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mercoledì 30 novembre 2016

...E per tetto un cielo di stelle (reg. Giulio Petroni - 1969)




foto di Totò Carannante


Foto di Sandro Messina


PER i platioti possedere a Polsi una casa costituiva un titolo d’onore attraverso cui si dimostrava il tangibile attaccamento alla Vergine. Essa era destinata ad accogliere i paesani assicurandone un ricovero nei pellegrinaggi e nei giorni di festa.

Nota
Nelle foto panoramiche la casa è sempre sulla vostra destra.
Voglio farvi notare come la foto del buon Carannante ricalchi perfettamente, involontariamente, la precedente, di un' epoca molto anteriore.

lunedì 28 novembre 2016

Alberi (reg. Michelangelo Frammartino - 2013)


Don Giacomino Tassone Oliva nacque a Siderno il 3 gennaio 1887 da Tassone d. Giuseppe di Domenico da Fabrizia e Oliva d. Giuseppa di d. Giacomo e Oliva d. Paola i quali si erano uniti in matrimonio a Platì il 22/02/1874.
La sua esistenza la trascorse per buona parte a Platì dove venne adottato dagli zii don Saverio Oliva, arciprete, e dalla di lui sorella, per cui al cognome del padre aggiunse quello di Oliva. Alla morte degli zii divenne erede dei beni degli stessi, che non erano pochi, motivo questo della sua assidua permanenza in paese. Studioso colto e preparato allacciò amicizia con gli intellettuali dell’epoca, da Vincenzo Papalia a Ernesto Gliozzi sen.
Don Giacomino sposò Carolina Migliaccio di Domenico e Rosina Scaglione , geracesi, dalla quale unione nacquero due figliole: Maria di Polsi e Giuseppina. In Platì per via della signora Mattia Migliaccio sorella della moglie e del canonico Ettore Migliaccio, morta prematuramente, fu legato anche alla famiglia Furore. Questa parentela con i Migliaccio gli nocque non poco perché nel 1930 il canonico Migliaccio fece interdire don Giacomino in quanto, come asserivano, affetto da grave malattia nervosa ed assumendo la tutela di Maria di Polsi e Giuseppina ancora minori.
Poeta fecondissimo ed autore di una tragicommedia non riuscì mai a raccoglierli in una pubblicazione nemmeno a proprie spese come era consuetudine a quei tempi e la sua scarsa fama è legata solo a qualche citazione da parte di scrittori come Gianni Carteri o Antonio Delfino.
Morì a Siderno nel 1941


Queste bevi note sono state redatte con il fondamentale contributo di Francesco di Raimondo


Partire è un po' morire (reg. Giacinto Mondaini 1951)


P A R T E N Z A

( D a l  v e r o )

Giovanni Virgara

Le campane della Chiesa Matrice suonavano a festa mentre un concerto musicale allieta le vie di un piccolo paesello calabrese.
Sperduto tra i monti, sprofondato nell’imo di una valle, circondato da amene campagne, ed allietato da diversi rumorosi torrenti,il villaggio ha sempre una pace quasi claustrale. Ivi non vedesi mai il fumo nero di una locomotiva, non si ode mai il rumore del gran serpente nero che corre, corre, corre e riunisce tanti paesi, riunisce tante città, mette in comunicazione tanti cuori.
Ivi non si vedono tranvai, non sontuose macchine, ma bensì si scorge di tanto in tanto qualche piccola automobile, quotidianamente il servizio postale.

Quel giorno era festa …!
Si solennizzava la Protettrice della Confraternita del paese: La Vergine del SS. Rosario.
La giornata era splendida; il sole sorrideva coi suoi raggi indorati mentre un lievissimo venticello accarezzava leggermente il viso del passeggero.
Le campane suonavano a festa.
Una scarica di mortaretti annunzia il principio della processione del Simulacro della Vergine.
Sopra i balconi tutti vi si sporgono gettano fiori in gran copia e segnandosi recitano mentalmente devote preghiere.
Tutto il popolo segue devoto l’Immagine, formando un lungo corteo. Là sul bianco verone, si vede un rosso visino, circondato intorno intorno da una corona di biondi capelli trattenuti da un azzurro nastrino.
Due occhi cerulei splendono come due fari luminosi ed un dolce sorriso corona la sua rosea bocca.
Al passar del simulacro pian piano inginocchiossi e devotamente recitò una breve preghiera, mentre la processione seguì lentamente il suo svolgersi.

Un’altra scarica di mortaretti annunziò il ritorno nella Chiesa della Statua.

E’ suonata l’ora tredicesima, altri due minuti e l’ AUTOBUS si accingerà a partire.
Vestita con la sua vestina bianca, con in testa il suo bianco cappellino, e col suo solito sorriso sulle labbra si asside sur un sedile mentre scendono giù per le gote due grosse lacrime lucenti.
Un altro momento … E … ADDDIO! ! ! !

