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sabato 26 aprile 2025

La forma dell'acqua [Guillermo del Toro, 2017]

IN CALABRIA È TORNATA LA PIOGGIA
La tragica sorte di Platì
un paese destinato a sparire
E come Platì, spariranno sotto le frane Mammola, Caulonia, Grotteria, Africo e anche S. Caterina d’Aspromonte se non si iniziano lavori di grande portata. 

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE

 REGGIO CALABRIA, 7

  Per farsi un’idea dei disastri che l’alluvione ha provocato in Calabria, bisogna andare a Platì.
  Non è facile raggiungere, Platì un piccolo presepio di seimila anime a trecento metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma è interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona enormi, poi perché a Platì, come in tutti questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estatica contemplazione degli avvenimenti i quali si seguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli.
  Andiamo dunque a Platì. Il treno ci porta sino a Bianconovo. Da Bianconovo a Bovalino – 9 chilometri – la linea è interrotta per il crollo del ponte.
  Nei primi giorni si trovavano pronti a Bianconovo dei camion e dei calessini che si incaricavano di eseguire il trasbordo, non avendo le ferrovie dello Stato provveduto ad istituire un qualsiasi mezzo che raccogliesse i viaggiatori; ma da qualche giorno un povero diavolo, più per bisogno di fare qualche soldino che per amor del prossimo, ha tirato fuori da chissà mai quale deposito di cose fuori in uso, un vecchio arnese che un tempo doveva esser stata una corriera. Del resto date le condizioni della strada che bisognava percorrere essa è ancora in buono stato.
            Spettacolo desolante
  La corriera ansima, traballa e pare che voglia rovesciarsi ad ogni scossa. Ai lati lo spettacolo comincia a diventare desolato: le campagne sono ridotte ad un letto di torrente e, in qualche punto, il rilevato stradale è stato asportato dalle impetuosità delle acque. Il Genio Civile ha provveduto a costruire due passerelle ma esse non sostengono più di tre tonnellate per cui per rendere più variato il viaggio, bisogna scendere dalla corriera due volte e fare, per due volte, qualche centinaio di metri a piedi, cercando di evitare i materiali di risulta ed il fango che vi giunge sino alle caviglie.
  Giunti a Bovalino i viaggiatori che debbono proseguire per Taranto trovano, quando Dio vuole, un treno; ma per Platì che è nell’interno non c’è altro mezzo che scegliere che l’automobile. Ed anche qui bisogna raccomandarsi a Dio e all’autista perché la strada è spesso interrotta da frane ed i monti che la fiancheggiano hanno tutta l’aria di voler, da un momento all’altro, giocare un brutto scherzo, che potrebbe essere per esempio quello di lasciarvi cadere sulla testa dei grossi sassi che sembrano a stento sostenuti dalla roccia.
  A Platì troviamo, come accade in tutti i disastri qualcuno che è sempre pronto a fare da guida e ad enunziare le distruzioni.
  Più che il dolore in questa gente ciò che colpisce è la prostrazione. Platì ha il triste primato dei morti: 15 su 85 che si sono avuti in provincia. La nostra guida ci mostra il torrente che ha operato tanti danni: un filo di acqua che scorre ribollendo tra il fango e le pietre. La gente di Platì si chiede come sia stato possibile ad un torrente così magro e di solito tanto tranquillo di infuriarsi in quel modo: eppure è un fenomeno naturale di questi torrentelli a breve corsi in pendio rapidissimo.
  Essi si impennano in un baleno e già dalle sorgenti prima di defluire a valle acquistano una violenza spaventosa così da riversare milioni di metri cubi di acqua nell’alveo che poco prima era asciutto o percorso da un rigagnolo.
  In tal modo si spiega come in queste alluvioni vi sono stati dei contadini che, mentre attraversavano col somarello il torrente ancora asciutto, investiti dalla furia delle acque non hanno fatto in tempo a salvarsi e sono annegati: perché data la tortuosità di questi torrenti e la rapidità con la quale si sono ingrossati, quei contadini hanno avuto sentore della piena quando essa era già vicinissima, come se d’improvviso si fossero spalancate due paratie e, nel loro varco fosse apparso l’enorme mostro delle acque che si avviava verso il mare. Qui usano chiamarla le «teste del torrente» ed esse sono caratteristiche dei fiumi del torrente.
          Case nel fango
  Se ci guardiamo intorno vediamo il paese o la parte del paese che è rimasta in piedi non sono che povere cose che stringono il cuore, e interamente circondate dal fango: il fango subito dopo l’alluvione era così alto che non permetteva di entrare nelle case.
  Ora nel paese il fango è stato in gran parte rimosso ma dove erano i seminati nessuno ha pensato di toglierlo. Sarebbe una pazzia il tentarlo; il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla; anche una piccola centrale elettrica che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio.
  Tra qualche ora mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita.
  Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il Cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si è ritirata si sono visti – o spettacolo pieno di orrore – tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva; e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Oggi la pietà dei rimasti ha tentato di ricomporre le loro povere ossa nei loro avelli.
  E questa è la tragica sorte di Platì un povero paese che come Mammola, come Caulonia, come Grotteria, come Africo, è destinato a sparire dalla faccia della terra   perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte: ed è la sorte di S. Caterina d’Aspromonte che, oltre ad avere perduto l’acquedotto, ha avuto quasi tutte le case distrutte ed è sotto l’incubo di due frane che minacciano l’abitato: la sorte di Condofuri anch’essa in pericolo per una frana: la sorte di tante piccole frazioni dove, se ricomincerà a piovere, comincerà a farsi sentire il pericolo dei torrenti in piena. È una situazione che di giorno in giorno appare più angosciosa e allarmante.
 Da Roma giungono notizie sul fervore col quale si formulano progetti e disegni di legge, decisioni e programmi; ma i calabresi alzano le spalle. È un pessimismo indubbiamente non giustificato o per lo meno prematuro. Ma come volete dare la croce addosso a questa gente se sorride sentendo parlare di miliardi che saranno spesi per la Calabria? Il calabrese non conosce la ribellione: secoli di sottomissione lo hanno abituato ad essere cupamente rassegnato, ma non apre facilmente il suore alla speranza. La sua stessa storia gli ha insegnato a non credere al dilà di ciò che vede e tocca con mano.
            Si aspetta un miracolo
 Ed allora? Solo un miracolo potrà rendergli la fiducia, la speranza che i suoi paesi saranno assicurati stabilmente alla terra ed i fiumi apporteranno prosperità, invece di essere un pericolo di morte; e il terreno tornerà ad essere umido ed acre e idoneo a ridare i suoi frutti. Questo miracolo sarà possibile se il problema della Calabria sarà guardato con occhio diverso e con decisa volontà d avviarlo alla soluzione. Io ricordo di aver veduto lasciando Platì, due donne che scendevano a valle. Si erano caricati sulle teste, ciascuna di esse, un materasso ed una coperta e camminavano l’una rasente l’altra con la stessa grazia che, di solito, si riscontra in loro quando tornano a casa portando le anfore e cantando. Lasciavano il paese ed andavano a chiedere un posto per dormire a chi aveva la fortuna di possedere una casa. Si sono fatte appena da parte per lasciar passare la nostra automobile ma non si sono nemmeno voltate ed hanno proseguito senza chiedersi se da noi potesse venire loro un aiuto.
 Questa tragedia di sentirsi soli è il grande sconforto nel quale gli uomini possono cadere. Ma, purtroppo. È una realtà in questi paesi che non hanno più niente che li avvicini alla vita; dove nemmeno il sonno dei morti è rispettato ed anche l’acqua, questa grazia di Dio che dovrebbe essere la ricchezza dei paesi, si trasforma in un castigo.
 Questa sera ha ricominciato a piovere e la pioggia, se dovesse durare, renderebbe più angosciosa la situazione dei paesi colpiti; la situazione soprattutto degli sfollati ai quali non si è potuto dare, né si potrà dare per adesso, una sistemazione conveniente:
          Vittorio Ricciuti
IL MATTINO, 8 novembre 1951


