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lunedì 8 febbraio 2016

La città dolente

Vagando in questo mondo di fantasmi, passai da-vanti al ristorante dove avevo gustato il pesce-spada, ora ridotto a un cumulo di pietre e di calcinacci, e giunsi alla cattedrale. Di essa non rimangono che le figure gigantesche che sovrastano l’altare, futilmente benedicenti il caos: insensate, terrificanti. Questa è dunque la casa della feudale Signora del fortiter in re, che inviò un terremoto e lo chiamò Amore. Amava l'oro e le pietre preziose come tutte le donne, e il suo favoloso tesoro fu ricuperato insieme a una copia di una lettera latina da lei inviata ai cattolici di Messina per mano di San Paolo.
E poco dopo, non so davvero come in quella confusione, i miei passi volsero in direzione di una strada assai stretta con le rovine di un palazzo recante, sull'ampio portale d'ingresso smozzicato, un' iscrizione che mi fece sobbalzare. Era un titolo storico che mi era familiare; e subito rivissi un susseguirsi di ricordi sonnecchianti nel profondo della mia mente. Sì, non c’era alcun dubbio: il vecchio «proprietario ›› e i suoi nipoti, quelli del giardino pubblico. . .
Mi chiesi quale fosse stato il loro destino in quella fredda alba invernale. È assai improbabile che, in quello spazio così ristretto, qualcuno sia riuscito a salvarsi: le macerie, ancora intatte, coprivano i loro resti.
Fu ricordando il vecchio e la sua pacata conversazione di quella sera, sotto gli alberi, che il vero significato della catastrofe cominciò ad affiorare in me dai suoi aspetti accidentali e superficiali. Devo confessare che il massacro di una miriade di cinesi mi lascia freddo: fra noi e quelle creature c'è poco più del fragile legame di comune discendenza dalla scimmia; sono troppo lontani in tutti i sensi per la nostra comprensione ristretta. Ma questi italiani sono nostri cugini spirituali: abbiamo radici profonde in questa calda terra d'Italia, che ci ha dato una buona parte di ciò che costituisce il meglio della nostra vita, della nostra arte, delle nostre aspirazioni.
Pensai ai due nipoti, alle loro giovani membra maciullate e distorte sotto un cumulo di vile spazzatura, in attesa di un brutale dissotterramento e di una tomba senza nome. Questa omicida violazione della vita non può considerarsi legittima morte. Immaginare un bel corpo giovane, divino strumento di gioia, ridotto a un informe mucchio di carne; un tempo amato, ora aborrito da tutti, e infine gettato con disgusto in una fossa comune brulicante di vermi. . .
Un tipo nordico - ecco di nuovo un valido legame, un legame di sangue, questa volta, fra la nostra razza e quei sovrani del sud, le cui imprese in questa terra di aranci e di mirto superarono ogni fantasia romanzesca.
Senza l’effimera amicizia stretta quella sera, la Messina di oggi sarebbe forse stata per me poco più di un semplice spettacolo e l'ecatombe dei suoi abitanti non mi avrebbe strappato che un convenzionale sospiro di compassione. Siamo fatti così. Il cuore umano è stato costruito su basi che mancano di generosità. I moralisti (se pure ne esistono ancora) potranno generalizzare con eloquenza, riferendosi alle masse; ma i nostri poeti si sono da tempo arresi al pathos dell'individuo singolo. Si dice che persino gli angeli del Cielo si rallegrino maggiormente per un solo peccatore pentito che per cento giusti; il che, se giustamente inteso, non è che un'applicazione dello stesso principio illiberale.
Una corda di lenzuola annodate era legata a una delle finestre superiori, con l'estremità penzolante a mezz'aria, all’altezza del secondo piano. Sono precauzioni che si prendono spesso a Messina - disperatimezzi di salvezza. Alcuni vasi di gerani e di cacti, tristemente in fiore, adornavano le altre finestre dai vetri intatti. Se non fosse stato per la sinistra luce del sole che le attraversava «dall' interno ››, la facciata sarebbe parsa quasi illesa. Ma l”imponente ingresso attraverso il quale avevo sperato di entrare era ostruito da macerie e fui quindi costretto a compiere una piccola scalata per portarmi nel cortile.
Se una lama gigantesca avesse tagliato il palazzo per il senso della lunghezza, l”operazione non sarebbe potuta riuscire con maggior precisione. Tutto l'interno era crollato, ad eccezione di una parte delle stanze che davano sulla strada, tranciate in due così da rivelare una sezione ideale di economia domestica. La casa, coi suoi inquilini e tutto quello che conteneva, giaceva  fra le alte macerie sotto ai miei piedi - grandi frammenti di muro cosparsi di calcinacci e inframmezzati da sbarre di ferro che si contorcevano in superficie o si tuffavano tetre nel profondo. Nelle macerie si aprivano fetidi squarci dai cui fianchi affioravano vasi rotti, candelabri, cappelli, bottiglie, gabbie per uccelli, quaderni, tubi, divani, cornici, tovaglie e tutto il banale armamentario della vita di ogni giorno. Nessuna stratificazione: né orizzontale, né verticale, né obliqua. Sembrava che gli oggetti fossero stati gettati in aria da un vulcano in vena di scherzi e lasciati depositare a caso. Due immensi blocchi di marmo intagliato (il primo disteso sul fondo di un burrone in miniatura, il secondo fieramente ritto come un monumento druidico) mi ricordarono l”esistenza delle scale, delle diaboliche scale.
Alzai lo sguardo nel tentativo di ricostruire le abitudini degl' inquilini, ma dovetti rinunciarvi quasi subito, l'unica sezione rimasta non essendo sufficientemente profonda. Il loro colore preferito doveva essere l'azzurro cielo. La cucina era chiaramente individuabile col suo focolare, la cassetta del carbone, i tegami di rame appesi in fila ordinata e la credenza aperta, piena di utensili. La stanza adiacente (le porte di comunicazione erano scomparse), con tendine di pizzo alle finestre, possedeva ancora un tavolo, una lampada e un libro, mentre la spalliera di un letto stava in precario equilibrio sull’abisso. Una terza stanza, ricca di tappeti e di quadri, rivelava un grande specchio sbiadito sotto al quale correva una fila di scaffali, gementi sotto il peso di una nutrita collezione di flaconi e di fiale.
I linimenti del vecchio . . .
FINE