Là nel rumore della città, nella Capitale del mondo forse ti si dimenticata del tuo povero Vanni …

Forse mentre le ore passano veloci, mentre i giorni si susseguono ai giorni, tu hai altri pensieri, forgi altre idee … Quei pensieri che un giorno erano diretti ad una sola persona, adesso vagano altrove; il tuo sorriso che coronava sempre la tua rosea bocca e col quale affascinavi chiunque osava mirarti, adesso forse è diretto ben lungi; i tuoi occhi cerulei che sempre mandavano dardi d’amore, adesso forse mirano un altro volto più bello, un altro viso più affascinante.
La tua voce squillante che notte e dì non si stancava mai cantando le belle canzoni d’amore e pronunziando quel nome fatale, adesso pronunzia altri nomi, canta altre canzoni, dice altre ben diverse parole …
Quelle tue bianche manine che tanto spesso erano il mezzo per poter essere un momento insieme, giocando coi nostri diversi giuochi, adesso forse sono il mezzo per avvicinarti ad altre persone …
Ah! Grande illusione! Ma amore è sempre amore, il primo amore non si cancella mai … Primo amore eterno amore.
Invano la lontananza tenta di farmi dimenticare la tua dolce fisionomia; Invano tenta farmi scordar quel tuo volto angelico. Invano i cento chilometri tentano spaventarmi con la loro lunghezza; nulla, nulla è capace farmi dimenticare te, i tuoi occhi, i tuoi capelli, il tuo dolce sorriso …
Vani sospetti di quando in quando passano per la mia mente e cercano soffermarsi e farmi dubitare …
Ma il pensiero fugace vola immediatamente a te, e tutto passa tutto ritorna come prima.
Ed io t’amo. T’amo d’una amore vero e sincero, t’amo dello stesso amore che ‘amai la prima volta, ma rinforzato ed alimentato dalle sofferenze e dai sacrifici; t’amo di quello amore che non si spezzerà giammai, e che durerà in eterno. Passano le ore, passano i mesi, passano gli anni, ma non passerà giammai il mio ardente amore per te.
MARIA! A nome sì caro il mio cuore sussulta, il respiro mi si sofferma, e tutto il mio essere si concentra nel pensiero di te, obliando il tempo che fu-
Ah ! Diletta, l’animo mio non si sazierà mai del tuo amore, sempre ti cercherà, ed andrà ramingo finché non ti avrà posseduto, finché non ti avrà stretto a sé, finché non ti avrà trasfuso tutto l’ardore che continuamente l’infiamma e lo strugge.
Il mio cuore sarà il tuo cuore, la mia anima sarà la tua anima, il mio tutto sarà il tuo essere stesso.
Io e te saremo una cosa sola, un essere solo, un’anima sola …

F I N E


Nota
Di Giovanni Virgara si sono perse le tracce. Lasciato il paese per la Sicilia (Palermo, Trapani) vi faceva ritorno solo occasionalmente. Quello che so è che la casa dei suoi familiari era dalle parti del ponte. Fu poeta primariamente, narratore occasionalmente. Di ogni sua pubblicazione faceva dono allo zio Ernesto il giovane, che non mancava mai di passare a salutare nei suoi ritorni sempre più sporadici. Come il Leopardi si struggeva per Silvia il nostro Virgara si perse dietro Marietta, sua coetanea platiota, che di lui non ne voleva sapere. Marietta lasciò anch’essa il paese e a Giovanni Virgara non rimase che rimembrarla con i suoi versi.


domenica 27 novembre 2016

L'intervista - nuova edizione

 

