anonimato di una quotidianità comune a tanti, visti in un primo tempo come un alter da sfuggire.
Fine
No, ancora, lasciatemi dirlo, la nostalgia che mi assaliva mentre leggevo, da falso messinese: certe descrizioni di una città che risorgeva dopo il bombardamento per opera degli americani, la vita che riprendeva sul porto, la nascita di locali alla moda, per quei tempi, adesso passati, come la biblioteca.
Tutte le cose hanno
il loro tempo e tutte
passano sotto il cielo
nello spazio loro prefissato
sono parole dell’ Ecclesiaste poste come incipit de
IL PONTE SULLO STRETTO
Renzo Pettè, Il ponte sullo Stretto, Gastaldi Editore in Milano, 1953

A Don Ciccillo Gliozzi, con il ricordo affettuoso di tutte le giornate passate insieme, quando scrivevo questo romanzo, e con i ringraziamenti per l’amicizia, l’affetto, l’aiuto datemi in quel periodo.
Renzo Pettè, Aprile del 1963



giovedì 22 dicembre 2016

Laudate Pueri - Domenico Zipoli (1688 - 1726)

Dramma Puerile
in tre scene
 di Ernesto Gliozzi il vecchio

Personaggi
Antonio
Ciccillo
Angioli n. 6

La scena si svolge innanzi l’altare

Scena 1

Entrano Antonio e Ciccillo ragionando fra di loro

Antonio –  Stanotti , a menzanotti, chi cuntentu. Veninu l’Angioleji com’a mmia. Eu‘ non dormu, ma staiu mu li sentu. Si fannu la sonata a lu Missia, Chi sunnu belli! Tutti ianchi ianchi! Cu la buccuzza comun nu cerasu. Non rikiatiju mancu di li Kianchi. Si dicu se mi dassanu mu trasu.

Ciccillo – Senti, sa chi facimu. Nda mmucciamu. Ma l’occhi li tenimu spalancati. Se ndi resci, cu diji ndammurramu. Cu l’ Angioli non simu puru frati?

Antonio – Si, si, chi mi piaci  sta pensata. Ma doppu chi facimu? Muti stamu? Sarria bella u sapimu na cantata a lu Bambinu u si dicimu: T’amu!

Ciccillo – Pe chistu, dassa fari ca me nanna mi mparau li strambotti dcchiù puliti. Nu non volimu frischiotti di canna. Ndavimu chija vuci chi sapiti.

Antonio – Addunca sarria ura u ndammucciamu. E criju ca si misuru ncamminu. E l’aliceji a undi li pigghiamu?

Ciccillo – Ali non avi mancu lu Bambinu

(si nascondono)

Scena 2

Si sente un’armeria, dall’alto scendono a quattro a quattro, gli Angioli cantando:
Angioli -  Gloria a l’Altissimo
                 Su l’alte sfere
                 E Pace agli uomini
                 Di buon volere.

Intanto escono i due nascosti e cercano di schernirsi dietro degli angioli e questi mettendoli in mezzo l’invitano così:

Angioli – Sciogliete al giubilo,
                 Garzoni eletti
                 I primi palpiti
                 D’ingenuo amor.


Antonio e Ciccillo:  Sciogliamo al giubilo
                                    Angioli santi
                                    I primi palpiti
                                    Dei cuori amanti.

Angioli – Angioli siamo
                 Del Paradiso
                 Onore e gloria
                 Gioia e sorriso

Antonio e Ciccillo:  Nu di la terra
                                   Angiuli simu
                                   Nù puru vittimu
                                   Gesù Bambinu.

Angioli –  Noi de l’Altissimo
                  Ministri siamo
                  E pure, supplici,
                  L’adoriamo

Antonio e Ciccillo:  Nui cca restamu
                                   cu lu Bambinu
                                   e puru, “ grazii “
                                   mu si dicimu
                                   e vu ‘ chi ssiti
                                    angiuli santi
                                    angiuli fatindi
                                    a tutti quanti.

1° Angiolo – Io sono la Fede
       “          Io sono la Speme
3°       “          Io sono il Gaudio
4°       “          L’amor che geme

Antonio (pensoso):    Fidi, Speranza, Amuri
                                       Venutu lu Missia
                                        Sunnu li tri culuri
                                        Di la bandera mia.

Ciccillo:  Fidi, Speranza, Amuri
                 Sunnu pe tutti quanti
                 Duni du Redenturi
                 Chi faci a tutti santi.