Norman Douglas, Old Calabria

lunedì 18 gennaio 2016

La città dolente




Erba!
Il ragazzo è di famiglia nobile, ma la sua casa essendo ridotta a un cumulo di macerie sotto il quale giacciono
ancora genitori e fratelli, denaro, documenti e mobili, si guadagna ora da vivere portando cassette di frutta e
di verdura dal porto fino a quel gruppo di capannoni che viene onorato col nome di mercato. Più tardi, quello stesso giorno, ci capitò di passare davanti alla sua casa, situata nei pressi del molo. «La mia casa e la mia famiglia» mi disse, indicando con un gesto di atavica rassegnazione un mucchio di macerie.
Poco distante, fra le rovine, una giovane donna sca-pigliata cantava, estatica. «Ha perso il marito e il Suo cervello ha ceduto ››  spiegò il giovane. «È strano: non facevano che litigare, ed ora lei lo chiama giorno e notte col suo canto, supplicandolo di ritornare.››
L'Amore, secondo i greci, era figlio del Caos. In questa parte della città sorge il museo civico, che tutti i lettori delle armoniose pagine di Gissing: «By the Ionian Sea ›› ricorderanno certamente. È crollato, come tutto il resto che egli visitò a Reggio, come l’albergo in cui prese alloggio, come la cattedrale la cui fiera iscrizione «Círcumlegentes devenimus Rhegium» gli fece una così profonda impressione, come «quel singolare pezzo di avanzata civiltà che mi diede la strana sensazione di essere capitato nel mondo di quei romanzieri che prevedono il futuro: un macello pubblico di armoniose linee, situato in un boschetto di limoni e di palme, che faceva pensare all'ideale sognato da un riformatore il cui palato rifugga dal vegetarianismo ››. Facemmo il giro di tutti quei luoghi, senza dimenticare la casa che porta la lapide commemorativa di un giovane soldato, caduto combattendo contro i Borboni. Dalle sbarre di ferro contorte del suo balcone pende una corda con la quale gl'inquilini hanno tentato di calarsi.
Un mio amico, il barone C . . . di Stilo, appartenente a quella stessa famiglia di patrioti, mi narrò un caso davvero strano. Il giorno della catastrofe, lui era assente da Reggio, ma tre suoi parenti erano in casa. Alla prima scossa si riunirono tutti, terrorizzati, in una sola stanza; il pavimento cedette e, improvvisamente, si trovarono seduti nella loro automobile, l'autorimessa essendo situata sotto a quella stanza. Se la cavarono con poche insignificanti contusioni.
Su di una rovina vicina, un'iscrizione dice che «il palazzo essendo stato gravemente danneggiato nel terremoto del 1783, il suo proprietario l'aveva ricostruito in maniera appositamente studiata per resistere ad eventuali futuri terremoti». Chissà se lo ricostruirebbe ancora?
Ritengo, comunque, che Reggio abbia possibilità di risorgere: la sua prognosi non è senza speranza.
Ma Messina è un caso disperato.