INTERVISTA
CON FRANCESCO F(P)ERRI
Non appena mi venne sotto l’occhio l’annuncio del nuovo romanzo di Francesco Perri (Il discepolo ignoto), romanzo che a giorni vedrà la luce coi tipi della casa editrice Garzanti, mi sovvenne del lungo lavoro di ricerca e di studio che lo scrittore aveva fatto. E me ne risovvenni perché, curvo lui, in quel tempo, sui tomi antichi, curva io sui vecchi libracci, ci eravamo incontrati più e più volte nelle severe aule delle biblioteche cittadine. Facevamo entrambi delle ricerche. Questa frase che al lettore profano sembrerà forse convenzionale, è per noi studiosi, profonda di significati: fare delle ricerche significa studiare lentamente, attentamente il clima storico, l’aura sociale, l’atmosfera umana nella quale si devono muovere i nostri personaggi. Che erano, e quelli a cui Perri dedicava i suoi studi ed i miei, personaggi storici. Diversamente storici, si capisce: ma ugualmente basati sulla conoscenza profonda del loro modo di essere.
Quando solevo incontrare Perri nelle biblioteche milanesi, egli forse non aveva ancora cominciato a fissarsi su questo o su quel episodio del Vangelo, ma io sapevo che tutta la sua anima tendeva a realizzare quello che si potrebbe chiamare un sogno spirituale: trovare cioè il nucleo di una bella favola sacra che gli permettesse alla maniera antica di raccontare con stesura ampia, con respiro largo, un bel racconto.
Poi seppi che aveva trovato l’episodio, che ne approfondiva i particolari, che leggeva i testi sacri per meglio addentrarsi nell’atmosfera del tempo, che già, nella sua fantasia, la vicenda si allargava, prendeva la consistenza e la forma di romanzo: seppi che il lavoro di creazione era cominciato, ferveva.
E, naturalmente, persi di vista Perri: egli chiuso nel suo compito, io, sempre alla ricerca storica dei miei personaggi antichi, girovagavo un po’ per gli archivi d’Italia.
Ma ora che ho saputo pronto il romanzo, ora che ho visto gli annunci, mi sono affrettata a chiamare Perri, a intervistarlo. Volevo sapere come egli avesse condotto il suo lavoro; che criteri lo avessero guidato, quali sentimenti lo avessero animato.
Per questo le domande che gli rivolgo sono poche ma a mio parere essenziali.
- Quale è l’episodio saliente che vi ha ispirato? Chiedo.
-Un episodio descritto da San Marco, nel suo Vangelo, egli mi risponde, quell’episodio là dove narra dell’arresto di Gesù nell’orto del Getsemani, là dove l’Evangelista Marco dice: allora quelli - i soldati -  misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono … E tutti lo abbandonarono e fuggirono. E un certo giovane lo seguiva ravvolto in un lenzuolo sul nudo, e lo presero, ma egli, lascito il lenzuolo, se ne fuggì ignudo.
-E’ dunque il giovinetto ignoto, il discepolo senza nome, il protagonista del vostro romanzo? È la mia domanda.
-Si, mi risponde Francesco Perri, è attorno a lui che si impernia la mia vicenda: Il romanzo consta di tre parti: nella prima ho voluto descrivere la vecchia Roma imperiale di Tiberio. Ed ecco il perché delle tante mie ricerche che voi avete seguite. Volevo che la rievocazione della Roma imperiale fosse colorita, ricca di particolari, ed anche qui fu necessaria una particolare preparazione che mi permettesse di fare rivivere, non superficialmente ma con cognizione di causa, il clima palestinese del tempo. La quarta ed ultima parte culmina con la passione di Cristo di cui il giovinetto romano, che a volerla risentire in maniera si farebbe, oltretutto, un peccato di lesa bellezza spirituale. Ma ho voluto attenermi alla tradizione evangelica soprattutto perché vi è nel mio romanzo l’intenzione di richiamare gli uomini alla fraternità, a quel senso di luminoso amore che fu la dottrina di Cristo.
-Avete quindi data intonazione religiosa al vostro libro?
-No, non fraintendetemi: il mio è un romanzo, un romanzo vero e proprio con una trama appassionante, avvincente, amorosa anche. Un romanzo dall’intreccio ampio, vivace, anche se rivissuto su fondo storico. Ma è un romanzo nel quale il pittoresco non offusca la verità secondo i Vangeli, nel quale il largo disegno fantastico rispetta consuetudini ed usi del tempo, nel quale una folla di personaggi lotta, vive, ama, soffre. Un romanzo diremmo di masse, scritto anche per riportare la prosa nostra a quel pieno, caldo senso che qui dava la narrazione antica, quando raccontare voleva dire narrare con poesia ed amore a bella favola. Spero di essere riuscito nel mio intento.
Rassicuro Perri: queste sue momentanee titubanze di artista che ha appena compiuta la sua opera, che se ne distacca con difficoltà e sofferenza, che la segue ancora come una creatura viva, sono comprensibili. Egli è ancora dentro al suo lavoro e lo risente in sé, fortemente. Lo rassicuro perché so, credo, sono convinta, che l’opera sia bella. Lo rassicuro perché conosco l’aspettativa che vi è di essa nel mondo letterario e perché sento nelle sue parole ancora un afflato di quella poesia umana e cristiana che lo ha ispirato.
Titina Strano

LA GAZZETTA – 10 marzo 1940  Anno XVIII

Nota
Nell’ inchiesta sulla letteratura del 2 febbraio 1939 Francesco Perri annunciava un nuovo romanzo, del quale a suo tempo se ne parlerà, eccolo: Roma imperiale, masse, littori, e forse, littorine. Mah !, forse è meglio il silenzio che  auspicava un'acuta redattrice di elevato spessore culturale.
Prima di dimenticarlo, fatevi un giro di web per scoprire quanto andava cercando la Titina, curva sui vecchi libracci … nelle severe aule delle biblioteche cittadine.
Tranquilli, tutto questo è materiale che servirà a quanti studieranno nel prossimo futuro, svincolati da parentele, amicizie, fastidiosi brontolii di fondo, blogghi, giornali cartacei, quotidiani on line, faccebucche, sentito dire.