Questo pezzo, già citato da Toto Delfino*, lo devo alla solerzia di Salvatore Carannante, che si è presa la briga di andarlo a stanare presso la sede de IL MATTINO a Napoli.

 *https://iloveplati.blogspot.com/2011/10/have-you-ever-seen-rain-creedence.html

    https://iloveplati.blogspot.com/2018/09/riders-on-storm-doors.html




 

lunedì 29 maggio 2023

THE FINAL VERDICT [di Jack O'Brien - 1914]


In nome di sua Maestà
Vittorio Emanuele Secondo
per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia
Il Conciliatore del Comune di Platì ha pronunciato la seguente sentenza
Nella causa tra Don Francesco Gliozzi fu Domenico, industriante residente in Platì, attore comparente in persona
E Pasquale Carbone alias Usciere, bracciante, residente in Platì, convenuto e comparente
L’attore ha conchiuso per lo pagamento della somma di lire undici e centesimi ottanta dovutegli per altrettanti dategli per grano e ..., che non ha consegnato al maturo di Agosto prossimo passato, e conchiuse ancora per le spese del giudizio
Il convenuto accolto il debito giusta la domanda dell’attore
Considerando che la confessione giudiziaria del convenuto fa piena pruova contro di lui: art.   del Codice Civile
Considerando che il soccombente è tenuto alle spese
Noi Francesco Oliva Giudice Conciliatore del Comune di Platì, diffininivamente pronunziamo e condanniamo il convenuto Pasquale Carbone al pronto pagamento di lire undici e centesimi ottanta all’attore Signor Gliozzi, ed alle spese in centesimi novanta fuori la spedizione della presente
Il Conciliatore = Francesco Oliva = Giudicato e pubblicato in Platì li 3 Ottobre 1872 presenti ambe le parti = Dritto centesimi 60 = Giuseppe Fera Cancelliere
Comandiamo a tutti gli uscieri richiesti ed a chiunque spetti di porre in esecuzione la presente sentenza, al P. Ministero di dare assistenza; ed a tutti i Comandanti e Uffiziali della forza pubblica di concorrervi, con essi allorché saranno legalmente richiesti
                                                           Per spedizione
rilasciato all’attore D. Francesco Gliozzi
            Platì 11. Ottobre 1872
                                               Giuseppe Fera Cancelliere
Specifica - Carta per la presente                                  £ 0.10
Dritto di scritturazione in due facciate                      £ 0.40
Formola esecutiva                                                            £ 0.25
Visto Totale                                                                         £ 075
Il Conciliatore Francesco Oliva   -   Fera
 
L’anno mille ottocento settantadue, il giorno diciotto ottobre in Platì
Ad  istanza di Francesco Gliozzi fu Domenico, industriante residente in Platì, ed in forza di sentenza del Conciliatore di Platì del di sei ottobre corrente pubblicata in presenza delle parti, io Francesco Mittiga scrivente  facente funzioni da usciere della Conciliazione di Platì ove risiedo, ho fatto precetto in nome della legge a Pasquale Carbone alias usciere, bracciante, residente in Platì di pagare prontamente all’istante la somma di lire undici e centesimi ottanta di sorde, e lire una e centesimi sessantacinque di spese nascenti da detta sentenza e dal presente atto diffidandolo che elassi cinque giorni da oggi l’istante procederà al pignoramento di mobili.
Del presente atto ho lasciato copia conforme nel domicilio di esso Carbone in mano.
Costa l’atto presente centesimi trenta.
                        Il Scrivente
                         F.   Mittiga
 
L’anno mille ottocento settantaquattro, il giorno tredici Luglio in Platì
Ad  istanza di Francesco Gliozzi fu Domenico, industriante residente in Platì, ed in forza di sentenza del Conciliatore di Platì del di sei ottobre del 1872 pubblicata in presenza delle parti, io Francesco Mittiga scrivente  facente funzioni da usciere della Conciliazione di Platì ove risiedo, ho  riprecettato in nome della legge a Pasquale Carbone alias usciere, bracciante, residente in Platì di pagare prontamente all’istante la somma di lire undici e centesimi ottanta di sorde principale, e lire una e centesimi novantantacinque di spese nascenti da detta sentenza ed atto precedente oltre quelle del presente e successive con diffidamento che elassi cinque giorni da oggi l’istante procederà al pignoramento di mobili.
Del presente atto ho lasciato copia conforme nel domicilio di esso Carbone in mano.
Costa l’atto presente centesimi quaranta.
                        Il Scrivente
                         F. Mittiga

Anche i di tipi di documenti sopra riportati possono essere drammatizzati, magari facendo ricorso a Salvatore Satta o addirittura come un silent movie alla maniera del regista in apertura rivitalizzato. Un buon indicatore è anche il brano del Maestro riportato in chiusura. Certo a noi interessano di più i nomi e le circostanze citati nel testo, svaniti, certo, ma sempre presenti per chi non si interessa solo ad immagini che scorrono, e lasciano di nuovo il tempo, virtualmente. Un aiuto viene anche da Google Maps che ci consente di rilocalizzare i fatti nelle vie citate.

