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mercoledì 20 aprile 2022

La colomba non deve volare - Nnuzza alla Pietra d' Angela

Del resto l’ambiente nel quale viveva la ragazza era saturo di connessioni simboliche asserite con grande serietà e senza il minimo dubbio”. Ernesto De Martino, La terra del rimorso, 1961

Ritengo il racconto di Saro Zappia, qui apparso,* come il più importante sin ora pubblicati. Se non altro per il suo carattere etnoantropologico, socio-culturale, psichiatrico e psicologico. Chi ha dimestichezza con i testi di Ernesto De Martino o quelli di Sigmund Freud vi trova un’enorme quantità di informazioni che spiegano il carattere, il comportamento e il subconscio di Nnuzza, la protagonista. Tutto questo è confermato da una conversazione con Filippo Zappia, fratello di Saro. Nnuzza di cognome andava Catanzariti ed in casa del Surrosariu era tata e collaboratrice domestica. La casa dove abitava alla Pietra d’Angela l’aveva acquistata da Domenico «u giarruni» Catanzariti, e là trascorse il resto della propria esistenza. Quella dove era nata sul finire del XIX° secolo, all’Ariella, catoiu nel testo citato, era un mono locale di quattro metri per quattro circa, con alle spalle l’aperta campagna. L’episodio, drammatizzato da Saro Zappia, come molti possono ricordare, è realmente accaduto. Se Rosario Zappia si fosse dedicato alla vita letteraria più che a quella forense, forse avrebbe eguagliato Pasqualino Perri se non superato, e noi avremmo avuto un altro generoso letterato a cui far riferimento.

*https://iloveplati.blogspot.com/2022/04/la-colomba-non-deve-volare-di-sergio.html

Questa volta anonimo è il fotografo. 


giovedì 14 ottobre 2021

La morte cammina nella pioggia [di Carlos Hugo Christensen - 1948]


Nel 70° Anniversario

Platì 18 Ottobre 1951


Na data tristi chi veni sempri ricordata
l’affidamu ai posteri non m’esti mai dimenticata.
 
Morti e distruzioni nto paisi dassau
quandu u dilluviu universali di jà passau.
 
S’ apriru i catarratti e l’acqua du cielu calava
Ciancio, ntantu a valle s’ingrossava.
D’arretu da Rocca fici breccia
trasiu nto paisi comun na freccia.
 
Ci fu nu pigghja pigghja chija notti
pe casi e pa li strati passau la morti….
Urla disperate! ... Mani avvinghiate! …
19 vite,
dalla furia dell’acqua, trascinate.
 
Quella notte, pure Acone nel campo entrava
disturbando il sonno di chi in pace riposava.
 
A distanza di 70 anni
una Preghiera  
per chi lottò quella notte
contro l’ingrata morte.

Silvana Trimboli
Caraffa del Bianco, 2021

.:.:.:.

A tutt’oggi l’elenco definitivo delle vittime è nebuloso. Il NOTIZIARIO DI MESSINA(*) in data 8 novembre 1951 riportava  i 15 nominativi già citati nel video. La tradizione popolare ne ricorda18/19. Non vengono in soccorso né i registri comunali né quelli parrocchiali. In questi ultimi sono elencati solo:
Marando Giuseppe di Rosario anni 13
Marando Rosario di Domenico anni 47
Portolesi Caterina fu Pasquale anni 77
Sergi Michele di Pasquale anni 15.
A questi bisogna aggiungere:
Iermanò Serafina di Francesco di 5 mesi
Zappia Filippo di Domenico di 8 mesi
segnati nel registro dei morti della parrocchia in data 18 ottobre 1951
e Iermanò Saverio di Antonio di anni 90 registrato in data 20 ottobre 1951.
Antonio Schimizzi morto durante i lavori di sgombero delle macerie era nato il 29 giugno del 1900 da Francesco e Musitano Francesca. Il 10 febbraio del 1929 sposò Domenica Carbone di Antonio e Martino Anna Maria di 23 anni ed ebbero 6 figli.

(*) https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-reg-howard-hawks-1944.html

In apertura:
Particolare del monumento alle vittime dell’alluvione del 1951 di Platì realizzato dal pittore e scultore messinese Antonello Bonanno Conti.

Nel video: Antonio Vivaldi, Concerto per Violino op. 7 No. 12 in re maggiore RV 214, Grave Assai, Claudio Scimone dir. - To be played at maximum volume.


martedì 28 settembre 2021

Once Upon a Time in America [by Sergio Leone - 1984]

SPERANZA / HOPE
di ROSALBA PERRI
 

In questi giorni sto leggendo “Vita” di Melania G. Mazzucco che è stato Premio Strega 2003.

È un libro sull’emigrazione dalla miseria di un paese nel Lazio alla miseria di New York. Un libro spietato e crudo, affollato di una umanità con i suoi sentimenti e con le sue crudeltà.  La differenza fra le due miserie è la speranza insita nella seconda.

È anche una rivisitazione dell’autrice delle storie di famiglia nel periodo che il proprio nonno visse da emigrante a New York e poi a Cleveland.

Nella prima parte, capitolo “L’ostinato profumo di limone” trovo questo passaggio:

Quando, nell’archivio di Ellis Island, consultai la lista passeggeri della nave Republic, a bordo della quale Diamante arrivò in America, scoprii il nome delle 2200 persone che viaggiarono con lui. Ora posso dire di conoscerli uno a uno. La nave – che dopo la sosta a Napoli fece scalo a Gibilterra – trasportava italiani e turchi. Ma la parola “turchi”, nel 1903, ai tempi dell’Impero Ottomano, significava molte cose: ebrei, greci, armeni, albanesi, siriani, libanesi, slavi, berberi. A Ellis Island sbarcò per primo Athanapos Kapnistos, sedicenne di Creta, poi Marie Kepapas, diciannovenne di Salonicco. Quindi, in successione, gruppi di Beirut, di Rodi, della Macedonia, di Samo, Vasto, Fano; poi decine di ragazzi da Platí e Gioiosa Jonica, Gerace, Polistena, Scilla, Agropoli, Nicastro, Nocera, Teramo, Castellabbate.”

