giovedì 12 settembre 2024
venerdì 28 aprile 2023
Prigioniero del male [di Willis Goldbeck - 1950]
Piano dello Zillastro, 4- 8 settembre 1943
Da diverse notti dormivano all'addiaccio, sotto un’insistente pioggia che stava cadendo fitta sulle montagne, rendendo viscido il percorso sui tratturi. Dopo tre giorni di dura marcia, i paracadutisti attraversarono l’ultimo tratto che univa Platì a Oppido Mamertina, tallonati senza tregua dal Reggimento New Scotland e dal Reggimento Edmond.
Sul finire di quel terzo giorno il reparto raggiunse il Piano dello Zillastro, e bivaccò nella faggeta Matrogianni, ignari che alle loro spalle i nemici ii avevano preceduti e si erano accampati nello stesso luogo.
All'alba dell'8 settembre, al grido di incitamento del capitano Conati all'attacco Nembo, quattrocento parà italiani contro cinquemila anglo-canadesi si scontrarono senza tregua. Luigi e i suoi compagni combatterono fino all'esaurimento delle munizioni, poi la lotta si tramutò in un corpo a corpo con i nemici.
II capitano Conati cadde prigioniero nelle mani degli alleati. Tra i fanti italiani ci fu un memento di disorientamento, ma il capitano Diaz, subentrato al comando dei paracadutisti e uno dei pochi superstiti del battaglione, prese in mano la situazione e la battaglia prosegui fino all'indomani.
Tuttavia la capitolazione italiana fu definitiva. I superstiti dell’VIII battaglione si ritirarono a Platì, sede del Comando di Reggimento, dove appresero, con sgomento e incredulità, che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli alleati da ormai cinque giorni. Il governo italiano era passato dall'altra parte, senza che loro avessero subodorato nulla!
Luigi fu uno dei pochissimi sopravvissuti della battaglia sullo Zillastro. Ferito al braccio, da cui perdeva sangue copiosamente, aveva perso conoscenza. Una circostanza fortunata. Gli anglo-canadesi lo avevano creduto morto e l’avevano lasciato lì a sanguinare nella faggeta Mastrogianni.
Quando si riprese, il buio ammantava ogni cosa e neanche lo spicchio di luna in un cielo stellato riusciva a penetrare tra il fitto folto degli alberi. Luigi fu travolto da un dolore immane, profondo, che lacerò la sua anima. Avverti un senso di disorientamento che gli annebbiò la mente, la capacità di prendere decisioni.
Che cosa doveva fare, ora? Luigi fu conscio che d'ora in poi la sua salvezza dipendeva dalla capacità di fuggire tra quei monti ostili e non farsi catturare dai nemici.
Abbozzò un piano di fuga. Guardò su in cielo. Tra la Costellazione dell’Orsa Maggiore e Cassiopea individuò la Stella Polare. Cautamente, con il favore del buio e strisciando tra gli alberi, guardandosi continuamente alle spalle, tagliò per il Nord. Doveva raggiungere Platì.
All'alba del mattino successivo, sfinito dalla stanchezza, mentre stava percorrendo l'ultimo tratto del dorsale dell’Aspromonte, in prossimità di Platì, incrociò un contingente della 26° Divisione Panzergranedier, in ritirata verso settentrione. Credendoli amici Luigi diede le sue credenziali, ma la loro immediata reazione lo lasciò perplesso.
I tedeschi, rabbiosi e infuriati, gli puntarono contro i fucili. «Traditore.» Senti dire da uno dei soldati tedeschi, il viso contorto da un’espressione di evidente disprezzo misto a odio. Luigi trasecolò. Non aveva la minima idea di cosa parlasse quel tedesco.
Una sottile forma cli paura e terrore serpeggiò dentro cli lui. Per la prima volta nella sua vita sperimentò sulla propria pelle l’umiliazione, l’insulto, la denigrazione, ma nulla, tuttavia, a confronto cli quello che avrebbe provato negli anni a venire.
La Divisione Tedesca marciò per giorni, fino a ricongiungersi con altri contingenti verso Taranto. Da qui Luigi fu caricato su un carro bestiame, pigiato, schiacciato insieme con altri deportati italiani rastrellati in vari campi di battaglia.
Per Luigi iniziò una lunga, lenta e penosa marcia verso le terre fredde. Un calvario che durò trenta giorni, dove molti suoi connazionali persero ignominiosamente la vita per inedia. Il carro merci sostò in diverse località, anche per giorni interi. Ai deportati fu negata ogni parvenza di dignità umana, privati di cibo e acqua, senza alcuna possibilità di respirare aria fresca o di espletare i propri bisogni fisiologici.
A fine settembre la tradotta tedesca giunse nel primo campo di smistamento. Qui, nel Durchgangslagen-Dulag, il fante Luigi Colinni perse la sua identità. Fu schedato e identificato con il numero 54367. Poi i prigionieri furono fatti risalire nuovamente sui carri merci, smistati verso i campi di internamento dislocati nei territori occupati dalla Germania, Francia e Polonia.
Ai primi di ottobre Luigi giunse nello Stalag III (Kriegsgefangenfager), situato ad Alt Drewizt, quartiere periferico di Kustrin a cento chilometri da Berlino, dove gli fu riferito, non senza una nota di disprezzo, che era un IMI, acronimo di Itaiianesche Militar Internierte. Su richiesta del Fuhrer, Keitel, capo del comando supremo della Wermacht, i prigionieri italiani sarebbero stati considerati, da quel momento in poi, internati militari italiani e privati, dunque, dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra del 1929. E pure con il beneplacito di Mussolini.
Tuttavia venne offerto loro una via d'uscita. Alcuni giorni dopo il suo arrivo al campo, Luigi, insieme ad altri prigionieri, fu convocato da un certo Anfuso, ambasciatore italiano di Berlino, per conto cli Mussolini. Gli fu chiesto di arruolarsi nell’esercito della nascente Repubblica di Salò, in cambio di cibo e di uno stipendio. L'offerta era allettante.