 

lunedì 17 ottobre 2022

DE GASPERI - L'UOMO DELLA SPERANZA [di Liliana Cavani - 2005]


 

QUELLA VOLTA
CHE VENNE DE GASPERI

U diciottu ottobri chi doluri
Quandu li frani vittimu scindiri,
si riuniru muntagni e vagliumi
paria lu giudiziu universali.

Il fango inghiottì tutto e mise in ginocchio l'economia agricolo-pastorale di Platì.
Scrisse Rizzuti sul Mattino di Napoli «Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il cimitero, lo ha sommerso». «. . .Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra, perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte».
Arrivano i primi soccorsi e nel marzo del 1953, in piena campagna elettorale, il capo del Governo Alcide De Gasperi sale a Platì per inaugurare le case popolari costruite in contrada Lacchi, alle porte del paese. Il corteo presidenziale viene fermato con uno stratagemma a Natile, lungo la vecchia statale 112: il tricolore deposto sull'asfalto obbliga il Presidente a fermarsi ed il capo-popolo, cavaliere Giovanni Napoli, consegna una lettera di protesta per il mancato trasferimento dell'abitato di Natile Vecchio. Si prosegue nel frattempo, superato lo scoglio della protesta popolare dei natiloti, verso Platì. De Gasperi nel vedere le casupole costruite alla frazione Lacchi ha un moto di ribellione, di stizza e non può non esclamare: «E che vi devono abitare i porci? Vergogna!». Altri tempi!
Dal balcone di casa Oliva lo statista tiene un comizio tra l'arciprete Gliozzi, l’on. Michele Murdaca ed il sindaco Peppino Zappia. C’è qualche contestazione popolare quando si arringa la folla paventando il pericolo comunista e gridando: «Il mostro comunista mangerà anche i vostri bambini ...». Domenico Catanzariti, mischiato tra la folla, risponde gridando: «Buum!». Accorrono i carabinieri e lo portano in caserma in stato di fermo e sarà poi lo stesso Capo del Governo ad invitare il Comandante della locale stazione a lasciarlo libero. De Gasperi, prima di partire, firma un assegno di un milione che consegna al Sindaco per i bisogni del popolo. Ma è proprio l'alluvione che determina lo sconvolgimento sociale di Platì. Un inesorabile processo di emigrazione che dissangua il tessuto economico platiese e dimezza nel giro di pochi anni la popolazione che contava più di 6.000 abitanti.

Gianni Carteri
Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992
Foto: Archivio Gliozzi

giovedì 14 aprile 2022

Il padrone di casa [di Carl Theodor Dreyer - 1925]


Oggi giovedì santo, un giorno sacrale in Platì, quando i preti nascevano e crescevano in paese. L’ultimo è stato Ernesto Gliozzi il giovane (12 aprile 1915 - 2 febbraio 2008). Lo zio Ernesto è colui che più di tutti i platiesi conosceva il segreto di Pratì e questo segreto è sepolto con lui nella cappella dove riposa. Egli riteneva Platì essere stato fondato nel 1492, l’anno stesso dell’inizio del saccheggio del continente compreso tra l’Alaska e la Terra del Fuoco. Questi due eventi hanno un tratto comune: il mandante. La Corte di Spagna. Il paese di Platì, come tutti i paesi, prima e dopo, non è fondato dall’oggi al domani, è creato nel tempo. Arriva una famiglia si installa e a sua volta attira parenti e amici. Attira nemici. A questo servono i film western. Stiamo parlando di un borgo, una Motta, perché luoghi sparsi, insediamenti casuali vi erano già da prima di Gesù e San Pietro a Pietra Cappa. Molti i cenobi. Il territorio di Platì era compreso tra la Foresta di Pandore, i Piani di Zervò e dello Zomaro. Nel 1492 padrone delle foreste era la famiglia Marullo di Messina. A questa subentrò una famiglia patrizia napoletana-pugliese, quella degli Spinelli. Quelli che interessano noi sono gli Spinelli Savelli, i Principi o Conti di Cariati. Un Carlo fu forse il primo. Alla sua morte nel 1518 seguiranno i vari Scipione e ancora Carlo. Il primo Signore certo, di Platì, fu Carlo Filippo Antonio (1641-1725), egli alla morte del padre Scipione, nel 1659, antepose al proprio nome quello del fratello primogenito andato a farsi monaco, divenne principe di Cariati, duca di Seminara, conte di Santa Cristina e signore di Oppido. A Platì aveva una Corte Principale in cui erano gestiti tutti gli affari pubblici e privati. Quello che vedete in apertura è proprio lui, Carlo Filippo Antonio raffigurato da Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745). Di seguito un ritaglio dal Catasto Onciario del 1754.