E qui, vedendo menzionato Platì, mi incuriosisco e vado a controllare sul sito di Ellis Island dove trovo l’elenco dei passeggeri della nave Republic del 1906 (e non del 1903 come dice l’autrice per sue esigenze narrative).

 

These days I am reading "Vita" by Melania G. Mazzucco which was awarded the 2003 Strega Prize.

It is a book on emigration from the poverty of a village  in Lazio region to the poverty of New York. A ruthless and raw book, crowded with a humanity with its feelings and its cruelties., the difference between the two poverties being hope.

It is also a reinterpretation by the author of the family stories in the period that her grandfather lived as an emigrant in New York and then in Cleveland.

In the first part, chapter "A persistent lemon scent", I find this piece:

"When, in the Ellis Island archive, I consulted the passenger list of the ship Republic, aboard which Diamante arrived in America, I discovered the names of the 2,200 people who travelled with him. Now I can say that I know them one by one. The ship - which after the stop in Naples made a stop in Gibraltar - carried Italians and Turks. But the word "Turks", in 1903, at the time of the Ottoman Empire, meant many things: Jews, Greeks, Armenians, Albanians, Syrians, Lebanese, Slavs, Berbers. The first to land at Ellis Island was Athanapos Kapnistos, sixteen from Crete, then Marie Kepapas, nineteen from Thessaloniki. Then, in succession, groups from Beirut, Rhodes, Macedonia, Samo, Vasto, Fano; then dozens of boys from Platí and Gioiosa Jonica, Gerace, Polistena, Scilla, Agropoli, Nicastro, Nocera, Teramo, Castellabbate. "

At the mention of Platì, I get curious and go to check the Ellis Island website where I find the passenger list of the Republic ship from 1906 (and not from 1903 as the author says for her narrative needs).

Provenienti da  Platì e Natile, imbarcati a Napoli, sbarcano a Ellis Island:

Pasquale  Rinaldo, n. 1871, 35 anni, celibe (Platì)

Antonio   Zappia, n.1889, 17 anni, celibe (Platì)

Antonio    Callofan, n. 1882,24 anni, celibe (Natile)

Pasquale  Jermani (Jermanò), n. 1888,18 anni, celibe (Platì)

Giuseppe Perri, n. 1865, 41 anni, celibe (Platì)

Pietra (Pietro?) Stansio  (Strangio?), n. 1887, 19 anni, celibe (Natile)

Michele   Strangio, n. 1877, 29 anni, sposato (Platì)

Guiseppe (Giuseppe) Calabina (Calabria), n. 1887, 19 anni, celibe(Platì)

Rosario    Portolese , n. 1865,  41 anni, vedovo (Platì)

Coming from  Platì e Natile, embarked  in Neaples, desembark at Ellis Island:

Pasquale  Rinaldo, n. 1871, 35 yrs, single (Platì)

Antonio   Zappia, b.1889, 17 yrs, single (Platì)

Antonio    Callofan, b. 1882,24 yrs, single (Natile)

Pasquale  Jermani (Jermanò), b. 1888,18 yrs, single (Platì)

Giuseppe Perri, b. 1865, 41 yrs, single (Platì)

Pietra (Pietro?) Stansio  (Strangio?), b. 1887, 19 yrs, single (Natile)

Michele   Strangio, b. 1877, 29 yrs, married (Platì)

Guiseppe (Giuseppe) Calabina (Calabria), b. 1887, 19 yrs, single(Platì)

Rosario    Portolese , b. 1865,  41 yrs, widower (Platì)

 

 (*)


L’autrice continua con una riflessione sui passeggeri:

 

La maggior parte aveva meno di vent’anni. I passeggeri ragazzi di quella nave – e di tutte le altri navi di quegli anni – non corrispondono all’immagine che mi è stata tramandata. Alle fotografie che ho visto nelle mostre e nei musei, e che si sono impresse cosí profondamente nella mia memoria da condizionare la mia immaginazione. Figure dolenti e incomprensibili, comunque lontane, distanti. Ho negli occhi i volti tristi dei contadini, le loro mogli tristi, vestite di nero, i loro bambini tristi, ho negli occhi i loro tristi fagotti, che contengono tutto il loro niente. Forse ho negli occhi uno stereotipo. Possibile che tutti questi ragazzi senza bagaglio – S, single, nella casella relativa allo stato coniugale – siano partiti per non tornare? Scorro l’elenco interminabile di quei nomi – Saverio Ricci da Brodolone, 17 anni, Aniceto Ricco da Montefegato, 17 anni, Annibale Spasiani da Sgurgola, 16 anni, Giuseppe Vecchio da S. Coseno, 14 anni… – e comincio a pensare che per un’intera generazione di ragazzi l’America non fosse una meta né un sogno. Era un luogo favoloso e insieme familiare – dove si compiva, con il consenso degli adulti, un rito di passaggio, un rito di iniziazione. Altre generazioni ebbero il servizio militare, la guerra in trincea, le bande partigiane, la contestazione. I ragazzi nati negli ultimi decenni dell’Ottocento ebbero l’America. A quattordici, sedici, diciott’anni (qualcuno prima, qualcuno dopo), in gruppo, con i cugini, i fratelli, gli amici, dovevano compiere la traversata – morire – se volevano crescere, se volevano sopravvivere. Risorgere. Dovevano affrontare l’America come i ragazzi delle tribú australiane, di Papua e della Nuova Guinea affrontavano il mitico mostro che li inghiottiva per rivomitarli uomini. Dovevano essere pianti, essere persi, essere considerati morti. E dovevano tornare indietro. Solo una parte lo fece realmente: il protagonista di molte favole iniziatiche, viaggiando, spingendosi al di là dei confini del mondo noto finisce per trovare un regno preferibile a quello da cui è partito – e per restarvi, cominciando un’altra vita.