1° Angiolo agli altri: Fratelli è l’ora
                                    Di ritornare
                                    Ora che i popoli
                                    Possono amare
Tutti insieme: Gloria a L’Altissimo
                          Su l’alte sfere
                          E pace agli uomini
                          Di buon volere

 Scena 3

Antonio: Oh che bella sta sirata!. Quanti cosi mi mparai! Oh chi bella serenata! Ciccilluzzu mi scialai.
                                                                                                                                                              (L’abbraccia)

Ciccillo: E ‘ vorria mu su presenti tutti quanti li cotrari

Antonio: E vorria ca tutti i genti si farrissiru d’amari

Ciccillo: E vorria mu si facimu ora a ninna a lu Bambinu

Antonio:  E vorria pe tutti i seculi u mi restu cca vicinu

(Cadono in ginocchio e cantano)

Dormi non piangere,
Gesù diletto
Dormi non piangere
Mio Redentore


Nota 
Questa breve recita natalizia dello zio Ernesto il vecchio, ne esiste una più estesa intitolata Gloria – dramma puerile in un atto, è stata rappresentata più di cento anni fa nella chiesa del Rosario. I piccoli interpreti provenivano dal ramo puerile della Confraternita del SS. Rosario detti Luigini. È  un raro esempio di testo teatrale prodotto da autore platioto che non ha avuto altre recite in quanto sorpassato dal mutare dei tempi e delle mode. Utopistico è anche il sogno di vederlo ancora rappresentato in un’aula scolastica.
Mi piace ancora affiancare al testo dello zio, il brano di Domenico Zipoli un missionario gesuita che visse affianco con i nativi Guaranì, popolo dell’America del Sud.
L’immagine invece è di Giovanni da Fiesole alias Beato Angelico.

mercoledì 21 dicembre 2016

Lacrimosa dies illa


A. 1886 - 5 Nov. mori Maria Fr. Gliozzi all’età di un mese figlia di don Luigi e donna Assunta Lopes.

A. 1879 – 9 marzo morì donna Rachele Gliozzi all’età di 50 anni. Figlia di D. Giuseppe e di Filippa Codispoti.

A. 1877 – 4 Marzo morì d. Filippo Gliozzi all’età di un anno. Figlio di d. Francesco e Rosa Fera.

A. 1876 – 4 Aprile morì Elisabetta Gliozzi all’età di 4 anni. Figlia di Giuseppe e Franca Gareffa.

A. 1873 – 21 Gennaio Filippo Gliozzi (morì) all’età di 15 giorni figlio di D. Francesco e Rosa Fera

A. 1870 – 16 Aprile morì Vincenzo Gliozzi all’età i anni 12. Figlio di d. Francesco e d. Elisabetta Gliozzi.

1864 – 3 Marzo morì d. Francesco Gliozzi all’età di 90 anni. Figlio di d Carlo e Carolina Mittiga.


Nota 
Questa memoria con albero genealogico è del nonno Luigi,  egli ricorda, tra l'altro, che al padre, Francesco, vennero a mancare i due primogeniti - il primo di 15 giorni, il secondo di un anno - che portavano il nome Filippo, in onore dello zio sacerdote.

lunedì 19 dicembre 2016

L'albero della vita - The Fountain (reg.Darren Aronofsky - 2006)


   
Platì, 14 ottobre 1998
Carissimo Rick,
Mi chiedi notizie sui nostri antenati. Questa è una cosa che fanno tutti gli emigrati di Platì e io sono contento di dare a tutti le notizie che trovo nei nostri Libri Parrocchiali.
Per ora ti do le notizie che riguardano gli antenati da parte di tua Mamma, che avevo già pronte da molto tempo. Per gli antenati di tuo Papà devo continuare ancora le ricerche e ti darò notizie appena avrò terminato questo lavoro. Ecco quello che ho ricavato dai Registri dei Battezzati di questa Parrocchia, che iniziano dall'anno 1760:

GLIOZZI FABRIZIO, di cui non risulta la data di nascita, ma era già in vita nel 1760; penso che sia nato prima del 1730; sposò Zappia Bernardina.

Fabrizio aveva anche sorelle e forse anche fratelli perché risultano una PASQUALINA e una ELISABETTA, che furono madrine (comari) in diversi battesimi.

Da Fabrizio nacque CARLO, ma neanche di lui risulta la data di nascita.

CARLO, che era notaio in Platì e sposò Joculano Elisabetta, ebbe i seguenti figli: 1) GIUSEPPE ANTONIO ENRICO, nato nel 1773; 2) Benigna Silvia, nata nel 1776; Elena Bernardina, nata il 29.12.1780; 3) Giuseppe Francesco Antonio, nato l'8. 4. 1783; 4) Vincenzo Rosario Maria, nato 1787; 5) Maria Anna, nata nel 1789; 6) Francesco, nato nel 1778(?); 7) Carlo Ferdinando, nato nel 1785(?).

GIUSEPPE ANTONIO ENRICO, sposato con Codespoti Filippa, ebbe i seguenti figli: 1) Filippo, nato il 19.2.1823; 2) Elisabetta, nata nel 1825, che sposò Arcuri Giuseppe; 3) Rachele, nata nel 1828; 4) FRANCESCO DOMENICO, nato nel 1830(?); 5) Serafina, nata nel 1831.