 

mercoledì 20 ottobre 2021

Fango bollente [di Vittorio Salerno -1975] - Una rievocazione del prof. Pipicella


Ai primi del mese di ottobre c'erano state delle piogge e la fiumara in piena aveva travolto un bovino. la notizia appena diffusa, aveva colpito la popolazione, in quanto la perdita di un bovino era considerata una grossa perdita!!
Dopo una breve pausa, riprese a piovere ininterrottamente sino alla notte del 17, quando verso le due, un boato assordante fece tremare la terra e il cielo svuotò improvvisamente tutte le nuvole che l'avevano coperto per una settimana.
Le povere case, che non avevano un solo angolo asciutto, furono completamente allagate. I cittadini tutti svegli e preoccupati non riuscivano a comunicare tra di loro, perché le strade erano trasformate in ruscelli impetuosi e i tizzoni accesi con i quali solitamente squarciavano le fitte tenebre non erano utilizzabili.
Abbandonati i letti inzuppati c'eravamo portati vicino al focolare fino a quando il tuono non spense completamente la brace.
A casa mia, i quattro figli eravamo avvolti in una coperta. Mia madre pregava e piangeva, mio padre si affacciava sull'uscio e rientrava gocciolante.
Le ore che precedettero l’alba durarono un’eternità e la luce del giorno ha aperto ai nostri occhi uno scenario spettrale: a valle un’immensa distesa di acqua e fango con piante e cose semoventi; a monte frane dovunque e dai fianchi squarciati delle montagne possenti gettiti d'acqua.
La pastorizia e l’agricoltura, uniche fonti dell’economia natilese, erano state spazzate via: il patrimonio ovino e bovino era stato completamente travolto e depositato lungo la fiumara dalla montagna al mare; i campi sconvolti e ridotti pietra su pietra!
Ma di tutto questo la popolazione non ebbe percezione, in quanto subito si cercarono gli assenti e si capì che cerano stati dei morti.
In un primo momento i dispersi erano molti, ma il giorno dopo il tragico elenco fu definitivo.
I morti furono dieci: due persone anziane e otto giovani. 


Di seguito i nomi in ordine alfabetico e il loro tragico destino:

Domenico e Pietro Callipari, fratelli, si trovavano assieme al padre ed altri familiari nell’ovile posto nel bacino della sorgente della fiumara Acone. La sera del 17 ottobre, poiché nel loro ricovero era filtrata dell'acqua, avendo saputo che il capanno di un ovile vicino era asciutto e più sicuro, sono stati mandati dal padre a rifugiarsi e a tenere compagnia ai due giovani che custodivano quel gregge. Questa decisione sarà motivo di rammarico e di rimorso per il povero genitore che andava ripetendo: per mettere in salvo i figli maschi, li ho mandati a morire, mentre io e le femmine cl siamo salvati!

Bruno Cavalieri, aveva 65 anni ma per gli stenti e la fatica dimostrava molti di più. Si trovava in contrada Maddamma perché il granturco era maturo e bisognava vigilare.
Il persistere delle piogge aveva reso impraticabile il suo pagliaio, per cui il i7 aveva cercato rifugio in una struttura più solida. Si era portato infatti presso un mulino, esattamente in quello centrale rispetto ai tre esistenti. Qui ha incontrato altre persone che avevano tentato inutilmente di attraversare la fiumara per rientrare in paese quando si accorsero che la portata diventava sempre più minacciosa, tutti insieme abbandonarono il mulino per recarsi verso la montagna con la speranza di trovare qualche soluzione.
Sarà trovato raggomitolato ai piedi di un albero in contrada Lacco di torno. Si è detto che sarebbe caduto dall'albero sul quale aveva cercato scampo, come avevano fatto altri, o che sarebbe stato colpito da un macigno staccatosi dalla frana.
Riportarlo a casa su una scala di legno improvvisata è stata un'impresa difficile e straziante.

Domenico Marvelli, quasi novantenne, viveva assieme ai familiari in una casa di campagna in contrada Acone. Quando è stato invitato a cercare verso l'alto un rifugio più sicuro, ha incoraggiato gli altri a farlo, ma lui volle rimanere a casa sua. Aveva una grande fede e trascorreva parecchie ore a pregare.
Il suo corpo è stato trovato, distante da dove si trovava l'abitazione, ma ben composto e senza nemmeno un graffio.

Antonio Mirto, di anni 27, una settimana dopo sarebbe dovuto partire per l'Australia. Si trovava nell'ovile della Costa Dabate, dov'erano andati a rifugiarsi i fratelli Callipari.
Unico figlio maschio, era lui che badava alla famiglia costituita dall'anziana madre e dalle sorelle.
Del suo corpo e di quello degli altri tre, nonostante le lunghe e amorevoli ricerche, non si è vista traccia. 

Francesco Pangallo, di anni 18, la sera del 17 era partito assieme al padre dall'ovile per rientrare a casa. Ad un certo punto poiché il padre, attraversando un ruscello in piena stava per essere travolto, ha consigliato Francesco di non rischiare e di ritornare a tenere compagnia ad Antonio Mirto. Rifacendo la strada è passato dall'ovile dei Callipari ed è stato lui a riferire che nel suo ovile tutto era tranquillo e la “casetta” era asciutta e riscaldata. Fu la quarta vittima inghiottita da quella frana.

Antonio Pipicella, di anni 20, assieme al fratello Domenico ed al padre si trovavano nell'ovile di contrada Lacco di torno.
Aveva fatto la visita di leva ed era in attesa di partire per il servizio militare. Di lui è stato reperito un arto superiore ed uno inferiore, a diversi chilometri di distanza cercando e scavando tra le carcasse dei suoi animali.

Domenico Pipicella, di anni 16, è stato trovato in un posto impensato dopo un certo periodo di tempo.
Infatti lo zio ha sognato il ragazzo (ma la moglie ha sempre sostenuto che non dormiva) che lo rimproverava di averlo lasciato morire mentre l'avrebbe potuto salvare.
Egli, infatti, era stato mandato dal padre ad avvertire i due pastori dell'ovile vicino che dovevano allontanarsi perché a rimanervi si correvano grossi rischi. Ma i due pastori erano già andati via, egli non era potuto ritornare dai suoi ed era rimasto bloccato dal crollo della struttura dell'ovile. La persona che aveva avuto questo sogno o visione, anziché continuare a cercare lungo la fiumara, decise di tentarne il riscontro. Scavando tra le macerie di quell'ovile, in una intercapedine, apparve il corpo senza vita di Domenico.
Molti dei presenti ricordarono che il giorno del primo sopralluogo avevano sentito dei lamenti, ma avendo saputo che i pastori che si trovavano in quell'ovile erano sani e salvi, hanno pensato si trattasse di qualche bovino.