Luigi fu tentato dalla prospettiva di poter uscire incolume da quel luogo orribile, di ritornare dalla sua Anna, la sua ancora di salvezza, terraferma stabile in cui ormeggiare la barca e tenerla lontana dalle onde trascinanti della follia e dalle brutture di quel lager. Poi il suo pensiero corse ai suoi amici cli battaglia, uccisi sul Piano dello Zillastro.
No, meglio rifiutare l’ignominia, l’infamia; meglio morire che essere disprezzato per codardia, meglio la fame, il freddo, i pidocchi, che tradire i suoi connazionali deportati insieme con lui in quello che era l'ultimo pesto dimenticato da Dio.
Il suo rifiuto gli costò le peggiori umiliazioni. Le guardie tedesche non posero limite alia crudeltà, alle perversità, alle torture. Gli appelli, le Appellplatz, del mattino e della sera erano massacranti. In piedi per ore, sotto la pioggia, le gelide sterzate del vento e la fitta neve, i prigionieri tremavano al freddo gelido. E la paura. Si insinuava nelle viscere, quando un medico tedesco decretava la fine di una vita. Guai a chi cadeva sette il brutto tiro della malattia, guai a chi si rivelava poco produttivo nel campo di lavoro, guai a chi rallentava la produzione! E allora l'essere bollato come inabile al lavoro, era una sicura condanna a morte.
Due mesi dopo Luigi fu mandate in un Arbeftskommando, nei pressi di Berlino, e utilizzato nello sgombero delle macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti delle truppe alleate. Luigi divenne uno dei tanti invisibili sklaven di Hitler, uno stucken, une schiavo, partorito dall‘idea del machiavellico Spazt, primo Ministro degli Armamenti, che propose l’utilizzo della manodopera degli internati italiani nelle industrie belliche a costo zero. Successivamente Luigi fu trasferito in una fabbrica belligerante e costretto a lavorare dodici, quattordici ore, ininterrottamente, frustrato, dalle crudeli SS, con inaudita violenza a ogni cenno di stanchezza. E il tutto per una ridicola e offensiva carta moneta, la Kriegsgefangeneng Lagergeld, che era buona solo per uno scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Lo scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Le razioni del cibo, ridotte al minimo, non erano che una sporca brodaglia con qualche rimasuglio di rapa marcia.
«Tieni, falla durare almeno una settimana!» Sbraitava il sorvegliante con una grassa risata, lanciando quello che sembrava essere un tozzo di pane raffermo e ammuffito.
Era quello che i tedeschi definivano la strategia di annientamento dell’essere umano, fortemente auspicata da Hitler.
Ben presto il processo di annullamento colpi inesorabilmente e senza pietà Luigi Colinni, che diventò l’ombra di sé stesso.
Patrizia Orato, La notte dei sospetti, 2018
giovedì 8 settembre 2022
Sete [di Ingmar Bergman - 1949]
UN
PAESE COMPLETAMENTE ABBANDONATOA Senoli di
Platì mancano tutti i “comforts” moderniLa
popolazione vive in uno stato di miseria – Difettano
acqua, strade, luce, servizi sanitari e igienici Natile Nuovo, 25 luglioSenoli,
frazione di Platì, consta di circa 200 abitanti, pari, ad un numero di quasi 30
famiglie, in gran parte dedite all'agricoltura ed alla pastorizia, che non
sanno se considerarsi cittadini italiani, esseri appartenenti ad una Patria
comune poiché vivono in condizioni primitive e pietose, in uno stato di vita
sacrificata e difficile resa tale dalla mancata risoluzione dei principali e
più urgenti problemi che attanagliano la loro esistenza ponendola al difuori
dei limiti del mondo e del vivere civile. A
Senoli manca tutto: acqua, strada, luce elettrica, scuole, servizio sanitario,
servizio postale, un problema più urgente dell'altro, necessità, sentite e che
sono di complemento alla vita. L’acqua,
in primo luogo, costituisce la principale esigenza. Ci è ancora presente il
triste spettacolo cui abbiamo assistito: abbiamo visto cittadini senolesi
attingere il prezioso liquido a pozzi, ruscelli e sorgenti inquinati,
ricettacolo d'ogni sorta di microbi, d'aver noi stessi, costretti dall'arsura,
bevuto acqua di calce e di gesso a spontanee sorgenti, non senza una mossa di
disgusto per l’assoluta impotabilità, di quell'acqua, dovuta soprattutto alla
mancanza di iodio in essa. L’essere stati costretti in passato e l’essere
ancora costretti a deporre le labbra arse dalla calura estiva su un liquido
assolutamente impotabile, è ben ricordato
nella mente degli abitanti di Senoli perché fra essi si sono avuti moltissimi
casi di tifo, paratifo ed altre gravissime malattie che hanno arcor più
intristito l’esistenza di questi laboriosi contadini.Perché
continuare a sottoporre quella popolazione al supplizio di Tantalo, quando a circa
200 metri dal loro abitato, scorre fresca, limpida e cristallina nelle
tubazioni dell’acquedotto consorziale Natile-Ardore il prezioso liquido che si
potrebbe facilmente deviare per Senoli?Il
Sindaco di Platì si era in merito fattivamente interessato ma la sua proposta è
crollata dinanzi al «ferreo non possumus» dei dirigenti dell’acquedotto
consorziale medesimo e non venne accolta dai Sindaci dei centri consorziati. Manca
una strada rotabile che possa rendere più agevoli le comunicazioni necessarie
con Platì, favorendo così l'allacciamento della Frazione alla SS. 112 e con
essa al mondo civile. È stata, è vero, costruita una stradetta mulattiera per
congiungere Senoli alla Statale 112, ma essa non ha affatto risolto il
problema, oltre a non essere stata completata.Non
esiste la luce elettrica, ma funzionano, ancora, in pieno secolo ventesimo, le
lucerne ad olio ed i lumi a petrolio. Manca un plesso scolastico, sia pure in misura
ridotta, che possa ospitare insegnanti ed alunni costretti gli uni svolgere,
gli altri ad accogliere la missione educativa in umide stamberghe. in ambienti
malsani ed antigienici privi d'aria o di luce. Manca
assolutamente anche il servizio sanitario e gli ammalati, con la neve o il
solleone o la pioggia dirotta che ingrossa i burroni separanti la Frazione, ed
attraverso impervi sentieri, devono essere trasportati su improvvisate barelle
nei paesi più vicini per la necessaria assistenza medica. E quando si
verificano casi gravi di malattie, allora il calvario, diviene più doloroso... Manca
il servizio postale e gli abitanti di Senoli, per l'inoltro ed il ritiro delle
loro corrispondenze e per tutte le operazioni effettuabili presso gli Uffici
Postali, devono portarsi altrove, percorrendo chilometri di strada malagevole.