L'intervista - the director's cut


LETTERE E INTERVENTI
Quotidiano del Sud
23 ottobre 2016
Risponde
Annarosa Macrì

Francesco Perri e il fascismo
Un motivo per riscoprirlo

A uno scrittore non si deve chiedere di essere un martire (e Francesco Perri lo fu!), ma di entrare con le sue parole nei chiaroscuri delle vicende umane e di illuminarle, e Francesco Perri Io fece! Questo scrittore cosi elegante, così calabrese e “italiano", non amato, va detto, da Gramsci, ma considerato da Mario La Cava (fu il primo a parlarne, e una vita fa!) suo maestro di passione, civile, chiede  di essere ancora letto e studiato.
Anche in questa intervista, nella quale alza un rigoroso staccato, ha ragione lei, signor Musolino, tra l’arte e la propaganda, ma poi si abbandona a considerazioni certamente sorprendenti da parte di uno che si è vista la vita deragliare a causa del regime. Ecco il passo più controverso: “con i libri fatti su commissione, scrive Perri, non solo non si crea l’arte fascista, ma si addebita al Fascismo una letteratura pessima, sfiatata, bruttamente retorica, mentre il Fascismo scrive la sua vera storia sui campi di battaglia, nelle bonifiche, nelle opere in modo molto più serio e con vera passione … Può darsi, ed io me lo auguro vivamente, che il clima fascista, questo prepotente risveglio dell’orgoglio nazionale, questa strenua disciplina, questa esuberanza espansiva, e il desiderio di sacrificarsi delle nuove generazioni per un ideale di vita eroica, facciano nascere delle grandi personalità d’artisti, che tutto questo esprimano”. Cedimento alla cultura fascista? Paura? Ambiguità? Sguardo distaccato di un intellettuale che guarda ad un periodo storico riuscendo a prescindere dalle sue passioni e dalle sue sofferenze? Non lo so, so che I'intervista andava pubblicata e che nulla toglie alla vita e alle opere di Francesco Perrri. Anzi, aggiunge complessità e voglia di andare a-rileggerlo.




giovedì 24 novembre 2016

L'Inchiesta - I cittadini segnalano


Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino

I cittadini segnalano
i problemi del comune

PLATI’, 9 – Dalle interviste che cortesemente ci hanno concesso numerosi cittadini, rappresentanti le varie categorie sociali, si rileva che i problemi del nostro centro sono complessi e vasti ed occorre una azione decisa e urgente in un piano generale di sviluppo economico-sociale.
-Rag. Salvatore Calanna (collocatore comunale): Incrementare le case popolari. Apertura al traffico della statale 112 e di bonifica. Creazione di aziende silo-pastorali. Scuole professionali.
-Sig. Natale Cusenza (rappr CISL): Maggiore sorveglianza dello Stato verso le imprese appaltatrici di opere pubbliche in quanto il denaro è frutto di lavoro dei cittadini. Sviluppo dell’agricoltura con metodi moderni.
-Sig. Pasquale Oliva (Commissario DC): Creare i presupposti per una agricoltura razionale, necessari al miglioramento del paese. Apertura della statale 112.
-Sig. Francesco Prestia (vice –sindaco): Fognature. Rete idrica nuova. Copertura vallone Lordo. Sistemazione dell’agricoltura con metodidi immediati e sistematici. Apertura statale 112.
-Fudoli (direttrice Avviamento agr.): Costruzione edificio scolastico con lo sviluppo delle attrezzature, indispensabili alla istruzione secondaria.
-Sig. Luigi Zappia (pres. Az. Catt.): Fognature, rete idrica, statale 112, sistemazione del bacino Ciancio e Sanello e del vallone Luscrì, sistemazione del bacino montano, mercato, macello, e miglioramento rete elettrica.
-Sig. Michele Crea (sindacalista):  Applicazione della legge sulla Calabria, con preferenza verso i problemi dei paesi montani.
-Sig. Francesco Perri (rappr. Braccianti): Sistemazione dei torrenti, apertura statale 112 e sistemazione agricola definitiva.
-Prof. Giuseppe Gelonesi (ins.):  Apertura statale 112, ampliamento della rete idrica e sistemazione, immediata e definitiva, del circuito elettrico difettoso, in quanto il paese resta spesso senza energia.
-Dott. Mario Spadaro (proc. Legale):  Creazione di opere pubbliche definitive necessarie al miglioramento delle condizioni di vita del paese.
-Sig. Rosario Morabito (pres. U.S. Platiese): Costruzione del campo sportivo e miglioramento delle attrezzature ginnico-sportive.
- Sig. Umberto Romeo (agente emigrazione): Statale 112, incremento di circoli culturali e scuole professionali. Maggiore sorveglianza igienico sanitaria sugli esercizi pubblici.
-Sig. Antonio Miceli (cons. comunale): Ampliamento acquedotto. Chiusura circuito e ammodernamento interno ed esterno della rete elettrica. Bonifica integrale del bacino del Careri.
-Mons. Giuseppe Minniti (arciprete): Sistemazione idraulico-forestale del bacino del Careri, presupposto al miglioramento delle condizioni di vita.
-Sig. Armando Mittiga (fiduc. Invalidi guerra): Bonifica integrale del bacino del Careri e del torrente Acone.
-Comm. Fortunato Furore (rappr. Agricoltori): Bonifica integrale delle imposte per i terreni alluvionati.
-Sig: Francesco Marando (perito agr.): Applicazione legge speciale per la Calabria. Bonifica integrale. Apertura statale 112.
-Sig. Antonio Tripepi (rappr. commercianti): Strada statale 112. Sviluppo edilizia.
-Sig. Alberto Domenico Aurelio (pres. Coldiretti): Sviluppo della bonifica del Careri. Apertura della statale 112. Sviluppo dell’edilizia. Incremento per un’economia silvo-pastorale.
-Sig. Rosario Stancati (rappr. Artigiani): Maggiore potenziamento delle piccole