Quel superbo lungomare con la sua lunga fila d'imponenti edifici ... Immaginate uno scenario teatrale di cartone attraverso il quale un mostro di enormi proporzioni e di tendenze sportive abbia saltato con frenetica allegria. Ecco com'è ridotto. E, dentro, tutto è desolazione. Le macerie arrivano fino all'altezza delle finestre e bisogna arrampicarsi per passare. Quale interessante deposito post-terziario per le generazioni future, per l'abile archeologo che decifra la storia dell'umanità da credenze di cucina e da deformi mucchi di cianfrusaglie dimenticate! Tutta la vita sociale dei cittadini, la loro arte, la loro economia domestica, i loro svaghi giacciono sepolti in quei rifiuti. «Una vera gara musicale» concluderà l'archeologo, osservando le numerose vestigia di pianoforti, chitarre e mandolini venute alla luce. Il clima di Messina, dichiarerà poi, deve essere stato molto umido, poiché ovunque si trovano ombrelli infilati tra le macerie, sconsolatamente appoggiati ai muri in rovina, sepolti nella povere. Piovve molto durante quei giorni terribili e gli ombrelli erano ricercatissimi. Ma cinquanta ombrelli non avrebbero acquistato una pagnotta. Goethe ebbe a dire che, delle grandi catastrofi che afflissero l'umanità, nessuna più di quella di Pompei ha procurato piacere ai posteri. Altrettanto non potrà mai dirsi di Messina, le cui reliquie sono in gran parte squallide e meschine. Lo stesso Goethe visitò la città dopo il disastro del 1783 e ne descrive la zackige Ruinenwiiste - parole il cui suono evoca immagini di distruzione e di morte. Tuttavia, la città risorse.
Ma che fu il 1783?
Una semplice prova generale, una rappresentazione da dilettanti.
Norman Douglas, Old Calabria


