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venerdì 3 giugno 2022

Resurrezione - reup dieci anni dopo


Se lo zio Ciccillo mi ha impresso l’amore per la musica quello per i libri lo devo a papà Ciccillo, tutt’e due quest’anno ne avrebbero avuti 114 di anni. Queste passioni sono rimaste sopite e superate per una passione che definirei vitale: quella per il cinema che devo allo zio Peppino , u mutu i barva e a Mimmo Addabbo. Musica e lettura resurrexit per merito di due incontri che feci negli anni che si susseguirono alla maturità scolastica. A parte libri e libricini di preghiere della mamma, l’unico libro che ricordo in casa, a Platì, è Resurrezione di Lev Tolstoi – mi piace scriverlo così, né alla russa con la J che sembra un’appendice felina, né all’americana con la Y yankee -.

E’ sulla scrivania di papà, nel retrobottega, che, poi, era ancora una parte della bottega: di fronte, dove stava seduto papà, la scaffalatura conteneva le scarpe in vendita, alle spalle c'era di tutto, dai chiodi di tutte le dimensioni alle cartucce, piombo & polvere da sparo per i cacciatori.

Papà, è stato, nei tempi prima dell’entrata in casa della televisione, il lettore della famiglia -  è stato anche un ascoltatore della radio (alla sinistra della scrivania), la sua passione erano le opere liriche -; molto spesso, dopo cena, leggeva per gli adulti di casa, dapprima per il nonno, la nonna e le sorelle ancora signorine, e dopo sposato si aggiunse la mamma, ma già mancava qualche sorella andata sposa di mariti venuti da fuori. Poco prima di venir meno la zia Amalia mi ha detto che papà leggeva di tutto, eppure non superò mai la terza elementare. Qui a Messina preferiva gli editoriali del direttore della Gazzetta del Sud, il quale col suo anticomunismo alla messinese infusogli dal suo padrone/padrino/allevatore, Bonino, il re della molitura, lo faceva arrabbiare e gridare, indirizzandogli, “bestia”!

Quel titolo, Resurrezione, non l’ho scordato mai: nella copertina del libro era scritto di colore rosso, in corsivo, di traverso, da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto, con sopra un volto dolorante d’uomo - un Cristo? -.

 

Ho aspettato anni prima di cominciare a leggere Tolstoi, e l’ho letto tutto. Devo dire che ho cominciato al momento giusto con Anna KarerinaGuerra e Pace è il libro da leggere e rileggere: del resto Cormac Mc Carthy, come ai suoi tempi Dostoevki, lo definiscono il più grande mai scritto, superiore alla Bibbia e. fidatevi, è così! Mio malgrado, quello che preferisco è I Cosacchi, una cosetta rispetto all’altro, ma per dirla con Marcel Proust: “sono le opere da niente che ci fanno addentrare nei gradi capolavori di uno scrittore”.




 

martedì 22 marzo 2022

Il signor Bachmann e la sua classe [di Maria Speth - 2021]


Ho resistito per un bel po' di tempo perché la scuola come istituzione mi ha alienato fin dall'inizio. Dieter Bachman


Il signor Bachmann e la sua classe  (Herr Bachmann und seine klasse) non è altro che gli ultimi mesi di vita accademica di un maestro fuori dal comune, come lo era Bruno Cirino nello sceneggiato televisivo Diario di un maestro di Vittorio De Seta del 1973. Dieter Bachmann ha raggiunto i sessantacinque anni di età e alla fine dell’anno scolastico, dopo aver consegnato ai suoi alunni le pagelle che per lui non significano niente, verrà messo a riposo. Il film della regista tedesca Maria Speth ha lo stesso incedere di un documentario di Frederick Wiseman ma contiene di più: è il testamento audiovisivo della maieutica di Danilo Dolci, la lezione musicale di The School of Rock (2003) di Richard Linklater, l’amore pe l’insegnamento del maestro Lopez in Essere e avere (Être et avoir, 2002) di Nicolas Philibert, è, infine, per andare più a noi, il film di Michele D’Ignazio Mare lento*con molti più soldi e mezzi tecnici, il professor Fabio Cuzzola quando avrà sessantasette anni e non sarà per niente disilluso. È la scuola fatta da chi la sa fare e il cinema a fargli da compare.

https://iloveplati.blogspot.com/2021/12/mare-lento-di-michele-dignazio-2009.html



giovedì 16 dicembre 2021

Mare lento [di Michele D'Ignazio - 2009]

Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e ricrearlePaulo Freire (1921 – 1997)

… questi giovani hanno avuto occasione di pensare, di confrontarsi. Soli e insieme. Danilo Dolci (1924 – 1997)

Facendo ricerche su Danilo Dolci Mr. Google mi ha condotto verso questo video intitolato Mare Lento di Michele D’Ignazio. Il titolo è spiegato verso la fine del lavoro con una didascalia su sfondo nero: “Nel linguaggio dei nativi americani, la parola “insegnante” non esiste. È la vita che insegna: sono le circostanze, come il susseguirsi delle onde, in un unico grande mare”. Anche la citazione di Danilo Dolci è contenuta nel video in questione. Quella di Paulo Freire invece proviene da un lavoro più sostanzioso già apparso su queste pagine: La Educacion Prohibida*. Paulo Freire è stato un educatore brasiliano che molto ha in comune con il nostro Danilo Dolci. Mare Lento, del 2009, ritrae la vita e il percorso educativo di una classe del Liceo Classico “Vincenzo Gerace” di Cittanova. I ragazzi ad un anno dalla maturità erano guidati dal professor Fabio Cuzzola(1). Proprio nel lavoro del professor Cuzzola e nelle impressioni dei suoi allievi è la parte più interessante del video: “Ho scelto l’insegnamento come possibilità lavorativa per restare al sud, in Calabria, poi via via una scelta lavorativa è diventata una passione, la migliore delle esperienze attraverso la quale si può coniugare la possibilità di restare in questa terra e di poterla cambiare anche restandovi”. Da parte loro gli allievi vanno esprimendo le loro impressioni sulla scuola e sui loro docenti: “… non è questione se sono bravi o se sono capaci … sono attaccati ai punteggi, ai concorsi, alle graduatorie … alla 104”. Essi hanno anche un futuro incerto che li aspetta ed alcuni di loro già pensano di affrontarlo con l’emigrare al Nord. Nel frattempo grazie alla professionalità del professor Cuzzola, che non disdegna il teatro o le conferenze, i ragazzi sono indotti a pensare con la loro testa: Danilo Dolci usava la maieutica con i braccianti e i “banditi” di Partinico. Noi di Platì abbiamo avuto Pasqualino Perri come educatore e l’abbiamo sprecato come sprechiamo tante risorse che dal paese derivano. I docenti della locride pensano anch’essi alla 104? 