 

The author continues with her considerations on passengers:

“They were mostly under the age of twenty. The boy passengers of that ship - and of all the other ships of those years - do not correspond to the image that has been handed down to me; to the photographs that I have seen in exhibitions and museums, and which have impressed themselves so deeply in my memory as to influence my imagination. Painful and incomprehensible figures, however far, distant. I have in my eyes the sad faces of the peasants, their sad wives, dressed in black, their sad children, I have in my eyes their sad bundles, which contain all their nothingness. Maybe I have a stereotype in my eyes. Could it be that these guys without baggage - S, single, in the box relating to marital status - have left never to return? I scroll through the endless list of those names: Saverio Ricci from Brodolone,17, Aniceto Ricco from Montefegato, 17, Annibale Spasiani from Sgurgola,16, Giuseppe Vecchio from S. Coseno, 14 ... - and I begin to think that for an entire generation of youths America was neither a destination nor a dream. It was a fabulous and at the same time familiar place - where, with the consent of the adults, a rite of passage, an initiation rite, was performed. Other generations had military service, trench warfare, partisan bands, protest. The boys born in the last decades of the nineteenth century had America. At fourteen, sixteen, eighteen (some before, some later), in a group, with cousins, brothers, friends, they had to make the crossing - die - if they wanted to grow, if they wanted to survive. Resurrect. They had to face America as the boys of the tribes of Australia, Papua and New Guinea faced the mythical monster that swallowed them to revive them as men. They had to be mourned, to be lost, to be considered dead. And they had to go back. Only one part really did it: the protagonist of many initiatory tales, travelling, pushing himself beyond the confines of the known world, ends up finding a kingdom preferable to the one he started from - and staying there, starting another life.”

 

Mazzucco, Melania G. Vita (Super ET Vol. 1640) (Italian Edition) (pp.147-148). EINAUDI. Edizione del Kindle.

(*) La Republic naviga ora nel wb.
Il testo appena letto richiama da sé il titolo iniziale e il brano che segue:

lunedì 27 settembre 2021

La vita risorge - Natile, gli Oliva & Platì

La Storia di Natile Nuovo scritta dal Prof. Pino Pipicella, da oggi storico ufficiale di Natile tra Vecchio e Nuovo, è un testo venuto fuori dal cuore di quei luoghi. I fatti descritti sono stati vissuti in prima persona poiché Pino Pipicella è stato primo cittadino del Comune di Careri tra il 1993 ed il 2001, per due mandati consecutivi. Dal testo vengono fuori le intime e datate connessioni con Platì.

Natile è stato annesso al Comune di Platì per Decreto di Ferdinando II il 13 marzo 1831(1) e tale rimase fino al 1836 quando fu trasferito al Comune di Careri. Aldilà dell’appartenenza ai Comuni, tra Natile e Platì sono sempre esistiti legami di sangue con arricchimento di DNA per i due territori. Legami ed arricchimenti (natilotu era anche un alias) che ancora oggi continuano ad esistere. Per verità storica bisogna aggiungere l’assoggettamento dei territori di Natile alla potente famiglia platiese degli Oliva. Questa servitù è antecedente al Decreto Ferdinandeo e risale ad un periodo tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XIX quando Domenico Oliva suddivise i beni tra i figli avuti da Saveria Rechichi: Michele, Stefano e Arcangelo. Ad Arcangelo andarono i terreni intorno al Molino Nuovo mentre a Michele spettarono quelli intorno all’abitato di Natile Vecchio. Erede di questi ultimi divenne Michele Vincenzo, avvocato, che nel 1885 sposò Elisabetta Furore. Dal matrimonio nacquero quattro figlie, fra cui Maria Girolama, nota come a cavalera(2)  e Maria Carmela Francesca che ereditò i terreni di Natile Vecchio. Amministratore dei terreni divenne il suo sposo dottor Giuseppe Galatti fino agli anni 50 del secolo scorso.

I terreni Galatti-Oliva non subirono i forti dolori che toccarono ai beni di Filippo ed Arcangelo sul finire del 1800 quando alla morte di Francesco erede di Arcangelo divenne unico possessore il giovane Filippo di Filippo e della contessina Luisa Ricciardi, vissuto sempre a Napoli, poco avvezzo agli affari. Arrivato a Platì il conte Filippo fu da subito vittima di raggiri, e per citare l’avvocato Alberto Mercurio: adescato dalle lusinghe di certi avidi vampiri, che in breve tempo riuscirono a dilapidare quello che doveva essere inesauribile patrimonio. Di tali raggiri il Mercurio accusò la famiglia Zappia in vari procedimenti giudiziari.(3)

Parte di tale patrimonio nel territorio del comune di Careri che interessava il circondario di Natile fu acquisito dal dottor Filippo Zappia e di conseguenza dai suoi eredi che si suddivisero il Molino Nuovo e l’Angelica. Di tutto l’Impero Oliva oggi rimangono solo documenti e ruderi che ne descrivono la capillare decadenza ed estinzione. 

(1) https://iloveplati.blogspot.com/2019/02/la-piu-bella-del-reame-di-cesare.html
(2)  https://ilpaesediplati.blogspot.com/2020/05/girolama-oliva-cavalera.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2021/01/rocambole-di-giuseppe-zaccaria-1919.html
 

Edizione a cura di Rosalba Perri

Nell'immagine d'apertura un ritratto di Francesco Oliva di Arcangelo e Rosa Romeo (1817 - 1898) conservato dagli eredi.

sabato 25 settembre 2021

La vita risorge [di Victor Vicas - 1955]

La nascita di Natile Nuovo

Una storia del Prof. Pino Pipicella  (*)


''E' una civiltà che scompare, e su di essa non c'è da
piangere ma bisogna trarre da chi ci è nato
il maggior numero di memorie '' C. Alvaro

 

L' alluvione del 18 ottobre 1951 provocò nella vallata della fiumara Careri, tra Natile e Platì, circa 30 morti. L'eco della tragedia richiamò l'attenzione del governo Nazionale, guidato da Alcide De Gasperi.

