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venerdì 29 luglio 2022

Donna di Riazan [di Olga Preobrazhenskaya 1927]







I fotogrammi riprodotti appartengono al film sovietico Donna di Riazan (Babi Ryazanskie) del 1927, regista Olga Preobrazhenskaya.  Il tilaru che si vede è identico a quello usato anche dalle donne di Platì, e tra queste la nonna Lisa (Mittiga in Gliozzi) e la zia Angeluzza (Mittiga in Lentini). Serviva per tessere coperte, tappeti, tovaglie, lenzuola, mappine. Le materie prime adoperate erano la lana, la ginestra, il cotone e la seta. Dubito che in paese sia conservato un modello simile, né tanto meno c’è un falegname atto a riprodurlo, non essendo più utilizzato. Non c’è nemmeno un archivio storico o Mimmo Addabbo a proiettare il film citato. 

Il telaio era apparso dapprima qui:https://iloveplati.blogspot.com/2019/10/the-frame-il-telaio-di-jamin-winans-2014.html




mercoledì 27 luglio 2022

In vino veritas [di Mark Gentile, 2019]


 

La musica è un’altra vita nella vita; ma la vita è il vino
Platì 3 – 4 – 1921
L’astemio 
Rosario Zappia Oliva
 

sabato 23 luglio 2022

Piccola Posta [di Steno, 1955]

Vita politica a Platì
 
Platì, 21 giugno
(M. F.) — Nella nuova piazza Ventiquattro Maggio, in locali quasi contigui a quelli della Confederazione Sindacati Liberi, è sorta in questi giorni la sede dell'A.C.L.I..
La formazione di quest'organo nel nostro centro riveste una enorme importanza, sia dal punto di vista sindacale, che da quello politico. Non sappiamo se sia una pura coincidenza il fatto che quasi contemporaneamente all'istituzione di quest'organo la fontana della vaschetta situata nella Piazza 24 Maggio, abbia ripreso dopo un lungo periodo di inerzia a zampillare
 
 
Cantieri scuola a Platì
 
Platì, 21 giugno
(M. F.) — In questi giorni saranno istituiti nel nostro centro due cantieri di lavoro, il cui compito sarà la riparatone e la ricostruzione di strade comunali.
 
 
Nell'Ufficio PP.TT. a Platì
 
(M. F.) — I nuovi locali che ospitano gli Uffici Poste e Telegrafi del nostro centro, sono, in verità bellissimi e centralissimi, e rispondono in pieno alle esigenze della popolazione.
Mancano però, dell'anticamera dei locali medesimi, delle panche su cui il pubblico possa trovare posto nelle giornate di punta, in attesa del turno
GAZZETTA DEL SUD 22 giugno 1956
 
 
Nuovo asilo infantile a Platì
 
Platì, 22 giugno
(M. F.) — L'Asilo Infantile «Maria di Loreto» sarà in questa settimana trasferito nel nuovi moderni e bellissimi locali che sono stati ultimati e rifiniti «ad unguem» nella via Piroselli del nostro centro.
Il nuovo edificio, che sorga in un'area vastissima e centrale, sarà dotato di tutti i «conforts», e ospiterà circa centocinquanta bambini.
GAZZETTA DEL SUD 23 giugno 1956
 
 
Nuovo ufficio PP. TT. a Platì
 
Platì, 25 giugno
(M. F.) - È  stato trasferito l'ufficio postale del nostro centro, dall'angusto locale della lontana Piazza Duomo, In un moderno e arioso edificio di via XXIV Maggio. Il nuovo locale, oltre ad essere più ampio del precedente, più centrale e quindi più accessibile ai cittadini.
Anche i mobili dell'arredamento che prima erano costituiti da vecchio ciarpame antirazionale ed antiestetico, sono stati sostituiti con mobili nuovi fiammanti e di stile novecento.
Siamo grati all'Amministrazione Provinciale delle Poste e Telegrafi per questi tanto attesi  provvedimenti.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD 26 giugno 1956
 