E i domani verranno anche se oggi non par vero. Danilo Dolci

(1) Fabio Cuzzola, classe 1970, è anche autore di Cinque anarchici del Sud. Una storia negata (Città del Sole Edizioni, 2001) e REGGIO 1970: Storie e memorie della rivolta (Donzelli, 2007). 

* https://iloveplati.blogspot.com/2020/12/la-educacion-prohibida-di-german-doin.html

mercoledì 20 maggio 2020

Giorno per giorno [di Maria Speth, 2001] Somebody to Love

Shaped by years of memories
To exorcise their ghosts from inside of me
David Sylvian


Caro Luigi, grazie della tua mail.
Certo, mi fa passare veloci sequenze di tante vite, di altre vite...
Olga Moschella, la incontrai al piano sottoterra della Facoltà Magistero, Istituto di Storia dell'arte, ed ero bagnato e intirizzito, timido come un pulcino.
Ero arrivato a Messina, per la mia nomina a ricercatore supplente in Storia delle Tradizioni Popolari, con l'autostop - non avevo macchina, non ero ricco e, per fortuna, non lo sono mai diventato (odio i soldi) - e fui subito accolto con premura e affetto. Furono anni di dura fatica, di esperienze bellissime, di inviti a cena a casa di Olga, di ristoranti, di Billé, anguria e limonate nelle piazze, viaggi al Piloro, pesce a Ganzirri, innamoramenti e legami duraturi, veri.  
E poi, un'epoca dopo, la Rai 3, i documentari, i viaggi, la scoperta dello Ionio, Caulonia e Platì, Polsi e Brancaleone, Gianni Carteri e Micu Pelle, i viaggi con Enzo Misefari e con Saverio Strati, gli incontri fugaci con La Cava, e la gente, le loro voci, i loro suoni, San Rocco a Gioiosa e un giorno che a Platì, dopo una iniziale diffidenza, un signore cantò per me per oltre due ore...
Nostalgia, anche. Ma, quando mi capita, cerco di fare una piccola messa a punto delle cose fatte, di quelle non fatte, di quanto avrei potuto fare meglio...giravo sullo Ionio e quel mare entrava per sempre nella mia vita e, soprattutto, i paesi interni che, poi, negli anni, avrei percorso a piedi, solitario o con qualche amico intimo...e stabilivo rapporti con persone che sarebbero durati per sempre...
Puoi immaginare, allora, con quale piacere ho visto la tua Platì, nelle tue sequenze filmiche, con brevi ma essenziali parole, con un montaggio intelligente...e come con piacere avrei scritto una paginetta non fosse altro che per ricordare...
Quando Marilisa, tua cugina, una donna che stimo molto e a cui mi sento molto legato, mi parlò delle tue cose, ero nel pieno di un disastro emotivo e affettivo. Di dolore. Mamma se ne era andata ultracentenaria, ma questo rendeva più lacerante la perdita, l'abitudine e, dopo anni di nottate, cure, fughe, mi scoprivo vuoto e impotente. Poi, come nei peggiori film, si ammalò il mio amico di una vita, un fratello, una grande fotografo, Salvatore Piermarini, compagno in viaggi, ricerche, libri, amore per il cinema...e furono due mesi di calvario...e ancora adesso, pure turbato dal Coronavirus, preso da lezioni a distanza, faccende pratiche, non so elaborare dei lutti a cui poi, come nei peggiori film, appunto, se ne sono aggiunti altri importanti. Con questo quadro - che ti ho delineato non per "piangermi", ma per ricordare - forse non ho capito bene quale fosse la richiesta di Marilisa e ho pensato a un generico invito a guardare il blog, cosa che ho fatto, anche con emozione, perché mi fa sempre piacere vedere citate le mie cose da persone intelligenti, non per vanagloria di autore, ma per la sostanza che si può trovare nei libri e che può diventare elemento di scambio.
Adesso leggerò, intanto vedo che il tuo lavoro ha preso un buon cammino, aspetterò l'uscita e, certo, ci saranno altre occasioni per incontrarci, farci qualcosa...tra l'altro è da anni che rinvio un ritorno, con inviti vari, a Platì, Palizzi, Bovalino Superiore, Bianco...area "grecanica", S. Lorenzo, Roghudi ecc. 
Ti auguro belle cose e buona fortuna. Grazie per la stima e l'attenzione che ricambio. Saluta e abbraccia Marilisa, Dericati Calabrisi, comuni amici di Aspromonte. 
Vito Teti

Nella foto di Salvatore Piermarini (1949 - 2019) il prof. Teti, sulle onde dello Scilla e Cariddi, sfoggia dei mustazzi (dal fr. moustaches) che avrebbero fatto l'invidia di Groucho Marx.
La foto si trova qui: https://www.flickr.com/photos/salvatorepiermarini/20141152372
Il prof. Teti in precedenza è apparso qui:



Da ultimo, al prof. Teti non posso fare altro che dedicare il finale piano sequenza di Nostalghia, film del 1983 di Andrej Tarkovskij.
e i QUEEN con Somebody to Love

lunedì 13 novembre 2017

Furia (reg. Fritz Lang - 1936)