E questo problema, a nostro modesto avviso, e come anche fattoci presente dai
Senolesi, si potrebbe risolvere subito disponendo che il servizio di portalettere,
recentemente istituito a Natile Nuovo, venisse esteso anche per Senoli, nel senso
cioè che il portalettere di Natile effettuasse giornalmente in quella località
la distribuzione delle corrispondenze in arrivo di pertinenza di quegli
abitanti, prelevando inoltre quelle in partenza per la raccolta delle quali si
renderebbe, di conseguenza, necessaria l’installazione a Senoli di una cassetta
d'impostazione. Questo,
purtroppo, il desolante quadro di squallore che si è offerto ai nostri occhi,
un quadro ognora presente nella mente dei cittadini di Senoli, una dolorosa
realtà viva palpitante che turba i loro sonni e la loro quotidiana esistenza,
ponendola nelle condizioni di inferiorità rispetto al più sperduto villaggio
delle più lontane plaghe dell'infinito. Eppure, ciò nonostante, Senoli è sempre
tenuto ben presente quando si è trattato o si tratti di sfruttamento elettoralistico
da parte di tutti gli Onorevoli «papaveri» che al tempo delle votazioni
promettono mari e monti che poi vagamente sfumano nell'eterno fluire del
tempo... Passa il Santo e... passa la festa...!
Inoltre Senoli paga profumatamente le tasse ed in tutti gli eventi bellici,
ha dato alla Patria in armi i suoi figli migliori. Forse
e senza forse Senoli è il più sperduto piccolo centro d'Italia, nel quale non
vi esista neppure l’ombra dei principali comforts, presenti in ogni paese
civile. Lasciamo
Senoli all’imbrunire, presi anche noi dallo sconforto aleggia su quella gente.
E non potremmo chiudere il presente servizio senza rievocare la figura di una
madre che alla nostra partenza ci avvicinò e con il volto su cui si leggeva il
pallore della miseria, mostrandoci i cinque figlioletti attaccati alla sua gonnella,
ci disse «scriva che i nostri figli hanno bisogno di mangiare, i nostri uomini
di lavorare e noi donne a non sentire il quotidiano tormento di una dolorosa
situazione alla base della quale s'intrecciano i motivi
logici ed umani della nostra vita, della nostra vita di cittadini d'Italia che
abbiamo il diritto di chiedere ed essere esauditi».FRANCO
CALLIPARIGAZZETTA
DEL SUD 26 luglio 1957
Un'istanza al
Prefetto per la situazione di Senoli
(F. C.) – Conseguentemente al nostro servizio
sulla dolorosa situazione di Senoli, la piccola frazione di Platì, da parte dei
cittadini senolesi è stata in proposito presentata una motivata istanza al Capo
della Provincia, sottoscritta da tutti i nuclei familiari residenti in
quell'assolato borgo. Ripetiamo il pressante appello d'intervenire, nella
speranza che i voti degli abitanti di Senoli vengano sollecitamente esauditi.
La mancanza idrica in quel di Senoli è denunciata ancora oggi. I senolesi continuano a pagare le tasse senza acqua alla gola.
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giovedì 30 giugno 2022
Strade perdute [di David Lynch 1997]
“Lo stato naturale di queste contrade si stende in una maniera uniforme fino a Gerace, Ardore e Bovalino. A Gerace specialmente è meraviglioso il progresso che fa la coltura degli ulivi. … Nel littorale la parte coltivabile è piana e picciola. … sono rare le gelate nell'inverno, e quasi mai nella primavera. La gragnuola vi è rarissima. In ciò sono ben favoriti questi luoghi dalla natura. … Il flagello maggiore è il subalternismo. Le comunità riguarderebbero come una grazia una nuova tassa quando per mezzo di essa si abolissero i subalterni. L’innocenza si deve comprare e l’impunità è un oggetto di traffico. … L’agricoltura non fa progressi per la scarsezza della popolazione, ... e per l’ignoranza de’ buoni metodi agrari. … Gli strumenti agrari sono imperfetti. L’uso della vanga vi è sconosciuto. Solo nella provincia di Cosenza vi si usa qualche poco. La putatura degli alberi vi è ignota. Per putarsi li gelsi qualcheduno fa venire i potatori da Cosenza. Gli ulivi si lasciano intatti senza putatura. Non si conoscono altri concimi che quelli della stalla. La terra non è profondamente cavata, né bene stritolata, per lo cattivo aratro; principalmente di qui il piccolo prodotto che abbiamo notato nelle derrate. La malattia del verme seguita a fare strazio delle ulive in questa contrada ancora. l trappeti alla genovese vi sono sconosciuti. L’olio generalmente si conserva nelle fosse, in vasi di creta. … si è cominciato ad introdurre l’uso delle cisterne, le quali si fabbricano sotto terra con calce di tufo, mattoni e ferraggine o sia spuma di ferro … e il suo intonaco è impenetrabile. I vini sono spiritosi, ma nell'estate si alterano ed inacidiscono. … Si conservano o in botti di castagno o in vasi di creta. ... Le campagne generalmente sono aperte, specialmente nelle marine … non perché fossero soggette a servitù, ma … contribuisce a ciò anche il mal costume: si portano a pascolare i porci e le capre indistintamente in ogni luogo o chiuso o aperto. Questi animali devastano le coltivazioni e formano un altro grande ostacolo all’agricoltura. La moneta è scarsissima, specialmente dopo il tremuoto. … l macelli in questa contrada sono mal provveduti. L’inverno solamente non manca la carne porcina, la quale però è cara. Quella di vaccina e scarsa e cattiva. In questa contrada e generale la sulla spontanea, della quale si fanno uso tutti gli animali. … Si vuole tanto sostanziosa anche