FRANCESCO DOMENICO, sposato con Gliozzi Elisabetta, nata da Carlo Ferdinando, ebbe i seguenti figli: 1) Luigi, nato il 13.6.1841; 2) Giuseppe, nato l'11.11.1842; 3) FRANCESCO, nato il 30.9.1844; 4) Filippo, nato il 30.11.1846; 5) Michele, nato il 25.2.1849; 6) Maria Antonia Giuseppa, nata l' 11.3.1851; 7) Carlo, nato il 26.3.1853; 8) Vincenzo, nato il 10.11.1855; 9) Carmelo Ferdinando, nato il 25.7.1858.

FRANCESCO, sposato con Fera Rosa, ebbe i seguenti figli: 1) Serafina, nata il 20.9.1877; 2) LUIGI, nato il 1.10.1880; 3) Ernesto, nato il 20.1.1883.

LUIGI, sposato con Mittiga Elisabetta di Rocco, ha avuto i seguenti figli:

1) FRANCESCO, nato il 6.3.1908 sacerdote;
2) ROSA, nata il 7.9.1910, che ha sposato Miceli Domenico ed ha avuto 2 figli: GIUSEPPA (Pina) e FRANCESCO (Duccio);
3) CATERINA, nata il 20.3.1913, che ha sposato Mittiga Francesco ed ha avuto 4 figli: ROSARIO (Saro), MARIA, LUIGI (Gino) e GIOVANNI(Gianni);
4) ERNESTO, nato il 12.4.1915 sacerdote;
5) SERAFINA, nata il 21.8.1917, suora;
6) GIUSEPPE, nato il 24.4.1920, che ha sposato Zappia Anna ed ha 2 figli: MARIA ELISABETTA (Marilisa) e LUIGI ROSARIO PASQUALE MARIA.
7) IOLANDA, nata il 30.5.1923, che ha sposato Tripepi Antonio ed ha 5 figli;
8) MARIA AMALIA, nata il 7.8.1925.

SDG

A tutti questi nomi, a tutte queste date, allo zio Ernesto il giovane che compilò la mega anagrafe non posso far altro che dedicare questo primo movimento del Concerto per violoncello e orchestra di Edward Elgar interpretato dalla ninfa del violoncello Jaqueline du Pré.

domenica 18 dicembre 2016

L'albero della vita (reg. Edward Dmytryk - 1957)



Agostino Mittica & Caterina Oliva unica famiglia Mittiga/ca presente nel catasto onciario del 1746
49 anni – 5 figli

MITTIGA MICHELE
nel catasto onciario del 1794 era un mastro calzolaio
il quale sposò Brigida … Pirri o Pini o Pizzi
egli morì nel 1833 a 66 anni

da Michele e Brigida nacque
FRANCESCO
che sposò Ietto Angela
da questi nacquero
MICHELE (registrato Mittica) il 4 marzo 1791 -  e  ROCCO il 4 febbraio 1814
Michele andò in nozze con Treccasi Elisabetta
Rocco invece impalmò Buccafurni Rosa, nativa di Molochio
Da Michele ed Elisabetta il 19-10-1845 nacque ROCCO che si unì con Fera Caterina – da Rocco e Rosa nacque il 2-12-1847 FRANCESCO che sposò Riganò Rachele
Da Rocco e Caterina nacque, il 20 luglio 1884, ELISABETTA (Lisa) – da Francesco e Rachele scaturì l’8 marzo 1881, ROSARIO
Elisabetta sposò Gliozzi Luigi – Rosario accasò Trimboli Maria (Mariuzza)
Da Bettina e Luigi venne al mondo CATERINA (Cata) nel 1913 e da Rosario e Mariuzza, FRANCESCO (Ciccillo) nel 1908
e quindi
Saro, Maria, Gianni ed il sottoscritto
Gino


Questa genealogia in parte è stata bloggata ma solo il l’attitudine alla ricerca genealogica di Francesco di Raimondo è riuscito, knockin'on Heaven's door , a svelare la parentela tra la nonna Lisa ed il nonno Rosario.  

giovedì 15 dicembre 2016

L'ultima sfida (reg. Edwin L. Marin - 1951)