continua

mercoledì 2 dicembre 2015

La città dolente

Se, come sembra, queste baracche improvvisate dovranno essere abitate sine die, potremo aspettarci un interessante fenomeno, e cioè il ritorno al tipo d'uomo corrispondente. La mancanza dei più comuni strumenti della civiltà, come la biancheria, i mastelli per lavare e gli utensili da cucina, lo ridurrà alla condizione del selvaggio, che considera queste cose con indifferenza o semplice curiosità, e dimenticherà di averle mai usate. E la vita in queste baracche, dove esseri umani sono ammassati come bestie (si potrebbe quasi dire «costretti» come pezzi di un mosaico) non può che risultare nociva allo sviluppo dei bambini. Sembra che i calabresi si siano distinti per la loro inumana ferocia: Reggio cadde in mano a una legione di demoni, calati a valle durante la settimana di caos. «Strappavano anelli e spille dai cadaveri» mi disse un giovane funzionario. «Strangolavano i feriti e i moribondi per spogliarli più comodamente. Qui e a Messina, i corpi mutilati furono innumerevoli, ma i calabresi costituirono il flagello peggiore. ››
Vampiri, figli della Notte e del Caos.
Anche Dolomieu, parlando della dépravation incroyable des mceurs che seguì al terremoto del 1783 riferisce il caso di un uomo di Polistena che rimase sotto le macerie della sua casa, con le gambe che sporgevano dalle rovine. Il suo servo accorse, gli tolse le fibbie d'argento dalle scarpe e fuggi, senza tentare di liberarlo. Del resto, abbiamo visto cose del genere più recentemente, a San Francisco.
«Dopo avere spogliato i cadaveri, saccheggiarono le case. Cinquemila letti, signore, cinquemila letti furono portati da Reggio sulle montagne ! ›› «Cinquemila letti! Per Dio! Sembra un numero considerevole. ›› Un giovanetto, uno dei sopravvissuti, mi si appiccicò col pretesto di farmi da guida fra le rovine di Reggio. Aveva lo sguardo caratteristico degli scampati, una espressione intontita e confusa, e parlava con singolare calma e ponderazione.Conoscendo il paese, mi trovai ben presto a volgere i passi verso il cimitero per godere la meravigliosa vista da quell'altura battuta dal vento ed anche per respirare più liberamente dopo la polvere e la desolazione della città bassa. Il cimitero stesso si trova nell’identico stato di quello di Messina, un tempo orgoglio dei suoi cittadini: il folle scherzo della natura non ha rispettato il sonno dei morti e ha con-
torto i solenni monumenti delle tombe in forme ripulsive e irriverenti.
Capricci della pietra e del ferro - come narrare tutti i casi dei miracolosamente scampati? Valga per tutti quello della mia giovane guida. Svegliato nella notte dalla prima scossa, vide alla fioca luce della lampada che arde in tutte le camere che, nel muro accanto al letto, si era aperta una grossa spaccatura. Vi si precipitò per fuggire, ma il muro si richiuse, attanagliandogli il braccio. Gli parve che passassero ore; il dolore era intollerabile. Poi la gentile spaccatura si aprì di nuovo in un lento sbadiglio, permettendogli di saltare nel giardino sottostante. Aveva appena messo piede a terra che le stanze interne della casa crollarono: allora si rifugiò sulle colline umide e tetre e vi rimase per quattro giorni insieme a migliaia di altri scampati.
Gli chiesi che cosa avesse trovato da mangiare.
«Erba, signore. Tutti non mangiavamo che erba. Non potevamo toccare nulla: una sola arancia e ci avrebbero linciati.››