secca da bastare a supplire all’orxo. Non si conosce il falcione … ma una semplice falce imperfetta. Gli ortaggi sono scarsi e si fanno solamente per uso de’ particolari. Solo Roccella ha circa 30 barche pescherecce. … Nell'inverno sono provvedute queste contrade di pesca da' pescatori del Golfo di Napoli e della riviera di Reggio. Nell'estate si sta senza pesce. Le marine non sono custodite … Le torri e le case de’ cavallari sono state in buona parte rovinate distrutte da' tremuoti, né si è dato ancora principio a restaurarle. La spiaggia è aperta ne ha fortificazione di sorte alcuna. … Il prodotto della seta in Gerace è di circa 8.000 libbre: quella rivelata è di 4.000. Si può considerare il controbando della seta per una metà della raccolta. ... Il costume di questa contrada e di esser ostinati e vendicativi. Il popolo per le oppressioni che soffre e meno facinoroso di quello dovrebbe essere. ... Una delle principali cagioni degli omicidi è la gelosia, figlia della rozzezza de’ costumi. Gli omicidi o sono rissosi e nascono da ubbriachezza, o sono premeditati e nascono da gelosia e da odio. I furti, le crassazioni sono comuni. I miliziotti sono nella maggior parte i primi facinorosi. Le scorrerie de’ malviventi nelle campagne sono generali. Quasi tutti i miliziotti sono i più facinorosi della provincia perché i delinquenti ed i debitori adottano questa professione e vengono garantiti da’ comandanti in disprezzo delle leggi. Con ciò restano impuniti i delitti, quali crescono ogni giorno. La mendicità è scarsissima. L’ozio, il giuoco, la mala fede è generale. Gli esposti non sono frequenti, ma sono relativi al costume della contrada, geloso e che punisce tali falli delle donne colle armi. … Non vi sono Ospedali. Solo in lsca c'è una scuola pubblica di lettere umane, latina e leggere e scrivere. Il maestro ha 40 ducati l’anno. … Le malattie costituzionali si sentono nel cader della estate e nell'autunno. Sono febbri terzane e putride biliose, alle quali è soggetta la gente di campagna principalmente. … La durata più lunga ordinaria della vita è fino a 70 anni. La contrada e dunque più sana del Marchesato. L’inoculazione comincia a farsi generale. A Gerace si fa fino dalle donne. Le femmine si maritano alli 18 anni, gli uomini a' 20. Delle donne pochissime restano senza marito. Le pinzoche sono numerose, ... nel giorno della Croce e più nella Settimana Santa usano flagellarsi a sangue per le strade e per le chiese, né vi si e potuto por freno da’ vescovi e dalle leggi. L’uso però va rendendosi meno comune. l galantuomini ed i preti anche sogliono flagellarsi. Usano ubriacarsi prima, per rendersi insensibili alle sferzate. … Non vi sono osterie di sorte alcuna. Prima i conventi esercitavano l’ospitalità e la loro soppressione è un danno per coloro che viaggiano”.
Giuseppe Maria Galanti (1743 – 1806), Giornale di viaggio in Calabria, Napoli, 1792
Il
testo sopra riportato l’ho ricavato dal libro del professor Pino Macrì Uomini,
economia e fiscalità in una Terra in Calabria Ultra. Bovalino nel Catasto
Onciario 1742- 1745). … la
pesante remora del feudalesimo incatena ancora
l’intera comunità lasciandole appena lo spazio per respirare. È in questo frangente
che l’illustre viaggiatore si inoltra nelle terre del Circondario di Gerace rimandandole
a noi 230 anni dopo intatte perché possiamo farci un’idea del nascere ed ivi
insediarsi un malessere ancora oggi difficile da negare.
mercoledì 25 maggio 2022
Contestazione generale [di Luigi Zampa, 1969]
Cl
DISTURBA UNA TV ARABA
dott. Mimmo Marando
Platì (R.C.)
La petizione popolare promossa a Platì, sottolinea che tocca alla Rai (col l’impianto di un ripetitore) adempiere ai propri obblighi di rendere visibili tutti i programmi televisivi, dopo che gli abitanti del paese hanno fatto il dovere loro pagando il canone conseguente a regolare contratto di abbonamento, come tutti. I promotori segnalano poi che, “mentre il secondo e terzo canale Rai non si vedono affatto, il primo canale molto spesso, nei periodi estivi, è disturbato da una emittente araba". Se la Rai non aderisse alla richiesta, il gruppo promotore della protesta a Platì s’ impegna “a proseguire la battaglia intrapresa, in sede giudiziaria, o in ultima ipotesi a invitare tutti gli abbonati Rai-tv a disdire l’abbonamento”. Infine, segnala che “nel vicino comune cli Antonimina, per le ragioni sopra denunciate, da molti anni gli abitanti, pur ricevendo il primo canale, non pagano il canone di abbonamento Rai-tv".
Insomma, quel ripetitore Rai ci vuole. Prima che lo metta qualche televisione araba.
FAMIGLIA CRISTIANA - 7 settembre 1980
mercoledì 21 luglio 2021
Boccaccio [di Marcello Albani - 1940 ]
IMPRESA BOCCACCESCA A CIRELLA DI PLATI’
Tenta di
rapire nottetempo diciottenne
ritenendo che
fosse sola in casa
Locri, 13 genn.
(F.
T.) La popolosa frazione di Cirella --
comune di Platì - è stata messa, l'altra notte, a rumore per la boccaccesca
impresa di tale A. M. di Francesco di 19 anni, il quale, innamorato,
corrisposto pare, di una graziosa fanciulla diciottenne M. C. M. di Francesco,
aveva divisato di servirsi di una scorciatoia anziché battere la via maestra.
Infatti venuto a conoscenza che la madre della sua fiamma si era allontanata
dal paese per fare una «capatina» negli Stati Uniti d'America, ritenendo che l'amata
Carmela fosse sola nella casa paterna, cercava di rapire la bella dormiente.