DOPO L’IMPROVVISO TRASFERIMENTO A LOCRI DELLA SEDE EPISCOPALE
A GUARDIA DEL TESORO DELLA DIOCESI DA UNA SETTIMANA I CITTADINI DI GERACE
Situazione tesa - I manifestanti caricati per due volte dalla polizia che ha ordinato il coprifuoco e presidiano i campanili - Le dichiarazioni di monsignor Oppedisano
GERACE, 31 
Il grosso centro di Gerace è da una settimana paralizzato dalla protesta della popolazione contro il trasferimento della sede della diocesi deciso dalle gerarchie ecclesiastiche. La folla che manifestava pacificamente dinanzi alla cattedrale venne caricata dalla polizia; si ebbero alcuni contusi; la polizia, ieri sera ha nuovamente attaccato i manifestanti, ammontanti a circa un migliaio.
La notizia delle aggressioni poliziesche ci ha portato a Gerace per vedere da vicino cosa effettivamente in questo pacifico centro sta accadendo.
Siamo entrati in paese quando i magazzini, le scuole, gli uffici, gli asili erano chiusi. Le piazze, le strade, le chiese e persino i campanili sono presidiati da oltre 100 tra poliziotti e carabinieri; di tanto in tanto misteriosi campanari suonano le campane. La popolazione, che si è astenuta dal lavoro dei campi e da quelli domestici, sta da una settimana -- anche di notte, nonostante il coprifuoco ordinato dalla polizia -- davanti alla cattedrale, vigilando perché non vengano portati via i paramenti e il tesoro, valutato a circa un miliardo. Molte donne si sono portate le sedie in piazza, dove trascorrono la giornata a cucire e a ricamare, mentre gli uomini conversano riuniti in capannelli.
Nella nostra visita abbiamo parlato con parecchie persone. Trovandoci in piazza Tribuna siamo stati circondati da una folla di donne; per tutte, la signorina Trombè Gìovanna, presidentessa delle donne di Azione Cattolica, ci ha detto: «Noi stiamo qui per protesta perché ci sia ridata la sede vescovile. Abbiamo manifestato disciplinatamente, perché siamo state ingannate. Il 25 maggio scorso il vescovo Pierantoni ha detto alla nostra popolazione: “Credete che io sia così stolto da abbandonare un seminario che è il secondo costituito dopo il Concilio di Trento; credete che io sia così sciocco da abbandonare una cattedrale che ricorda mille anni di gloria? Affermo categoricamente che la sede della Diocesi non verrà mai trasferita da Gerace: piuttosto che abbandonare Gerace preferisco ritornare in convento e fare l’umile frate “. Un'ora dopo invece lo stesso vescovo annunciava a Locri che la sede vescovile era stata colà trasferita. La signorina Trombè ha detto poi: «E” falso quello che hanno scritto gli altri giornali. D’altra parte non è vero quello che ho sentito a un convegno di A. C. a Locri dove si è detto che il provvedimento era stato preso a motivo delle elezioni, in quanto la bolla papale è del 22 febbraio».
Qualche ora prima eravamo stati in casa del canonico Oppedisano, cancelliere della curia vescovile, al quale siamo stati presentati come corrispondente de “L"Unìtà “: Ci difenda, ci difenda, perché Gerace merita di essere difeso ,ci ha detto mons. Oppedisano.
Questi, che è uno storico ed autore di parecchi libri, tra cui uno su: I moti rivoluzionari in Calabria nel 1847, ci ha raccontato come è sorta la diocesi: «In seguito all’uItima incursione barbarica, avvenuta intorno al 915, gli scampati locresi, lasciata l'antica città, hanno cercato rifugio sopra un alto colle dove hanno spianata la roccia, costruito il castello e la cattedrale, intorno a cui è sorta Gerace. Consacrata il 1045, la chiesa è un gioiello storico ed artistico per la Calabria: grande valore hanno le 20 colonne, tra cui una rossa e una verde di marmi antichi, trasportate dallo antichissimo tempio di Proserpina dell'antica Locri. La cattedrale è anche molto interessante per le "catacombe". Ricca di tesori e motivi artistici, essa è degna di ospitare un vescovado più di tutte le altre chiese della Calabria “.
Abbiamo chiesto allora can. Oppedisano se ci sono motivi alla base del trasferimento della sede vescovile a Locri: “Nessuno -- ci ha 'risposto; -- il trasferimento non è giustificato, anzi mi risulta che la popolazione di Locri non ci teneva nemmeno ad avere la sede vescovile “. Gli abbiamo domandato allora se il vescovo poteva avere motivi contro l'Amministrazione comunale popolare: «Lo escludo, perché gli amministratori sono stati sempre educatissimi col vescovo “. La stessa cosa ci è stata detta più tardi dal dirigente elettorale della DC e dalla signorina Trombê. Il canonico Oppedisano ci ha poi parlato dei danni economici, subiti dalla popolazione di Gerace: «Dal 1922 ad oggi hanno firmato il registro delle visite della cattedrale migliaia di fedeli venuti da 26 nazioni. Con gli 80-100 seminaristi che prima ospitava il seminario di Gerace, adesso trasferito a Locri, guadagnavano i bottegai, i contadini, insomma molta parte della popolazione. Il seminario poteva restare in quanto vi sono vasti locali, che non sono cadenti -- come è stato detto, -- bensì dovevano essere rinnovati. Gerace è ricco di storia e d'arte, confortevole per il clima e i panorami: col trasferimento della sede vescovile è stato danneggiato il movimento turistico, senza che se ne avvantaggi Locri».
Mentre ci trovavamo dal canonico Oppedisano è venuto il dirigente dei giovani di A.C., portandoci alcuni telegrammi inviati all'ex sottosegretario DC Murdaca dal dirigente elettorale della DC di Gerace. Nel primo è detto: “Elettori DC geracesi ringrazianvi vostro interessamento spoliazione città sede vescovile. F.to Gratteri “. L'on. Murdaca ha risposto di non aver influito sul trasferimento, “non ravvisando la necessità del provvedimento maturato segretamente dalle autorità ecclesiastiche “. Gli è stato ribattuto: “Non scuse, ma riparazioni. Unitamente cardinale Pizzardo, vostro dichiarato amico, recarsi qui per esame insostenibile situazione “. Lo stesso prof. Gratteri ci ha detto dopo che il clero della Diocesi è diviso sul provvedimento, “ “ di cui la maggior parte è favorevole a Gerace “.
Successivamente, in un locale pubblico, ci siamo incontrati con gli esponenti più qualificati delle varie correnti politiche di Gerace. Il segretario del PRI, Agliotì, ci ha detto: “Ad una telefonata, con cui chiedevamo di chiarire le ragioni del provvedimento in modo da rassicurare la popolazione, la curia arcivescovile di Reggio ha risposto che a ciò avrebbe pensato la polizia. In seguito, mentre la folla radunata in piazza Tribuna protestava pacificamente contro l'ingiustizia del provvedimento, il commissario di P.S. ha ordinato la carica provocando il ferimento di parecchie persone, tra cui alcune donne “. Un esponente politico di destra, tale Scaglione Felice, parlandoci dei danni pratici subiti da Gerace col trasferimento della sede vescovile, ci ha detto: “ La cattedrale, attualmente chiusa per restauri, col trasferimento della Diocesi rischia di non avere completati i lavori per i quali sono stati già spesi alcuni milioni “.
Infine il sindaco repubblicano, che con ì comunisti, i socialisti, gli indipendenti di sinistra è stato riconfermato all'Amministrazione popolare di Gerace, ci ha detto: “Contro le insinuazioni di alcuni elementi torbidi di nessuna fede, che speculano sull’agitazione della folla per far cadere le responsabilità sull'Amministrazione popolare, devo dire che questa da tempo aveva adottata una deliberazione chiedendo alla Santa Sede l’inamovibilità della sede vescovile “.