Paolo Pipicella, di anni 13, era affetto da una leggera balbuzie, ma era loquacissimo ed aveva una memoria eccezionale; ripeteva quasi integralmente i panegirici e le prediche della settimana santa, salendo sugli alberi o dal balcone dell'arciprete Filippo Ietto, che lo ascoltava entusiasta.
Queste sue qualità lo rendevano particolarmente simpatico zio Sebastiano, il quale aveva pensato di fargli prendere il posto del figlio Antonio che sarebbe andato a fare il servizio militare.
Alla sua prima settimana di lavoro, la frana e la fiumara non hanno consentito ai genitori di reperire qualcosa che gli appartenesse. Nonostante le ricerche si fossero protratte per anni.

Sebastiano Pipicella, di anni 46, era una delle persone che godeva di grande prestigio in seno alla comunità natilese.
Perso il padre in tenera età, aveva assunto la guida della famiglia ed era riuscito a costruire, assieme al fratello, un discreto patrimonio di capi di bestiame, circa 300.
Era sempre pronto ad intervenire quando qualcuno subiva un torto, e i casi più frequenti erano gli abigeati.
Il carattere gioviale e il senso dell’umorismo non sminuivano ma accentuavano il carisma di uomo saggio che aveva il culto dell'amicizia, della famiglia e della parola data.
Le sue qualità le dimostrò anche come amministratore comunale: infatti era consigliere in carica.
Di lui rimase proverbiale l'espressione:
na cosa sula non pozzu supportari: a farsitutini" .

Testo del Prof. Pino Pipicella

Foto S. Carannante



martedì 19 ottobre 2021

Come quel giorno [di Mario Caserini -1916] - Un suffragio 70 anni dopo


Platì 18 ottobre 2021
L'Associazione Etno-Culturale SANTA PULINARA
ringrazia  Padre Santino & Domenico I. 
e  quanti hanno partecipato al Rito
per essersi presi cura delle vittime del
18 ottobre 1951

 

giovedì 14 ottobre 2021

La morte cammina nella pioggia [di Carlos Hugo Christensen - 1948]


Nel 70° Anniversario

Platì 18 Ottobre 1951


Na data tristi chi veni sempri ricordata
l’affidamu ai posteri non m’esti mai dimenticata.
 
Morti e distruzioni nto paisi dassau
quandu u dilluviu universali di jà passau.
 
S’ apriru i catarratti e l’acqua du cielu calava
Ciancio, ntantu a valle s’ingrossava.
D’arretu da Rocca fici breccia
trasiu nto paisi comun na freccia.
 
Ci fu nu pigghja pigghja chija notti
pe casi e pa li strati passau la morti….
Urla disperate! ... Mani avvinghiate! …
19 vite,
dalla furia dell’acqua, trascinate.
 
Quella notte, pure Acone nel campo entrava
disturbando il sonno di chi in pace riposava.
 
A distanza di 70 anni
una Preghiera  
per chi lottò quella notte
contro l’ingrata morte.

Silvana Trimboli
Caraffa del Bianco, 2021

.:.:.:.

A tutt’oggi l’elenco definitivo delle vittime è nebuloso. Il NOTIZIARIO DI MESSINA(*) in data 8 novembre 1951 riportava  i 15 nominativi già citati nel video. La tradizione popolare ne ricorda18/19. Non vengono in soccorso né i registri comunali né quelli parrocchiali. In questi ultimi sono elencati solo:
Marando Giuseppe di Rosario anni 13
Marando Rosario di Domenico anni 47
Portolesi Caterina fu Pasquale anni 77
Sergi Michele di Pasquale anni 15.
A questi bisogna aggiungere:
Iermanò Serafina di Francesco di 5 mesi
Zappia Filippo di Domenico di 8 mesi
segnati nel registro dei morti della parrocchia in data 18 ottobre 1951
e Iermanò Saverio di Antonio di anni 90 registrato in data 20 ottobre 1951.
Antonio Schimizzi morto durante i lavori di sgombero delle macerie era nato il 29 giugno del 1900 da Francesco e Musitano Francesca. Il 10 febbraio del 1929 sposò Domenica Carbone di Antonio e Martino Anna Maria di 23 anni ed ebbero 6 figli.

(*) https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-reg-howard-hawks-1944.html

In apertura:
Particolare del monumento alle vittime dell’alluvione del 1951 di Platì realizzato dal pittore e scultore messinese Antonello Bonanno Conti.

Nel video: Antonio Vivaldi, Concerto per Violino op. 7 No. 12 in re maggiore RV 214, Grave Assai, Claudio Scimone dir. - To be played at maximum volume.


martedì 12 ottobre 2021

Notte di terrore [di Andrew L. Stone - 1955]


DUE PAESI DELLA CALABRIA CANCELLATI DALLA TERRA
Pazzi ad Africo e Casalinovo per il terrore dell’alluvione
Il drammatico esodo di 2.300 persone per un sentiero esposto ai pericoli
delle frane – Centinaia di malati nella scuola di Bova
 