Nota
Questi nomi corrispondono al Catalogo delle navi nel secondo libro dell'Iliade di Omero, un'epica del passato platiotu. A rappresentarli, tra tutti ho scelto Luigi, meglio noto come Gino, Zappia, nella foto il primo alla vostra destra.


 

I razziatori (reg. John Ford - 1919)

How many licks does it take?
Madonna, Thief of Hearts


This picture Belong to PlatìaCiurrame 
Quelli di belong razzolano di qua e di là pur di riempire a cardara pe frittuli
e a loro dedico questa canzone di Madonna, non chija du Ritu




mercoledì 23 novembre 2016

Ricorda il mio nome


Questo non è solo l' estremo omaggio a chi non è più, è ancora una volta il tributo all'intera nazione Alias, di ieri e di oggi, platiota, che con orgoglio e pudore si svela.

Cutrì Caterina (22.8.1850) surda d' incròcchina
Cutrì Maria (31.5.1850) muta-figlia di Giuseppe pitèri
De Giorgi Caterina (15.9.1850) vedova di Caruso Domenico banci
Ielasi Domenico (18.10.1850) surra
Mittiga Domenico (21.6.1850) di Giacomino dama
Nicita Elisabetta (22.10.1850) casignanota, ved.di Portlise Domenico
Romeo Domenico (26.11.1850) pilato   figlio di  pappannici
Romeo Domenica (28.9.1850) vedova di Staltari Francesco caccianti
Romeo Rosario (1.9.1850) di Saverio pilatu
Portolisi Giuseppe (24.3.1850) bifolco-figlio di mangiafica
Spagnolo Domenico (2.12.1850) gajìna
Velardi Pasquale (10.8.1850) di Giuseppe trisilicotu
Agresta Saveria (6.7.1851) del pietusu- vedova di Zappia Rocco
Carbone Anna di Michele(10.1.1851) ranco
Carbone Antonio (13.9.1851) di Giuseppe  petruliju e Romeo Giuseppa
Carbone Francesco (16.2.1851) cerasu -  usciere
Carbone Giuseppe (3.11.1851)di Antonio petrulìju
Carbone Pasquale (20.1.1851)di Gius. lignoduro e di Staltari Anna gattina
Carbone Rocco (31.1.1851) medaglia
Catanzariti Antonino (7.11.1851) di Francesco franciscuni e Zappia Anna
Catanzariti Antonio (6.3.1851) gorgiuseju-figlio di Francesco razzuja
Catanzariti Domenico (3.1.1851) giomo
Catanzariti Rosa (22.3.1851)  di Pasquale tonga
Catanzariti Rosario (28.6.1851) di Giuseppe celestino
Cua Caterina (5.1.1851) pana
Cusenza Rosa (4.8.1851)  vedova di Garreffa Giuseppe 'mburni
Giorgi Antonio (3.2.1851) marcellina (marciajìna?)
Iermanò Elisabetta (9.8.1851)-muta-figlia di Saverio aricchia

domenica 20 novembre 2016

Ombre e nebbia (reg. Woody Allen - 1991)





Polsi oggi pomeriggio 21 ‎novembre ‎2016, ‏‎02:29:58

La roccia incantata ( reg. Guido Morelli - 1949)


‎Ieri ‎19 ‎novembre ‎2016, ‏‎13:46:44, Foto Carannante

venerdì 18 novembre 2016

Vamos a matar compañeros (reg. Sergio Corbucci - 1970)