Forse è già stato detto: le corrispondenze da Platì di Michele Fera pubblicate sulla Gazzetta del Sud dal 1955 al 1959 riemergono oggi come una cronaca minimalista della vita cittadina. Non che sullo stesso quotidiano in quei tempi non siano apparse notizie di tutt’altro genere, per quei tipi di cronistorie c’erano diversi corrispondenti provenienti da altre zone. Erano gli anni a ridosso del doppio diluvio, 1951 e 1953, il paese cercava di risorgere dalle catastrofi, tentava contatti col mondo esterno sia attraverso i sindacati, i partiti, gli studenti come anche attraverso i fuggiti in cerca di lavoro. Il futuro era incerto, all’incertezza si associava lo sbarramento, le negazioni che ancora oggi soffocano chi ha scelto con coraggio di rimanere. Per chi in quei tempi era adolescente le redazioni di Michele Fera diventano nostalgia, per chi è venuto dopo una scoperta. L’occasione di oggi è anche un momento per ricordare don Ferdinando Zappia il quale oltre a distribuire la luce elettrica distribuiva servizi postali ed era il proprietario del sito su cui sorgerà il nuovo asilo infantile.


domenica 17 luglio 2022

Il concorso [di Philippa Lowthorpe, 2020]

Concorso fotografico del giugno locrese


(F.T.) Locri 7 giugno
Il terzo concorso fotografico bandito dalla Foto Attualità «Polifroni», nel quadro delle manifestazione del Giugno Locrese ha ottenuto, quest'anno, un successo pieno.
Ben 22 sono stati i concorrenti con almeno 200 lavori, per cui difficile è stato il compito della Commissione giudicatrice, composta dal Giudice dr. Mario Marvasi - Presidente; prof. Gaudio Incorpora, prof. Giuseppe Galasso, rag. Riccardo Montano, fotografo Giuseppe Polifroni.
Il primo premio per il ritratto è stato aggiudicato alla fotografia «Na vuci, na chitarrae na... spera e suli», eseguita dal prof. dr. Alfredo Gasparro da Siderno.
Il primo premio per la Natura morta alla foto «Vecchi pupazzi in soffitta» eseguita dal geom. Armando Cardo da Locri; il primo premio per la figura ambientata viene assegnato alla fotografia contrassegnata con il motto «Vecchi di San Luca».
La Commissione ha altresì deciso di segnalare i seguenti altri lavori: «II viandante» di Arnaldo Scarfò, «Finestra calabrese» di Michele Fera e «Piccole anfore e conchiglie» di Armando Cardo.
Esprimiamo al nostro Pepè Polifroni il più affettuoso compiacimento per la riuscita della manifestazione artistica da lui voluta ed organizzata con encomiabile zelo.
Siamo certi che anche l'anno prossimo il concorso fotografico sarà organizzato e riscuoterà un nuovo meritato successo.
GAZZETTA DEL SUD 8 giugno 1956
 
In apertura la vincitrice per la figura ambientata «Vecchi di San Luca».

 

venerdì 15 luglio 2022

A Chiara [di Jonas Carpignano, 2021]

A Chiara (2021) di Jonas Carpignano è un film su cui si possono riservare ore su ore di dibattiti tanto è il coinvolgimento per chi riesce ad apprezzarlo. Il regista italo- americano ha eletto Gioia Tauro sua terra adottiva e a motivo di essa ci racconta la Calabria, o se volete, per dirla con parole attuali, la Città Metropolitana di Reggio Calabria. Importante per portare a termine in modo speciale il film in questione è la scelta stilistica e la volontà di ritornare alla pellicola, usando per questo mezzi tecnici leggeri che permettono al regista di stare sempre al passo, sempre in movimento, degli interpreti, restringendo il campo visivo, e risaltare la psicologia dei personaggi, senza dimenticare la maggiore resa cromatica. Il lavoro si può facilmente suddividere in quattro parti, più un segmento centrale che è la vetta più alta raggiunta nel lavoro del regista: la vita di una famiglia di Gioia Tauro; a Chiara; la sopravvivenza, l’epilogo. Ciò che non convince è proprio l’epilogo con “la svolta narrativa poco probabile”. Carpignano con un procedere che riporta alla lezione di Roberto Rossellini ci mostra la vita di una tipica famiglia calabrese di neo arricchiti.  Il suo quotidiano, come quello di una qualsiasi famiglia sulla terra, è crescere i figli nel modo migliore possibile, anche se esse sono tutte ragazze: la scuola, l’apparecchio odontoiatrico, la palestra, gli amici, i selfie, i diciotto anni della maggiore di esse, il trend che a volte emerge come kitsch. Chiara scoprirà presto che tutto questo ha un prezzo. Crescere ha un costo. Il segmento centrale citato: è il momento decisivo per Chiara, quasi una sorta di limite tra l’adolescenza e le future sofferte scelte, qui rivediamo Pio Amato passare dalla ciambra alla maturità, alla consapevolezza di sé, ad un futuro responsabile.