REGGIO CALABRIA 27 – Le montagne che circondano che circondano Africo cominciarono a franare nel pomeriggio di martedì 16 ottobre e investite in pieno dai macigni le prime case, quattro persone rimasero seppellite sotto le macerie. Pioveva ininterrottamente già da due giorni e che da un momento all’altro la montagna potesse franare era stato l’incubo della popolazione. Ma durante il temporale da quanti anni aveva vissuto sotto quell’incubo? Ora il rombo pauroso delle rocce che precipitavano e la visione del terreno che lentamente slittava a valle davano consistenza reale al timore di intere generazioni.
Sotto la pioggia torrenziale, annaspando nel fango, la gente si precipita fuori delle povere case che potevano trasformarsi in tombe da un momento all’altro. La montagna continuò a franare. Pensarono in principio di trovare salvezza andando a Casalinovo, ma già da quella vicina frazione cominciavano ad arrivare ad Africo i primi fuggiaschi i quali avevano anch’essi abbandonato le case minacciate dalle frane, raccontarono che durante il tragitto sei di loro avevano trovato la morte.
E ora dove fuggire? Africo e Casalinovo sono due fra i tanti paesi di Calabria non legati da strade con il resto del mondo. C’è solo una mulattiera che porta a Bova Superiore. Su questa mulattiera cominciò l’esodo della popolazione: 2.300 persone. Quanto terrificante sia stato il viaggio a piedi, sotto la tempesta, per percorrere quei 2 chilometri in mezzo a burroni e precipizi, nessuno potrà mai raccontare perché quelli che erano gli abitanti di Africo e di Casalinovo erano soli con la loro disgrazia e con il loro terrone.
Quando finalmente arrivarono a Bova, che è un paese privo d’acqua, di luce, di fognature, credettero di essere giunti in paradiso. Ma fu solo una fugace illusione perché subito cominciò l’inferno di Bova.
Ci siamo recati ieri a Bova. Nella nostra vita di giornalisti, che pure ci ha fatto assistere a tanta spettacolare desolazione e miseria, nulla avevamo visto fino ad oggi di così terrificante sofferenza umana.
Siamo stati alloggiati in un edificio scolastico, i profughi di Africo e Casalinovo, avevano assicurato le autorità. Ma noi avevamo saputo già a Reggio Calabria che tra essi si erano verificati, nei giorni scorsi, veri casi di pazzia. Però solo quando siamo penetrati nell’oscuro corridoio della scuola di Bova abbiamo potuto capire come un essere umano possa, per sofferenze fisiche, perdere la ragione.
 200 persone in un’alula.
Centinaia di persone coperte di stracci, inzuppate, scalze, tremanti dal freddo, affamati, stavano immobili, sedute per terra o in piedi, appoggiate alle pareti. Dovunque volti scavati e sguardi pieni di terrore. Fuori pioveva, faceva freddo e le finestre dovevano essere tenute chiuse. C’era un’aria irrespirabile ma non riuscivamo a restare più di due minuti nell’inferno di quell’aula. In una di esse ampia meno di dieci metri quadrati, vivono da martedì 16 ottobre 200 persone. E sono le più fortunate. Altre centinaia vivono in ambienti ancora più piccoli o sono per i corridoi dove non penetra la luce ma il vento e la pioggia.
Da dodici giorni vivono così i profughi di Africo e Casalinovo. Non hanno materassi, non hanno coperte, non hanno sedie, nella scuola non ci sono gabinetti, non c’è acqua corrente, non c’è luce elettrica. 2.300 persone, in gran parte donne e bambini, vivono da dodici giorni in questo inferno. Sulla strada non possono uscire perché piove continuamente e fa anche più freddo. Altri sono stati ricoverati nella sala municipale e vivono nelle stesse condizioni. Pochi sono quelli rimasti nelle campagne intorno ad Africo sperando di poter salvare qualche capo di bestiame che rappresenta tutta la ricchezza del paese.
 Hanno perduto tutto
Molte donne sedute sul pavimento tenevano attaccati alle mammelle aride i figli, nell’inutile speranza di poterli nutrire. I vecchi supini, con lo sguardo fisso in alto, già sembravano cadaveri. In un angolo del corridoio. Presso una porta della cui fessura penetrava furtoso il vento freddo dei monti, c’erano tredici bambini seduti intorno alla madre, distesi su un mucchio di stracci. La donna si lamentava sordamente, tremava, ansava e gettava intorno sguardi come per chiedere soccorso. Stava per partorire. Ma chi poteva soccorrerla. Che cosa potevano fare per lei le altre donne?
Un uomo ci venne incontro con le mani tese in avanti, inciampava continuamente: ci accorgemmo poi che era cieco. Ma quanti vecchi rasi dal tracoma non incontrammo in quel triste edificio scolastico di Bova Superiore? L’immobilità di alcuni bambini ci fu spiegata quando tornammo sulla strada fangosa, era paralisi infantile, permanente.
Fuori continuava a piovere e una nebbia densa veniva giù dai monti. Sulla strada ci fu più facile rivolgere la parola a qualcuno. Quali soccorsi avete ricevuto? Un po' di pastasciutta. Dove andrete? Non lo sanno, hanno perduto tutto, ad Africo non possono più tornare. Il nome del paese può già essere cancellato dalla carta geografica della Calabria.
RICCARDO LONGONE
Testo e foto: L’UNITA’, Domenica 28 ottobre 1951
 

domenica 10 ottobre 2021

Un medico, un uomo [di Randa Haines - 1991]

Giuseppe Mittiga
Platì 03/01/1897 -  Palmi 18/01/1982

E intanto la pioggia fitta e continua pesta sul tetto ... sui vetri ... sul suolo”. Ernesto Gliozzi il vecchio

A settanta anni da quella tragica notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1951 non c’è stato chi raccontasse integralmente quel dramma in un’opera letteraria, solo singole vicende, singoli episodi legati a chi ne trattiene ancora il ricordo. A questi ultimi si aggiunge il ricordo di quei giorni per tramite di Lisa Mittiga figlia del dottor Giuseppino, per me, che riporto quei ricordi, zio. Il dottor Giuseppe Epifanio Mittiga aveva 64 anni quando visse sulla sua persona il dramma di un intero paese. Egli si laureò in Medicina e Chirurgia a Napoli nel 1912 a 25 anni. Figlio di Rocco e Caterina Fera dopo la scuola elementare a Platì fu mandato nella città partenopea per la scuola media, successivamente si trasferì a Gerace per compiere gli studi ginnasiali. Ritornò di nuovo a Napoli dove da tempo risiedeva lo zio Saverio Mittiga, sacerdote e docente presso la locale Università Teologica, autore di racconti e poesie editi nella stessa città. Presso la Regia Università di Napoli studiò con profitto con l’illustre prof. Antonio Cardarelli (1831 – 1927) ormai in procinto di lasciare quell’ Accademia per raggiunti limiti d’età. Era Ufficiale Sanitario presso il Comune di Platì quando l’alluvione si infranse sul paese. Non bisogna però pensare che quel disastro fu un fenomeno casuale. Già da diversi giorni una fitta pioggerella cadeva incessantemente senza che il sole apparisse, anche per pochi minuti. Alle volte si rafforzava, alle volte diminuiva. La terra, le campagne, gli orti diventavano di giorno in giorno impraticabili, non solo per le zappe ma anche per le scarpe e gli stivali. Molti di quelli che abitavano in campagna cercarono rifugio presso i parenti in paese; molti, fiduciosi rimasero nelle proprie abitazioni coloniche. La notte tra il 17 e il 18 dalla montagna verso Santa Cristina, da Arcopio e a monte di Sanello si precipitò un torrente impetuoso che andò a colpire maggiormente la contrada Due Valloni, il cimitero e la zona tra la fiumara Ciancio, il corso Umberto e la via San Pasquale. Per diciannove vite la mattina del diciotto ottobre 1951 non si schiarì, centinaia erano i bisognosi di pronto soccorso. La casa del medico Mittiga era posta all’entrata del paese. Essa con altre vicine diventò un ospedale da campo dove il dottore ebbe modo di prestare il soccorso a chi riportò le ferite più gravi non potendo sperare in aiuti esterni. I feriti arrivavano adagiati sulle carriole, sulle scale fatte barelle, su lenzuola o coperte imbrattate di sangue. Bisognò amputare o ricostruire le parti lacerate, molte teste, molte braccia, molte gambe, molti piedi. C’era anche da soccorrere i feriti meno gravi nelle proprie abitazioni e le partorienti, e qui il medico era assistito dalla signora "mammina" Francesca Portolesi, moglie di don Umberto. A distanza di tempo la figura e l’opera del dottor Giuseppino Mittiga è ricordata dai più anziani, ma specialmente per chi lo ebbe come padre amoroso o zio affettuoso.