Pintaremos de rojo sol y cielo
Segio CorbucciVamos a matar compañeros 


Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino



Ferdinando Mittiga brigante borbonico

PLATI’, 9 – Cento anni or sono il territorio di Platì fu teatro di azioni brigantesche ad opera di Ferdinando Mittiga. Giovane appartenente a modesta famiglia e dotato di forte coraggio, riuscì a costituire una banda di molte persone reclutate nei paesi vicini.
Le sue imprese brigantesche erano una conseguenza della questione politico-agraria che travagliava il Meridione, sicché erano ben viste dalle popolazioni in disprezzo al nuovo governo italiano che si era reso impopolare aumentando gli oneri fiscali e i prezzi del pane e del sale.
In questo clima di larghe simpatie la banda Mittiga rappresentava il simbolo del defunto regno borbonico.
Il Mittiga riuscì a mettersi in contatto con il Comitato Borbonico clandestino, sovvenzionato dallo stesso Francesco II che non si era ancora rassegnato alla perdita del Regno.
La banda Mittiga fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che disponesse di forze ingenti sicché questi inviarono in Calabria il generale spagnolo Josè Bories con altri 22 ufficiali per inquadrare queste forze e dare un assetto organico.
Gli spagnoli sbarcarono a Brancaleone e Ferruzzano e, dopo essere stati a Bianco ospiti del convento dei Riformati, proseguirono per Cirella ove si incontrarono col Mittiga. Restarono però delusi alla visita di quelle poche forze male addestrate, alle quali si erano aggiunti delinquenti di ogni risma che assalirono Platì e fecero rubberie.
Il governo, che non voleva distogliere forze militari che si trovavano impegnate al confine con l’Austria, intervenne successivamente, pensando che il brigantaggio nell’Aspromonte potesse divenire pericoloso ed allargarsi alla provincia. Pertanto, inviò un gran numero di bersaglieri, al comando del maggior Rossi, che affrontò la banda e la decimò.
Il Mittiga trovò riparo in un mulino nei pressi del torrente Acone, ma, tradito dal mugnaio, fu ferito dai bersaglieri. Morì dissanguato in montagna dov’era fuggito. La sua test fu portata in giro, affissa ad un palo, per esempio alla popolazione.

Nota
La speranza è che la saga su Ferdinando Mittiga/Mittica non venga ad esaurirsi mai, a detrimento di storici ufficiali e sottufficiali, come diceva il principe De Curtis - magari ora si scopre che Totò era un nostalgico dei Borboni.


giovedì 17 novembre 2016

Morning has broken - Cat Stevens

Sweet the rain's new fall, sunlit from heaven
Like the first dewfall, on the first grass
Praise for the sweetness of the wet garden
Sprung in completeness where his feet pass
Cat Stevens, Mornig has broken

Nell'ombra: il nonno Luigi, la zia Amalia, la nonna Lisa e la mamma
al centro: la zia Gemma, nata Serafina, la zia Serafina e Saro
avanti: Pina e una signorina non identificata



da sinistra: la zia Iola, la mamma, la zia Pina, la zia Gemma, la zia Amalia
al centro: Maria e Luigi



Marilisa e Valentina



Lo zio Pepè

Il fondo Ernesto Gliozzi presso l'archivio diocesano a Locri






mercoledì 16 novembre 2016

Antonio di Padova, il Santo dei miracoli (reg. Giulio Antamoro - 1931)

Festa di S. Antonio

                          Cleppae
                              Celibato ab alterno
                                A puellis damnoto
                                        Et aeterno

Oggi il guercio scaccino dalle celle
Campanarie uno esteso suono effonde
E chiama a festa tutte le zitelle
Nel cui cuore “ il bel sogno “ si nasconde

Sogno d’amor, ma … più di matrimonio
Che avvampa dentro un vecchio o giovin cuore
E che sol può avverare Sant’Antonio
Che d’ogni matrimonio è Protettore

E in lieti gruppi sciaman speranzose
Verso il gran Santo, vergini sognanti
Candidi veli e zagare odorose
E poi collane d’oro scintillanti.

E reca ognuna ai piedi dell’altare
Ove troneggia di tra i ceri il Santo
Il suo cuore è stanco d’aspettare
Perché à aspettato tanto,tanto, tanto.

Timida presso al Santo, Caterina
Mormora trepida: o Antonio Santo
Perché ài fatto sposar la mia vicina
E me lasciasti nubile cotanto?

E un’altra al Simulacro ove si appresta
(è Concettina) o Santo Antonio mio,
anno venturo ti farò una festa
 se Tu fai sposar chi voglio io.

E vien la volta di una zitellona
Che il tempo un po’ sfiorì ma è ancor piacente
Fammi sposare …., a Cremona
A Napoli, a Perugia (…) splendente!