            IL DRAMMA DI UN POPOLO

Chi dia uno sguardo a una carta della Calabria si renderà conto della estensione della catastrofe che ha colpito la regione, per l’arco di duecento chilometri da Reggio a Catanzaro, oltre ad alcune limitate zone dell'interno. E' la costiera dello Jonio, la più illustre per le memorie della fiorente vita antica; e di ciò le è restata un'arcana bellezza che tanti secoli oscuri non sono riusciti a cancellare; la più povera ai tempi moderni. Il reddito medio degli abitanti di questa zona, per il settanta per cento, è di sessantaduemila lire annue. I fenomeni sismici da due secoli vi hanno cancellato quasi interamente le tracce dell’architettura di un millennio di vita; le collere della natura vi devastano periodicamente le preziose colture che l'uomo pure strappa alla terra avara.
E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente.
La storia delle opero pubbliche in Calabria è anche troppo nota nella regione. Di quelle elargite dal passato regime, che nell’Italia meridionale faceva una politica stagionale di lavori pubblici come un palliativo alla disoccupazione, non resta quasi più traccia. Per la verità, s'è fatto assai più nel dopoguerra che nei ventidue anni. Ma la Calabria dà sempre l’impressione d'una terra pericolante, in continua riparazione; e le riparazioni appaiono puerili di fronte alla furia improvvisa degli elementi costano molto allo Stato, da non lasciare argino alle opere fondamentali, quelle che il bilancio della guerra d'Abissinia avrebbe potuto compiere portando una regione, infelice quanto è grande la sua forza dl vivere, all’onore del mondo civile, e i suoi abitanti perpetuamente in fuga, dietro le speranze di lavoro, a una vita degna della loro intima civiltà. Perché questo è atroce della sorte dei calabresi; detentori di una antica saggezza e verità della vita, non avviliti da tanti mali sono ricacciati sempre' più a forme di vita elementari, e spesso in lotta con gli elementi come in un mondo primitivo.
Ma i lavori pubblici in Calabria sono stati sempre veduti come un rimedio alla disoccupazione stagionale, né hanno mutato stile. Concepiti come palliativo sociale, inducono imprese e lavoratori alla medesima concezione.
Mezzo secolo d'una tale pratica nella destinazione del denaro dello Stato ha creato una mentalità per cui non si sa più ci sia l’ingannato e chi l’ingannatore. Lo Stato non vi ha guadagnato di prestigio. I Governi non vi hanno mai acquistato solidarietà: la perdono anzi, da anno ad anno. Per molto tempo, la Calabria ignorò lo Stato come ne era ignorata. Venti anni dopo l'unificazione, l’emigrazione bastava a dare ai calabresi una vita e una speranza. Nuova York e Boston erano più vicine di Roma o di Milano e, se l'emigrazione fosse rimasta aperta, i calabresi avrebbero risolto I loro problemi da sé, disgregato il latifondo, riformato i paesi e le abitazioni, rammodernato l'agricoltura, industrializzato, nei suoi limiti, il paese. La chiusura delle vie degli emigranti fu la causa non ultima delle crisi sociali italiane.
Il più moderno studio organico sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governi) borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra.
Non si è mai tentata una soluzione radicale. Avrebbe dovuto essere lavoro e cura di intere generazioni, di sagaci amministratori e non dl fondi messi a disposizione lavori di ripiego, che danno cattivi risultati anche nella formazione morale dei lavoratori i quali sanno che si tratta di forme larvate di sussidio, come lo sanno molte imprese. Davanti all’imponenza dei mali accumulati da ormai un secolo di cattiva o distratta amministrazione, sbigottisce l'idea che nessun bilancio di nessuno Stato basterebbe a sanare i mali prodotti nella struttura della regione. Ma un giorno bisogna pur cominciare, e questo giorno puo’ essere oggi. Chi abbia un immagine dei torrenti della Calabria, dai letti larghi da uno a due chilometri, per l'estensione da dieci a quindici chilometri, i più tremendi sul versante colpito ieri, sa che impresa sia trasformarli da mostri distruttori a sorgenti di vita; ridare alle colture i greti, che diverrebbero fertili piani, creare serbatoi di energia, che sarebbero la fortuna di tutta l'Italia meridionale, che in alcune regioni è disperatamente e ineluttabilmente in ascesa, che fatalmente conquisterà una potenza comparabile alle migliori conquiste del Nord e che al Nord stesso potrà presentarsi alleata delle sue migliori fortune.
Bisogna dire queste cose, per non ridursi alle solite condoglianze d'occasione. La solidarietà nazionale si muoverà certo verso questo angolo della terra, in un pianeta pure afflitto da tante dure prove, ma con immensi poteri di recupero. Perché non resti un fugace slancio generoso, occorrerebbe che si delineasse un piano di azione, che si disponesse di uomini responsabili per la soluzione di questo dramma ormai secolare.
Il popolo calabrese ha virtù generose, ridotte ormai allo stretto mondo familiare e questa è la leva delle sue conquiste. Ha un senso della giustizia e il rispetto della persona umana e di sé, estrema reazione non ha dato spettacoli a quanto di umiliante ha dovuto subire. Per questo attraverso tante sventure, non ha dato spettacoli atroci ai quali sarebbe indotto, forse, qualunque altro popolo se fosse tanto duramente provato. Può finire in forme di disgregazione sociale, dopo avere tenuto duro per oltre un secolo nelle sue virtù fondamentali, irrimediabilmente. Questo popolo e la sua terra hanno, per tutti quelli che li hanno veduti da vicino, un non comune carattere, portano l'impronta di una vocazione a tutto quanto nel mondo è più degno di essere vissuto. A questi uomini è tempo di offrire un compito e una speranza, perché diano i risultati che conosce bene chi li ha veduti in guerra e al lavori sotto tutti i cieli.
 Corrado Alvaro
CORRIERE DELLA SERA, 24 ottobre 1953

L'articolo mi è pervenuto per interessamento di mio fratello Saro.
La foto, by Francesco di Raimondo, è di Toto Delfino

martedì 17 ottobre 2017

Il Superiore (reg. Keisuke Kinoshita -1953)