 

Hanno partecipato Lisa Mittiga di Giuseppe e Saro Mittiga di don Agostino.


giovedì 7 ottobre 2021

Come quel giorno [di Mario Caserini -1916]


L'evento è reso possibile grazie alla partecipazione di Padre Santino e Padre Peppe.

 

lunedì 27 settembre 2021

La vita risorge - Natile, gli Oliva & Platì

La Storia di Natile Nuovo scritta dal Prof. Pino Pipicella, da oggi storico ufficiale di Natile tra Vecchio e Nuovo, è un testo venuto fuori dal cuore di quei luoghi. I fatti descritti sono stati vissuti in prima persona poiché Pino Pipicella è stato primo cittadino del Comune di Careri tra il 1993 ed il 2001, per due mandati consecutivi. Dal testo vengono fuori le intime e datate connessioni con Platì.

Natile è stato annesso al Comune di Platì per Decreto di Ferdinando II il 13 marzo 1831(1) e tale rimase fino al 1836 quando fu trasferito al Comune di Careri. Aldilà dell’appartenenza ai Comuni, tra Natile e Platì sono sempre esistiti legami di sangue con arricchimento di DNA per i due territori. Legami ed arricchimenti (natilotu era anche un alias) che ancora oggi continuano ad esistere. Per verità storica bisogna aggiungere l’assoggettamento dei territori di Natile alla potente famiglia platiese degli Oliva. Questa servitù è antecedente al Decreto Ferdinandeo e risale ad un periodo tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XIX quando Domenico Oliva suddivise i beni tra i figli avuti da Saveria Rechichi: Michele, Stefano e Arcangelo. Ad Arcangelo andarono i terreni intorno al Molino Nuovo mentre a Michele spettarono quelli intorno all’abitato di Natile Vecchio. Erede di questi ultimi divenne Michele Vincenzo, avvocato, che nel 1885 sposò Elisabetta Furore. Dal matrimonio nacquero quattro figlie, fra cui Maria Girolama, nota come a cavalera(2)  e Maria Carmela Francesca che ereditò i terreni di Natile Vecchio. Amministratore dei terreni divenne il suo sposo dottor Giuseppe Galatti fino agli anni 50 del secolo scorso.

I terreni Galatti-Oliva non subirono i forti dolori che toccarono ai beni di Filippo ed Arcangelo sul finire del 1800 quando alla morte di Francesco erede di Arcangelo divenne unico possessore il giovane Filippo di Filippo e della contessina Luisa Ricciardi, vissuto sempre a Napoli, poco avvezzo agli affari. Arrivato a Platì il conte Filippo fu da subito vittima di raggiri, e per citare l’avvocato Alberto Mercurio: adescato dalle lusinghe di certi avidi vampiri, che in breve tempo riuscirono a dilapidare quello che doveva essere inesauribile patrimonio. Di tali raggiri il Mercurio accusò la famiglia Zappia in vari procedimenti giudiziari.(3)

Parte di tale patrimonio nel territorio del comune di Careri che interessava il circondario di Natile fu acquisito dal dottor Filippo Zappia e di conseguenza dai suoi eredi che si suddivisero il Molino Nuovo e l’Angelica. Di tutto l’Impero Oliva oggi rimangono solo documenti e ruderi che ne descrivono la capillare decadenza ed estinzione. 

(1) https://iloveplati.blogspot.com/2019/02/la-piu-bella-del-reame-di-cesare.html
(2)  https://ilpaesediplati.blogspot.com/2020/05/girolama-oliva-cavalera.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2021/01/rocambole-di-giuseppe-zaccaria-1919.html
 

Edizione a cura di Rosalba Perri

Nell'immagine d'apertura un ritratto di Francesco Oliva di Arcangelo e Rosa Romeo (1817 - 1898) conservato dagli eredi.

sabato 25 settembre 2021

La vita risorge [di Victor Vicas - 1955]

La nascita di Natile Nuovo

Una storia del Prof. Pino Pipicella  (*)


''E' una civiltà che scompare, e su di essa non c'è da
piangere ma bisogna trarre da chi ci è nato
il maggior numero di memorie '' C. Alvaro

 

L' alluvione del 18 ottobre 1951 provocò nella vallata della fiumara Careri, tra Natile e Platì, circa 30 morti. L'eco della tragedia richiamò l'attenzione del governo Nazionale, guidato da Alcide De Gasperi.

Quando si diffuse la notizia che il Presidente del Consiglio dei Ministri si sarebbe recato a Platì, nella minuscola comunità natilese, sconvolta dal lutto generale provocato da 10 morti, si formò un comitato spontaneo con l'obiettivo di far conoscere al governo anche la situazione in cui si trovava l'abitato di Natile, sovrastato da una frana.