mercoledì 13 luglio 2022

La valle della sete [di Edward F. Cline, 1935]



UNA SITUAZIONE INSOSTENIBILE
Manca l’acqua a Senoli di Platì
E dire che a 200 metri dall’abitato il prezioso liquido scende abbondante nelle tubazioni dell’acquedotto di Ardore

Platì, 10 giugno
Arriviamo a Senoli di Platì verso le otto del mattino, e ci accoglie il suono di un corno da caccia. Ma non è Diana Cacciatrice a dargli fiato, bensì un insegnante elementare che con quel mezzo chiama a raccolta dall'immensa campagna bruciata, gli alunni per le ultime lezioni dell'anno.
Questo ce lo spiega una donna: un bellissimo rudere di venticinque anni, come ce ne sono a decine nella zona. A guisa di rampicante, l'ultimo nato le sta attaccato al seno avvizzito. Non riusciamo a scoprire il misterioso tritone, e non ce ne diamo pena.
Senoli di Platì consta di vari gruppi di casette, ostilmente dislocate a centinaia di metri le une dalle altre; si che a volerle visitare tutte, ce ne sarebbe per mezza giornata. D'altronde, non vale la pena di farlo: sono tutte identiche. Bambini sporchi sostano senza allegria nel letame, tra porci galline e vecchi. Ci sarà dell'altro nelle sordide casupole di gesso; ma scene come questa che vi si presenta subito appena arriva-
ti, vi levano la voglia di indagare oltre nella vita senolese.
Deserto senza oasi, sotto il sole estivo, l'abitato di Senoli. Le pietre calcificate ai abbagliano; gli oleandri vi mostrano la loro meravigliosa fioritura distrutta da una coltre di polvere. E mosche, api, zanzare, calabroni, vi ronzano introno in un nugolo instancabile.
A Senoli di Platì non c'è acqua. Non c'è acqua per la terra, e non c'è acqua per gli uomini.
Bisogna andarla a prendere a quattro o cinque chilometri di distanza nell'aperta campagna, a un ruscelletto anemico che dura fino a mezza estate; poi i chilometri da percorrere per il rifornimento diventano sette, da Senoli a Natile Nuovo. Per chi non ha la forza di percorrere giornalmente questa «via crucis», ci sono i fossi acquitrinosi che stagnano qua e, là, carichi di malaria e di tifo.
Un contadino di trent'anni, invecchiato nel fiore della giovinezza, ci accompagna al ruscello «vicino»; il sole comincia a bruciare maledettamente, e il nostro passo deve per forza accorciarsi, sulla sabbia sdrucciolevole della salita.
Camminiamo in fila indiana per un sentiero incassato tra due file di cespugli, il contadino, noi, e l’ing. Rossetti, che da vari mesi, dirigendo i lavori per la costruzione di una stradicciola carraia da Senoli alla S.S. 112, ha imparato a conoscere i problemi della popolazione del luogo.
Davanti a noi cammina una vacca. Intorno, il solito nugolo di insetti. 
La vacca esce a un tratto dal sentiero infilandosi a capofitto nella siepe; la vediamo rientrare per lo stesso mezzo un po' più a monte, e quindi ripetere alcune altre volte la strana operazione. Mentre ci chiediamo incuriositi cosa possa significare questo strano «slalom», ci accorgiamo di essere ricoperti di tafani. Sono quelli stessi di cui la vacca si è liberata un attimo fa con l’intelligente sistema.
Potremmo seguirne l’esempio adesso, ma ci rinunziamo. Dopotutto noi non siamo mucche e i poveri tafani, delusi, ci lasciano «sua sponte».
Arriviamo così al ruscello, che si versa in un rustico fondale di cemento. Vorremmo levarci la sete, ma dobbiamo sputare disgustati: ci pare di avere ingerito del latte di calce: E' questa, dunque l’acqua di Senoli?
Una vecchia, mentre aspetta pazientemente che la sua brocca si riempie, ci guarda. Ha il collo grosso come quello di un pugile a causa delle vegetazioni adenoidi favorite dalla scarsezza di jodio nell’acqua Non si lancia fotografare.
Incontriamo altre tre o quattro vecchi ridotti nelle sue medesime condizioni; una di essi anzi, sembra avere attaccate al collo due grosse noci di cocco. Solo un intervento chirurgico lo libererà della strana deformazione, ma questa si rinnoverà dopo le prime bevute.
Tutto questo, mentre, a duecento metri circa dall'abitato di Senoli scorre l'acqua fresca e leggera dell'Aspromonte.
Scorre, ben s'intende, nelle grosse tubazioni dell’acquedotto che alimenterà il centro di Ardore.
Un filo di quell'acqua, e i cittadini di Senoli sarebbero salvi.
Ma quell'acqua è «Tabù».
Le numerose istanze della Amministrazione Comunale di Platì si sono infrante davanti al ferreo «non possumus» dei su dirigenti il consorzio per l’acquedotto medesimo.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 11 giugno 1957