Quando si diffuse la notizia che il Presidente del Consiglio dei Ministri si sarebbe recato a Platì, nella minuscola comunità natilese, sconvolta dal lutto generale provocato da 10 morti, si formò un comitato spontaneo con l'obiettivo di far conoscere al governo anche la situazione in cui si trovava l'abitato di Natile, sovrastato da una frana.

Il giorno programmato per la visita di De Gasperi a Platì, di buon mattino, un drappello di persone, formato prevalentemente da donne e bambini delle scuole elementari, guidato dal cav. Giovanni Napoli ed accompagnato dal segretario della sezione degli ex combattenti, raggiunse la SS 112 proveniente da Careri.

In attesa del transito del corteo presidenziale, i convenuti si disposero ai bordi della strada con in testa i bambini, (di cui facevo parte anch' io); lo spazio occupato era quello compreso tra la casa cantoniera e la fontana Angelica.

Il corteo era preceduto da motociclisti che si attivarono ad avvertirci di non ostacolare il transito, ma appena arrivata l'autovettura del Presidente, il portabandiera, agitando il tricolore, si accostò alla vettura che si fermò per far scendere l'illustre Statista

Una mamma, ''Brandina'', prese la parola:” L’alluvione ci portò via tutto. I dieci morti hanno provocato un lutto profondo in tutti noi. La frana che sovrasta l'abitato ci schiaccerà come sorci nella tana, dimenticati da Dio e dagli uomini.”

Questi concetti espressi con lessico approssimativo, ma con fervore appassionato e con le guance solcate dalle lacrime, colpirono profondamente il Presidente. Questi, con gesto confortevole, si rivolse prima alla donna che era intervenuta e poi a tutti i presenti con queste parole: “Da oggi non sarete più soli. Mi ricorderò di voi e il governo si farà carico dei vostri problemi.”

Le forze dell'ordine trassero un sospiro di sollievo e il corteo proseguì per Platì.

Il Presidente effettivamente non si dimenticò di Natile e dei suoi problemi.

In tempi brevi giunsero funzionari ministeriali che, assieme a quelli provinciali, effettuarono i sopralluoghi che si conclusero con il giudizio di totale trasferimento dell'abitato.

Superata questa fase, con l'emissione del relativo decreto ministeriale, ancora vigente, bisognava indicare l'area dove far sorgere il nuovo abitato.

A tal proposito c'era chi proponeva una zona vicinissima al vecchio abitato e chi preferiva una zona più ampia al di là della fiumara. Tale divisione perdurò per molti anni, tanto che quelli che si trasferivano nel nuovo centro abitato venivano definiti ''Cantuneroti'' da chi avrebbe preferito restare a Natile Vecchio.

La prima proposta era sostenuta dai cosiddetti 'Gnuri', la seconda era caldeggiata dal Cav. Napoli. Passò la seconda, anche per l'astuzia del Cav. Napoli, che presentò come Parroco di Natile il sacerdote don Antonio Sculli, allora docente presso il Seminario di Gerace, favorevole al trasferimento del paese e non don Filippo Ietto, che apparteneva alla famiglia 'Gnuri' invece contrario.

Quindi l'area indicata fu contrada Angelica nel comune di Careri lungo la SS122, esattamente dove c' era stato l'incontro con il Presidente. Proprietaria dell'aria da urbanizzare era la famiglia Zappia-Principato di Platì che possedeva una chiesetta patronale a cui era molto legata donna Chiara Principato, prodigale benefattrice. Forse non a caso la titolare della parrocchia di Natile Nuovo è S. Chiara Vergine.

I lavori per la preparazione del piano regolatore richiesero l'utilizzo della manodopera locale, pastori e i contadini diventarono manovali e muratori

La seconda fase si sviluppò con la realizzazione della chiesa, della sede municipale e degli alloggi di pronto soccorso.

Ma per procedere all' assegnazione degli stessi si presentò in tutta evidenza il problema della burocrazia e della legalità.

Anche in questo caso essenziale fu il contributo del Cav. Napoli, il quale, essendo impiegato comunale e conoscendo la situazione di ogni cittadino di Natile, riuscì a far coincidere situazioni di fatto e di diritto.

Ultimati gli alloggi popolari si passò all' assegnazione, per sorteggio, del terreno sui cui costruire l'abitazione distrutta a Natile Vecchio con i fondi dello Stato.

Un discreto numero di cittadini ottenne l'assegnazione ma non ricevette mai il contributo statale per la ricostruzione: probabilmente a causa della generosità del reperimento degli aventi diritto.

Per qualche anno ancora le ditte che si erano aggiudicati gli appalti garantirono il lavoro per alcuni cittadini, mentre gli altri presero la via dell'emigrazione prima per Milano e Torino e successivamente per la Francia e la Germania.

Intanto a Natile Vecchio continuarono a vivere non solo le famiglie che non avevano ottenuto il contributo, ma anche coloro che cedettero l'abitazione realizzata a Natile Nuovo ai propri figli appena sposati. I terreni agricoli che appartenevano all' 80 % al latifondista Galatti, fin da quando Natile e Platì costituivano un unico Comune, furono frazionati e acquistati dai natilesi che cercarono ulteriori spazi estendendosi oltre il comune di Careri, Benestare ed Ardore.

Alla luce di questa situazione l'Amministrazione Comunale di Careri ''1997-2001'' , approssimandosi il cinquantesimo anniversario del tragico evento alluvionale, decise di ricordare il sacrificio dei dieci morti dedicando un monumento ai caduti dell' alluvione .

Nello stesso tempo conferiva al prof Antonino Ietto, ordinario di geologia presso l'Università della Calabria, l'incarico di ''studio geologico e tematiche affini per quanto occorrente ad una redazione di PRG, con particolare interesse alla verifica di una conferma o meno al trasferimento del nucleo urbano di Natile Vecchio'' .

Tale studio geologico è stato consegnato al comune di Careri in data 10/11/2002.