Norman Douglas, Old Calabria

giovedì 12 novembre 2015

La città dolente



Le immagini riaffiorano, stranamente insistenti, inframmezzate da vuoti. Vedo ancora quei ragazzi, vedo le loro labbra mobili e i loro biondi riccioli di discendenza nordica che smentivano la gravità del loro contegno. E rivedo lo zio che, chino in avanti per meglio ascoltare la musica, si accarezzava i baffi con la mano sana sulla quale brillava una pietra incastonata in oro massiccio - uno scarabeo dell'antica Magna Grecia. Durante gl'intervalli, la sua conversazione scorreva facile fra le formule accettate del cosmopolitanesimo, ravvivata a tratti da una personalità capace di abbandonare i binari convenzionali per esprimersi.
Aveva fra l'altro studiato un progetto originale per incrementare l'industria degli agrumi del paese, progetto che, pur implicando alcune modifiche di tariffe, mi parve straordinariamente efficace e ingegnoso,sembra che il deputato locale fosse del mio stesso parere, poiché si era impegnato a sottoporlo al Parlamento.
Di che si trattava esattamente?
L’ho dimenticato!
Continuammo così a discutere il mondo, mentre la musica suonava nella stellata notte del sud.
Doveva essere ormai mezzanotte quando un frenetico galop dell'infaticabile banda annunciò la fine del programma. Feci qualche passo accanto al «proprietario›› zoppo che, sorretto dai nipoti, si trascinò faticosamente fino al posteggio delle carrozze: i suoi reumatismi, mi spiegò, lo costringevano a servirsene sempre. Quanto gli piaceva camminare, da giovane, e con quanta gioia avrebbe continuato la nostra deliziosa conversazione, accompagnandomi passo passo al mio albergo! Ma le infermità c'insegnano ad abbreviare i nostri piaceri e molte cose che sembrerebbero naturali al fisico umano diventano impossibili. Usciva raramente di casa a causa delle scale - le diaboliche scale! Gli avrei fatto l'onore di accettare il suo biglietto di visita e di credere al grande piacere che gli avrebbe fatto ricevermi in casa sua? Avrebbe fatto il possibile per rendermi la visita gradevole.
Quel biglietto è andato a finire chissà dove, insieme agli innumerevoli altri che il viaggiatore raccoglie nel sud Europa. I-Io anche dimenticato il nome del vecchio. Ma il palazzo in cui abitava portava un nome storico che mi era familiare, e ricordo di essermi chiesto in che modo fosse giunto fino a Messina.
Ai vecchi tempi, naturalmente, ai tempi d’oro.
Torneranno mai?
Pensando che le sofferenze dei sopravvissuti avrebbero potuto essere alleviare dipingendo le loro baracche in bianco o in grigio chiaro per proteggerle dai raggi cocenti del sole, ne accennai a un sovrintendente.
«Stiamo dipingendo a tutto spiano›› mi rispose. «Ma è un lavoro costoso. Il Villaggio Elena da solo ci è costato ventimila lire. E facendo la massima economia, credetemi.››
Questo potrà dare al lettore un'idea delle proporzioni dell'impresa: il Villaggio Elena è composto di circa duecento baracche - duecento su più di diecimila.
Ma io non alludevo a questi gruppi di alloggi eretti dalla munificenza pubblica e forniti di scuole, laboratori, orfanotrofi, ospedali e di tutto ciò che può rendere la vita tollerabile, bensì alle baracche costruite dagli stessi profughi: stamberghe messe insieme con corde, sacchi, latte di benzina e materiale di scarto di ogni genere. Una mano di bianco, almeno, dentro e fuori . . . Pensavo anche a quelle abitazioni ancora più strane, ai vagoni ferroviari fuori uso che il governo ha messo a disposizione dei senzatetto. In molte stazioni lungo la linea si possono vedere questi pittoreschi accampamenti affollati di poveretti che vi si sono installati come se dovessero rimanervi in eterno. Coltivano i loro fiori e le loro erbe in file multicolori intorno alle piattaforme, mentre i bambini, vestiti di nero, giocano all'ombra dei vagoni. Quanto deve soffrire questa povera gente, così pigiata sotto il sole, abituata com'era ai freschi cortili e agli alti soffitti delle case distrutte dal terremoto! Verranno anche le malattie: casi di tifo dovuti agli acquedotti inquinati e all'insufficiente disponibilità d'acqua; infiammazioni agli occhi dovute agli sciami di mosche e alle tonnellate di polvere. Le rovine sono anche invase da orde di cani e gatti rognosi che dovrebbero essere sterminati senza indugio.