DEMETRIO DE STEFANO
L’ UNITA’, Martedì 1 giugno 1954

Nota
Il canonico Oppedisano è stato un grande. Nel 1948 portò in gita, sotto la guida dell'allora vescovo Giovan Battista Chiappe, la statua della Madonna di Polsi, in prossimità delle elezioni politiche ... quando il Comunismo bolscevico tentava con tutti i mezzi prendere in mano le redini della Nazione. Nel 1954 scese in campo, ancora, contro il suo nuovo superiore, il vescovo Pacifico Maria Luigi Perantoni (nella foto in apertura), chiedendo l'appoggio del quotidiano portavoce del PCI nella battaglia per il trasferimento della sede vescovile a Gerace Marina ossia Locri. Il vescovo Pierantoni invece andava a spasso con i tempi moderni. Quando tutti prendevano la via verso le marine, più facilmente controllabili, Gerace rimaneva roccaforte mazziniana con nel cuore l'insurrezione del 1847. Del resto i paesi montani calabresi furono in quel tempo amministrati da formazioni di ascendenza comunista, vedi San Luca e Platì, mentre il mare portava alto il vessillo della DC. 





Ricorda il mio nome



Carbone Antonio (27.7.1849) di Pasquale santo
Carbone Pasquale (18.11.1849) di Franc. mujura
Carbone Saverio (11.11.1849) imbalau
Catanzariti Antonio di Francesco (10.1.1849) sciampagno
Catanzariti Giuseppe (12.4.1849) druli   vir di Portolisi Giuseppa
Cutrì Michele (16.4.1849) di Giuseppe minda
Demarco Rosario (8.1.1849) timparinu vir di Papalia Maria
Ielasi  Pasquale (20,6.1849) di Teresa la rizza
Ielasi Teresa (24.6.1849)  la rizza di Domenico surra
Marando Rocco (2.1.1849) paunji vir di Portolesi Maria
Pangallo Anna (15.11.1849) di Franc. jemiju
Pezzano Maria (3.12.1849)  da Ardore-vedova di Sergi Carlo careja
Portolise Francesco (26.2.1849) ciunno
Romeo Giuseppe (18.11.1849) di Franc. pappanici
Sgrò Maria  (14.4.1849) di Gius.Ant. pezzaru
Spagnolo Francesca (26.10.1849) cinànni
Taliano Giuseppe (20.4.1849) di Dom. pezzoduro
Terminello Giuseppe di Domenico (23.9.1849) ceravularu
Triccasi Domenico  (14.3.1849) cutubao
Triccasi Giuseppe (18.4.1849) tundu
Triccasi Maria (23.9.1849) la carambotola di Domenico patrizito                  
Trimboli  Francesco (9,9,1849) diaci  vir di Mavrelli Maria mammarella
Zappia Anna (2.11.1849)  pittinella
Calabria Anna (19.12.1850) vedova di Sergi Domenico ciriveju
Carbone Domenico (26.7.1850) di Pasquale camìju
Caruso Anna (19.8.1850) di Francesco banci
Catanzariti Francesca (27.7.1850)- orba- di Antonio razza