Ahimè,
però, perché, male gliene incorreva: la madre premurosa aveva pregato una comare
a vegliare i sonni della ragazza per cui, dato l'allarme, l'ardente Totò veniva
denunziato per tentato ratto a fine di matrimonio e tentata violenza carnale.
E'
probabile che la C. non sappia resistere al pensiero che il suo spasimante sia
finito in prigione reo di avere troppo amato e che induca i propri genitori ad
affrettare le sospirate nozze, in modo che la dea Temi possa indulgere verso il
giovanotto.
GAZZETTA
DEL SUD, 14 gennaio 1957
sabato 17 luglio 2021
La grande rinuncia [di Aldo Vergano - 1951 ]
Rinuncia ad eredità
L’anno milleottocentottantadue il giorno ventitre
Maggio in Ardore nella Cancelleria della Pretura ed innanzi a me Cancelliere
della stessa è comparso
Gliozzi Luigi fu Domenico di Platì ed ha detto che
col presente atto rinuncia espressamente puramente e semplicemente all’eredità
del fu suo padre trapassato il di otto Ottobre 1860 in questo Comune di Ardore.
Del che si è redatto il presente firmato dal
dichiarante e da me cancelliere.
Firmati Gliozzi Luigi: Antonio Portaro
Cancelliere. Specifica Carta centesimi sessanta: Dritto lira una: Spedizione
centesimi venti: Toatale lire una e centesimi ottanta
Quietanza N. 418 Portaro
Ardore 23 Maggio 1882
Per copia conforme rilasciata al Signor Gliozzi
Il Cancelliere
AnPortaro
Don Luigi (all’anagrafe Giosofatto Luigi) Gliozzi dei cugini consangunei don Domenico e donna Elisabetta Gliozzi era nato a Platì il 12 giugno del 1841. Il 6 febbraio 1883 sposò "donna non maritata, non parente né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento " Assunta Lopez di Angelo e Parovani Matilde tutti provenienti dalla città di Roma. Di professione Assunta faceva la sarta mentre il padre a Platì, stando al database compilato da Ernesto Gliozzi il giovane, esercitò la professione di tabellarius-quirites, come dire esattore. L’ abitazione di Luigi e Assunta nei primi anni fu in piazza Duomo e successivamente all’Ariella. Da Luigi e Assunta nacquero sei figli di cui due Cesare Augusto e Domenico/Giulio (1) sbarcarono in America. Luigi cessò di vivere il 25 novembre del 1898.
Della
rinuncia all’eredità oggi pubblicata nulla si sa. Il beneficio andò al reduce
della “Guerra contro gli Agusterece” (2) Francesco, che unendosi in
matrimonio con Rosa Fera chiamò il terzogenito da loro nato Luigi, scelta già
avvenuta in precedenza quando alla nascita del primo figlio lo aveva registrato
Filippo come un altro fratello, ma il povero Filippo visse solo qualche mese.
Ecco ora la discendenza di Domenico Gliozzi (1813 – 1860) di Giuseppe e Filippa Codispoti e donna Elisabetta Gliozzi (1820 - ?) di
Francesco e Carolina Mittiga:
Giosofatto
Luigi 12 giugno 1841
Giuseppe
Errigo 10 novembre 1842
Francesco
27 settembre 1844
Filippo
30 novembre 1846
Michele
23 febbraio 18493 (3)
Mariantonia
Giuseppa 10 marzo 1851
Carlo
26 marzo 1853
Vincenzo
9 novembre 1855 / 13 aprile 1870
Carmelo
Ferdinando 25 luglio 1858
(1) https://iloveplati.blogspot.com/2017/10/ohio-crosbystills-nash-young.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2012/01/correva-lanno-di-grazia-1870-reg.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/un-dolore-improvviso-di-ubaldo-maria.html
domenica 31 gennaio 2021
La linea di demarcazione [di Claude Chabrol -1966]
Platì 14 ottobre 1923
Luigi Gliozzi fu Francesco
martedì 5 gennaio 2021
Fatti Corsari - Tra Borboni e piemontesi
- Zappia d. Filippo (Mo. 9.5.1860) filius doctoris phisici
d. Dominici (figlio del dottor fisico don Domenico).
Don Filippo era nato il 5 novembre del 1839 e sua madre era Donna Rachele Brancatisano.
Questa famiglia, per merito dell'Istorosofo Papalia, si è già incontrata qui:https://iloveplati.blogspot.com/2019/12/racconti-dalla-tomba-di-freddie.html
- Lentini Rosario (Mo. 20.1.1860) di Francesco, infirmatus hydropico morbo.
- Delfino Mariantonia (Mo. 15.1.1861) da Molochio.
- Lobianco Elisabetta (Mo. 22.11.1861) ruris Joiosae(ell’agro
di Gioiosa).
La signora Elisabetta
Lobianco proveniva da Gioiosa; il 6 febbraio 1855, all’età di diciotto anni partorì, da padre ignoto, un maschietto di nome Rosario, a presentarlo in
municipio fu la levatrice Francesca Porzio. Quando morì aveva appena
ventiquattro anni.
- Procopio Francesco Ant. (Mo.25.2.1861) di Vincenzo. e di
Naimo Elisabetta. Da Bianco, vir Annae Sergi, ruit ex arbore (marito di Anna
Sergi precipitò da un albero).
Procopio Francesco Antonio sposò Sergi Anna di Domenico e Rosa Trimboli il 24 giugno 1842 alla presenza di don Saverio Fera e don Carmelo Zappia. Francesco Antonio aveva ventidue anni ed Anna venti.
- Iermanò Caterina (Mo.19.7.1861) di Dom. uxor di Carbone
Francesco affecta hydropico morbo.
Il sei maggio 1850 in
chiesa, la signora Caterina Iermanò di Domenico ed Elisabetta Treccasi all’età
di anni venti aveva sposato Francesco Carbone di Rosario ed Elisabetta Staltari, che di anni ne aveva ventiquattro. Testimoni erano Giuseppe Strangio e Rosario
Bartone. L’atto in municipio fu firmato da don Raffaele Lentini sindaco.
