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giovedì 12 settembre 2024

Soft Cell, Say Hello, Wave Goodbye

Take your hands Off me, please I don't belong to you, you see


 

venerdì 28 aprile 2023

Prigioniero del male [di Willis Goldbeck - 1950]

 Piano dello Zillastro, 4- 8 settembre 1943

Luigi stava sudando copiosamente. Scarpinava da ore. Il 185° Reggimento Divisione Nembo aveva appena lasciato alle spalle Bagaladi e San Lorenzo, dopo un estenuante combattimento contro gli Alleati sbarcati in Calabria. Erano stati chiamati a sostegno del 502° battaglione, dislocato sulle coste, ma gli Alleati erano numericamente superiori. Gli altri battaglioni dei paracadutisti, il II e l'XI, erano stati costretti a battere in ritirata verso il nord della regione, mentre l’VIII, cui faceva parte guidato dal capitano Conati, stava ripiegando sull'impervio dorsale dell'Aspromonte.
Da diverse notti dormivano all'addiaccio, sotto un’insistente pioggia che stava cadendo fitta sulle montagne, rendendo viscido il percorso sui tratturi. Dopo tre giorni di dura marcia, i paracadutisti attraversarono l’ultimo tratto che univa Platì a Oppido Mamertina, tallonati senza tregua dal Reggimento New Scotland e dal Reggimento Edmond.
Sul finire di quel terzo giorno il reparto raggiunse il Piano dello Zillastro, e bivaccò nella faggeta Matrogianni, ignari che alle loro spalle i nemici ii avevano preceduti e si erano accampati nello stesso luogo.
All'alba dell'8 settembre, al grido di incitamento del capitano Conati all'attacco Nembo, quattrocento parà italiani contro cinquemila anglo-canadesi si scontrarono senza tregua. Luigi e i suoi compagni combatterono fino all'esaurimento delle munizioni, poi la lotta si tramutò in un corpo a corpo con i nemici.
II capitano Conati cadde prigioniero nelle mani degli alleati. Tra i fanti italiani ci fu un memento di disorientamento, ma il capitano Diaz, subentrato al comando dei paracadutisti e uno dei pochi superstiti del battaglione, prese in mano la situazione e la battaglia prosegui fino all'indomani.
Tuttavia la capitolazione italiana fu definitiva. I superstiti dell’VIII battaglione si ritirarono a Platì, sede del Comando di Reggimento, dove appresero, con sgomento e incredulità, che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli alleati da ormai cinque giorni. Il governo italiano era passato dall'altra parte, senza che loro avessero subodorato nulla!
Luigi fu uno dei pochissimi sopravvissuti della battaglia sullo Zillastro. Ferito al braccio, da cui perdeva sangue copiosamente, aveva perso conoscenza. Una circostanza fortunata. Gli anglo-canadesi lo avevano creduto morto e l’avevano lasciato lì a sanguinare nella faggeta Mastrogianni.
Quando si riprese, il buio ammantava ogni cosa e neanche lo spicchio di luna in un cielo stellato riusciva a penetrare tra il fitto folto degli alberi. Luigi fu travolto da un dolore immane, profondo, che lacerò la sua anima. Avverti un senso di disorientamento che gli annebbiò la mente, la capacità di prendere decisioni.
Che cosa doveva fare, ora? Luigi fu conscio che d'ora in poi la sua salvezza dipendeva dalla capacità di fuggire tra quei monti ostili e non farsi catturare dai nemici.
Abbozzò un piano di fuga. Guardò su in cielo. Tra la Costellazione dell’Orsa Maggiore e Cassiopea individuò la Stella Polare. Cautamente, con il favore del buio e strisciando tra gli alberi, guardandosi continuamente alle spalle, tagliò per il Nord. Doveva raggiungere Platì.
All'alba del mattino successivo, sfinito dalla stanchezza, mentre stava percorrendo l'ultimo tratto del dorsale dell’Aspromonte, in prossimità di Platì, incrociò un contingente della 26° Divisione Panzergranedier, in ritirata verso settentrione. Credendoli amici Luigi diede le sue credenziali, ma la loro immediata reazione lo lasciò perplesso.
I tedeschi, rabbiosi e infuriati, gli puntarono contro i fucili. «Traditore.» Senti dire da uno dei soldati tedeschi, il viso contorto da un’espressione di evidente disprezzo misto a odio. Luigi trasecolò. Non aveva la minima idea di cosa parlasse quel tedesco.
«Voi italiani avete firmato l’armistizio con gli Alleati. Ci avete tradito!» Gli fu rudemente spiegato da un ufficiale.
Luigi non ebbe il tempo cli capacitarsi del cambiamento cli rotta da parte del suo stesso Governo che un colpo secco del calcio cli un fucile colpi la sua tempia, tramortendolo gravemente. Luigi perse i sensi. Quando rinvenne, alcune ore dopo, realizzò con orrore di essere un prigioniero.
Una sottile forma cli paura e terrore serpeggiò dentro cli lui. Per la prima volta nella sua vita sperimentò sulla propria pelle l’umiliazione, l’insulto, la denigrazione, ma nulla, tuttavia, a confronto cli quello che avrebbe provato negli anni a venire.
La Divisione Tedesca marciò per giorni, fino a ricongiungersi con altri contingenti verso Taranto. Da qui Luigi fu caricato su un carro bestiame, pigiato, schiacciato insieme con altri deportati italiani rastrellati in vari campi di battaglia.
Per Luigi iniziò una lunga, lenta e penosa marcia verso le terre fredde. Un calvario che durò trenta giorni, dove molti suoi connazionali persero ignominiosamente la vita per inedia. Il carro merci sostò in diverse località, anche per giorni interi. Ai deportati fu negata ogni parvenza di dignità umana, privati di cibo e acqua, senza alcuna possibilità di respirare aria fresca o di espletare i propri bisogni fisiologici.
A fine settembre la tradotta tedesca giunse nel primo campo di smistamento. Qui, nel Durchgangslagen-Dulag, il fante Luigi Colinni perse la sua identità. Fu schedato e identificato con il numero 54367. Poi i prigionieri furono fatti risalire nuovamente sui carri merci, smistati verso i campi di internamento dislocati nei territori occupati dalla Germania, Francia e Polonia.
Ai primi di ottobre Luigi giunse nello Stalag III (Kriegsgefangenfager), situato ad Alt Drewizt, quartiere periferico di Kustrin a cento chilometri da Berlino, dove gli fu riferito, non senza una nota di disprezzo, che era un IMI, acronimo di Itaiianesche Militar Internierte. Su richiesta del Fuhrer, Keitel, capo del comando supremo della Wermacht, i prigionieri italiani sarebbero stati considerati, da quel momento in poi, internati militari italiani e privati, dunque, dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra del 1929. E pure con il beneplacito di Mussolini.
Tuttavia venne offerto loro una via d'uscita. Alcuni giorni dopo il suo arrivo al campo, Luigi, insieme ad altri prigionieri, fu convocato da un certo Anfuso, ambasciatore italiano di Berlino, per conto cli Mussolini. Gli fu chiesto di arruolarsi nell’esercito della nascente Repubblica di Salò, in cambio di cibo e di uno stipendio. L'offerta era allettante.
Luigi fu tentato dalla prospettiva di poter uscire incolume da quel luogo orribile, di ritornare dalla sua Anna, la sua ancora di salvezza, terraferma stabile in cui ormeggiare la barca e tenerla lontana dalle onde trascinanti della follia e dalle brutture di quel lager. Poi il suo pensiero corse ai suoi amici cli battaglia, uccisi sul Piano dello Zillastro.
No, meglio rifiutare l’ignominia, l’infamia; meglio morire che essere disprezzato per codardia, meglio la fame, il freddo, i pidocchi, che tradire i suoi connazionali deportati insieme con lui in quello che era l'ultimo pesto dimenticato da Dio.
Il suo rifiuto gli costò le peggiori umiliazioni. Le guardie tedesche non posero limite alia crudeltà, alle perversità, alle torture. Gli appelli, le Appellplatz, del mattino e della sera erano massacranti. In piedi per ore, sotto la pioggia, le gelide sterzate del vento e la fitta neve, i prigionieri tremavano al freddo gelido. E la paura. Si insinuava nelle viscere, quando un medico tedesco decretava la fine di una vita. Guai a chi cadeva sette il brutto tiro della malattia, guai a chi si rivelava poco produttivo nel campo di lavoro, guai a chi rallentava la produzione! E allora l'essere bollato come inabile al lavoro, era una sicura condanna a morte.
Due mesi dopo Luigi fu mandate in un Arbeftskommando, nei pressi di Berlino, e utilizzato nello sgombero delle macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti delle truppe alleate. Luigi divenne uno dei tanti invisibili sklaven di Hitler, uno stucken, une schiavo, partorito dall‘idea del machiavellico Spazt, primo Ministro degli Armamenti, che propose l’utilizzo della manodopera degli internati italiani nelle industrie belliche a costo zero. Successivamente Luigi fu trasferito in una fabbrica belligerante e costretto a lavorare dodici, quattordici ore, ininterrottamente, frustrato, dalle crudeli SS, con inaudita violenza a ogni cenno di stanchezza. E il tutto per una ridicola e offensiva carta moneta, la Kriegsgefangeneng Lagergeld, che era buona solo per uno scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Lo scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Le razioni del cibo, ridotte al minimo, non erano che una sporca brodaglia con qualche rimasuglio di rapa marcia.
«Tieni, falla durare almeno una settimana!» Sbraitava il sorvegliante con una grassa risata, lanciando quello che sembrava essere un tozzo di pane raffermo e ammuffito.
Alla fame si aggiunsero la sporcizia, i pidocchi, le cimici, la difterite, la gastroenterite, la tubercolosi.
Era quello che i tedeschi definivano la strategia di annientamento dell’essere umano, fortemente auspicata da Hitler.
Ben presto il processo di annullamento colpi inesorabilmente e senza pietà Luigi Colinni, che diventò l’ombra di sé stesso.
Patrizia Orato, La notte dei sospetti, 2018