Da questa data si sono susseguite tre Amministrazioni comunali e due Commissariamenti a seguito dello scioglimento per mafia.

Ma nessuno ha dato seguito alle sagge indicazioni dell'illustre geologo in merito alle emergenze relative ai tre centri abitati del Comune.

Tanto meno è stato tenuto in considerazione il parere favorevole ad un decreto di consolidamento del prof. Ietto in sostituzione del decreto del 1951 che aveva determinato il totale trasferimento per l'abitato di Natile Vecchio.

Edizione a cura di Rosalba Perri

  (*) https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-vita-risorge-natile-gli-oliva-plati.html


sabato 5 giugno 2021

Una visita [di François Truffaut - 1954]




Accompagnata dai miei due “Virgilii” Mimmo Catanzariti e Mimmo Criaco, ho visitato alcune case di Africo Nuovo per fare delle interviste. Ho così conosciuto delle persone squisite: Andrea Stilo, classe 1932, e sua moglie Giovanna Criaco, classe 1936; Antonia Leggio, classe 1939; Gian Battista Strati, classe 1946 e infine Costantino Criaco, professore di matematica, che ha insegnato anche a Platì, appassionato poeta e storico del proprio paese. Abbiamo conversato e ascoltato il professore per più di un’ora durante la quale ci ha mostrato anche i tre libri che ha scritto sulla storia antica e recente del paese:

“Africo - Storia e tradizioni, leggenda e fantasia, per amore e cortesia, di Africo terra mia”, storia in versi.

“Africo: terra mia”, storia del paese.

“Africo: terra mia. Parte Seconda” con racconti, storia e ricordi.

Con mia grande sorpresa, ha voluto omaggiarmi dei tre volumi che ho scorso velocemente e che leggerò con grande interesse. La storia di Africo che certamente risale al neolitico, visti alcuni interessanti reperti ritrovati dopo l’alluvione del 1972 fra cui un rosone di pietra, si ferma, almeno nel suo sito originale, nel 1951 a seguito dell’alluvione.

Testo Rosalba Perri

Le foto di apertura e quella di Africo Vecchia appartengono a Costantino Criaco e sono incluse nei testi citati.

En Regalia le pesche di Frank Zappa

domenica 23 maggio 2021

Il ritorno [di Andrey Zvyagintsev - 2003]



Roma, 16 maggio 2021
Gentile Signora Rosalba
Ho ricevuto con molto piacere “I love Platì” ed anzitutto la ringrazio per l’attenzione che ha voluto riservarmi. Avrei voluto scriverle già da qualche giorno, ma avendo cominciato a leggerlo ho preferito prima finire la lettura.
Così sono andato col pensiero a circa 70/80 anni fa ritrovando circostanze, persone e luoghi della mia fanciullezza, con particolare riguardo a Pasqualino, amico carissimo dell’infanzia.
Alcune cose mi hanno coinvolto maggiormente: lo sforzo, talvolta fallito, di comprendere il dialetto di lettere e poesie, la bella protesta di Pasqualino ad alcuni importanti giornali ed il rivivere alcune vicende che, sia pure marginalmente, mi hanno, a suo tempo, interessato.
Una riguarda la famiglia Tassone. Io ho partecipato ai funerali di Don Giacomino che era gerarca fascista, come si diceva allora, ed ha avuto un funerale con tutto il rituale che allora si usava. Ero un “figlio della lupa” ed ho partecipato in divisa, naturalmente inserito nelle organizzazioni tipiche del regime.* Lo ricordo come una faticaccia ed una grande sudata. Ricordo, ancora, che da indizi e mezze parole dei grandi da me percepiti, avevo intuito, negli anni seguenti, che Giulia era sua figlia. Lei era alunna di mia madre, maestra a Platì, assieme ad un gruppetto di belle ragazze (Lisetta Zappia poi sposata con l’avvocato Murdaca di Locri, Lisetta Fera, Mariolina Galatti, una cugina di Pasqualino di cognome Miceli ed altre). Erano tutte molto affezionate a mia madre ed essendo io nato proprio quando loro avevano cominciato la scuola, appunto con lei, mi hanno per anni riempito di attenzioni e carezze.
I discorsi sottovoce si riferivano anche all’altra figlia, Peppinuzza. Si era sposata, in modo imprevisto, mi pare di ricordare, con un “ustascia” croato, scappato dal suo paese per motivi politici, accolto in Italia dal partito fratello (P.N.F.) ed inviato a Platì. Dopo l’inizio della guerra quando noi avevamo occupato la Jugoslavia, gli “ustascia” avevano preso il potere in Croazia e lui era rientrato, portandosi dietro la famiglia, e doveva essere diventato un personaggio importante.  Mi pare che Peppinuzza avesse mandato delle foto della villa dove vivevano e, a Platì, molto si diceva dell’aspetto sontuoso di questa dimora.
Poi le cose sono tracollate, lui è stato ucciso e non credo dai nazisti – ustascia e nazisti erano alleati – ma nella spietata guerra civile che là imperversava in contemporanea alla guerra mondiale.
Ho auto modo di parlare di loro anche uno o due anni fa. Io faccio il volontario presso una parrocchia romana e mi occupo di assistenza ai bisognosi. In tale veste ho conosciuto un giovane frate cappuccino croato che studia in una delle tante università ecclesiastiche romane. A Roma questi studenti sono molti e sono mandati a fare pratica ed a dare una mano nelle parrocchie locali. Così ci siamo conosciuti ed io gli ho raccontato di quel tale ustascia venuto al mio paese tanti anni fa. Lui fu molto interessato e voleva saperne il cognome. Purtroppo io non lo ricordavo e neppure mia sorella a cui lo avevo chiesto per telefono-
Ho rivisto con piacere anche la foto di Peppino Gliozzi, divenuto mio cugino per il matrimonio con Annina, figlia del fratello di mio padre di cui Peppino era, pure, molto amico nonostante la bella differenza di età.
Ricordo anche con piacere don Ernesto, anche se mi è più presente don Ciccillo che, a suo tempo, era noto a Platì per la grande velocità con cui diceva messa.
Insomma, son tornato un po’ “pratioto”, dopo essere stato un po’ ramingo perché, dai 10 anni in poi, ho vissuto a Locri, Bovalino, Reggio, Modena, Torino, Palermo, Bolzano, Trento e poi, da tempo, a Roma.
La ringrazio ancora dell’opportunità che mi ha fornito, mi complimento per gli appropriati versi di Giorgio Caproni che ha trascritto sul libro e le accludo, di seguito, un elenco di curiosità che mi rimangono. Non si senta in alcun modo obbligata. Se può, se ne ha il tempo e quando ne ha, mi dia qualche informazione. Trasmetta i miei saluti, se ne ha occasione, anche a zie e zii paterni.
Con un vivissimo ringraziamento finale. Le invio un cordiale Abbraccio
Carlo Zappia.