- Papalia Nicola (Mo.7.8.1861) ruris S. Euphemiae, figlio di
Vincenzo, a latronibus ad hortus loco dicto Sava, spoliatus et occisus fuit
(dell’agro di Santa Eufemia, in località detta Sava fu dai ladroni spogliato e
ucciso).
- Macrì Domenico (M0.28.8.1861) vir di Femia Caterina, ruris
Aneanae (dell’agro di Agnana)
Il signor Domenico
Macrì e la sua sposa signora Femia Caterina provenivano da Agnana (RC). Il giorno
del suo decesso Domenico – ortolano - aveva trenta tre anni.
- Sansalone Giuseppe (Mo.25.9.1861) urbis Rhegii (o di
Gerace?) di Antonio, miles (forse caduto
nel conflitto avvenuto a Platì, tra i Borboni e i soldati piemontesi, mentre
faceva la sentinella sul campanile della chiesa matrice, stando rannicchiato in
una campana, in un momento che si calò giù).
- Carbone Domenico (Mo.25.9.1861) alias cucinata, di Francesco e Staltari Elisabetta (forse fucilato dai soldati piemontesi, in un conflitto avvenuto a Platì
con le forze Borboniche, in località detta "costa d' u sparàtu).
- Cuscunà Michele (Mo.30.3.1861) da Gerace - marito di Violi
Caterina.
Il muratore Michele Cuscunà di Domenico e De Leo Fortunata, sposò Caterina Violi di Giuseppe e Ciampa Elisabetta, in chiesa, il 29 agosto del 1838 presenti Rosario Bartone e Diego Pangallo. Due giorni prima erano davanti a Giosofatto Furore per il rito civile e con loro c’erano il barbiere Domenico Perri, il bovaro Pasquale Treccasi, il macellaio Giuseppe Zappia e il bracciale Rosario Perri. L’atto civile fu firmato solo dal padre dello sposo che sebbene calzolaio in Gerace sapeva leggere e scrivere.
- Taliano Domenico (Mo. 30.5.1861) di Francesco e di
Cicciarello Teresa, ruit ex arbore fagi (ruzzolò da un albero di faggio).
Quando Domenico nacque,
il 16 novembre 1837, il padre aveva venticinque anni mentre la madre di anni ne
aveva quaranta. Al comune Donenico fu presentato il diciotto di novembre.
- Lenza d. Rosa (Mo. 1.4.1863) di d. Amato, ruris Varapodii
(dell’agro di Varapodio), moglie di d. Rosario Zappia.
Lo sposo di donna
Rosa Lenza, don Rosario Zappia era un doctoris
phisici, la loro abitazione era situata nella strada S. Nicola; i due
ebbero tre figli i cui nomi erano abbastanza inusuali in Platì: Clementina -
1.01.1813 - Leopoldo Filippo Amato - 20.08.1821 - Scipione Amato – 14 giugno
1825.
- Zappia d. Pasquale (Mo. 23.6.1863) di Carlo, clericus
lector (chierico lettore).
Don Pasquale di
Carlo, vaticale, e Morabito Giuseppa era
nato il 10 novembre 1844
- Micò d. Carmela (Mo. 26.8.1863) di d. Davide da Casignana e
d. Giuseppa Zappia.
- Empoli d. Gaetana (Mo. 29.9.1863) da S. Stefano, moglie di
d. Michele Oliva.
Quando venne meno
donna Gaetana aveva settantadue anni. Con don Michele Oliva, civile, ebbe in
tutto sette figli. Erano domiciliati nella strada S. Nicola.
- Garreffa Caterina (Mo.9.10.1863) da Cirella, moglie di
Trimboli Nicola.
Quando morì donna Caterina aveva quaranta anni e con Nicola Trimboli alias pejaru ebbe quattro figli.
^.^.^.^.^.^.^.
Notizie riportate nel V° vol. dei Libri dei morti a firma
del parroco Filippo Oliva. In corsivo note di Ernesto Gliozzi il giovane, le
stesse rimandano al libro di Michele Papalia Caci il brigante, 2016 – 2020. In grassetto , dove possibile, atti ripresi
dai registri comunali.
Con la pubblicazione odierna terminano i fatti corsari estratti da Ernesto Gliozzi il giovane dai Libri dei morti della parrocchia S. S. Mariae Lauretanae di Platì
giovedì 10 dicembre 2020
Fatti corsari - da Molochio ad Agnana
mercoledì 25 novembre 2020
Assalto al treno [di Edwin S. Porter -1903]
Una vecchia macchina a carbone, un carro postale, qualche vettura di prima classe e tre di seconda formano il trenino che ogni mattina raccoglie, nelle varie e linde stazioncine disseminate lungo il tratto della costa Ionica che da Bova conduce a Locri, una pleiade di studenti rumorosi ed irrequieti, spensierati.
Lo chiamano, appunto, il trenino degli studenti e sbuffa peggio di Ercole al tempo delle sette fatiche: va molto piano e, in ogni traballante ponticello di questa povera e dimenticata Calabria che attende le alluvioni per ottenere qualche aiuto ed il ricordo delle autorità centrali, rallenta e sembra stenti a riprendere la corsa, fa tanta pena.
Gli vogliamo tutti bene, però, malgrado affumichi tutto e sporchi le mani, il volto ed il vestito nuovo; e quindi con un fischio assordante rallenta e si ferma, dai marciapiedi delle stazioni viene letteralmente preso d'assalto da una marea di studenti e studentesse carichi di libri, che sembra un vero abbordaggio degno della migliore descrizione Salgariana.
I più svelti occupano il posto per gli amici o per la ragazza che dovrà salire alla prossima fermata, ed il passeggero ignoto, che viaggia per affari, dovrà accontentarsi di trovare un posticino in piedi nella morsa crudele degli affollati corridoi e muovere la testa quando uno studente irrequieto gli sale sulle scarpe.