Nota
Nella foto un affaccio sulla via Fratelli Sergi

lunedì 12 dicembre 2016

Il campanile d'oro (reg. Giorgio Simonelli - 1956)

Sui fatti del campanile
(Per lettera da Platì)
Caro direttore,
L’on. Ferdinando Martini, governatore dell’Eritrea nonché deputato di Pescia – come sai – si allontanava, in questi giorni, dagli “ Amici dei monumenti “ per il buco che si voleva praticare nelle mura di Lucca. Non so se avrai avuto la letterina, frizzante di ironia, che questi dirigeva ad Ugo Ojetti: in ogni modo ti dico che lodò l’emerito scrittore, l’approvo e l’ammiro.
Se potessi fare lo stesso, mi allontanerei volentieri anch’io dagli “ Amici dei campanili “ – visto e considerato che il mio (campanile) è minacciato da serio pericolo di demolizione. La cronaca paesana è tutta rivolta a quella storica punta che si perde nell’aria, che ha la sua pagina classica e resisté, da forte, a tante convulsioni telluriche ! …
Oggi è vecchia, fessa, malconcia! … che importa?!
Tanto meglio, dico io, il forestiero resterà pochi minuti di più e con la bocca spalancata per meditare su quelle rovine … a distanza
Ma non così la pensa il Sottoprefetto di Gerace.
Egli, cui sta a cuore più la salute temporale che spirituale dei suoi amministrati, vuole tagliare, ad ogni costo, la testa al … campanile.
Dal canto suo, il Signor Genio Civile, fa delle perizie che fanno accapponare la pelle e l’ordinanza – ragion vuole – dev’essere firmata ed eseguita addirittura.
Che c’entra il popolo, perbacco?!  …
E quel cieco che funge da Sacrista in prima. Con la carica di campanaro e suonatore di organo per giunta; quel cieco-nato devi essere un coso formidabile, e, se lo volete, invulnerabile! Si son temute quel giorno, il giorno della rivolta, quando suonava le campane a stormo, le sue botte da orbo … si è levato verbale contro lo stesso; ma pare che, tutto sommato, egli abbia ora molto da guadagnare. Si atteggia a martire della rivoluzione platiese, o meglio; è uno dei danneggiati politici nella politica del campanile ed il popolo deve soccorrerlo con elargizioni spontanee di grano, granturco, lana, formaggio e tutto il resto: una vera cuccagna.
Ora tu mi domandi come stanno le cose – Siamo in momenti di tregua, di pace; ma questa pace è apparente, perché il popolo tiene gli occhi al campanile e le mani alla scure.
Mi auguro che questa pace armata non venga ad essere turbata, per ora, e che la crisi campanilesca sia risoluta alla meglio.
Dovresti sentire il popolo come il ragiona! “ Il campanile non cade, è duro, fermo, d’acciaio … e poi, se il Signore avesse voluto, quella notte … con un’occhiata! …
Mi convince ti giuro; ma più convincente è la postuma dichiarazione d’un certo Genio: “ Quella punta, vedete, è messa lassù come una coppa: non pende per qua, non per là “.
Evviva l’equilibrio!
Se così è veramente e dobbiamo credere ad ogni Pietro l’Eremita che ci piove quassù, resti pure la punta, la coppa e la cappa, che dir si voglia; con buona pace del Salvatore, nonché di questo popolo devoto sino al fanatismo.
Ritornerò sull’argomento in settimana, se occorre; per ora ti abbraccio e ti bacio.
Platì 31 maggio 1909.
Dev.mo

Ferdinando Caci

Il Giornale di Reggio l’eco settimanale della provincia  R. C. 9 giugno 1909 Anno I – N. 5, Direttore: D.r A. Scabelloni, Redattore-capo: Farm. G. Sculli

Nota
Soltanto un genio si poteva firmare Ferdinando Caci ed apparteneva sicuramente a don Giacomino Tassoni Oliva se confrontate la presente pubblicazione con il post precedente.

domenica 11 dicembre 2016

La ronda di Mezzanotte (reg. Lloyd French - 1933)


La ronda, il Podestà, il campanile


PRIMO TEMPO

E’ notte fonda – Passa la ronda
per ogni strada della città.
Borghesi, militi, Autorità
van vigilando l’… oscurità

Con passo lento – con occhio attento
guardano, scrutano di qua e di là,
guai se un barlume trasparirà
pur dalla casa del Podestà.

Ma ognuno dorme – le nude forme
su lane soffici distese à già
dorme il bambocciolo con la mammà
dorme il marito con la metà.

Ma ad un momento – un movimento
è tra la ronda; ognun ristà.
E tutti chiedensi: cosa sarà?
La ronda sbandasi di qua e di là.

SECONDO TEMPO

Dal campanile – un mostro vile
Vi si è cacciato – Ei spia sarà.
Armi alla mano (se alcun ce l’ha)
E aprite il fuoco senza pietà.

Sarà abbaglio? Sotto il battaglio
del sacro bronzo sicura sta
l’ombra malefica – Che osserverà?
Chiamate subito il Podestà.