Norman Douglas, Old Calabria

lunedì 19 ottobre 2015

La città dolente


Così come qualsiasi paese italiano sarebbe incompleto senza la piazzetta in cui convergono le sue strade e dove il commercio pulsa al suo massimo ritmo, ogni cittadina che si rispetti fa in modo di possedere un giardino pubblico per il diporto serale dei suoi abitanti. Sono quasi tutti assai graziosi e nessuno è più delizioso di quello di Messina, adorno di palme azzimate, di aiuole fiorite e di labirintici vialetti innaffiati da poco. Quella sera, furtive brezze dal mare rinfrescavano l'oasi illuminata a festa. Mentre mi accingevo a sedere vicino al palco della banda, guardando passeggiare la gente, calcolai che ci dovevano essere non meno di  trentamila persone. Una folla ordinata e ben vestita. Potremo anche sorridere quando ci dicono che questa gente si toglie il pane di bocca per vestirsi decentemente, ma devo ammettere che, per un estraneo, l'effetto è quello che dovrebbe essere. Anche i monelli, che correvano rumorosi tra la folla, avevano un'aria di felice prosperità, assai diversa dalla miseria del nord coi suoi visetti pallidi e la sua denutrizione. E come si accordano bene le sensuali melodie italiane con l'ora e con la scena! Suonavano, se ben ricordo, la sempre popolare Aida; poi seguirono altri pezzi più ambiziosi: una rapsodia ungherese, Berlioz, una selezione Wagneriana. << Musica filosofica ›› osservò il mio vicino, alludendo al compositore tedesco. Era un uomo magro e asciutto sulla sessantina: un viso abbronzato, militaresco, segnato dal dolore. «Non va in Sicilia›› soggiunse. «Ma non crediate con questo che non apprezziamo i vostri pensatori. Leggiamo e ammiriamo il vostro Schopenhauer, il vostro Spencer. All'Opera di Napoli danno discrete edizioni di Wagner. Ma . . .››
«Il clima?››
«Esattamente. Ho viaggiato molto, signore; e conoscendo Berlino e Londra e Boston, ho potuto osservare come la nostra architettura italiana appaia stonata sotto i vostri cieli grigi e come suoni male la nostra musica fra i complicati congegni della vostra vita artificiosa. È stato il vostro clima a rendervi tanto seri e a far si che prendiate seriamente anche i vostri svaghi. Per noi, la musica è rimasta quella che era nei tempi antichi: uno sfogo dell'anima in una notte estiva. Suonano bene, questi ragazzi. Anche Palermo ha una buona banda . . . Ah! quel recitativo è un po' troppo veloce!››
«Il signore è musicista?››
«Sono proprietario. Ma adoro la musica e, da giovane, mi illusi di poter diventare violinista. Ora, invece guardate !» Stese la mano rattrappita. «Reumatismi».Li ho qui, e qui» proseguì, indicando varie parti del corpo, «ed anche qui! Ah, questi dottori! I bagni che mi hanno fatto fare! E poi medicine, unguenti, linimenti-un'intera farmacia! Ora posso appena trascinarmi, e senza l'aiuto di quei due cari ragazzi, anche questo innocente svago mi sarebbe negato. Sì, sono miei nipoti . . . orfani» soggiunse, seguendo la direzione del mio sguardo.
Sedevano alla sua sinistra - due bei ragazzi che non parlavano né troppo, né troppo poco. Di tanto in tanto, si alzavano insieme e passeggiavano tra la folla per sgranchirsi le gambe, ritornando dopo pochi minuti accanto allo zio. Gli occhi del vecchio seguivano ogni loro mossa.
«Se mio fratello minore fosse vissuto, ne avrebbe fatto degli uomini» osservò.