Improvvisamente i freddi scompartimenti di seconda classe, popolati all'inverosimile, si trasformano in salottini borghesi dove tutto è permesso ed alle disquisizioni filosofiche, tenute con mille arie dai maturandi, seguono i motti di spirito e le battute umoristiche nei confronti del solito incompreso che si isola a guardare i bianchi paeselli appollaiati dove più alti sono i monti e il tormento del mare quando con violenza si scaglia sulle bianche scogliere ed i faraglioni di Capo Bruzzano.
Gli angoli delle vetture sono il posto preferito dagli eterni sgobboni che danno l'ultima ripassatina alle lezioni prima di giungere alla meta.
Naturalmente non mancano i matti, che quelli sono giunti per primi sul mondo e sono la delizia e la croce dell'intera comunanza; individui capaci di qualunque battuta e di qualunque geniale trovata, poiché giornalmente parecchie sono le colazioni che mancano all'appello, e s'ingrandisce sempre più la schiera di coloro che occupano tutto il tempo del viaggio a lamentarsi della cattiveria e dell'ingordigia umana.
Gli occhi fissi alla dorata marina, l'innamorato di turno, bruciato da una cotta tremenda che gli ha reso gli occhi simili a quelle delle triglie quando sono in amore, sogna ad occhi aperti il volto dell'amata che al ritorno gli sorriderà da una galeotta persiana.
Signorine di ogni età e di ogni ceto sociale, semplici o eleganti, belle o brutte, sono tutte uguali sul vecchio trenino: studentesse spensierate che cercano alla loro giovinezza un palpito d'amore e di vita, un bagaglio di sogni ed illusioni che tenga loro compagnia nelle monotone ore delle lezioni di Storia d'Arte, che allieti le terribili giornate in cui il professore di lettere si è svegliato con la luna e sgrana sul registro ti suo lento, inesorabile rosario di punti cattivi.
Ed il tempo passa e si dilegua in un lento ed assonnato ciclo di vita, in eterno sciogliersi di ore tulle cose del mondo.
Un capello bianco ha ormai steso una grigia patina di tramonto sulla nostra giovinezza. Annamaria, Aurora, Pasquale, Gianni, Marcellina … Nomi scomparsi per sempre, già da tempo ingialliti ed intristiti dalle aride musiche delle vie dell'esistenza. Il trenino degli studenti, quello sul quale vivemmo i giorni più belli della nostra prima giovinezza, è sempre lo stesso come allora, vecchio e sbuffante, pronto ad accoglierci e riscaldarci come in una casa nostra e confortare con il suo ciuf-ciuf le nostre pene.
In quel trenino, quando viaggeremo, saremo il passeggero ignoto che i motti e gli scherzi degli spensierati studenti costringeranno a muovere lentamente la stesa e mugugnare strane parole.
BILL MODAFFERI
GAZZETTA DEL SUD, 24 GENNAIO 1957
Per l'immagine d'apertura sono andato sul sicuro ed al cantore dei treni per eccellenza. Mentre di Bill Modafferi le tracce si sono perse con lo sbuffo dell'ultimo treno a vapore sulla tratta Reggio - Catanzaro Lido.
lunedì 9 novembre 2020
Fatti corsari - La timpa di Raffaele
-T. A. (Mo 10.9.1852) fu Antonio e P... Elisabetta, in domo Mariae F... propinquae suae, a qua benigne acceptus
fuit (aegre ferens molestia infirmitatis filius suus ... quia a domo propria
eiecerat eum) ubi Sacramento Poenitentiae refectus, non valens recipere alia
Sacramenta propter ignaviam suorum qui Parochum non monuerunt de periculo
eiusdem. Nella casa della
sua vicina Maria F. dalla quale fu benevolmente ospitato (dato che suo figlio
mal sopportava i fastidi della malattia...poiché lo aveva cacciato da casa sua)
dove ristorato dal sacramento della confessione, non in grado di accogliere
altri sacramenti a causa dell’inettitudine dei suoi (sott. parenti) che non
avvisarono il parroco del pericolo di quello stesso.
In realtà T. A. era
Domenico Taliano fu Antonio e P(erri) Elisabetta e il giorno della sua
scomparsa di anni ne aveva settanta, di professione pecoraio. Il sig. Taliano era vedovo di Domenica Staltari sua prima moglie
e successivamente di Anna Romeo.
-Z. Rosarius (Mo 16.9.1852) filius Francisci et A. Elisabeth,
infirmatus incognito pessimoque morbo, Sacramentu
Ponitentiae accepit non valens recipere alia Sacramenta ob duritiem suorum
consanguineorum, qui crudeliter et inaudito modo reliquerunt eum perire extra
domum in via publica, et post mortem sumptibus extraneorum eius corpus latum et
sepultum fuit... Ammalatosi di una malattia
sconosciuta e molto grave, ricevette il sacramento della confessione, non in
grado di ricevere altri sacramenti per la crudeltà dei suoi parenti che
duramente e in modo inaudito lo lasciarono morire fuori casa sulla pubblica via
e dopo la morte il suo corpo fu traslato e sepolto a spese di estranei.
Dal registro comunale
si ricava che Rosario Z(appia), bracciale, di anni ne aveva ventidue il giorno
della sua dipartita, era figlio di Francesco e Giuseppa Caruso.
-Barbaro Domenico (Mo.15.5.1854 lunedì) alias prochilo
opilio mei Rdi Archipresbyteri, secundus vir viduae Mariae Treccasi, aetatis
suae an. triginta quinque cr., post annum sui regressi in Patriam ab insula
Tremiti, ibi relegatus ob furtum, de sero obumbrato tempore quia coelo obruto
nubibus affluentibus, praesenti et antecedentibus tribus diebus, congruentem
pluviam a nobis maxime desideratam et Deo publice petitam; circa horam 21 ligna
faciens in arbore ilece contradae
Montagna di Natile, de eo capite inverso cecidit supra duruìissimum saxum, et
deinde precipitatus est per inaccessibilem locum dictum timpa di Rafele, quia
ibi alio tempore quidam vocatus Raphael eumdem fatum subiit. Alias Prochilo pastore del mio Reverendo Aciprete, secondo marito della
vedova Maria Treccasi, della sua età di circa 35 anni, dopo un anno dal suo
rientro in patria dall’isola delle Tremiti, dove relegato per furto, in una
tarda e oscura serata poiché il cielo era coperto per le nubi che scorrevano,
nel giorno presente e nei tre precedenti, avvicinandosi la pioggia da noi
fortemente desiderata e chiesta pubblicamente a Dio, circa alle ore 21 mentre
faceva legna su un albero di quercia della contrada Montagna di Natile, cadde
(dall’albero) con la testa rovesciata sopra una roccia durissima e quindi
precipitò per un luogo inaccessibile chiamato timpa di Raffaele poiché lì in
un’altra occasione un tale chiamato Raffaele subì il medesimo destino.