giovedì 8 settembre 2022

Sete [di Ingmar Bergman - 1949]



UN PAESE COMPLETAMENTE ABBANDONATO
A Senoli di Platì mancano tutti i “comforts” moderni
La popolazione vive in uno stato di miseria –
Difettano acqua, strade, luce, servizi sanitari e igienici
 
Natile Nuovo, 25 luglio
Senoli, frazione di Platì, consta di circa 200 abitanti, pari, ad un numero di quasi 30 famiglie, in gran parte dedite all'agricoltura ed alla pastorizia, che non sanno se considerarsi cittadini italiani, esseri appartenenti ad una Patria comune poiché vivono in condizioni primitive e pietose, in uno stato di vita sacrificata e difficile resa tale dalla mancata risoluzione dei principali e più urgenti problemi che attanagliano la loro esistenza ponendola al difuori dei limiti del mondo e del vivere civile.
A Senoli manca tutto: acqua, strada, luce elettrica, scuole, servizio sanitario, servizio postale, un problema più urgente dell'altro, necessità, sentite e che sono di complemento alla vita.
L’acqua, in primo luogo, costituisce la principale esigenza. Ci è ancora presente il triste spettacolo cui abbiamo assistito: abbiamo visto cittadini senolesi attingere il prezioso liquido a pozzi, ruscelli e sorgenti inquinati, ricettacolo d'ogni sorta di microbi, d'aver noi stessi, costretti dall'arsura, bevuto acqua di calce e di gesso a spontanee sorgenti, non senza una mossa di disgusto per l’assoluta impotabilità, di quell'acqua, dovuta soprattutto alla mancanza di iodio in essa. L’essere stati costretti in passato e l’essere ancora costretti a deporre le labbra arse dalla calura estiva su un liquido assolutamente impotabile, è ben ricordato nella mente degli abitanti di Senoli perché fra essi si sono avuti moltissimi casi di tifo, paratifo ed altre gravissime malattie che hanno arcor più intristito l’esistenza di questi laboriosi contadini.
Perché continuare a sottoporre quella popolazione al supplizio di Tantalo, quando a circa 200 metri dal loro abitato, scorre fresca, limpida e cristallina nelle tubazioni dell’acquedotto consorziale Natile-Ardore il prezioso liquido che si potrebbe facilmente deviare per Senoli?
Il Sindaco di Platì si era in merito fattivamente interessato ma la sua proposta è crollata dinanzi al «ferreo non possumus» dei dirigenti dell’acquedotto consorziale medesimo e non venne accolta dai Sindaci dei centri consorziati. Manca una strada rotabile che possa rendere più agevoli le comunicazioni necessarie con Platì, favorendo così l'allacciamento della Frazione alla SS. 112 e con essa al mondo civile. È stata, è vero, costruita una stradetta mulattiera per congiungere Senoli alla Statale 112, ma essa non ha affatto risolto il problema, oltre a non essere stata completata.
Non esiste la luce elettrica, ma funzionano, ancora, in pieno secolo ventesimo, le lucerne ad olio ed i lumi a petrolio. Manca un plesso scolastico, sia pure in misura ridotta, che possa ospitare insegnanti ed alunni costretti gli uni svolgere, gli altri ad accogliere la missione educativa in umide stamberghe. in ambienti malsani ed antigienici privi d'aria o di luce.
Manca assolutamente anche il servizio sanitario e gli ammalati, con la neve o il solleone o la pioggia dirotta che ingrossa i burroni separanti la Frazione, ed attraverso impervi sentieri, devono essere trasportati su improvvisate barelle nei paesi più vicini per la necessaria assistenza medica. E quando si verificano casi gravi di malattie, allora il calvario, diviene più doloroso...
Manca il servizio postale e gli abitanti di Senoli, per l'inoltro ed il ritiro delle loro corrispondenze e per tutte le operazioni effettuabili presso gli Uffici Postali, devono portarsi altrove, percorrendo chilometri di strada malagevole. E questo problema, a nostro modesto avviso, e come anche fattoci presente dai Senolesi, si potrebbe risolvere subito disponendo che il servizio di portalettere, recentemente istituito a Natile Nuovo, venisse esteso anche per Senoli, nel senso cioè che il portalettere di Natile effettuasse giornalmente in quella località la distribuzione delle corrispondenze in arrivo di pertinenza di quegli abitanti, prelevando inoltre quelle in partenza per la raccolta delle quali si renderebbe, di conseguenza, necessaria l’installazione a Senoli di una cassetta d'impostazione.
Questo, purtroppo, il desolante quadro di squallore che si è offerto ai nostri occhi, un quadro ognora presente nella mente dei cittadini di Senoli, una dolorosa realtà viva palpitante che turba i loro sonni e la loro quotidiana esistenza, ponendola nelle condizioni di inferiorità rispetto al più sperduto villaggio delle più lontane plaghe dell'infinito. Eppure, ciò nonostante, Senoli è sempre tenuto ben presente quando si è trattato o si tratti di sfruttamento elettoralistico da parte di tutti gli Onorevoli «papaveri» che al tempo delle votazioni promettono mari e monti che poi vagamente sfumano nell'eterno fluire del tempo... Passa il Santo e... passa la festa...!  Inoltre Senoli paga profumatamente le tasse ed in tutti gli eventi bellici, ha dato alla Patria in armi i suoi figli migliori.
Forse e senza forse Senoli è il più sperduto piccolo centro d'Italia, nel quale non vi esista neppure l’ombra dei principali comforts, presenti in ogni paese civile.  
Lasciamo Senoli all’imbrunire, presi anche noi dallo sconforto aleggia su quella gente. E non potremmo chiudere il presente servizio senza rievocare la figura di una madre che alla nostra partenza ci avvicinò e con il volto su cui si leggeva il pallore della miseria, mostrandoci i cinque figlioletti attaccati alla sua gonnella, ci disse «scriva che i nostri figli hanno bisogno di mangiare, i nostri uomini di lavorare e noi donne a non sentire il quotidiano tormento di una dolorosa situazione alla base della quale s'intrecciano i motivi logici ed umani della nostra vita, della nostra vita di cittadini d'Italia che abbiamo il diritto di chiedere ed essere esauditi».
FRANCO CALLIPARI
GAZZETTA DEL SUD 26 luglio 1957