*Lo stesso ricordo è già stato riportato  da  Carlo Zappia di Pasquale e Caterina Lentini, meglio conosciuto come Carletto - primo cugino e più avanti con gli anni e lo potete confrontare qui:

Nella foto di apertura Carlo e Isabella Zappia di Giuseppe e Luly Carmelina
a seguire una manifestazione di Balilla sul finire degli anni '20 a Platì.Le foto appartengono a Isabella Zappia che le ha gentilmente messe a disposizione.
Andrey Zvyagintsev il regista del titolo di oggi è un direttore russo, Tarkovskiano più dello stesso Andrej Tarkovkij.





 


lunedì 1 febbraio 2021

La prova del fuoco [di John Huston - 1951]



Quando passa trionfante il carro falcato della MORTE, i nostri cuori tremano, le nostre fronti s'incurvano.
Lacrime e gemiti accompagnano il rombo del carro funesto che s'invola dietro la soglia misteriosa d’un camposanto dove l’Angelo della Fede conforta i superstiti con la dolce musica della speranza. Perché si piange, perché si geme quando una creatura chiude gli occhi al sole per riaprirli alla luce eterna di DIO?
Si piange e si geme perché la nostre debole natura è così fatta: sgorga irresistibile il sangue da una ferita corporale, sgorgano irrefrenabili le lacrime da una ferita ideale.
Ma, l'anima nostra deve rimanere ferma e serena nella sublime certezza che il trapasso non rappresenti la fine ma solo il principio dell'immortalità.
Signori,
noi siamo qui per onorare un uomo prematuramente scomparso che condusse la sua non lunga esistenza nel sacro tempio della famiglia, lavorando tenacemente amando fedelmente soffrendo crudelmente ma confortato da quella pacata rassegnazione che sorregge i credenti e che deriva dalla profonda convinzione che la vita terrena altro non sia che un periodo di prova per meritarsi una vita migliore e imperitura.
E questa prova, che per tutti è dura, per Francesco Miceli fu durissima.
Due stelle accompagnarono sempre senza mai velarsi i 64 anni del suo terrestre pellegrinaggio: la stella del dolore, la stella del dovere!
Dolore
Quando ancora è bambino, scoppia sul suo capo la folgore della sventura, perché gli occhi di sua madre si chiudono, perché il cuore di sua madre si spegne e il piccolo resta nel buio nel freddo - solo - all' inizio di une strada che sarà un calvario!
Le necessità dell'esistenza costringono il padre e sposare un'altra donna, la carezza della matrigna acuisce nel cuore dell’orfano il tormento della mamma perduta. Perché se ogni altro vuoto può colmarsi, il vuoto che lascia una madre è un abisso che nessuno immensità potrebbe riempire.
Quando e appena adolescente, in una notte di terrore, sopra uno sfondo di tenebre impenetrabili, tra gli urli di una moltitudine impotente, la sua casa arde come una fornace.
Un essere umano è sottratto a quel rogo crepitante.
II povero corpo affumicato e nero vien deposto all'aperto sulla piazza ...
Ma l'aria fresca, ma l’aria pura della notte non trovano più la via …

Nota di Rosalba
Francesco Miceli nacque il 4 giugno 1873 da Giuseppantonio Miceli (classe 1827) e Rosa (Mariangela) Zappia (classe 1847).
Era il terzo dei 4 figli della coppia ed unico a sopravvivere. La madre morì a trent'anni ed il padre si risposò con Marianna Pangallo da cui ebbe 3 figlie: Rosa, Anna (deceduta a 1 mese) e Francesca. Rosa sarebbe diventata monaca di casa e "santona", Francesca sposò un Trimboli (perlinu).
Giuseppantonio, che nei documenti ufficiali risulta come sartore, morì tragicamente cercando di spegnere l'incendio (doloso?) che stava distruggendo il suo allevamento di bachi da seta.
Francesco si sposò una prima volta nel 1895 con Maria Treccasi da cui ebbe un figlio, Giuseppe, detto "u Tonga". Rimasto vedovo, sposò in seconde nozze Giuseppa Caruso (vedi https://iloveplati.blogspot.com/2020/12/the-grandmother-di-david-lynch-1970.html) da cui ebbe 9 figli. 
Di mestiere era macellaio e abitava in via San Pasquale sopra il proprio negozio. Lo chiamavano "u sordateju".
Sviluppò una malattia, la gotta, che gli impediva di camminare e di fare le scale. Era la moglie a portarlo sulle spalle giù fino alla bottega di cui si occupavano i figli Antonino e Domenico. Morì nel 1937.

Il testo pubblicato in apertura è stato concesso gentilmente da Pina Miceli figlia di Nino e Maria Strangio. Di padre in figlia è attribuito a don Giacomo Tassoni Oliva, ma ad un’attenta lettura - sebbene dattiloscritto e tronco - equiparandolo ad altri dello stesso genere e tenore, il testo potrebbe essere legittimamente ricondotto ad Ernesto Gliozzi il vecchio.
Conviene ricordare ancora una volta, al di là delle attribuzioni autoriali, la vivacità intellettuale che attraversava il paese in quel periodo storico che va dai primi del secolo all’inizio del secondo conflitto mondiale.