Domenico Barbaro del
fu Saverio e di Caterina Strangio era nato il diciotto maggio 1819 ed era
pecoraio. Prima di Maria Treccasi fu marito di Domenica Spagnolo che lo rese
vedovo con due figli minori nomati Saverio e Francesco.
Ancora una volta devo la traduzione dal latino, molto
chiesastico, alla cortesia della professoressa Gina Misdaris di Udine docente di Lettere Classiche al Liceo classico
"Stellini".
Gli atti in latino derivano dal V° Libro dei Morti della parrocchia; quelli riportati in corsivo, dai registri del comune, portano la firma del
sindaco di allora don Giacomo Oliva, nonno del più famoso don Giacomino Tassoni Oliva.
L'immagine in apertura si riferisce a persone non di Platì ma di Ardore.
domenica 18 ottobre 2020
Fatti corsari - Ignis S. Antonii
-Amanti d. Domenica (Mo.24.11.1851) moglie del fabbro Isaia Francesco ruris Tropeae (della città di tropea).
-Simone Rosa (Mo. 20.12.1851) di Saverio e Vadalà Marianna
-Trimboli Giuseppe di Rosario e di Miceli Rosa (Mo 5.3.1852) Eucharistiam non potuit suscipere ob incommoda suae infirmitatis vulgo dictae ignis S. Antonii (non poté ricevere l’Eucarestia perché affetta da infermità dal volgo detta fuoco di S. Antonio).
Mittiga Elisabetta (Mo.10.6.1851) di Rocco, magistri sartoris (maestro sarto), e di Rosa Buccafurni da Molochio.
-Catanzariti Francesco (Mo.6.5.1852) marito di Treccasi Maria di Rocco e di Antonia Grillo, andato a Reggio Cal. come testimone per la causa criminale di Staltari Francesco, colto da malore, morì in quell' ospedale e fu sepolto nel cimitero di quella città.
-Bisbano Diego (Mo 8.4.1853) di origine siciliana, marito di Catanzariti Caterina.
-Maio Giuseppa, (Mo. 4.6.1853) infante, figlia di Antonio, di origine sicula, e di Vadalà Carmela.
-Catanzariti Domenica (Mo.1.3.1854) moglie di Agresta Franc. in loco dicto Sava, rediens ex Oppido, obiit ob nivis abundantiam (venendo da Oppido fu colto da abbondante nevicata in località detta Sava).
-Vadalà Teresa (7.5.1854) uxor m. ri Mantica Raphaelis sartoris messinensis (moglie di Raffaele Mantica sarto messinese).
Macrì Francesco (Mo.1.11.1854) di Domenico e di Femia Caterina da Agnana, figlio dei coloni di d. Giacomino.
-Mittiga d. Domenico (Mo.5.12.1854) di d. Ferdinando e di d. Giulia Leuzzi, assai sfigurato da una malattia sconosciuta, una specie di lebbra. Età anni 50.
-Majo Martino (Mo.16.4.1855) di anni 20, da Iatrinoli.
-Sità Francesca (Mo.4.9.1855) figlia di Michele, da Agnana. colona nell' orto detto Fortino di d. Giosofatto Furore.
-Timpano Elisabetta (Mo.12.9.1855) di un anno, figlia di Giuseppe e di Timpano Caterina, da Portigliola, agricoltori della contrada Stalle di d. Gregorio Oliva.
-Ciampa Domenico (Mo 11.3.1857) mori nella località Carbone sorpreso da un violento temporale di ponente libeccio.
-Ciampa Giuseppa (Mo.11.3.1857) fanciulla, morì nella località Carbone insieme col padre Domenico, per un violento temporale di ponente libeccio.
-Macrì Caterina (Mo.10.7.1857) di Salvatore, moglie di Sansalone Nicodemo da Agnana.
venerdì 2 ottobre 2020
Appassionatamente [di Giacomo Gentilomo - 1954]
Sono
qui riunita, nel rinnovare un dolore infinito. Io figlia adulta,
ma
così bambina, che nello smarrimento del vuoto chiamo MAMMA.
Cosa
dire di questa grande donna che è stata due volte madre per me figlia,
e
madre per i miei figli. Che nelle vicissitudini della vita hai saputo accudire
con
amore, una donna che anche nell’ultima sofferenza mi dava coraggio.
Sei
stata strappata alla vita tu che alla vita eri legata con i pugni e con i
denti.
Tu
che eri la persona più coraggiosa, solare, generosa, umile e pura che
abbia
mai conosciuto … ora tutto è diventato un silenzio che mi lacera
il
cuore e l’anima … mi hai lasciato preziosi ricordi e altrettanto preziosi
insegnamenti.
Cara
mamma riunita in questo momento ti chiedo un linguaggio nuovo,
quello
silente che parla al cuore. Ora più che mai ho bisogno di te,
e
che dall’alto del cielo mi proteggi ancor di più.
Mamma
mi hai insegnato l’amore più puro, un more che va
oltre
la vita. Ogni notte mi addormento sperando di svegliarmi
il
giorno dopo e vederti di nuovo lì con me … ma ogni volta il risveglio è sempre
più
amaro e sempre più doloroso … in questo momento le lacrime scendono
sul
mio viso ti dico ti amo e ti amerò per tutta la vita …
… GRAZIE
MAMMA
Tua Figlia Rosa
sabato 12 settembre 2020
Belle speranze [di Mike Leigh - 1988] (perdute)
il Quotidiano, Lunedi 7 marzo 2005