Un'istanza al Prefetto per la situazione di Senoli

 (F. C.) – Conseguentemente al nostro servizio sulla dolorosa situazione di Senoli, la piccola frazione di Platì, da parte dei cittadini senolesi è stata in proposito presentata una motivata istanza al Capo della Provincia, sottoscritta da tutti i nuclei familiari residenti in quell'assolato borgo. Ripetiamo il pressante appello d'intervenire, nella speranza che i voti degli abitanti di Senoli vengano sollecitamente esauditi.

La mancanza idrica in quel di Senoli è denunciata ancora oggi. I senolesi continuano a pagare le tasse senza acqua alla gola.

Francesco Callipari è stato corrispondente dai primi anni dell'edizione reggina della Gazzetta del Sud sino agli anni ottanta del secolo passato, altre sue corrispondenze sono apparse qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/silenziosa-minaccia-reg-christian-jaque.html
https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-1985minacce-senza-fine.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/03/unanguilla-da-300-milioni-dal-ciancio.html


La foto d'apertura con un restyling photoshoppiano girava, gira?, nella rete.
 



giovedì 30 giugno 2022

Strade perdute [di David Lynch 1997]


 

“Lo stato naturale di queste contrade si stende in una maniera uniforme fino a Gerace, Ardore e Bovalino. A Gerace specialmente è meraviglioso il progresso che fa la coltura degli ulivi. …  Nel littorale la parte coltivabile è piana e picciola. … sono rare le gelate nell'inverno, e quasi mai nella primavera. La gragnuola vi è rarissima. In ciò sono ben favoriti questi luoghi dalla natura. …  Il flagello maggiore è il subalternismo. Le comunità riguarderebbero come una grazia una nuova tassa quando per mezzo di essa si abolissero i subalterni. L’innocenza si deve comprare e l’impunità è un oggetto di traffico. …  L’agricoltura non fa progressi per la scarsezza della popolazione, ...  e per l’ignoranza de’ buoni metodi agrari. …  Gli strumenti agrari sono imperfetti. L’uso della vanga vi è sconosciuto. Solo nella provincia di Cosenza vi si usa qualche poco. La putatura degli alberi vi è ignota. Per putarsi li gelsi qualcheduno fa venire i potatori da Cosenza. Gli ulivi si lasciano intatti senza putatura. Non si conoscono altri concimi che quelli della stalla. La terra non è profondamente cavata, né bene stritolata, per lo cattivo aratro; principalmente di qui il piccolo prodotto che abbiamo notato nelle derrate. La malattia del verme seguita a fare strazio delle ulive in questa contrada ancora. l trappeti alla genovese vi sono sconosciuti. L’olio generalmente si conserva nelle fosse, in vasi di creta. … si è cominciato ad introdurre l’uso delle cisterne, le quali si fabbricano sotto terra con calce di tufo, mattoni e ferraggine o sia spuma di ferro …  e il suo intonaco è impenetrabile. I vini sono spiritosi, ma nell'estate si alterano ed inacidiscono. … Si conservano o in botti di castagno o in vasi di creta. ... Le campagne generalmente sono aperte, specialmente nelle marine … non perché fossero soggette a servitù, ma … contribuisce a ciò anche il mal costume: si portano a pascolare i porci e le capre indistintamente in ogni luogo o chiuso o aperto. Questi animali devastano le coltivazioni e formano un altro grande ostacolo all’agricoltura. La moneta è scarsissima, specialmente dopo il tremuoto. … l macelli in questa contrada sono mal provveduti. L’inverno solamente non manca la carne porcina, la quale però è cara. Quella di vaccina e scarsa e cattiva. In questa contrada e generale la sulla spontanea, della quale si fanno uso tutti gli animali. …  Si vuole tanto sostanziosa anche secca da bastare a supplire all’orxo. Non si conosce il falcione … ma una semplice falce imperfetta. Gli ortaggi sono scarsi e si fanno solamente per uso de’ particolari. Solo Roccella ha circa 30 barche pescherecce. … Nell'inverno sono provvedute queste contrade di pesca da' pescatori del Golfo di Napoli e della riviera di Reggio. Nell'estate si sta senza pesce. Le marine non sono custodite … Le torri e le case de’ cavallari sono state in buona parte rovinate distrutte da' tremuoti, né si è dato ancora principio a restaurarle. La spiaggia è aperta ne ha fortificazione di sorte alcuna. … Il prodotto della seta in Gerace è di circa 8.000 libbre: quella rivelata è di 4.000. Si può considerare il controbando della seta per una metà della raccolta. ... Il costume di questa contrada e di esser ostinati e vendicativi.  Il popolo per le oppressioni che soffre e meno facinoroso di quello dovrebbe essere. ... Una delle principali cagioni degli omicidi è la gelosia, figlia della rozzezza de’ costumi. Gli omicidi o sono rissosi e nascono da ubbriachezza, o sono premeditati e nascono da gelosia e da odio. I furti, le crassazioni sono comuni. I miliziotti sono nella maggior parte i primi facinorosi. Le scorrerie de’ malviventi nelle campagne sono generali. Quasi tutti i miliziotti sono i più facinorosi della provincia perché i delinquenti ed i debitori adottano questa professione e vengono garantiti da’ comandanti in disprezzo delle leggi. Con ciò restano impuniti i delitti, quali crescono ogni giorno. La mendicità è scarsissima. L’ozio, il giuoco, la mala fede è generale. Gli esposti non sono frequenti, ma sono relativi al costume della contrada, geloso e che punisce tali falli delle donne colle armi. … Non vi sono Ospedali. Solo in lsca c'è una scuola pubblica di lettere umane, latina e leggere e scrivere. Il maestro ha 40 ducati l’anno. … Le malattie costituzionali si sentono nel cader della estate e nell'autunno. Sono febbri terzane e putride biliose, alle quali è soggetta la gente di campagna principalmente. … La durata più lunga ordinaria della vita è fino a 70 anni. La contrada e dunque più sana del Marchesato. L’inoculazione comincia a farsi generale. A Gerace si fa fino dalle donne. Le femmine si maritano alli 18 anni, gli uomini a' 20. Delle donne pochissime restano senza marito. Le pinzoche sono numerose, ... nel giorno della Croce e più nella Settimana Santa usano flagellarsi a sangue per le strade e per le chiese, né vi si e potuto por freno da’ vescovi e dalle leggi. L’uso però va rendendosi meno comune. l galantuomini ed i preti anche sogliono flagellarsi. Usano ubriacarsi prima, per rendersi insensibili alle sferzate. … Non vi sono osterie di sorte alcuna. Prima i conventi esercitavano l’ospitalità e la loro soppressione è un danno per coloro che viaggiano”.