E sussurra una vedova accasciata
Con voce  semi rotta nelle strozze
Sono giovine ancor, fresca, attillata
Fammi passare Tu a seconde nozze.

E mentre un tal ritmo si sgrana
Il rosario di tali postulanti
il pio guercio scaccino alla campana
Si afferra e trae accenti più squillanti

Giù nella chiesa ancor con gran fervore
La folla che il grande Santo ancora osanna
Cercan marito e io pago all’esattore
Il celibato … e l’anima si danna

Giacomo Tassoni Oliva 

Nota
Don Giacomino fa rivivere per noi il paese e le sue devozioni con deliziose quartine, ognuna delle quali costruisce un piccolo filmato fiabesco.
Ovviamente il guercio scaccino era Micu l'orbu, abile campanaro e virtuoso all'armanium.



lunedì 14 novembre 2016

La tomba di Ligeia (reg. Roger Corman - 1964)


Quando i crepuscoli del sole morente mandano i loro ultimi pallidi bagliori, e la sera invita il tardo passeggero, che da lassù apparisce, ad affrettare il passo alla volta del suo ricovero; e l’ala stridente del falco o del nero corvo, che vi passa vicino, rapida fende l’aria, e raccoglie il volo sopra qualche rupe inaccessibile; quando l’ululo del gufo e il sinistro squittire della civetta, fosca abitatrice delle fessure di quelle muraglie, risuona, ad intervalli, lamentoso, il luogo diventa addirittura tragico.
L’ombra crescente, a misura che rende più indistinti i profili di quei vecchi avanzi, fa apparire più tenebrosi i recessi, ed in quelle cave sembra maturarsi qualche cosa di cupo e sinistro da agenti tenebrosi. Il lieve stormire delle foglie sembra il passo misterioso di qualcheduno che s’avvicini, e comunica brividi. Vaghi profili si disegnano nell’oscurità, e in mezzo a quelle ombre fosche l’occhio allucinato vede delinearsi una bianca veste verginale, slanciata e flessuosa che sorge da una tomba, mentre una testa nascosta da lunghissime chiome scomposte, che scendono fluttuanti fino al suolo, si disegna meglio.
Due mani stecchite allontanano lentamente il volume di capelli che nascondono il volto, ed apparisce una faccia pallidissima, di una vaporosa bellezza, i cui occhi sembrano di poco a poco svegliarsi da un sonno lunghissimo, e fissarvi con una espressione indefinibile, sinistra e tragica, mentre la bianca tunica, aprentesi d’improvviso, vi mostra un seno esuberante, su cui rosseggia una lunga striscia di sangue che stilla lentamente fino al suolo.
Vi sentireste tentati, vincendo lo stupore, d’interrogare quella strana vergine, bella di una eterea bellezza, ma la vostra voce non otterrebbe risposta alcuna; la vostra invocazione verrebbe accolta da un silenzio superbo.
L’aspetto di quell’apparizione ha parlato troppo, e nessuna umana favella potrebbero rendervi il senso profondo della sublime tragedia compitasi, più di trecento anni fa, lì, in quel luogo, dove un’anima nobilissima, una candida vergine, rapita all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente del signore di quel forte antico, si trapassava il seno con un coltello, anziché cedere all’amplesso tirannico.
E quella pallida ombra, ogni notte, a quell’ora, suole mostrare quivi il suo dolente aspetto, sorgendo dall’avello, che fra quelle mura medesime ergevale l’innamorato e pentito suo tiranno, tardo ammiratore di inaudita virtù.
E’ irriverenza disturbare quel sublime dolore; esso non vuole la parola umana incapace di descriverlo; il silenzio profondo e riverente del cuore è accettato meglio.
Ed ella si dilegua, mentre gemiti lugubri e repressi le tengono dietro, come di persona che la seguisse, di un altro fantasma che implorasse un perdono chiesto da secoli, e non mai concesso.
E’ verità? È leggenda, a prescindere dalla verità storica, pur vi può rappresentare, sebbene con più pallidi colori, la verace anima del passato.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

Nota
Questa non è letteratura che si addice, o meglio, che può nascere da penna calabrese o nazionale, solo un visionario come Edgar Allan poteva riuscirvi. Né tanto meno può essere apprezzata dai nativi sanluchesi, meno tra tutti poteva essere gradita a Stefano De Fiores, eterno, contorto, mariologo. Eppure Domenico Giampaolo riuscì di trasfigurala sulle rive del Bonamico come Roger Corman trasfigurava, per conto dell’American International Pictures, Edgar Allan con i colori di Floyd Crosby. E vi dico, che certi passaggi di Domenico Giampaolo - rapito, prematuramente, all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente della Morte - li preferisco a interi racconti di Alvaro.




domenica 13 novembre 2016

Un americano in vacanza (reg. Luigi Zampa - 1945)


