UNA
SITUAZIONE INSOSTENIBILE
Manca l’acqua a Senoli di Platì
E
dire che a 200 metri dall’abitato il prezioso liquido scende abbondante nelle
tubazioni dell’acquedotto di Ardore
Platì, 10 giugno
Arriviamo
a Senoli di Platì verso le otto del mattino, e ci accoglie il suono di un corno
da caccia. Ma non è Diana Cacciatrice a dargli fiato, bensì un insegnante
elementare che con quel mezzo chiama a raccolta dall'immensa campagna bruciata,
gli alunni per le ultime lezioni dell'anno.
Questo
ce lo spiega una donna: un bellissimo rudere di venticinque anni, come ce ne
sono a decine nella zona. A guisa di rampicante, l'ultimo nato le sta attaccato
al seno avvizzito. Non riusciamo a scoprire il misterioso tritone, e non ce ne
diamo pena.
Senoli
di Platì consta di vari gruppi di casette, ostilmente dislocate a centinaia di
metri le une dalle altre; si che a volerle visitare tutte, ce ne sarebbe per
mezza giornata. D'altronde, non vale la pena di farlo: sono tutte identiche.
Bambini sporchi sostano senza allegria nel letame, tra porci galline e vecchi.
Ci sarà dell'altro nelle sordide casupole di gesso; ma scene come questa che vi
si presenta subito appena arriva-
ti, vi
levano la voglia di indagare oltre nella vita senolese.
Deserto
senza oasi, sotto il sole estivo, l'abitato di Senoli. Le pietre calcificate ai
abbagliano; gli oleandri vi mostrano la loro meravigliosa fioritura distrutta
da una coltre di polvere. E mosche, api, zanzare, calabroni, vi ronzano introno
in un nugolo instancabile.
A
Senoli di Platì non c'è acqua. Non c'è acqua per la terra, e non c'è acqua per
gli uomini.
Bisogna
andarla a prendere a quattro o cinque chilometri di distanza nell'aperta
campagna, a un ruscelletto anemico che dura fino a mezza estate; poi i
chilometri da percorrere per il rifornimento diventano sette, da Senoli a
Natile Nuovo. Per chi non ha la forza di percorrere giornalmente questa «via
crucis», ci sono i fossi acquitrinosi
che stagnano qua e, là, carichi di malaria e di tifo.
Un
contadino di trent'anni, invecchiato nel fiore della giovinezza, ci accompagna
al ruscello «vicino»; il sole comincia a bruciare maledettamente, e il nostro
passo deve per forza accorciarsi, sulla sabbia sdrucciolevole della salita.
Camminiamo
in fila indiana per un sentiero incassato tra due file di cespugli, il
contadino, noi, e l’ing. Rossetti, che da vari mesi, dirigendo i lavori per la
costruzione di una stradicciola carraia da Senoli alla
S.S. 112, ha imparato a conoscere i problemi della popolazione del luogo.
Davanti
a noi cammina una vacca. Intorno, il solito nugolo di insetti.
La
vacca esce a un tratto dal sentiero infilandosi a capofitto nella siepe; la
vediamo rientrare per lo stesso mezzo un po' più a monte, e quindi ripetere
alcune altre volte la strana operazione. Mentre ci chiediamo incuriositi cosa
possa significare questo strano «slalom», ci accorgiamo di essere ricoperti di
tafani. Sono quelli stessi di cui la vacca si è liberata un attimo fa con l’intelligente
sistema.
Potremmo
seguirne l’esempio adesso, ma ci rinunziamo. Dopotutto noi non siamo mucche e i
poveri tafani, delusi, ci lasciano «sua sponte».
Arriviamo
così al ruscello, che si
versa in un rustico fondale di cemento. Vorremmo levarci la sete, ma dobbiamo
sputare disgustati: ci pare di avere ingerito del latte di calce: E' questa,
dunque l’acqua di Senoli?
Una
vecchia, mentre aspetta pazientemente che la sua brocca si riempie, ci guarda.
Ha il collo grosso come quello di un pugile a causa delle vegetazioni adenoidi
favorite dalla scarsezza di jodio nell’acqua Non si lancia fotografare.
Incontriamo
altre tre o quattro vecchi ridotti nelle sue medesime condizioni; una di essi
anzi, sembra avere attaccate al collo due grosse noci di cocco. Solo un
intervento chirurgico lo libererà della strana deformazione, ma questa si
rinnoverà dopo le prime bevute.
Tutto
questo, mentre, a duecento metri circa dall'abitato di Senoli scorre l'acqua
fresca e leggera dell'Aspromonte.
Scorre,
ben s'intende, nelle grosse tubazioni dell’acquedotto che alimenterà il centro
di Ardore.
Un filo
di quell'acqua, e i cittadini di Senoli sarebbero salvi.
Ma
quell'acqua è «Tabù».
Le
numerose istanze della Amministrazione Comunale di Platì si sono infrante
davanti al ferreo «non possumus» dei su dirigenti il consorzio per l’acquedotto
medesimo.
MICHELE FERA
GAZZETTA
DEL SUD, 11 giugno 1957
La
foto d’apertura è dello stesso Michele Fera: "un contadino di Senoli
appoggiandosi alla lunga pertica, contro le asperità del terreno che deve
affrontare, va a riempire il secchio d’acqua che tiene bilanciato sul manico
della scure".
L’abbandono
di Platì da parte di Michele Fera è oggi un vuoto tra i più profondi vista la
spinta in avanti che avrebbe potuto dare alle future generazioni dei suoi
tempi, e di domani.
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