Già per le scale – T.T. S.P.Z.I.L.E.
Vi si precipita d’autorità
E l’accaduto, tosto che sa,
sta per scoppiare di … ilarità.

8° 
Ma vuol guardare – vuole spiare
per la sua gran responsabilità
deve guardare, di qua, di là
È sempre l’occhio del … Podestà.

Per l’occasione – tosto il gallone
a don Luigi lieto ridà
e il vecchio vigile che tutto sa
qual Nume indigite della città.

10°
Non si impressiona e lesto tuona:
andate subito, recate qua
il sacrestano – Ei spiegherà,
lo strano enigma che ei solo sa

11°
E lo scaccino - si spinge insino
al fier cospetto del Podestà,
mentre in se cogita: cosa vorrà
questa suprema mia Autorità?

12°
Apri le porte, se no la morte,
e dimmi franco la verità:
chi nascondesti sopra di là
a compromettere la mia città?

13°
In un baleno, il tempio è pieno
di folla enorme, d’Autorità
mentre la ronda sui tetti è già
per far giustizia senza pietà.

TERZO TEMPO

14°
Quattro monelli scalzi e in brandelli
vide la ronda che ha rotto già
tutte le tegole e urlando va:
o delatore, scendi di là.

15°
Quattro monelli che pei capelli
or tiran sotto con voluttà
di far vendetta, si spinser là
a fugar nidi … Ah! Ah! Ah! Ah!

16°
In una matta risata scatta
la folla mentre la ronda va
e il Nume indigete col Podestà
restan perplessi come due f.. ss ..

Giacomo Tassoni Oliva


lunedì 5 dicembre 2016

Faida (reg. Paolo Pecora - 1988)



Per un campanile

A Platì da molti giorni ferve una viva agitazione che minaccia di rompere i limiti della compostezza e dell’ordine.
Il tema di questo movimento insurrezionale è fornito dalla punta del … campanile … Povero caro campanile! … Esso ha durante una lunga teoria di anni, segnato i giorni tristi e i giorni lieti, slanciando la sua guglia al cielo come una sfida ardimentosa; esso dalle campane armoniose ha sonoramente avventato all’aria, ora i suoi mesti rintocchi di funerale, ora i suoi trilli argentini in omaggio a una vita novella o a un novello legame d’amore! … E nei giorni di festa che richiami onnipossenti non ha fatto alla fede degli umili cittadini? … Ebbene, questa vigile sentinella così profondamente attaccata alle memorie secolari di un paese, è ora condannata a perire sotto i colpi demolitori del piccone. Ragione di pubblica utilità, grida il signor Genio Civile, ragion cui non vale ribattere. E vien l’ordinanza prefettizia. Ma sì … Quei buoni cittadini di Platì non ne vogliono sapere di separarsi dal caro compagno loquace, dell’amico sicuro ergentesi lungo le curve pure del firmamento. E sono scesi in armi, sulla piazza maggiore, e hanno messo a vedetta, sulla cima del campanile, il sagrestano … cieco … Un rintocco, alla prima apparizione … e il resto si può immaginare. Come nella notte dell’assalto che i bravi diedero alla casa di Lucia …
Trama allegra di novella umoristica. Benissimo. Ma il colmo del curioso è dato dallo spunto politico emergente dalla faccenda. I soliti mestatori soffiano nel fuoco aizzando gli animi già accesi di quei laboriosi popolani, e vogliono addossare la colpa della progettata demolizione al cav. Salvadori sottoprefetto del Circondario.
Errore! Quel galantuomo lì – è anche un ottimo ed indipendente funzionario – c’entra a parer mio, come i cavoli a merenda.
E’ l Genio Civile che ha sentenziato e decretato l’annullamento del … campanile. E si sa bene, il Genio Civile ha ragioni da vendere. Perché dalla mattina del disastro ad oggi ha compiuto miracoli di insipienza e d’inettitudine, d’incapacità e di miseria, e per pagarsi dello smacco delle mancate costruzioni di baracche, ordina la demolizione dell’innocente campanile. Un altro documento di bestialità.
Ma l’affare si fa serio direbbe Edoardo Scarpetta. Così serio che io nell’interesse dei lettori fu dato speciale incarico ad un valoroso collega di Platì per conoscere le varie fasi del divertente episodio. Oggi pubblico un saggio sottilmente ironico, nell’augurio che le cose prendano felice piega lungi dalle manifestazioni turbolente e irragionevoli.
Rideremo domani, perché se non c’è più Giosuè Carducci per cantare Faida di Comune c’è sempre il romanziere Giuseppe Portaro a scrivere … Faida di … Campanile …

a. scabelloni

Il Giornale di Reggio l’eco settimanale della provincia  R. C. 9 giugno 1909 Anno I – N. 5, Direttore: D.r A. Scabelloni, Redattore-capo: Farm. G. Sculli