Questa è una scoperta di poche ore. Cercando alla voce Fera, che non è la più celebre, quella di Stefano Horcynus Orca D’Arrigo: da quella i cariddoti non si salvavano. Quella mia, o se volete platiota, è un cognome tra i più in vista: l’avv. Rosario Fera, il dottor Fera, medico dei santulucoti, la signora Graziella, notaio in Bergamo, la mamma del nonno Luigi, Rosa Fera, la mamma della nonna Lisa, Caterina Fera sono i miei più noti. Ora si è aggiunto anche Mimì Fera, meglio conosciuto come il Colonnello Fera. Ed è partendo da quest’ultimo che sono risalito a Domenico Fera, superiore a Polsi dal 1836 al 1856 di cui i pochi a conoscerlo non sapevano data di nascita e patronimici - ignoti  a Salvatore Gemelli, storico polsiade - autore tra l’altro della prima opera storica su quel Santo Sito, nonché artefice del rinnovamento della chiesa e dell'incentivazione del culto polsiano (Salvatore Gemelli, Storia tradizioni e leggende a Polsi d'Aspromonte, 1974). Ebbene Monsignor Domenico Fera nacque a Platì l’8 novembre 1818 da Francesco, bracciale di anni quaranta, e da Anna Lentini, moglie legittima di anni trenta. Siamo negli anni della restaurazione borbonica, l’atto di nascita fatto davanti a Ferdinando Mittiga, sindaco, vedeva testimoni: Giuseppe Marando di anni 36 e Saverio Romeo di anni 40, ambedue bracciali e residenti in via San Pasquale. FINE. Anzi no! C’è ancora Ferdinando Mittiga, non il Caci di Michele Papalia, bensì il nonno del famoso Ferdinando, eroe degli anni piemontesi. Fine. Anzi no! Ci sono ancora i cultori dello scaffale gugliano: a loro raccomando l’opera, ben più facile rispetto al capolavoro dell'italico novecento citato in apertura,  di Mons. Fera che trovano qui: https://play.google.com/store/books/details?id=_78XAAAAYAAJ&rdid=book-_78XAAAAYAAJ&rdot=1, BUONA LETTURA.

SDG


lunedì 9 ottobre 2017

Storie di vita e malavita (reg. Carlo Lizzani - 1975)




IL SIG. ANCHILOSI


Versi inediti
del
Prof. avv. ROSARIO FERA


A cura dell’amico d’infanzia
CICCIO PORTOLESI


Poi ch’ebbe il conte ignavo depredato (1)
lasciò gli umili arnesi del tintore
e assunse il portamento da signore
e mise scarpe di vitel cromato.

Non smise di rubar lo scellerato
(per lui il rubare è un titolo d’onore)
e truffando menò senza rossore
la vita prava da onest’uomo truccato.

Ora agonizza e sconta ché la mano
di Dio lo stringe tra le ferree spire
d’un mal per cui tutto rimedio è vano.

Com’è triste per lui dover morire (2)
inoltrarsi nel buio piano
verso di vampe eterne un avvenire.


Nel manoscritto l’autore à le seguenti varianti:
(1) “ ………………… il conte Oliva
(2) “ Nemmen potrà impedirgli di morire
Del genero l’ingegno sovrumano “.

Nota
Fra le mie carte ho trovato casualmente questi versi inediti del Prof. Avv. Rosario Fera. Li pubblico volentieri al sol fine di far comprendere agli ignari la forza del suo ingegno multiforme e poliedrico.
Altro che le mie reminiscenze poetiche!
Questa è … autentica poesia.
Non capisco a chi il prof. Fera alluda con “ Il signor Anchilosi “ e pertanto gli sarei grato se volesse indicarmelo a generale edificazione, per cui colpisce la sua vittima mentre agonizza sul letto di morte.
Maramaldo non è solo nella storia!!

Platì 20 agosto 1924

FRANCESCO PORTOLESI


Nota -  Quando vide la luce questo testo (non riconosciuto dall’autore) era in corso una ostinata lotta tra Francesco Portolesi (allora segretario comunale) e l’avv. Rosario Fera (allora sindaco di Platì) che presto rivivrà su queste pagine.



giovedì 5 ottobre 2017

La Carne e l'Anima (reg. Wladimir D. Strichewsky - 1943)


Ieri mattina i carabinieri hanno vietato la vendita della carne di capra
I riti di Polsi bloccati dai Nas
A poco sono valsi i tentativi di della Chiesa

POLSI(San Luca) – “...Tra la calca alcuni armenti sono portati in voto entro la chiesa e gli animali quasi fossero compresi della grandezza nella quale si trovano piegano le ginocchia sui gradini dell’altare. I buoi piegano il collo legato da un nastro, e il timido pastore li guarda ripone il berretto nella tasca e prega anche lui per le cose più care, per i suoi armenti, e quell'umile vestito di orbace nella prostrazione si confonde col vello delle agnelle... Per quella turba magna non basta il convento né le case della comunità, né le capanne e si sceglie ognuno il suo posto sotto i boschi. Tien bottega ognuno all'aperto, le bestie macellate sono appese agli alberi”. E' Corrado Alvaro, che scrive da studente ginnasiale, nei primi decenni del secolo, in uno dei suoi viaggi a Polsi nel Santuario della Madonna della Montagna. Ed io conosco queste cose sin dall’età della ragione quando trascorrevo con mio padre, maresciallo dei carabinieri, le estate infuocate in un paesaggio da orrido, vivificato dalla Madonna dal volto popolano che viene considerata come ‘espressione della pietà popolare più genuina in quanto scaturisce dalla devozione di un popolo, di un'etnìa e della sua cultura. Il preambolo era d’obbligo.  Dopo tre millenni la sacralità di Polsi con i suoi riti, miti, è stata interrotta dai carabinieri, di cui esiste a Polsi soltanto un rudere della vecchia caserma con scritta; “Carabinieri reali". Ieri mattina in modo massiccio sono intervenuti i Nas (Nuclei anti sofisticazioni) per bloccare tutte le attività relative al commercio della carne di capra. Un intervento estemporaneo che se applicato in altri contesti avrebbe portato a consensi, si è rivelato, invece, tra le migliaia di pellegrini come un atto di sottocultura. nei confronti delle tradizioni di Polsi, oggetto continuo di studiosi a livello mondiale nel campo etnico, sociologico e culture. Don Pino Strangio, Rettore del Santuario con incisività dice: “I fatti dimostrano che tutte le soluzioni cercate insieme, collaborando e convincendo con la pazienza le persone interessate, hanno sempre trovato un esito del tutto favorevole. Se si fossero messi in chiaro i dati del problema si sarebbero tempestivamente elaborate soluzioni congrue, coinvolgendo tutte le componenti della società civile”. Non sono valse neppure le sagge parole del vescovo Monsignor Giancarlo Bregantini, né del capitano dei carabinieri, né del comandante la stazione di San Luca. Irremovibili in un'azione che cancella tradizioni e riti. Questa volta dagli agiografi anticoppole non si può leggere che “una mangiata di capra a Polsi è sempre un summit”. `
Antonio Delfino
Gazzetta del Sud, 3 settembre, 2002