 Norman Douglas, Old Calabria


mercoledì 10 giugno 2015

La città dolente




Fra le rovine, non molto tempo fa, un ingegnere mi disse: «Questa baracca di legno ha un'area interna di meno di trenta metri quadrati. Da cinque mesi vi abitano ben trentatré persone - uomini, donne e bambini.››
«E non si lamentano?››
«Cominciano a lamentarsi ora. D'inverno va tutto bene, ma quando viene il caldo ... Beh, vedremo.››
Nessuna profetica visione della Messina di oggi con le sue baracche disseminate nel deserto di rovine che la gente vestita a lutto rende ancora più tetro, mi apparve alla mente quella sera, mentre sedevo al tavolino di marmo, sorseggiando il mio caffè (troppo tostato, come sempre in Italia) e fumando beatamente il mio sigaro. Sì, tutto era come doveva essere. Eppure, che occasione perduta!
Che occasione perduta per un Dio di stabilire, in un”epoca d'incredulità, il suo dominio sugli uomini!
Si deplora ovunque la mancanza di sentimento religioso: come sarebbe facile a un Dio mandare sulla terra un Isaia per predire l'ora dell’incombente catastrofe, salvando cosi quelli disposti ad ascoltarne la voce ammonitrice, ravvivando lo zelo dei fedeli, eliminando dubbi e dividendo le pecore dalle capre! Invero, Egli agisce misteriosamente, poiché non giunse alcun messaggio divino: i giusti furono sepolti con gli ingiusti, fra una confusione di telegrammi e di lacrime.
Alcuni giorni dopo il disastro, í giornali cattolici spiegarono il fatto asserendo che gli abitanti di Messina non avevano amato a sufficienza la Madonna, ma che Lei li amava ugualmente e aveva quindi mandato il terremoto per ammonirli. Una maniera piuttosto violenta di conciliarsi il loro affetto . . . Non esattamente suaviter in modo. . .
Ma se gli autentici profeti possono sorgere soltanto fra le malariche paludi dell'antica Babilonia o in altri luoghi altrettanto inverosimili, avremmo almeno potuto aspettarci di meglio dai nostri moderni spiritisti. Perché mai le apparizioni da loro evocate si accontentano di annunciare il decesso agli Antipodi di lontani parenti privi del minimo interesse? Ahimè! Comincio a rendermi conto che ancora non si è arrivati a scoprire gli spiriti utili. Quelli di cui disponiamo oggi sono come sismografi: registrano l’avvenimento dopo che è accaduto.Ora, noi abbiamo bisogno di ...
« Il signore non fa che fumare...Perché non prende il tram e non va ai giardini pubblici ad ascoltare la banda municipale?›› 
Norman Douglas, Old Calabria



«Musica? Giardini? Ottimo consiglio, Gennarino. ››

mercoledì 20 maggio 2015

La città dolente



Ricordo una notte di settembre del 1908, una domenica notte fragrante di odori rosmarino, di cisto e di finocchio che calavano in aromatiche ondate dalle alture disseccate dal sole -una notte stellata, calma e tranquilla. Messina non mi era mai parsa così bella. Arrivandoci di giorno e da altre città più grandi e più animate, si è portati a notare soltanto i suoi difetti. Ma la notte meridionale possiede un tocco magico. Nasconde tutte le cose brutte, oppure le trasforma in oggetti di mistica bellezza; mentre le opere più nobili dell'uomo-quelle facciate, quei cornicioni, quei panciuti balconi in ferro battuto-diventano eteree come palazzi di fate. E venendo, come venivo io, dall'impervia Calabria, la città con le sue larghe vie ben tenute, i suoi caffè illuminati e la sua folla di cittadini contegnosi nella passeggiata serale, prendeva l’aspetto di una metropoli.
Con voluta lentezza, ritardando con molto sentimento, mi diressi verso il ristorante che mi era familiare. Finalmente! Finalmente, dopo un'interminabile dieta a base di pane duro, di cipolle e di formaggio di capra, stavo per assaporare il complicato menu che studiavo da settimane, vagliandone con cura i pro e i contro tanto complicato, in effetti, che ho dimenticato da tempo i suoi particolari. Ricordo soltanto il pesce-spada, una specialità locale e (per finire in bellezza) la cassata alla siciliana, una sinfonia glaciale, un gelato multicolore di sapori deliziosamente fusi, che ci vuole assai più tempo a descrivere che a divorare. Sotto l'effetto di questi cibi sibaritici, innaffiati da una vecchia bottiglia di vino calabro (troppo forte è il vino siciliano per me, troppo deciso e senza compromessi: preferisco perdere le mie facoltà mentali poco per volta, come un gentiluomo), il mio fisico esausto rifiorì come per incanto: diventai amabile e socievole. Dopo tutto, conclusi, il destino del viaggiatore non è dei peggiori. Quanto a Messina ...Messina era indubbiamente una città piacevole. Ma perché i negozi chiudevano tanto presto, la sera?
«Questi Siciliani devono sempre giocare a qualcosa» mi spiegò il cameriere napoletano, una mia vecchia conoscenza. «In questo periodo giocano agl'inglesi. Sono  ossessionati dall'idea della chiusura domenicale. Ma di solito i loro attacchi non durano più di quindici giorni.››
Giocano agl'inglesi!
Ora, quelli che sono rimasti hanno inventato un nuovo gioco: vivono ammassati in case di bambola e temo che la situazione non cambierà molto presto.
Norman Douglas, Old Calabria

lunedì 4 maggio 2015

La città dolente (reg. Mario Bonnard - 1949)