Giuseppe Maria Galanti (1743 – 1806), Giornale di viaggio in Calabria, Napoli, 1792

Il testo sopra riportato l’ho ricavato dal libro del professor Pino Macrì Uomini, economia e fiscalità in una Terra in Calabria Ultra. Bovalino nel Catasto Onciario 1742- 1745). … la pesante remora del feudalesimo incatena ancora l’intera comunità lasciandole appena lo spazio per respirare. È in questo frangente che l’illustre viaggiatore si inoltra nelle terre del Circondario di Gerace rimandandole a noi  230 anni dopo intatte perché possiamo farci un’idea del nascere ed ivi insediarsi un malessere ancora oggi difficile da negare.

mercoledì 25 maggio 2022

Contestazione generale [di Luigi Zampa, 1969]

Cl DISTURBA UNA TV ARABA

Vi segnalo che qui a Platì (Reggio Calabria) è stata promossa una petizione popolare per far sì che la popolazione possa ricevere i programmi del secondo e terzo canale Rai. Questa è una importante necessità per un piccolo paese di montagna, dove non c’è un’edicola o un negozio qualsiasi dove si possa comprare un giornale o una rivista. Persino per la Gazzetta del Sud o il Giornale di Calabria (i due quotidiani calabresi) bisogna scendere a Bovalino, e pertanto la radio e la tv restano gli unici mezzi d’informazione del paese. E naturalmente non si tratta solamente d’informazione, ma anche di cultura. Io amo molto il mio paese e la mia gente, e voglio vederla elevata spiritualmente e culturalmente; purtroppo i mezzi a mia disposizione sono molto scarsi, per non dire che io sono poliomielitico, e quindi limitato fisicamente. Voglio, inoltre, che la mia gente prenda coscienza dei suoi diritti e non li debba vedere calpestati continuamente; che non venga sfruttata persino nella sua miseria. Chi si abbona ad una rivista ha diritto a riceverla periodicamente; cosi chi paga il canone alla Rai deve vedere tutti i programmi. Vi preghiamo di aiutarci dando diffusione a questa nostra iniziativa. Ringrazio anche a nome dei ragazzi che mi stanno aiutando nella raccolta delle firme per la Rai.
dott. Mimmo Marando
Platì (R.C.)

La petizione popolare promossa a Platì, sottolinea che tocca alla Rai (col l’impianto di un ripetitore) adempiere ai propri obblighi di rendere visibili tutti i programmi televisivi, dopo che gli abitanti del paese hanno fatto il dovere loro pagando il canone conseguente a regolare contratto di abbonamento, come tutti. I promotori segnalano poi che, “mentre il secondo e terzo canale Rai non si vedono affatto, il primo canale molto spesso, nei periodi estivi, è disturbato da una emittente araba". Se la Rai non aderisse alla richiesta, il gruppo promotore della protesta a Platì s’ impegna “a proseguire la battaglia intrapresa, in sede giudiziaria, o in ultima ipotesi a invitare tutti gli abbonati Rai-tv a disdire l’abbonamento”. Infine, segnala che “nel vicino comune cli Antonimina, per le ragioni sopra denunciate, da molti anni gli abitanti, pur ricevendo il primo canale, non pagano il canone di abbonamento Rai-tv".
Insomma, quel ripetitore Rai ci vuole. Prima che lo metta qualche televisione araba.
FAMIGLIA CRISTIANA - 7 settembre 1980

 

 

 

 

 

mercoledì 21 luglio 2021

Boccaccio [di Marcello Albani - 1940 ]




                                       IMPRESA BOCCACCESCA A CIRELLA DI PLATI’

Tenta di rapire nottetempo diciottenne
ritenendo che fosse sola in casa

Locri, 13 genn.
(F. T.)  La popolosa frazione di Cirella -- comune di Platì - è stata messa, l'altra notte, a rumore per la boccaccesca impresa di tale A. M. di Francesco di 19 anni, il quale, innamorato, corrisposto pare, di una graziosa fanciulla diciottenne M. C. M. di Francesco, aveva divisato di servirsi di una scorciatoia anziché battere la via maestra. Infatti venuto a conoscenza che la madre della sua fiamma si era allontanata dal paese per fare una «capatina» negli Stati Uniti d'America, ritenendo che l'amata Carmela fosse sola nella casa paterna, cercava di rapire la bella dormiente.
Ahimè, però, perché, male gliene incorreva: la madre premurosa aveva pregato una comare a vegliare i sonni della ragazza per cui, dato l'allarme, l'ardente Totò veniva denunziato per tentato ratto a fine di matrimonio e tentata violenza carnale.
E' probabile che la C. non sappia resistere al pensiero che il suo spasimante sia finito in prigione reo di avere troppo amato e che induca i propri genitori ad affrettare le sospirate nozze, in modo che la dea Temi possa indulgere verso il giovanotto.
GAZZETTA DEL SUD, 14 gennaio 1957

sabato 17 luglio 2021

La grande rinuncia [di Aldo Vergano - 1951 ]

 

Rinuncia ad eredità
L’anno milleottocentottantadue il giorno ventitre Maggio in Ardore nella Cancelleria della Pretura ed innanzi a me Cancelliere della stessa è comparso
Gliozzi Luigi fu Domenico di Platì ed ha detto che col presente atto rinuncia espressamente puramente e semplicemente all’eredità del fu suo padre trapassato il di otto Ottobre 1860 in questo Comune di Ardore.
Del che si è redatto il presente firmato dal dichiarante e da me cancelliere.
Firmati Gliozzi Luigi: Antonio Portaro Cancelliere. Specifica Carta centesimi sessanta: Dritto lira una: Spedizione centesimi venti: Toatale lire una e centesimi ottanta
Quietanza N. 418 Portaro
Ardore 23 Maggio 1882
Per copia conforme rilasciata al Signor Gliozzi
Il Cancelliere
AnPortaro

Don Luigi (all’anagrafe Giosofatto Luigi) Gliozzi dei cugini consangunei don Domenico e donna Elisabetta Gliozzi era nato a Platì il 12 giugno del 1841. Il 6 febbraio 1883 sposò "donna non maritata, non parente né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento " Assunta Lopez di Angelo e Parovani Matilde tutti provenienti dalla città di Roma. Di professione Assunta faceva la sarta mentre il padre a Platì, stando al database compilato da Ernesto Gliozzi il giovane, esercitò la professione di tabellarius-quirites, come dire esattore. L’ abitazione di Luigi e Assunta nei primi anni fu in piazza Duomo e successivamente all’Ariella. Da Luigi e Assunta nacquero sei figli di cui due Cesare Augusto e Domenico/Giulio (1)  sbarcarono in America. Luigi cessò di vivere il 25 novembre del 1898. 

Della rinuncia all’eredità oggi pubblicata nulla si sa. Il beneficio andò al reduce della “Guerra contro gli Agusterece (2) Francesco, che unendosi in matrimonio con Rosa Fera chiamò il terzogenito da loro nato Luigi, scelta già avvenuta in precedenza quando alla nascita del primo figlio lo aveva registrato Filippo come un altro fratello, ma il povero Filippo visse solo qualche mese.
 