Nota - Ancora Toto Delfino critico nei confronti della benemerita. C'è di più, ed è don Pino, oggi declassato e sostituito con prestanomi, ma allora distributore di medaglie e gadget a personaggi in tour on Polsi come dimostra la foto che lo vede appuntare al cuore della regina Paola Ruffo di Calabria, allora sovrana del Belgio, la croce di Polsi, made Gerardo Sacco. Infine, il citato Corrado Alvaro era tra gli sceneggiatori del titolo odierno.

mercoledì 4 ottobre 2017

I Delfini (reg. Francesco Maselli - 1960)


Il caso Polsi. L'ELOGIO DELLA CAPRA
La capra sull’Aspromonte è un animale sacrificale. Sacrificato anche durante i sequestri di persona quando lo Stato, trattava e pagava per riavere gli ostaggi, come Casella, Celadon, Fiora e Sestito e tanti altri, da far dire ad un saggio massaro che viveva da eremita in uno stazzo d’ Aspromonte: Si ficiru amici i lupi e i cani, poveri pecureji ed affritti capri" (Si son fatti amici i lupi (anonima sequestri) ed i cani (forze dell`ordine) povere pecore ed afflitte capre). La capra è antica quanto il mondo, e tutt`ora sull`Aspromonte, vengono divise per età come ai tempi di Polifemo, nell`Odissea di Omero”... ciascun gruppo era chiuso a parte, da un lato i più vecchi, da uno i mezzani, da un altro i lattanti... A sera tornò guidando le greggi villose sedutosi, munse le pecore e le capre belanti, tutto in modo giusto, e sotto ogni bestia spinse un lattante”.
Dall`operazione "Ariete", condotta dai carabinieri del Nas a Polsi, si sono salvate le capre più pregiate le cosiddette "Lastre", le tenere caprette che non hanno mai assaporato l`afrore del barbuto caprone. E da Materazzelli al Piano dei Reggitani, dai Menti a Pirria è stato uno scialo di “lastre” arrostite tra le felci e gli odori di erbe fragranti. La "lastra" chiama vino, in una abbuffata dionistica e paganeggiante senza precedenti. A Pietra Cappa, massaro Bastiano mi dice: “La buonanima di vostro padre quando trovava carni di capre rubate dal Timpa, imprendibile ladro, improvvisava con i carabinieri tra braci ed erbe rare, prelibati banchetti”. Altri tempi. Tempi di carabinieri reali. Ora si ragiona a ritmo d`intelligence e non si perde il vizio di presentarsi a nome di uno Stato repressivo come ha sottolineato icasticamente il vescovo di Locri, Monsignor Giancarlo Bregantini. I carabinieri hanno sequestrato trecento capre quasi tutte vecchie quasi tutte “lardite”. I tiggì soprattutto di Mediaset, per far dimenticare agli italiani il giusto processo, si sono abbandonati tra le braccia dell`Operazione “Ariete”. Macellazione clandestina con rifiuti buttati nel Vallone della Madonna che poi con il torrente Castanìa forma il Buonamico. I Nas si sono accorti, soltanto ora che le fiumare sono inquinate, basta raggiungere il Careri alla foce per tapparsi il naso. Ma nel contesto di Polsi occorre fare l`elogio alla capra, un animale, che sull'Aspromonte è come la renna per i Lapponi. Si utilizza tutto, anche le corna. Anni fa a Reggio un commerciante che faceva incetta di corna di capra, da spedire al nord ad una fabbrica di bottoni, per il lezzo maleodorante, gli hanno messo sotto il deposito un paio di candelotti di gelignite. E ricordo quel vecchio direttore di giornale che mi butta dal letto con destinazione a Reggio. “Vai subito, perché ad uno gli hanno fatto saltare le corna". E poi un titolo a nove colonne. La capra è da tutti osannata. Alvaro che villeggiava a Bagnara impazziva per una pastora dagli occhi verdi che davanti alla porta gli mungeva in una scodella il latte di una capra che approfittava di un momento propizio per brucare un cespo di parietaria. E Matilde Serao, ne “Il ventre di Napoli" scrive: "Ad ogni portone il branco si ferma, si butta a terra, per riposarsi, il capraro acchiappa una capra, e la trascina dentro il portone, per mungerla innanzi agli occhi della serva, che è scesa giù; talvolta la padrona è diffidente, non crede né all'onestà del capraio, né a quella della serva; allora il capraio e capra salgono sino al terzo piano, e sul pianerottolo si forma un consiglio di famiglia, per sorvegliare la mungitura del latte”. Mia madre, quando sono nato non aveva latte e mio padre comprò tre capre da latte, una “minda”, una “draguna” ed una “martìsa". Poi arrivò anche il latte d'asina per combattere la febbre maltese. Per questo faccio l`elogio alla capra messa tra tanti mezzibusti televisivi per cantare l`ode all’Operazione “Ariete”. Ma sono grato anche all’asino che considero come un fratello. Di latte.
Antonio Delfino
il Quotidiano della Calabria, martedì 3 settembre 2002