Francesco Miceli di recente è apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2020/12/the-grandmother-di-david-lynch-1970.html

Nella foto: alla vostra sinistra sul davanti Cata, Francesco Miceli, Cristina e Pasqualino; alle loro spalle Peppina Caruso e Maria.

lunedì 28 dicembre 2020

La educación prohibida [di German Doin - 2012]

Para aprender, compartir y accionar colectivamente.



Con la pubblicazione del racconto inedito Nonna Peppina, termina il tributo per il ventennale della scomparsa di Pasqualino Perri, educatore e scrittore platiese. A convalidare il tributo giunge inaspettata la scoperta di un documentario argentino, La educacion proibita, che molto ha in comune con il suo premiato studio Scuola e Mezzogiorno. Quasi tutte le tesi affrontate da Pasqualino Perri in quel libro rivivono per immagini nel documentario sebbene da una prospettiva ispanoamericana e di cui si riportano alcuni frammenti.

Se stai cercando risultati diversi, non fare sempre la stessa cosa. Albert Einstein

Il nostro problema nel comprendere la scuola dell'obbligo nasce da un fatto inopportuno: il danno che fa da una prospettiva umana, è una risorsa dal punto di vista del sistema. John Taylor Gatto

Non seguire me, segui i bambini. Maria Montessori

Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e ricrearle. Paulo Freire

Pasqualino Perri continua e continuerà ad essere misconosciuto dalla comunità in cui è nato, dalla regione che ha amato e dalla stessa Scuola per cui ha vissuto. E l’orizzonte non è roseo né per la Scuola dell’obbligo, né per gli insegnanti, nè per gli allievi, dalle primarie alla scuola secondaria di secondo grado.




martedì 22 dicembre 2020

The Grandmother [di David Lynch -1970] a short story in streaming

Le verità contenute in Nonna Peppina sono due: quella relativa al paese di Palì (Platì) e quella che riguarda personalmente Palì (Pasqualino Perri). Pino Perri 


 NONNA PEPPINA

racconto inedito di Pasqualino Perri

Era sabato e in casa c’era aria di festa: sveglia antelucana, odori di sapone, talco, ferro da stiro, e lucido di scarpe; seguivano al via vai, il «fai presto che debbo entrare io», lo «sbrigati altrimenti fai tardi», il «dove sono le mie scarpe».
Palì era triste perché quella festa non gli apparteneva. Il giorno prima aveva pianto perché gli era stato detto che non poteva partecipare alla sfilata. – Solo i grandi! Tu sei troppo piccolo; quando sarai figlio della lupa…
Sulla piazza, gli altoparlanti gracchiavano già inni e canti. Cata, Giusa, Rosi, vestiti di bianco e nero, erano sulla strada quando arrivò nonna Peppina.
Le andò incontro:
         - Nonna, voglio stare con te!
         Con il suo viso sempre sorridente, lo prese in braccio: - Andiamo sulla terrazza. La sfilata stava per cominciare: bandiere nere, tamburi, gagliardetti, cappelli luccicanti, fucili, baionette.
         - Sembrano i morti della notte del primo venerdì di novembre, solo che i beati morti sono più seri dei vivi!
         Quella frase lo incuriosì a tal punto che subito le chiese il significato. Non rispose, come del resto era il suo solito. Ritornò alla carica. Solo dopo una settimana soddisfece la sua curiosità:
         - Il primo venerdì di ogni novembre, a mezzanotte, tutti i morti del nostro cimitero escono in processione per il paese e, alle due, dopo aver percorso tutte le strade s’incontrano al centro della piazza, formano una gran croce per poi scomparire. Ognuno può affacciarsi alla propria finestra e rivedere, per qualche minuto, i suoi cari. È così che rivedo, ogni anno, mio marito, mio figlio, i miei genitori e tutti coloro che ora sono nel regno verità. Non si può parlare con loro perché non vedono e non sentono. Qualche lacrima scorreva sui solchi del suo viso.
         - Perché non mi fai vedere nonno e zio? Io di loro non ho paura.
         Questa volta gli rispose senza esitazione:
         - Solo i vecchi possono vederli, i bambini e i giovani, anche se si affacciano al balcone, non possono vederli; quando sarai vecchio li vedrai.
         In quel momento Palì avrebbe dato chissà che cosa per diventare vecchio.
         Lei continuò:
         - L’incontro con i morti mi dà la possibilità di ricordare tutto il mio passato è farlo rivivere in me come presente.
         Non capiva il significato di quest’ultima frase e le chiedeva spiegazioni, ma lei:
         - Quando sarai vecchio, capirai, capirai, capirai! Ora pensa ad andare a “maistra” da donna Bice.
         Fu così che Palì venne a sapere che, dopo tante raccomandazioni di persone importanti (parroco, levatrice, medico e sacrestano), donna Bice lo accettava tra i suoi discepoli.
         Donna Bice “teneva” l’unico “asilo” del paese, frequentato dai figli delle famiglie che contavano. Andare da donna Bice era privilegio di pochi e, perciò, prestigio sociale.
         Il suo metodo era semplice: la calza, per maschi e femmine, fiabe e favole popolari, preghiere, catechismo; dentro una stanzetta, quattro per quattro, circa trenta bambini.
L’aria, in estate e in inverno, “profumava” di odori umani, di olio d’oliva, aglio e cipolla, pecorino, frittata, soppressata. I cestini, con le loro forme e i loro contenuti “graduavano” la realtà sociale dei frequentanti. I più “ordinati” venivano sempre additati come esempio e, diventavano, di conseguenza, antipatici agli altri.
         Chi non andava a “maistra” da donna Bice trascorreva le sue giornate, d’estate e d’inverno, nelle strade e le “rughe” pullulavano di piedi scalzi e di piccoli visi neri o bianchi, a seconda della zona del paese.
         All’ “Ariella”, la parte alta aggrappata alla roccia che difende il paese dall’impeto del torrente, tutti biondi e con occhi celesti; nella parte bassa, “la Figureja”, bruni, levantini, con marcati tratti greci, arabi, albanesi, saraceni.
         Due mondi distinti. Due realtà storiche che testimoniano le vicende umane di un passato/presente costrette a vivere la storia sempre come oggetto.
         I loro giochi preferiti: birilli, trottola, cerchio, quattro cantoni, fionda e… la guerra continua tra le due zone. Guai a chi si permetteva di oltrepassare i confini.
         Spesso i “capi” organizzavano progetti d’invasione dopo profondi studi. Ogni tentativo diventava una vera e propria guerra. Dalla guerra-gioco a quella sociale: i matrimoni tra le due zone erano una rarità che veniva additata come qualcosa di profano, come scandalo davanti agli uomini e davanti a Dio.
         La Pasqua, quell’anno, cadeva l’ultimo giorno di marzo.
         Nonna Peppina lo portò a visitare i Santi-Sepolcri, alla processione del Venerdì Santo e al Calvario: quel monte alto come un gigante, che nasconde il paese alla vista dei forestieri e chiude gli orizzonti marini ai suoi abitanti. Destava sempre un senso di mistero: d’inverno, le tre grandi croci si piegavano al vento, d’estate, si stampavano sul cielo azzurro.
         Palì, finalmente, andava al Calvario e non avvertiva la fatica, perché non solo era la sua prima giornata trascorsa interamente con la nonna, ma aveva conosciuto, tutto il paese.
         - Sei stanco? Disse nonna Peppina. – Ti prendo in braccio. – No! – Sei contento? Ti piace la processione al Calvario? Quando arriveremo in cima potrai vedere il paese dall’alto e saprai perché i briganti l’hanno costruito in questa valle. Per noi di Panduri il vostro paese è la terra dei briganti, maledetta da un vescovo.
         - Dov’è Panduri?
         - Al di là del Calvario. Da Panduri si vede il punto dove si uniscono il cielo e il mare. Qualche giorno ti porterò con me e da casa mia potrai guardare lontano lontano e vedere tutti i paesi della marina. Quando sarai grande, anche tu prenderai la corriera: uscirai da questa valle maledetta e conoscerai tanti posti belli e tante città. Ma prima devi imparare a leggere e a scrivere, perché tutti quelli che sanno leggere e scrivere possono andare in giro senza la paura di perdersi; in settimana andrai da donna Bice, dopo, a scuola, andrai a Roma.
         Il sole, il cielo, gli alberi, le rondini, i giochi dei bambini, il fruscio della pialla, il tintinnio del martello sull’incudine, il canto romantico del barbiere, l’odore degli eucalipti e delle acacie, i passi svelti delle donne vestite di nero, il campanello delle mandrie di pecore e di capre, l’odore del pesce stocco, il dondolio dei carri, i richiami delle mamme, gli sguardi diffidenti dei vecchi, il ritmo dei telai, i panni stesi ai balconi come bandiera, la lenta melodia dell’armonica a bocca del vecchio garibaldino cieco, le bestemmie di Rocco il calzolaio, il parlare ieratico dei vecchi massari, il rumore della fiumara. Mattina d’aprile.
         Fu sua sorella Cata che ebbe l’onore, quella mattina, di accompagnarlo, dopo che suo padre lo passò in rassegna dalla testa ai piedi, facendogli le ultime raccomandazioni.
Palì si sentiva al centro dell’universo ed era felice non perché, finalmente, poteva uscire di casa ogni giorno o perché poteva vantarsi, con gli altri, di “andare” da donna Bice.
         Avvertiva, forse, dentro di sé, che iniziava a percorrere il lungo viale che lo avrebbe portato alla vecchiaia, al tempo in cui avrebbe potuto vedere, il primo venerdì di novembre, a mezzanotte, la processione dei morti.