Ecco ora la discendenza di Domenico Gliozzi (1813 – 1860) di Giuseppe e Filippa Codispoti e donna Elisabetta Gliozzi (1820 - ?) di Francesco e Carolina Mittiga:
Giosofatto Luigi 12 giugno 1841
Giuseppe Errigo 10 novembre 1842
Francesco 27 settembre 1844
Filippo 30 novembre 1846
Michele 23 febbraio 18493 (3)
Mariantonia Giuseppa 10 marzo 1851
Carlo 26 marzo 1853
Vincenzo 9 novembre 1855 / 13 aprile 1870
Carmelo Ferdinando 25 luglio 1858
 
(1) https://iloveplati.blogspot.com/2017/10/ohio-crosbystills-nash-young.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2012/01/correva-lanno-di-grazia-1870-reg.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/un-dolore-improvviso-di-ubaldo-maria.html



domenica 31 gennaio 2021

La linea di demarcazione [di Claude Chabrol -1966]




Io qui sottoscritto Gliozzi Luigi fu Francesco vendo a Timpani Domenico fu Pasquale un locale edificatorio sito nel mio orto in contrada Piruselli. Si spiega che detto locale ha cominciamento dalla macerie che divide il mio orto da quello di Caruso Giosofatto per la lunghezza in linea retta di metri dodici. Tra la linea assegnata al Timpani e la casa di Michele Demarco dovrà correre una strada larga quattro metri che va a sboccare nella via Filanda. La larghezza di detto locale venduto è sino all’acquedotto del molino di Marando Antonio. Il prezzo stabilito è in lire duemila e cento (£ 2100) che mi ho ricevuto e di cui dono finale quietanza.
Platì 14 ottobre 1923
Luigi Gliozzi fu Francesco

Involontariamente il nonno tracciò per noi un racconto breve, seppur pieno di nomi e notizie.






 

martedì 5 gennaio 2021

Fatti Corsari - Tra Borboni e piemontesi

- Zappia d. Filippo (Mo. 9.5.1860) filius doctoris phisici d. Dominici (figlio del dottor fisico don Domenico).

Don Filippo era nato il 5 novembre del 1839 e sua madre era Donna Rachele Brancatisano. 

Questa famiglia, per merito dell'Istorosofo Papalia, si è già incontrata qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2019/12/racconti-dalla-tomba-di-freddie.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/01/racconti-dalla-tomba-pt-2.html

Papalia Giuseppe (Mo. 8.8.1860) infirmatus hydropico morbo.
Lentini Rosario (Mo. 20.1.1860) di Francesco, infirmatus hydropico morbo.
Delfino Mariantonia (Mo. 15.1.1861) da Molochio.

- Lobianco Elisabetta (Mo. 22.11.1861) ruris Joiosae(ell’agro di Gioiosa).

La signora Elisabetta Lobianco proveniva da Gioiosa; il 6 febbraio 1855, all’età di diciotto anni partorì, da padre ignoto, un maschietto di nome Rosario, a presentarlo in municipio fu la levatrice Francesca Porzio. Quando morì aveva appena ventiquattro anni.

- Procopio Francesco Ant. (Mo.25.2.1861) di Vincenzo. e di Naimo Elisabetta. Da Bianco, vir Annae Sergi, ruit ex arbore (marito di Anna Sergi precipitò da un albero).

Procopio Francesco Antonio sposò Sergi Anna di Domenico e Rosa Trimboli il 24 giugno 1842 alla presenza di don Saverio Fera e don Carmelo Zappia. Francesco Antonio aveva ventidue anni ed Anna venti. 

- Iermanò Caterina (Mo.19.7.1861) di Dom. uxor di Carbone Francesco affecta hydropico morbo.

Il sei maggio 1850 in chiesa, la signora Caterina Iermanò di Domenico ed Elisabetta Treccasi all’età di anni venti aveva sposato Francesco Carbone di Rosario ed Elisabetta Staltari, che di anni ne aveva ventiquattro. Testimoni erano Giuseppe Strangio e Rosario Bartone. L’atto in municipio fu firmato da don Raffaele Lentini sindaco.

- Papalia Nicola (Mo.7.8.1861) ruris S. Euphemiae, figlio di Vincenzo, a latronibus ad hortus loco dicto Sava, spoliatus et occisus fuit (dell’agro di Santa Eufemia, in località detta Sava fu dai ladroni spogliato e ucciso).

- Macrì Domenico (M0.28.8.1861) vir di Femia Caterina, ruris Aneanae (dell’agro di Agnana)

Il signor Domenico Macrì e la sua sposa signora Femia Caterina provenivano da Agnana (RC). Il giorno del suo decesso Domenico – ortolano - aveva trenta tre anni.

- Sansalone Giuseppe (Mo.25.9.1861) urbis Rhegii (o di Gerace?) di Antonio, miles (forse caduto nel conflitto avvenuto a Platì, tra i Borboni e i soldati piemontesi, mentre faceva la sentinella sul campanile della chiesa matrice, stando rannicchiato in una campana, in un momento che si calò giù).

- Carbone Domenico (Mo.25.9.1861) alias cucinata, di Francesco e Staltari Elisabetta (forse fucilato dai soldati piemontesi, in un conflitto avvenuto a Platì con le forze Borboniche, in località detta "costa d' u  sparàtu).

- Cuscunà Michele (Mo.30.3.1861) da Gerace - marito di Violi Caterina.

Il muratore Michele Cuscunà di Domenico e De Leo Fortunata, sposò Caterina Violi di Giuseppe e Ciampa Elisabetta, in chiesa, il 29 agosto del 1838 presenti Rosario Bartone e Diego Pangallo. Due giorni prima erano davanti a Giosofatto Furore per il rito civile e con loro c’erano il barbiere Domenico Perri, il bovaro Pasquale Treccasi, il macellaio Giuseppe Zappia e il bracciale Rosario Perri. L’atto civile fu firmato solo dal padre dello sposo che sebbene calzolaio in Gerace sapeva leggere e scrivere.

 

- Taliano Domenico (Mo. 30.5.1861) di Francesco e di Cicciarello Teresa, ruit ex arbore fagi (ruzzolò da un albero di faggio).

Quando Domenico nacque, il 16 novembre 1837, il padre aveva venticinque anni mentre la madre di anni ne aveva quaranta. Al comune Donenico fu presentato il diciotto di novembre.

- Lenza d. Rosa (Mo. 1.4.1863) di d. Amato, ruris Varapodii (dell’agro di Varapodio), moglie di d. Rosario Zappia.

Lo sposo di donna Rosa Lenza, don Rosario Zappia era un doctoris phisici, la loro abitazione era situata nella strada S. Nicola; i due ebbero tre figli i cui nomi erano abbastanza inusuali in Platì: Clementina - 1.01.1813 - Leopoldo Filippo Amato - 20.08.1821 - Scipione Amato – 14 giugno 1825.

- Zappia d. Pasquale (Mo. 23.6.1863) di Carlo, clericus lector (chierico lettore).

Don Pasquale di Carlo, vaticale, e Morabito Giuseppa era nato il 10 novembre 1844

- Micò d. Carmela (Mo. 26.8.1863) di d. Davide da Casignana e d. Giuseppa Zappia.

- Empoli d. Gaetana (Mo. 29.9.1863) da S. Stefano, moglie di d. Michele Oliva.

Quando venne meno donna Gaetana aveva settantadue anni. Con don Michele Oliva, civile, ebbe in tutto sette figli. Erano domiciliati nella strada S. Nicola.