La foto d’apertura è dello stesso Michele Fera: "un contadino di Senoli appoggiandosi alla lunga pertica, contro le asperità del terreno che deve affrontare, va a riempire il secchio d’acqua che tiene bilanciato sul manico della scure".

L’abbandono di Platì da parte di Michele Fera è oggi un vuoto tra i più profondi vista la spinta in avanti che avrebbe potuto dare alle future generazioni dei suoi tempi, e di domani.

domenica 3 luglio 2022

Fuori dalla nebbia [di Anatole Litvak, 1941]

«Se sei nato a Platí, – spiegano con rabbia e rammarico i due poliziotti che da anni indagano nella Ionica, – sei nato sfortunato». «È un po’ come se non potessi prescindere da un destino che t’è toccato e per forza di cose ti nutrissi di una certa mentalità e la facessi tua, perché questa ti hanno inculcato».

"Uomini capaci di essere attori della modernità, ma portatori perenni di premodernità".


Avendo di già usufruito del meglio dell’estate – caldo, freddo, pioggia, umido, insetti (e mosche cavallone), melanzane, pomodori e peperoni andati a male, fagiolini che dormono, zzipanguli bruciati dal sole, incendi … mi sono trasferito in quel di Buccinasco, la Platì del terzo millennio … dicono!  
Chi si vorrà avventurare a scrivere un’obiettiva storia di Platì è bene che tenga conto di Buccinasco La ‘ndrangheta al nord di Nando Dalla Chiesa e Martina Panzarasa edito per Einaudi nel 212. Il suo valore sta nell’indagine sociologica e socio-politica portata avanti con sobrietà e documentazione dagli autori; se ad incominciarlo si rimane infastiditi alla fine è la resurrezione quella che subentra. Da oggi in poi il testo e la relativa indagine sono da superare e rivedere per non rimanere aggrovigliati nelle maglie della soffocazione: “una ragione … più necessitata che volontaria … destinata a rivelare nel tempo i suoi benefici effetti”. Il libro di Dalla Chiesa e Panzarasa è da considerarsi come una sorta di zibaldone vista la mole di testi e documenti citati. Di fatto sta che è anche un valido aiuto per capire la Storia di Platì, anche per non sottacere il lato noir di avvenimenti scaturiti nel passato vuoi o non vuoi da malesseri di vario genere che vanno dalla lotta per la vita o per la dignità della persona.
La parte centrale, quella legata ad episodi di natura delittuosa non aggiunge nulla di nuovo. Per chi si è nutrito di cinema nero americano tali episodi sono visibili, seppur frammentati in opere che vanno da Piccolo Cesare del 1931 (il film citato in apertura è un altro valido esempio) a Traffic del 2000, in quest’ultimo Steven Soderberg ha detto quello che bisognava dire sul tema della droga - anzi voglio ricordare addirittura un film italiano, Alina di Giorgio Pàstina del 1949, siamo in pieno dopoguerra: i trafficanti di droga sono degli inermi valligiani piemontesi che smerciano per sopravvivere la polverina in Francia;  senza dimenticare William Faulkner e Cormac Mc Carty sul versante della grande letteratura. 
Dalla pubblicazione del citato libro però qualcosa di nuovo c’è: A Chiara di Jonas Carpignano del 2021 e Michele Papalia, che stende sale sulle piaghe.

La foto è uno sguardo sulla via fratelli Sergi, quando la CASA era ancora piena di odori, suoni, voci, i gerani e le fucsie in fiore, il gelsomino profumato.