Nota - Questo brano ci riconsegna – se ce ne fosse ancora bisogno – più caro, il grande, indimenticabile, affabile Toto Delfino, qui esperto conoscitore e buongustaio della capra, incontrastata regina delle nostre montagne. E dire che sembra andare egli contro se stesso se non contro l’Arma che tanto fece per la sua famiglia. E nella foto a Polsi, con mons. Pangallo, il capostipite, il leggendario Giuseppe Delfino (1888 – 1954) alias massaru Peppi, la frusta per i cattivi, in Aspromonte. A proposito, ho avuto la fortuna di conoscere il citato massaro Bastianu, che di cognome andava Codispote,zio dei miei amici natiloti, proprio a Pietra Cappa con una riottosa mandria di capre poco tempo prima che lasciasse questo mondo.



domenica 1 ottobre 2017

Lo spirito più elevato (reg. Akira Kurosawa - 1944)



                    A L’IDEA
          Usque dum vivam et ultra
  Salve, mia Idea, fra tutte splendida,
bella fra tutte, che in te compendii
di tutti  gli umani ideali,
l’ideale più  fulgido e santo.
  Tu sola il cuore per sempre domini,
te sola sogna la mente giovine;
e scorge te l’animo, ovunque
c’è fame e freddo, pianto ed angoscia.
  Idea per te, miei figli reputo
tutti i fanciulli gialli e rachitici;
e chiamo fratelli diletti,
tutti i pezzenti scalzi affamati.
  Figli e fratelli: gli oscuri martiri
de l’officine, l’ignote vittime,
sudanti su l’aride glebe,
ne le pozzanghere de le risaie.
  Fratelli tutti, pur quei che muoiono,
ne gli ospedali, reietti e miseri;
che an monche le membra e le carni,
lacere e nere, stillanti sangue.
  Fratelli e figli: figli, ne l’anima,
voi bimbi belli, da li occhi vividi,
chiedenti con fioca vocina,
un soldo solo, di pane un tozzo;
  figli, voi bimbi, che ne’ più rigidi
del verne immite di brevi e torbidi
qui, sotto al balcone, passate
nudi i piedini sanguinolenti,
  scoperto il capo, la faccia' livida;
od al lavoro, le membra tenere
per pochi centesimi, offrite
assiduamente da mane a sera.
  E Voi sorelle reputo, povere
donne languenti per cruda inopia;
che il sangue dareste pe’ figli;
chiedenti il pane che non avete;
  per voi fanciulle, cui madri adultere
dal loro seno lange respingono;
cui del mercenario accoglie
la mano losca che sa la sferza;
  sorelle chiamo, o infelicissime
 o sventurate, cui attende il vizio,
 il vizio più osceno ed infame,
che poi sul volto portate impresso,
  Idea, per te, del cor mio i palpiti,
finché avrò vita, per loro scendono.
Potessi io vederli felici,
felici tanto, per quanto li amo ....
Platì (Reggio Cal.) Maggio '05.

  FRANCESCO PORTOLESI
XV MAGGIO DEL RISVEGLIO OPERAIO   CHIESA-ITALIA-POPOLO
Benevento, 15 Maggio 1905

Nota - Forse pochi riusciranno portare a termine la lettura di questo testo. Certamente nessuno farà il copy and paste visto che non c'è una foto, a proposito per me Leni è stata una delle donne più brillanti del secolo della bomba atomica, in ogni modo ... polemiche a parte ...
Francesco Portolesi meglio conosciuto, oggi a pochi, come u segretariu Portolesi è stato anch'egli una mente brillante. Fece di tutto: il chierico, il socialista, il fascista e polemizzò con tutti, amici e nemici. Ciò non toglie che possiamo accettare per elevata questa poesia come accetto per elevato il film La bella maledetta della citata Leni. 
                      

giovedì 30 marzo 2017

Al lupo al lupo (reg. Carlo Verdone - 1992)

Uccide un mulo
scambiandolo per lupo
Varapodio 3
Un fatto singolare è accaduto a Varapodio, dove nelle vicine campagne, un contadino - forse affetto da miopia – scambiava un mulo per un lupo e gli esplodeva due colpi di fucile. La povera bestia, gravemente ferita, doveva essere abbattuta.
E’ ovvio aggiungere che il curioso episodio ha dato la stura fu ai più salaci commenti. Lupi nelle nostre campagne non se ne videro mai; solo la fantasia del focoso contadino ne ha visto uno, ed era un pacifico mulo, che pascolava tranquillamente che è rimasto spacciato per le traveggole del suo uccisore.


GAZZETTA DEL SUD Venerdì 4 luglio 1952

domenica 5 marzo 2017

L'anima e il volto (reg. Curtis Bernhardt - 1946)


Domenico Giampaolo
1876 - 1911


E all’anima nostra, puramente ellenica arrivano tutti questi ingenui incanti; all’anima nostra scende tutto il fascino di questa nostra terra sacra, il cui amore ci tiene ad essa strettamente legati a dispetto di ogni vicissitudine contraria di uomini e di natura.

. .. e se qualcosa di vero si volesse appurare, bisognerebbe aver tempo ed opportunità per consultare all’uopo i polverosi documenti dell’archivio napoletano.
Ma pur restando ignorati i veri particolari storici … niuna prova abbiamo che il regime feudale degli antichi signori … sia stato dissimile degli altri regimi di ferocia e di tirannide di quei tempi di tenebre e di barbarie.
Povero popolo! Cercava fra’ monti ripararsi dalle frequenti invasioni saracine, riparandosi all’ombra del castello feudale, e fra’ monti vedeva ergersi il baluardo della tirannide, quel baluardo da cui si aspettava protezione ed aiuto, e che lo assoggettava invece al suo ferreo comando; di guisa che, preso fra due fuochi, doveva, costretto dalle crudeli circostanze dei tempi, accettare sottomesso le catene del servaggio.
Così, dunque ci volgiamo in questa nostra classica terra  d’Italia, dai centri più luminosi e più celebri, alle plaghe più umili e dimenticate, scorgiamo i medesimi vestigi d’oppressione e di schiavitù, di padronanza e di servilismo, l’eterna storia di tutti i tempi; che se col passare dei secoli il diritto del più forte contro il più debole venne spogliandosi della sua rozza ferocia, continuò sempre in sostanza a mantenersi tale, vestendo apparenze più miti e gentili, e nell’interesse di continuare ad esistere e a dominare, trasformando la maschera della ferocia in maschera di sorridente ipocrisia.