- Garreffa Caterina (Mo.9.10.1863) da Cirella, moglie di Trimboli Nicola.

Quando morì donna Caterina aveva quaranta anni e con Nicola Trimboli alias pejaru ebbe quattro figli.

^.^.^.^.^.^.^.

Notizie riportate nel V° vol. dei Libri dei morti a firma del parroco Filippo Oliva. In corsivo note di Ernesto Gliozzi il giovane, le stesse rimandano al libro di Michele Papalia Caci il brigante, 2016 – 2020. In grassetto , dove possibile, atti ripresi dai registri comunali.

Con la pubblicazione odierna terminano i fatti corsari estratti da Ernesto Gliozzi il giovane dai Libri dei morti della parrocchia S. S. Mariae Lauretanae di Platì

 




giovedì 10 dicembre 2020

Fatti corsari - da Molochio ad Agnana


-Cordea Pietro Paolo (Mo.30.8.1854) di m. o Vincenzo e di Vadalà  Maria, da Molochio - età 1 anno - era venuto per la solenne  festività  della B.V.M. di Loreto.
Il piccolo Pietro Paolo venne a mancare in casa dello zio Antonio Demaio, vaticale di anni trentadue.
-Trimboli Antonio di Francesco (Mo.28.9.1857) cadde da un albero di noce in località Ficarazzi.
Nel registro comunale Antonio è riportato come Domenico, figlio di Francesco e Antonia Trimboli, marito di Peppina Grillo.
-Barbaro Francesca (Mo.22.10.1857) cadde da una finestra della sua casa.
Francesca Barbaro era filatrice, quando cadde dalla finestra ne aveva quaranta di anni; i suoi genitori erano Antonio e Caterina Trimboli; era moglie di mastru Peppi Ciampa
-Barbaro Giuseppe (Mo.27.12.1857) di Rocco miroci, morì colpito da un macigno in località  Scapolanova.
Giuseppe Barbaro di anni ne aveva ventiquattro e faceva il bracciale, Rroccu u miroci invece era vaticale e sua moglie era Caterina Sergi.
-Ferraro Rosa Maria (Mo.25.5.1858) di Giovanni e di Nigro Antonia ruris casali novi de Africo.
Rosa Maria era un’infante di due mesi di Casalinovo di Africo; a dichiararne il decesso sono stati due suoi compaesani. Oscuro il perché si trovassero in Platì.  
-Larosa Caterina (Mo.10.8.1858) da Agnana, moglie di Cordì Giovanni, morì in località Lacchi.
-Leonardo Francesco Antonio (Mo.24.7.1858) di N. e Leonardo Maria da Bovalino.
Il piccolo Francesco Antonio era di sei mesi e Maria sua madre era una filatrice.
-Nirta mf Candida (Mo. 6.9.1858) moglie di Fera Michele - morta all'età di anni 90.
La signora Candida era originaria di Natile.
-Morabito d. Marianna (Mo. 11.12.1858) di d. Francesco e d. Rosa Oliva da Palmi. Morì a 36 anni ob partum difficilem.
-Sgrò Giuseppe Antonio (Mo. 27.12.1858) della città di Reggio - marito di Carbone Carmela.
-Lupis m. o Carlo (Mo. 2.1.1859) ruris Canoli, coriarius, venendo da Oppido, mentre attraversava la località  Emolumenti, assalito da un ladrone, fu derubato e ucciso a colpi di scure.
-Micò Francesca (Mo.12.2.1859) da Casignana
-Sansalone Giuseppe (Mo.20.2.1859) da Agnana, dimorava in località Mulino nuovo - morì a Platì.

 Notizie contenute nel V° Volume dei morti della parrocchia redatte da Ernesto Gliozzi il giovane. In grassetto quanto ricavato dai registri della Casa Comunale platiese. In apertura una lapide resistita alle alluvioni.

 

mercoledì 25 novembre 2020

Assalto al treno [di Edwin S. Porter -1903]



UNA VECCHIA VAPORIERA SBUFFANTE
Il trenino degli studenti
Porta ogni mattina a Locri un carico di spensieratezza

   Bruzzano Zeff., 23 genn.
Una vecchia macchina a carbone, un carro postale, qualche vettura di prima classe e tre di seconda formano il trenino che ogni mattina raccoglie, nelle varie e linde stazioncine disseminate lungo il tratto della costa Ionica che da Bova conduce a Locri, una pleiade di studenti rumorosi ed irrequieti, spensierati.
Lo chiamano, appunto, il trenino degli studenti e sbuffa peggio di Ercole al tempo delle sette fatiche: va molto piano e, in ogni traballante ponticello di questa povera e dimenticata Calabria che attende le alluvioni per ottenere qualche aiuto ed il ricordo delle autorità centrali, rallenta e sembra stenti a riprendere la corsa, fa tanta pena.
Gli vogliamo tutti bene, però, malgrado affumichi tutto e sporchi le mani, il volto ed il vestito nuovo; e quindi con un fischio assordante rallenta e si ferma, dai marciapiedi delle stazioni viene letteralmente preso d'assalto da una marea di studenti e studentesse carichi di libri, che sembra un vero abbordaggio degno della migliore descrizione Salgariana.
I più svelti occupano il posto per gli amici o per la ragazza che dovrà salire alla prossima fermata, ed il passeggero ignoto, che viaggia per affari, dovrà accontentarsi di trovare un posticino in piedi nella morsa crudele degli affollati corridoi e muovere la testa quando uno studente irrequieto gli sale sulle scarpe.
Improvvisamente i freddi scompartimenti di seconda classe, popolati all'inverosimile, si trasformano in salottini borghesi dove tutto è permesso ed alle disquisizioni filosofiche, tenute con mille arie dai maturandi, seguono i motti di spirito e le battute umoristiche nei confronti del solito incompreso che si isola a guardare i bianchi paeselli appollaiati dove più alti sono i monti e il tormento del mare quando con violenza si scaglia sulle bianche scogliere ed i faraglioni di Capo Bruzzano.
Gli angoli delle vetture sono il posto preferito dagli eterni sgobboni che danno l'ultima ripassatina alle lezioni prima di giungere alla meta.
Naturalmente non mancano i matti, che quelli sono giunti per primi sul mondo e sono la delizia e la croce dell'intera comunanza; individui capaci di qualunque battuta e di qualunque geniale trovata, poiché giornalmente parecchie sono le colazioni che mancano all'appello, e s'ingrandisce sempre più la schiera di coloro che occupano tutto il tempo del viaggio a lamentarsi della cattiveria e dell'ingordigia umana.
Gli occhi fissi alla dorata marina, l'innamorato di turno, bruciato da una cotta tremenda che gli ha reso gli occhi simili a quelle delle triglie quando sono in amore, sogna ad occhi aperti il volto dell'amata che al ritorno gli sorriderà da una galeotta persiana.
Signorine di ogni età e di ogni ceto sociale, semplici o eleganti, belle o brutte, sono tutte uguali sul vecchio trenino: studentesse spensierate che cercano alla loro giovinezza un palpito d'amore e di vita, un bagaglio di sogni ed illusioni che tenga loro compagnia nelle monotone ore delle lezioni di Storia d'Arte, che allieti le terribili giornate in cui il professore di lettere si è svegliato con la luna e sgrana sul registro ti suo lento, inesorabile rosario di punti cattivi.
Ed il tempo passa e si dilegua in un lento ed assonnato ciclo di vita, in eterno sciogliersi di ore tulle cose del mondo.
Un capello bianco ha ormai steso una grigia patina di tramonto sulla nostra giovinezza. Annamaria, Aurora, Pasquale, Gianni, Marcellina … Nomi scomparsi per sempre, già da tempo ingialliti ed intristiti dalle aride musiche delle vie dell'esistenza. Il trenino degli studenti, quello sul quale vivemmo i giorni più belli della nostra prima giovinezza, è sempre lo stesso come allora, vecchio e sbuffante, pronto ad accoglierci e riscaldarci come in una casa nostra e confortare con il suo ciuf-ciuf le nostre pene.
In quel trenino, quando viaggeremo, saremo il passeggero ignoto che i motti e gli scherzi degli spensierati studenti costringeranno a muovere lentamente la stesa e mugugnare strane parole.
BILL MODAFFERI
GAZZETTA DEL SUD, 24 GENNAIO 1957