Da oggi, e per qualche tempo, do inizio alla trascrizione di Caos, capitolo contenuto in Old Calabria di Norman Douglas, ricordo che l’edizione è quella di Aldo Martello. Tema è la città dove vivo parte del mio tempo: Messina, vista com’era prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. E’ un capitolo allo stesso tempo elegiaco e doloroso. Nessuno, come Norman Douglas, ha saputo cogliere il senso e il luogo di questa città, ricostruita più volte, che occupa un sito che solo avendo il senso della mitologia si può sottrarre. 



O gioventù d'ltalia in alto i cuori

Cantante Domino Canticum novumm  

Potessero ritornare in vita le povere 
vittime del terremoto del 28 dicembre  1908,
per opporre questo cantico di Dio 
alle canzoni di Satana pubblicate nel 
giornale “ il Telefono ,, e diffuse per le 
vie e le case di Messina alla vigilia del- 
l' immane distruzione !... 

-          Voto e ricordo.  
-
Quaresima del 1914.

 CAN. TEOL. V. RASCHELLA’ 


CAOS
Non ho mai avuto occasione di ammirare la magica  Fata Morgana dello Stretto di Messina quando, in determinate condizioni atmosferiche, palazzi fantasmagorici di meravigliose forme appaiono sulle acque -  non riflessi, ma come sorti dal mare; quasi tangibili,  eppur diafani come un velo. 
Un monaco domenicano di nome Minasi, corrispondente dell'Accademia di Napoli e amico di Sir  W. Hamilton, scrisse una dissertazione su questa beffa  atmosferica. Molti l'hanno vista e descritta: fra questi,  Pilati de Tassulo. Nicola Leoni riferisce il resoconto di  un testimone oculare del 1643; e troviamo un altro  resoconto nel libro di A. Fortis, Mineralogische Reisen,  1788. L'apparizione è timida. Tuttavia, alcune immagini del fenomeno appaiono in un articolo del Dr. Vittorio Boccara in «La Lettura», nel quale l'autore accenna anche a un trattato scientifico scritto da lui  stesso sull'argomento; e anche nel volumetto Da  Reggio a Metaponto di Lupi-Crisafi, stampato a Gerace  alcuni anni fa. Cito questi scrittori per coloro che,  più fortunati di me, potranno assistere al fantastico  spettacolo e interessarsi delle sue origini e della sua  stona. 
Le cronache di Messina registrano le sovrumane  imprese del tuffatore Colapesce. Gli oscuri paesaggi  sottomarini dello stretto, con le loro grotte e le loro  foreste, non avevano segreti per lui: i suoi occhi conoscevano i misteri marini quanto quelli di un pesce.  Alcuni ritengono che la leggenda risalga a Federico II,  al quale Colapesce riportò quella coppa d'oro che venne poi immortalata nella ballata di Schiller, Der Taucher. Ma Schneegans asserisce di aver trovato documenti normanni che parlano di lui. C’è poi l'altra leggenda, secondo la quale Colapesce, novello Glauco,  avrebbe esplorato il mare alla ricerca della fanciulla  amata, inghiottita dalle onde.
 Fra le numerose favole che si raccontano sul suo  conto, ecco la più portentosa: un giorno, durante uno  dei suoi vagabondaggi sottomarini, Colapesce scoprì  le fondamenta di Messina. Erano pericolanti! La città  posava su tre colonne, la prima delle quali era intatta,  la seconda completamente crollata e la terza parzialmente corrosa. Spuntando dalle azzurre profondità,  avvertì allora con un distico i cittadini della minaccia  che incombeva su di loro. In questi profetici versi  attribuiti al favoloso Colapesce riecheggia un”apprensione generale, anche troppo giustificata.  Anche F. Münter, uno dei viaggiatori che esplorarono la zona dopo il terremoto del 1783, espresse i  suoi timori che Messina non avesse ancora sofferto  tutto quello che il Destino le riservava.        
Norman Doulglas, Old Calabria