Si, questa profonda, complessa, vigorosa anima calabra che, sapendosi esclusa dai mutui rapporti di civiltà e di azione agitanti febbrilmente i popoli, cerca crearsi un nuovo modo di vivere in una sfera di mistici bagliori e di sogni, sente di dovere e di poter tendere verso i più alti destini, e venendole conteso spiegare il volo superbo verso i sublimi orizzonti di luce, di civiltà e di vita, attende l’ora di resurrezione finora indarno invocata, si, l’attende col cuore gravato da un’ambascia suprema, da un dolore ineffabile, la chiede al suo genio mistico.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

La foto è tratta dal libro di Fortunato Nocera, San Luca in Aspromonte del 2015

domenica 26 febbraio 2017

Verso il sole (reg. Gustaf Molander - 1936)




Accusiamo recenzione, sebbene tardivamente, per esclusivo motivo di mancanza di spazio di un opuscolo intitolato “ Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia "del giovane studente liceale sig. Corrado Alvaro da S. Luca (Calabria).
Facciamo i nostri rallegramenti col neo scrittore che ha bellamente esposto l’origine e le molteplici vicissitudini del Vetustissimo Santuario.
Nel porgere Vivi ringraziamenti al sig. Alvaro gli auguriamo prosperi successi nella cultura dei suoi studi, dei quali avremo agio intrattenerci più diffusamente e come meritano in prossimo articolo.
POPSIS, Anno IV, 1913, n. 1



Quest’ultimo piano
a cura di  Monsignor Giosofatto Mittiga
Arciprete Superiore
fu elevato
Anno 1908



Questo vetustissimo cenobio
più che per le ingiurie del tempo
dal terremoto reso malfermo e crollante
mercé la munificenza di S. S. Pio X
 e l’obolo dei ferventi devoti
alla VERGINE DEI POLSI
Monsignor Giosofatto Mittiga Superiore
ampliando restauro riedificò
Leuzzi Domenico e Figli da Delianuova costruirono
Anno 1910




DA QUESTA TERRAZZA 
RICORDO PERENNE 
DELL' OPERA RESTAURATRICE 
COMPIUTA 
DA MONS. GIOSAFATTO MITTIGA 
SUPERIORE ZELANTISSIMO 
L’EMIN. CARD. FILIPPO GIUSTINI 
PREFETTO DELLA CONG. DEI SACRAMENTI 
IL GIORNO 2 SETT. .1919 
DOPO AVER PRESO POSSESSO DEL SANTUARIO 
COME PROTETTORE INSIGNE 
IN NOME DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XV 
CON COMMOZIONE PATERNA 
BENEDICEVA I POPOLI 
ACCORSI NUMEROSI 
IN QUESTA VALLE 
DOVE DAI SECOLI REMOTI 
SOVRANA POTENTE 
REGNA MARIA

Nota
Oggi si vuole ricordare il debutto artistico di Corrado Alvaro e attraverso le lapidi Mons. Giosafatto Mittiga anch'egli ricordato in quell'esordio letterario. 
Le foto sono cortesia di Sandro Messina.

domenica 19 febbraio 2017

Vittorie perdute (reg. Ted Post - 1978)


L’esperienza diretta e personale, l’esame di molte pubblicazioni e documenti, le inchieste condotte in loco in molti paesi della Calabria hanno contribuito a chiarirmi il quadro storico delle cause che precipitano il Mezzogiorno nelle condizioni in cui si trova al momento dell’Unificazione: la questione meridionale che si delinea prima dell’Unità come problema politico, si pone dopo l’Unità, come grave problema economico-sociale.
Nel 1860 si viene a formare lo Stato Italiano con l’unione di due popoli che etnicamente appartengono allo steso gruppo, geograficamente allo stesso territorio, ma socialmente, negli ultimi sette secoli che precedono l’unificazione, hanno vissuto on aspetti storici diametralmente opposti.
Mentre al Centro-Nord si verificano condizioni storiche favorevoli ad una progressiva evoluzione socio-economica, nel Sud l’assolutismo monarchico e il feudalesimo instaurano un sistema distruttivo nei confronti delle repubbliche marinare, favoriscono il formarsi di vastissimi latifondi, la gran parte non coltivati, e gettano le masse popolare contadine nell’ignoranza e nella miseria.
La civiltà della Magna Grecia, che fa del Sud per lunghi secoli la parte più evoluta e ricca d’Italia, viene soffocata, distrutta e il Mezzogiorno si trasforma inesorabilmente in zona depressa e sottosviluppata ponendosi in condizioni di estrema inferiorità nei confronti del Centro-Nord.
Questo stato di cose, aggravandosi sempre più, si evidenzia, con l’Unità, in quel complesso di ricerche analisi e provvedimenti che caratterizzano la questione meridionale. Man mano che le indagini allargano il campo d’azione, la questione meridionale, la quale riveste dapprima carattere sociale ed economico, subisce una radicale trasformazione quando  lavori e provvedimenti infruttuosi mettono alla luce il nocciolo del problema: il sistema di governo che per secoli opprime il Mezzogiorno richiede alle masse sottomissione passiva, figlia dell’ignoranza, e determina così quell’assenza di istruzione ed educazione di base del popolo, per cui non si può formare l’uomo meridionale e perciò il cittadino, cosciente e della propria personalità e del ruolo che ogni singolo deve avere nella comunità sociale e politica.
Fin quando ciò non avviene compreso tutte le iniziative prese a favorire l’avanzamento del Mezzogiorno e del paese risultano poco fruttuose.