Per l'immagine d'apertura sono andato sul sicuro ed al cantore dei treni per eccellenza. Mentre di Bill Modafferi le tracce si sono perse con lo sbuffo dell'ultimo treno a vapore sulla tratta Reggio - Catanzaro Lido.

lunedì 9 novembre 2020

Fatti corsari - La timpa di Raffaele

Nel burrascoso mare della vita ...

-T. A. (Mo 10.9.1852) fu Antonio e P... Elisabetta, in domo Mariae F... propinquae suae, a qua benigne acceptus fuit (aegre ferens molestia infirmitatis filius suus ... quia a domo propria eiecerat eum) ubi Sacramento Poenitentiae refectus, non valens recipere alia Sacramenta propter ignaviam suorum qui Parochum non monuerunt de periculo eiusdem. Nella casa della sua vicina Maria F. dalla quale fu benevolmente ospitato (dato che suo figlio mal sopportava i fastidi della malattia...poiché lo aveva cacciato da casa sua) dove ristorato dal sacramento della confessione, non in grado di accogliere altri sacramenti a causa dell’inettitudine dei suoi (sott. parenti) che non avvisarono il parroco del pericolo di quello stesso.

In realtà T. A. era Domenico Taliano fu Antonio e P(erri) Elisabetta e il giorno della sua scomparsa di anni ne aveva settanta, di professione pecoraio. Il sig. Taliano era vedovo di Domenica Staltari sua prima moglie e successivamente di Anna Romeo.

 

-Z. Rosarius (Mo 16.9.1852) filius Francisci et A. Elisabeth, infirmatus incognito pessimoque morbo, Sacramentu Ponitentiae accepit non valens recipere alia Sacramenta ob duritiem suorum consanguineorum, qui crudeliter et inaudito modo reliquerunt eum perire extra domum in via publica, et post mortem sumptibus extraneorum eius corpus latum et sepultum fuit... Ammalatosi di una malattia sconosciuta e molto grave, ricevette il sacramento della confessione, non in grado di ricevere altri sacramenti per la crudeltà dei suoi parenti che duramente e in modo inaudito lo lasciarono morire fuori casa sulla pubblica via e dopo la morte il suo corpo fu traslato e sepolto a spese di estranei.

Dal registro comunale si ricava che Rosario Z(appia), bracciale, di anni ne aveva ventidue il giorno della sua dipartita, era figlio di Francesco e Giuseppa Caruso.

-Barbaro Domenico (Mo.15.5.1854 lunedì) alias prochilo opilio mei Rdi Archipresbyteri, secundus vir viduae Mariae Treccasi, aetatis suae an. triginta quinque cr., post annum sui regressi in Patriam ab insula Tremiti, ibi relegatus ob furtum, de sero obumbrato tempore quia coelo obruto nubibus affluentibus, praesenti et antecedentibus tribus diebus, congruentem pluviam a nobis maxime desideratam et Deo publice petitam; circa horam 21 ligna faciens in arbore ilece  contradae Montagna di Natile, de eo capite inverso cecidit supra duruìissimum saxum, et deinde precipitatus est per inaccessibilem locum dictum timpa di Rafele, quia ibi alio tempore quidam vocatus Raphael eumdem fatum subiit. Alias Prochilo pastore del mio Reverendo Aciprete, secondo marito della vedova Maria Treccasi, della sua età di circa 35 anni, dopo un anno dal suo rientro in patria dall’isola delle Tremiti, dove relegato per furto, in una tarda e oscura serata poiché il cielo era coperto per le nubi che scorrevano, nel giorno presente e nei tre precedenti, avvicinandosi la pioggia da noi fortemente desiderata e chiesta pubblicamente a Dio, circa alle ore 21 mentre faceva legna su un albero di quercia della contrada Montagna di Natile, cadde (dall’albero) con la testa rovesciata sopra una roccia durissima e quindi precipitò per un luogo inaccessibile chiamato timpa di Raffaele poiché lì in un’altra occasione un tale chiamato Raffaele subì il medesimo destino.

Domenico Barbaro del fu Saverio e di Caterina Strangio era nato il diciotto maggio 1819 ed era pecoraio. Prima di Maria Treccasi fu marito di Domenica Spagnolo che lo rese vedovo con due figli minori nomati Saverio e Francesco.

Ancora una volta devo la traduzione dal latino, molto chiesastico, alla cortesia della professoressa Gina Misdaris di Udine docente di Lettere Classiche al Liceo classico "Stellini".

Gli atti in latino derivano dal V° Libro dei Morti della parrocchia; quelli riportati in corsivo, dai registri del comune, portano la firma del sindaco di allora don Giacomo Oliva, nonno del più famoso don Giacomino Tassoni Oliva.

L'immagine in apertura si riferisce a persone non di Platì ma di Ardore.

 




 

domenica 18 ottobre 2020

Fatti corsari - Ignis S. Antonii

Sei sempre nel nostro cuore. Tota


-Amanti d. Domenica (Mo.24.11.1851) moglie del fabbro Isaia Francesco ruris Tropeae (della città di tropea).
-Simone Rosa (Mo. 20.12.1851) di Saverio e Vadalà Marianna
-Trimboli Giuseppe di Rosario e di Miceli Rosa (Mo 5.3.1852) Eucharistiam non potuit suscipere ob incommoda suae infirmitatis vulgo dictae ignis S. Antonii (non poté ricevere l’Eucarestia perché affetta da infermità dal volgo detta fuoco di S. Antonio).
Mittiga Elisabetta (Mo.10.6.1851) di Rocco, magistri sartoris (maestro sarto), e di Rosa Buccafurni da Molochio. 
-Isaia Francesco (Mo 1.3.1853) del fabbro Vincenzo e di d. Domenica Amanti, fabbro ruris Topeae.
-Catanzariti Francesco (Mo.6.5.1852) marito di Treccasi Maria di Rocco e di Antonia Grillo, andato a Reggio Cal. come testimone per la causa criminale di Staltari Francesco, colto da malore, morì in quell' ospedale e fu sepolto nel cimitero di quella città.
-Bisbano Diego (Mo 8.4.1853) di origine siciliana, marito di Catanzariti Caterina.
-Maio Giuseppa, (Mo. 4.6.1853) infante, figlia di Antonio, di origine sicula, e di Vadalà Carmela.
-Catanzariti Domenica (Mo.1.3.1854) moglie di Agresta Franc. in loco dicto Sava, rediens ex Oppido, obiit ob nivis abundantiam (venendo da Oppido fu colto da abbondante nevicata in località detta Sava).
-Vadalà Teresa (7.5.1854) uxor m. ri Mantica Raphaelis sartoris messinensis (moglie di Raffaele Mantica sarto messinese).
Macrì Francesco (Mo.1.11.1854) di Domenico e di Femia Caterina da Agnana, figlio dei coloni di d. Giacomino.
-Mittiga d. Domenico (Mo.5.12.1854) di d. Ferdinando e di d. Giulia Leuzzi, assai sfigurato da una malattia sconosciuta, una specie di lebbra. Età anni 50.
-Majo Martino (Mo.16.4.1855) di anni 20, da Iatrinoli.
-Sità Francesca (Mo.4.9.1855) figlia di Michele, da Agnana. colona nell' orto detto Fortino di d. Giosofatto Furore.
-Timpano Elisabetta (Mo.12.9.1855) di un anno, figlia di Giuseppe e di Timpano Caterina, da Portigliola, agricoltori della contrada Stalle di d. Gregorio Oliva.
-Ciampa Domenico (Mo 11.3.1857) mori nella località Carbone sorpreso da un violento temporale di ponente libeccio.
-Ciampa Giuseppa (Mo.11.3.1857) fanciulla, morì nella località Carbone insieme col padre Domenico, per un violento temporale di ponente libeccio.
-Macrì Caterina (Mo.10.7.1857) di Salvatore, moglie di Sansalone Nicodemo da Agnana.