                                             DA PLATI’
Italiano che onora la patria all’estero
E’ qui giunto da pochi giorni, per trascorrervi una breve villeggiatura il nostro concittadino Thomas Marando accolto da tutti con le più vive e spontanee manifestazioni di simpatia. Egli ritorna  a rivedere il vecchio padre, la famiglia, i luoghi della sua infanzia irrequieta, dopo 28 anni di permanenza in America, la maggior parte trascorsi a Du Bois  in Pennsylvania. La vita di quest’ottimo  italiano è l’esempio tipico di ciò che l’uomo quando all’ingegno accoppia un cuore onesto e volontà e una volontà inflessibile.
Nato in Platì nel 1879 volle nel 1895 varcar l’oceano in cerca di fortuna.
Aveva sedici anni, un biglietto di terza classe e un desiderio immenso di salire.
Al ragazzo, sbalzato d’un tratto dalla quiete del nido familiare nel turbine babelico del nuovo mondo, i primi anni furono di una durezza indicibile, ma egli aveva in se la tempra del lottatore e seppe vincere con tenacia ogni ostacolo.
Riuscì, magnifico esempio di autodidattica, usufruendo dei ritagli di tempo che gli lasciava liberi il diuturno lavoro, a formarsi una cultura; divenne notaio pubblico, interprete, fondatore d’associazioni politiche, sempre apostolo fervente d’Italianità e di patriottismo. Popolarissimo nella nostra colonia della Pennsylvania, non c’è benefica iniziativa che non lo trovi pronto al valido contributo …
Conquistatasi col suo agile ingegno e col suo tenace lavoro una florida agiatezza, questo forte figlio della Calabria non esita a profonderla in tutte quelle opere da cui possa derivar decoro alla Patria.
Dotò la città di Dubois, ove risiede, di un ottimo concerto musicale che gli costò ben settantamila lire, ma che tien desto tra gli americani il massimo entusiasmo per l’arte italiana.
Con la sua opera sagace egli non si stanca di promuovere le associazioni politiche fra i nostri connazionali convinto che dall’unione e dalla disciplina scaturisce la forza necessaria per essere all’estero rispettati.
Gazzetta di Messina e delle Calabrie  6 Agosto 1924 pag. 2



giovedì 10 novembre 2016

Le fate (reg. Salce, Monicelli, Bolognini, Pietrangeli - 1966)


Caro Ciccillo
Ernesto è a letto con catarro e tosse. Non può né vuole viaggiare. Vi prego di non allarmarvi, perché la cosa è lieve; ma le conseguenze potrebbero essere grandi.
Procedete al fidanzamento come se tutti fossimo presenti e non mancherà il tempo in cui i nostri affetti saranno manifestati verso la buona fata che è Cata.
Augurii e buone cose.
Saluti per tutti ed affettuosità al fidanzato.
                                                                                                        Tuo aff zio
                                                                                                           Ernesto
Lì  19 – 1 – 46

Caro Ciccillo
Immagina se avrei  voluto venire ed assistere alla  cerimonia di oggi; ma Peppe quando è venuto aveva visto e saputo che non stavo tanto bene; poi mi ero rimesso; ma ora da tre giorni ho avuto di nuovo la febbre a … 38; stamane è a 37, ma non posso assolutamente viaggiare, anche per la debolezza: vogliatemi perciò perdonare e tenetemi come presente col mio consenso e coi miei più fervidi auguri. Spero rimettermi subito e venire domani ad otto.
Cara Cata
                  Dico a te quello che dico a Ciccillo, mentre ho negli occhi una lacrima di nostalgia. Ti abbraccio.

                 Tuo Ernesto





il primo

è l’atto di battesimo della mamma redatto il 24 marzo 1913 da

ego Franciscus Mittiga sacerdos aeconomus Ecclesia S. M. Lauretanae:
baptizzavi infantem natam die 20 (ma era nata l’ 1, come potete vedere dal secondo documento)
ex Aloisio Gliozzi
et Elisabetta Mittiga
coniugibus legitimis huius Parochiae
cui imposit fuit nomen Chatarina
Matrina fuit Seraphina Gliozzi
Pro fide, Ego F. Mittiga

Il secondo

È l’atto di matrimonio tra papà (commerciante) e mamma (casalinga) redatto dallo zio Ernesto il giovane (assente giustificato al fidanzamento), il quale officiò il rito
il 16 febbraio 1947 alle ore 16
Testimoni
Mimì Gelonesi fu Francesco di anni cinquantasei
e
Peppantoni Perri figlio di Pasquale di anni quarantatre
Le pubblicazioni ecclesiastiche furono eseguite nei giorni 21 gennaio e 2-9 febbraio 1947
e quelle civili dal 26 gennaio al 2 febbraio 1947.

SDG