Pasquale (Pasqualino) Perri, Scuola e Mezzogiorno, Qualecultura editrice, Vibo Valentia 1971


domenica 12 febbraio 2017

I piccoli maestri (reg. Daniele Luchetti - 1997)




Ho veduto nascere il lavoro di Pasquale Perri ed ho seguito con trepidazione, ma soprattutto con soddisfazione, la particolare volontà dell’autore di capire e di chiarire a sé e agli altri un problema che gli sta a cuore proprio in quanto meridionale.
Nel giovanile entusiasmo e nell’amore per la sua terra, il Perri ha trovato quel sostegno che lo ha aiutato a liberarsi via via delle incertezze organizzative della prima stesura dei primi capitoli e a coordinare, con equilibrio ed oggettività, le tesi più varie offerte dalle numerose letture e dalle ricerche di Archivio. Egli ha saputo giungere al traguardo.
In verità non intendo esprimere un giudizio sul lavoro, che è bene sia sottoposto al vaglio della critica ufficiale, quanto desidero presentare il mio scolaro. Il Perri vuole ulteriormente approfondire le sue ricerche e non potrà che avvantaggiarsi delle osservazioni e delle critiche che gli verranno mosse, tanto più ch’egli tende a tradurre in azione questa sua esperienza di studio.
Non intendo esprimere un giudizio sul lavoro, ho detto, ma è opportuno dichiari che sono pienamente d’accordo con la tesi di fondo sostenuta dall’autore, direi necessariamente formulata in termini perentori: il problema del Mezzogiorno è prima di tutto problema di educazione (educazione degli adulti; educazione professionale; educazione politica; ecc.); è quindi soprattutto problema di Scuola.
ICLEA PICCO
(Dirigente dell’Istituto di Pedagogia, Università degli Studi – L’Aquila)

Nato a Platì (Reggio Calabria) il 1/4/1934, Pasquale Perri è residente a Popoli (Pescara). E’ laureato presso l’Università de L’Aquila. Ha in preparazione una raccolta di racconti sulla Calabria di ieri e di oggi e uno studio sui movimenti contadini nell’Italia Meridionale dai Fasci Siciliani ai nostri giorni.



 La rivoluzione italiana
sarà meridionale o non sarà
Guido Dorso

Rivoluzione che trasformi il meridionalismo, ancora fissato in schemi culturali di élite, nei precipui problemi di formazione delle masse, affinché queste sappiano trovare da sé i modi per realizzare quelle condizioni di vita che abbattano l’attuale sistema chiuso nella spirale del clientelismo politico, e di soluzione della secolare questione meridionale che oggi si riflette, pericolosamente, su tutta la vita della Nazione.
Rivoluzione, perciò, di un popolo che, prendendo coscienza della propria esistenza, esige di inserirsi nel progresso economico, sociale e politico del Paese, col diritto di portarvi il proprio contributo e goderne, equamente, i benefici.
Presa di coscienza non intesa illuministicamente, né solo come visione generale delle attuali condizioni di vita delle zone depresse del Sud né, ancora, come tentativi sporadici di interventi, ma come azione radicale che elimini definitivamente gli squilibri e metta in giusta prospettiva i problemi in funzione di una programmazione effettivamente basata sulle reali necessità del Mezzogiorno.

Pasquale (Pasqualino) Perri, Scuola e Mezzogiorno, Qualecultura editrice, Vibo Valentia 1971

Nota
Il titolo del film va riferito direttamente al bel libro di Luigi Meneghello che con quello di Pasqualino Perri contiene una presa di coscienza affiancata dall'aspirazione di una crescita intesa come maturità.

giovedì 9 febbraio 2017

Strange Circus (reg. Sono Sion - 2005)


Nella rozzezza della forma, che sparisce nell’onda melodiosa di tante chiare voci elleniche, si sentono i fremiti più ardenti di cuori appassionati.
La frase incisiva, scultorea, del caratteristico linguaggio calabrese riveste meravigliosamente il concetto, senza torgli punto della sua ingenua semplicità: è la creazione che sorge spontanea dall’anima di un popolo forte, fantasioso, che sente così vivamente e con tanta potenza, il bello, e che ricca d’immagini e di affetto, si presenta come poesia vera, sentita, profonda, che assurge talvolta fino alla sublimità.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976



Si era ritrovato con Tano ed Alfonso sopra un sudicio carro merci ed avevano impiegato dodici ore per coprire poco più di cento chilometri di strada ferrata. Lungo tutto il percorso avevano incontrato i segni della guerra che era passata da poco. Gli alleati erano sulla linea di Cassino e il governo di Salerno era troppo debole e troppo impegnato con le clausole dell'armistizio per curarsi di quanto avvenisse nell'estrema punta della penisola e nella Sicilia sconvolta dal separatismo e infestata da innumerevoli bande di rapinatori che arrivavano a bloccare i treni, i pulmanns, le auto, per poter predare i passeggeri. Sul carro c'erano militari sbandati, borsari neri, profughi, donne macilente con i segni della stanchezza e della fame patita impressi sui volti pallidi, precocemente appassiti, e bimbi che piangevano e urlavano. La stessa folla l'avevano rivista dinanzi all'ufficio adibito al rilascio dei passaporti che davano diritto ad attraversare lo stretto.
Era una lunga fila, interminabile, rassegnata e avevano dovuto attendere per delle ore prima che giungesse il loro turno.
Alla fine, tutti ebbero i passaporti. Pure i contrabbandieri. Tutti. Tutti meno loro. I profughi, i militari sbandati ritornavano alle loro case, i borsari neri dovevano vendere caffè, stoffa, tabacchi ed acquistare pasta, farina, sale. Ma loro? Loro perché volevano traghettare?

Renzo Pettè, Il Ponte sullo Stretto, Gastaldi Editore  Milano, 1953


PS. Le foto, sull'Amendolea, con quella luce del mezzogiorno nostrano, avvolgente, sono di don Salvatore Carannante.