domenica 4 dicembre 2016

L'inchiesta - il campanile elettorale

Giro d’orizzonte sulla Calabria minore

Il progresso non passa per Platì

LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963

A cura di Antonio Delfino


Il  campanile “ elettorale “

PLATI’, 9 – Ferdinando il Cattolico, verso il 1500, concesse a Don Carlo Spinelli vaste terre impervie e disabitate denominate Prati.
Il feudatario pensò di popolarle chiamando gente dai villaggi vicini e regalando un piccolo podere per costruire la casa.
I primi abitanti, molto religiosi, costruirono una piccola e rustica chiesa che fu edificata verso il 1550. Il terremoto del 1783 la distrusse completamente e fu necessario ricostruirla.
La popolazione, che nel 1795 era di 1300 anime, raggiunse nel 1940 le 4000 unità; sicché la Chiesa, per la sua limitata capienza e malsicura architettura, non fu più idonea alle esigenze del culto.
L’arciprete Giuseppe Minniti con spirito encomiabile e confortato dallo slancio religioso della popolazione, diede inizio ai lavori per la ricostruire una Chiesa più ampia della precedente e di architettura moderna.
La popolazione concorse con aiuti finanziari e prestazioni gratuite di manodopera. Gli emigranti inviarono i loro risparmi. I più indigenti trasportarono dal vicino greto del torrente il materiale da costruzione.
I lavori, per alcuni anni, proseguirono a ritmo intenso; successivamente, però, ebbero un arresto per la scarsezza dei contributi statali (in tutto 5 milioni dal Genio Civile)
Attualmente tutto è fermo ed il lavoro comincia a screpolarsi in certi punti, per la non continuità dei lavori. Il barometro delle opere, eseguite a ritmo lento ci è fornito dal campanile, battezzato da tutta la popolazione “ campanile elettorale “.
Infatti, in ogni competizione elettorale, il campanile aumenta di 4 metri (attualmente è a 22), in relazione ai modesti contributi che giungono per interessamento dei vari parlamentari desiderosi di essere preferiti nella scelta competitiva.
Da rilievi eseguiti, potrebbe essere ultimato verso il 1970, sempre che le competizioni (e ce lo auguriamo) abbiano in futuro un corso democratico.

Nella foto: il campanile “ elettorale “ che attende ancora la definitiva sistemazione.

Nota 
Questo articolo completa il reportage dedicato a Platì dalla Tribuna del Mezzogiorno di Messina il 10 gennaio 1963 a cura di Toto Delfino.
Il campanile invece rimarrà protagonista di queste pubblicazioni per qualche tempo, come pure la strada SS. 112, un'altra sinfonia incompiuta.

giovedì 1 dicembre 2016

La Storia - Francesco De Gregori

ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare
Francesco De Gregori



Quante memorie classiche, quanta storia sconosciuta in questo litorale ionico, dove sulle rovine dell’antica Locri, spenta da secoli, ci aggiriamo, tardi nipoti di vetuste generazioni illustri, calpestando una terra sacra, di cui ignoriamo quasi le tradizioni e la civiltà, che pur erano patrimonio nostro, patrimonio nazionale!
Se è vero che l’Italia, è tanto ricca di storia da averne a rifondere a tutti i popoli del mondo, non è men vero che il trascurare la storia del più oscuro lembo della sua terra, in tanta esuberante ricchezza, è indecoroso per noi – E la storia delle Calabrie, non è delle ultime e delle meno luminose, la storia che conobbe l’alito e la vita della classica civiltà greca, che ebbe Pitagora e Zeleuco e le sue antiche celebri scuole filosofiche, faro luminoso di altra dottrina umana: che accolse Timoleonte diretto ad abbattere la tirannide di Dionisio siracusano, che intese le grandi voci di Alcibiade, di Nicia, di Lamaco: che vide Pirro, vide Annibale, vide il medio-evo con i suoi forti e i suoi castelli, che vide le incursioni Saracine, che ebbe i suoi Campanella, i suoi filosofi e i suoi scienziati, i suoi poeti (e che vena superba e sconosciuta!), che palpito per l’ideale della redenzione italiana, che ebbe i suoi patrioti, i suoi martiri, le sue aspirazioni sublimi che sofferse cataclismi di natura e sventure senza numero; che vanta la sua popolazione industre, laboriosa, di forte ingegno, la sua terra ridente, fertile e benedetta, a cui gli abitanti si senton legati con nodi pertinaci di vita, che ebbe il suo brigantaggio, sì, ma non sempre nato da cieco fanatismo (l’attesterà un giorno la vera storia) e che nel suo impeto rubesto e selvaggio mostrò lampi di eroismo generoso.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

Nota
Non è facile scrivere così. Non lo può fare il cronista e quanti si curvano per ore sopra un documento olografo. Né è consentito a me come  non è consentito all'ultimo scrittore affacciatosi dentro l'editoria di oggi e domani.  Solo a Domenico Giampaolo. Che, ripeto, è il più grande scrittore calabrese, pur non avendo pubblicato un parola in vita.
Il murale su piastrelle di Saro Lucifaro si trova sulla strada che porta da Montalto a Polsi.