Nota a cura di Rosalba:
Il giorno 31 maggio 1883, Giuseppe Caruso, mugnaio, registrò la nascita della sua seconda figlia, Giuseppa Caruso nata da sua moglie, Maria Strangio, nella loro casa di via Pandore a Careri. I legami di Giuseppe con Platì erano forti: lui vi era cresciuto anche se nato a Sant’Eufemia, a Platì vivevano i suoi genitori Antonino e Caterina Marafioti insieme alle due sorelle. Infatti, Giuseppa fu battezzata a Platì, ma visse a Careri fino al matrimonio con Francesco Miceli il 13 dicembre 1906. Francesco, di Platì, aveva dieci anni più di lei, era vedovo ed aveva un figlio. Francesco era macellaio e abitava in via San Pasquale. Giuseppa, detta Peppina, visse in quella casa fino alla sua morte avvenuta il 16 ottobre del 1977, quando mancavano due mesi al suo 95o compleanno. Dal 1907 al 1929 Peppina generò nove figli: Rosa (1907), Antonino (1909), Maria (1911), Domenico (1914), Cristina (1916), Cristina (1918), Luigi (1921), Pasquale (1924), Caterina (1929). Perse tre dei figli: la prima Cristina di Spagnola, Luigi a seguito delle bruciature causate dalla calce viva in cui era entrato a recuperare un giocattolo, e la seconda Cristina tragicamente scomparsa nel 1970 a seguito di un incidente stradale. Rimase vedova nel 1937. Quasi novantenne viaggiò da sola per andare a trovare la figlia Maria a Massena (NY). Quando morì aveva 24 nipoti e quindici pronipoti.

La foto è del giorno della sua partenza per gli Stati Uniti scattata all'aeroporto. Con lei sono la prima figlia, Rosa, e l'ultima, Caterina (Cata). 
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And the bells are ringing out
For Christmas day
Shane MacGowan/Jem Finer

In streaming - va di moda - è l'unico modo per trascorrere con voi questo Natale e ve lo offrono Rosalba, Pino e Gino.

E' anche il primo Natale senza il Maestro. In quello che segue chi ha l'orecchio sensibile può scorgervi qualcosa di lui.