Il V° Libro dei Morti redatto dallo zio Ernesto espressamente per questo Blog si rivela ancora una volta un pozzo senza fondo. Così, ora scopro che i miei antenati non erano solo calzolai ma anche maestri sarti, che la città in cui dimoro fornì anch'essa sarti, don Domenico zio di Caci morì di lebbra, era nato il 12 febbraio 1793, che in località Sava si fermò per sempre la vita di Catanzariti Domenica come i malcapitati Ciampa, Pina e il padre Micu, furono condannati da un violento temporale di ponente libeccio.

venerdì 2 ottobre 2020

Appassionatamente [di Giacomo Gentilomo - 1954]



Sono qui riunita, nel rinnovare un dolore infinito. Io figlia adulta,
ma così bambina, che nello smarrimento del vuoto chiamo MAMMA.
Cosa dire di questa grande donna che è stata due volte madre per me figlia,
e madre per i miei figli. Che nelle vicissitudini della vita hai saputo accudire
con amore, una donna che anche nell’ultima sofferenza mi dava coraggio.
Sei stata strappata alla vita tu che alla vita eri legata con i pugni e con i denti.
Tu che eri la persona più coraggiosa, solare, generosa, umile e pura che
abbia mai conosciuto … ora tutto è diventato un silenzio che mi lacera
il cuore e l’anima … mi hai lasciato preziosi ricordi e altrettanto preziosi insegnamenti.
Cara mamma riunita in questo momento ti chiedo un linguaggio nuovo,
quello silente che parla al cuore. Ora più che mai ho bisogno di te,
e che dall’alto del cielo mi proteggi ancor di più.
Mamma mi hai insegnato l’amore più puro, un more che va
oltre la vita. Ogni notte mi addormento sperando di svegliarmi
il giorno dopo e vederti di nuovo lì con me … ma ogni volta il risveglio è sempre
più amaro e sempre più doloroso … in questo momento le lacrime scendono
sul mio viso ti dico ti amo e ti amerò per tutta la vita …
… GRAZIE MAMMA
                                                                                                                Tua Figlia Rosa


sabato 12 settembre 2020

Belle speranze [di Mike Leigh - 1988] (perdute)



 Filippo Callipo e Florindo Rubettino insieme a mons. Bregantini
La società civile per Platì

PLATI’ – Il presidente degli imprenditori calabresi, Pippo Callipo, il vescovo di Locri, monsignor Giancarlo Bregantini e l’editore, Florindo Rubettino: tre figure di indiscusso prestigio si sono date appuntamento a Platì, quasi per siglare una sorta di contratto per il rilancio culturale del paese col reddito pro capite più basso d’Europa.
Ha accolto i tre ospiti padre Emanuele Maggioni (un brianzolo che si è fatto le ossa nel Congo, in Zaire e nel Mozambico), che non ha avuto dubbi e, dopo aver ringraziato esplicitamente Callipo e Rubetino, ha detto: «E’ apprezzabile l’impegno e la coerenza con cui avete guardato all'intera vicenda. La gente non è abituata più a vedere uomini pubblici che rispettano gli impegni. E', in questo senso, da stigmatizzare chiunque promette aiuto alla gente del posto ma poi non onora l’impegno. Per Platì è importante avere amici che ci aiutino, che ci vogliano bene e che vogliano lottare assieme a noi per l’avvenire dei bambini del paese».
I due imprenditori hanno consegnato alla parrocchia di Platì materiale informatico, un’importante enciclopedia multimediale, due computer dotati di stampante e numerosi volumi molti dei quali consegnati dal consiglio regionale).
Entusiastica l'accoglienza della gente, degli insegnanti e degli amministratori locali.
Il rappresentante della casa editrice di Soveria Mannelli cha proietta la sua influenza editoriale al di là della Calabria con titoli importanti, ha quasi adottato la biblioteca di Platì. «La cultura è un indispensabile mezzo per il decollo economico e sociale e noi faremo di tutto per assicurare a Platì buoni volumi ed un continuo monitoraggio sui suoi bisogni culturali» ha detto Rubettino.
Il presidente della Confindustria calabrese, Callipo si è detto convinto che «la solidarietà non può essere soltanto uno slogan, ma deve trovare riscontri concreti. Perciò chiunque vinca le elezioni regionali – ha precisato – mi auguro che sappia programmare interventi socio-culturali che siano in grado di invertire la tendenza al declino dei centri montani. Lo sviluppo deve riguardare anche i centri  finora abbandonati come Platì. Il mio impegno, dora in poi sarà anche quello di richiamare l’attenzione di chi ha l’onere del governo sulle realtà emarginate della Calabria, le quali hanno il diritto allo sviluppo».
Monsignor Bregantini, a proposito di Platì ha parlato «di un popolo provato ma non sconfitto». «Si tratta- ha detto - di una realtà molte volte provata, con segni di grande durezza e sventura che incidono sulle speranze dei giovani. Però dinanzi a noi non c'è gente sconfitta; vi è, invece un popolo coraggioso che regge, che resiste, che si oppone. Ovviamente con i linguaggi, le modalità e l’espressione che permette questa cultura».
Per il vescovo di Locri-Gerace «L’iniziativa del presidente della Confindustria calabrese evidenzia che la solidarietà può aiutare un popolo a risollevarsi. Noi dobbiamo agire avendo ben presente che è necessario sia il sogno sia i segni; il primo per progettare le nostre vite, i secondi per fare intendere alla gente che si fa sul serio».  
A proposito di Platì, Callipo, parlando con i giornalisti ha chiarito che si tratta di «una realtà abbandonata a se stessa, di cui ciascuno di noi, individualmente, non può disinteressarsi, e il simbolo di una Calabria che ha necessità di riscattarsi».  
«Sono del parere – conclude Callipo - che lo Stato debba fare La sua parte. Non l’ha fatta a sufficienza finora ed è evidente quanto bisogno di Stato ci sia nelle contrade sperdute di paesi Calabresi come Platì lasciate in mano ai poteri criminali che sullo sfascio sociale e il sotto sviluppo fondano parte della loro legittimazione. Noi calabresi sappiamo bene quanto sia indispensabile, in tempi anche brevi, presentare all’Europa una regione onesta e laboriosa, nell’interesse di tutti».

il Quotidiano, Lunedi 7 marzo 2005