Il giorno programmato per la visita di De Gasperi a Platì, di buon mattino, un drappello di persone, formato prevalentemente da donne e bambini delle scuole elementari, guidato dal cav. Giovanni Napoli ed accompagnato dal segretario della sezione degli ex combattenti, raggiunse la SS 112 proveniente da Careri.

In attesa del transito del corteo presidenziale, i convenuti si disposero ai bordi della strada con in testa i bambini, (di cui facevo parte anch' io); lo spazio occupato era quello compreso tra la casa cantoniera e la fontana Angelica.

Il corteo era preceduto da motociclisti che si attivarono ad avvertirci di non ostacolare il transito, ma appena arrivata l'autovettura del Presidente, il portabandiera, agitando il tricolore, si accostò alla vettura che si fermò per far scendere l'illustre Statista

Una mamma, ''Brandina'', prese la parola:” L’alluvione ci portò via tutto. I dieci morti hanno provocato un lutto profondo in tutti noi. La frana che sovrasta l'abitato ci schiaccerà come sorci nella tana, dimenticati da Dio e dagli uomini.”

Questi concetti espressi con lessico approssimativo, ma con fervore appassionato e con le guance solcate dalle lacrime, colpirono profondamente il Presidente. Questi, con gesto confortevole, si rivolse prima alla donna che era intervenuta e poi a tutti i presenti con queste parole: “Da oggi non sarete più soli. Mi ricorderò di voi e il governo si farà carico dei vostri problemi.”

Le forze dell'ordine trassero un sospiro di sollievo e il corteo proseguì per Platì.

Il Presidente effettivamente non si dimenticò di Natile e dei suoi problemi.

In tempi brevi giunsero funzionari ministeriali che, assieme a quelli provinciali, effettuarono i sopralluoghi che si conclusero con il giudizio di totale trasferimento dell'abitato.

Superata questa fase, con l'emissione del relativo decreto ministeriale, ancora vigente, bisognava indicare l'area dove far sorgere il nuovo abitato.

A tal proposito c'era chi proponeva una zona vicinissima al vecchio abitato e chi preferiva una zona più ampia al di là della fiumara. Tale divisione perdurò per molti anni, tanto che quelli che si trasferivano nel nuovo centro abitato venivano definiti ''Cantuneroti'' da chi avrebbe preferito restare a Natile Vecchio.

La prima proposta era sostenuta dai cosiddetti 'Gnuri', la seconda era caldeggiata dal Cav. Napoli. Passò la seconda, anche per l'astuzia del Cav. Napoli, che presentò come Parroco di Natile il sacerdote don Antonio Sculli, allora docente presso il Seminario di Gerace, favorevole al trasferimento del paese e non don Filippo Ietto, che apparteneva alla famiglia 'Gnuri' invece contrario.

Quindi l'area indicata fu contrada Angelica nel comune di Careri lungo la SS122, esattamente dove c' era stato l'incontro con il Presidente. Proprietaria dell'aria da urbanizzare era la famiglia Zappia-Principato di Platì che possedeva una chiesetta patronale a cui era molto legata donna Chiara Principato, prodigale benefattrice. Forse non a caso la titolare della parrocchia di Natile Nuovo è S. Chiara Vergine.

I lavori per la preparazione del piano regolatore richiesero l'utilizzo della manodopera locale, pastori e i contadini diventarono manovali e muratori

La seconda fase si sviluppò con la realizzazione della chiesa, della sede municipale e degli alloggi di pronto soccorso.

Ma per procedere all' assegnazione degli stessi si presentò in tutta evidenza il problema della burocrazia e della legalità.

Anche in questo caso essenziale fu il contributo del Cav. Napoli, il quale, essendo impiegato comunale e conoscendo la situazione di ogni cittadino di Natile, riuscì a far coincidere situazioni di fatto e di diritto.

Ultimati gli alloggi popolari si passò all' assegnazione, per sorteggio, del terreno sui cui costruire l'abitazione distrutta a Natile Vecchio con i fondi dello Stato.

Un discreto numero di cittadini ottenne l'assegnazione ma non ricevette mai il contributo statale per la ricostruzione: probabilmente a causa della generosità del reperimento degli aventi diritto.

Per qualche anno ancora le ditte che si erano aggiudicati gli appalti garantirono il lavoro per alcuni cittadini, mentre gli altri presero la via dell'emigrazione prima per Milano e Torino e successivamente per la Francia e la Germania.

Intanto a Natile Vecchio continuarono a vivere non solo le famiglie che non avevano ottenuto il contributo, ma anche coloro che cedettero l'abitazione realizzata a Natile Nuovo ai propri figli appena sposati. I terreni agricoli che appartenevano all' 80 % al latifondista Galatti, fin da quando Natile e Platì costituivano un unico Comune, furono frazionati e acquistati dai natilesi che cercarono ulteriori spazi estendendosi oltre il comune di Careri, Benestare ed Ardore.

Alla luce di questa situazione l'Amministrazione Comunale di Careri ''1997-2001'' , approssimandosi il cinquantesimo anniversario del tragico evento alluvionale, decise di ricordare il sacrificio dei dieci morti dedicando un monumento ai caduti dell' alluvione .

Nello stesso tempo conferiva al prof Antonino Ietto, ordinario di geologia presso l'Università della Calabria, l'incarico di ''studio geologico e tematiche affini per quanto occorrente ad una redazione di PRG, con particolare interesse alla verifica di una conferma o meno al trasferimento del nucleo urbano di Natile Vecchio'' .

Tale studio geologico è stato consegnato al comune di Careri in data 10/11/2002.

Da questa data si sono susseguite tre Amministrazioni comunali e due Commissariamenti a seguito dello scioglimento per mafia.

Ma nessuno ha dato seguito alle sagge indicazioni dell'illustre geologo in merito alle emergenze relative ai tre centri abitati del Comune.

Tanto meno è stato tenuto in considerazione il parere favorevole ad un decreto di consolidamento del prof. Ietto in sostituzione del decreto del 1951 che aveva determinato il totale trasferimento per l'abitato di Natile Vecchio.

Edizione a cura di Rosalba Perri

  (*) https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-vita-risorge-natile-gli-oliva-plati.html