ROCCO CORSO, FRATRICIDA ED EVASO TORNA IN ASSISE CON ALTRI COMPAGNI
Rapinarono l’esattore comunale di Platì
e si procurarono il denaro per l’espatrio
Davanti ai giudici di Locri un clamoroso processo per oscuri delitti
contro il patrimonio
Locri, 23 febbraio
Si è iniziato davanti la Corte di Assise di Locri il processo a carico
del quarantanovenne Rocco Corso di Francesco; di Varapodio; Nazzareno Innocenti
di Enrico, di 45 anni, anch’esso di Varapodio, di Ernesto Morabito di Domenico,
di 50 anni, di Molochio; e di Rosario Ursida di Carmelo, di 30 anni da Molochio.
I primi due sono detenuti e vennero rinviati a giudizio per essersi,
mediante minaccia con armi ed allo scopo di procurarsi ingiusto profitto,
impossessati della somma di lire trecentotremila sottratta a G. Gliozzi nella
contrada Due Petti di Platì il 15 febbraio 1949 alle ore nove, di espatrio
clandestino e di concorso in falsificazione di documenti di identità.
Gli altri, tutti contumaci sono imputati: il terzo per avere aiutato dopo
una rapina, gli altri due sottrarsi alle ricerche dell’autorità giudiziaria, il
terzo e il quarto di avere aiutato i due primi ad espatriare in espatriare in Francia senza passaporto.
Ecco i fatti: Nel dicembre del 1948 al prof. Giuseppe Attisani in
Cirella perveniva una lettera con cui gli si intimava di depositare in una
località della di lui proprietà denominata S. Girolamo la somma di L. 100 mila,
attenendosi a certe modalità dallo autore della lettera medesima indicate,
fissando la data della notte sull'8 dicembre. Il destinatario lasciò sul luogo
indicatogli un giornale ed, al posto del denaro richiesto, una lettera, con cui
invitava gli sconosciuti a presentarsi personalmente da lui, nel qual caso
avrebbe esaminato la possibilità di esaudire il desiderio espressogli. Nelle
vicinanze del posto indicato dagli sconosciuti autori della misteriosa lettera
vegliarono, per tutta la notte dal 7 all'8 dicembre, persone di fiducia dell'Attisani,
senza notare alcun individuo, che si portasse per ritirare l’involto; ma in
seguito, si potè constatare che questo era scomparso. La notte seguente, l’Attisani
udì bussare al portone della sua abitazione e poté, affacciandosi, scorgere
un'ombra che si dileguava.
Soltanto nell’aprile dell’anno dopo i Carabinieri seppero di questo delittuoso
episodio. Intanto il 15 febbraio 1949 alle ore 9, in contrada Petti di Cirella,
lo esattore comunale Giuseppe Gliozzi, che si portava in compagnia del
vetturale Francesco Perri con un mulo carico di documenti e della somma di 303
mila lire dalla frazione di Cirella a Platì avvertiva il fruscio caratteristico
del frascone scosso proveniente da un cespuglio da dove, subito dopo, sbucarono
alcuni individui forniti di armi militari, i quali, dopo aver intimato ai due
di fermarsi e di mettere le mani in alto, riuscirono ad impossessarsi del
denaro, dandosi quindi alla fuga.
I Carabinieri, però, continuarono le loro ricerche, fin quando da
qualche confidenza riuscirono a sapere che proprio in quei giorni si aggiravano
per le gole montane di Platì, Cirella, Ciminà i due attuali imputati e che, nel
pomeriggio del 15 febbraio, tal Domenico Mammone, che pascolava le mucche in
contrada Micalandrà, fu richiesto da due individui a lui sconosciuti, di cui
uno aveva il viso butterato dal vaiolo, se il cascinale che sorgeva in quei
pressi fosse o meno abitato, dandone risposta negativa; Era quanto bastava,
perché i sospetti convergessero verso Rocco Corso di Francesco, il quale si
nascondeva, sapendosi ricercato dai carabinieri, avendo egli ucciso il proprio
fratello Giuseppe, reato consumato nell’inverno del 1948 ed ancora perché evaso
dal penitenziario di Portolongone ove scontava la pena dell'ergastolo inflittagli
nel marzo 1938 dalla Corte d’Assise di Palmi.
Sia l'Innocenti che il Corso il 28 febbraio 1949 partirono dallo scalo
ferroviario di S. Ilario per Ventimiglia e di qui con l'aiuto del Morabito e
dell'Ursida espatriarono a Tolone da dove furono poi rimpatriati dalla polizia francese.
Nel maggio 1949 l'Innocenti venne fermato e, poi, associato alle carceri, sotto
la grave accusa di rapina aggravata pur essendosi egli mantenuto sulla
negativa. Intanto i carabinieri disponevano un confronto tra il Mammone e l'indiziato
e il primo non aveva difficoltà d’identificarlo, specie attraverso il viso
butterato, per l’individuo che lo aveva interpellato il 15 febbraio 1949. Oltre
a ciò altri elementi vennero a concretizzare l’accusa contro lo Innocenti e il
Corso Rocco, che intanto, assicurato alla giustizia. era stato relegato a Procida.
I Carabinieri e poi il Magistrato requirente hanno potuto ricostruire
così i fatti: i due pressati a provvedere nel più breve tempo al versamento
delle somme per l’espatrio clandestino, si decisero prima ad operare l'estorsione
ai danni dello Attisani e, poiché, il tentativo fallì, decisero di passare all'aggressione
diretta ed avendo sentito che lo Gliozzi aveva proceduto agli incassi in
Cirella (ove l'Innocenti si recava spesso, essendo questo il paese della
propria moglie) ed che ne avrebbe trasportato il ricavato a Platì, nella mattinata
del 15 febbraio, si appiattarono in un punto, ove la vegetazione è fittissima e
con facilità potettero seguire il loro piano delittuoso.
Questi i fatti sui quali la Corte d'Assise di Locri è chiamata a
pronunziarsi. Intanto l’udienza odierna è stata, interamente occupata dall’interrogatorio
di Rocco Corso, il quale si è proclamato del tutto estraneo alla rapina in
danno del Gliozzi, aggiungendo di non essersi mai macchiato di delitti contro
il patrimonio.
Dopo le dichiarazioni del maggiore
imputato l’udienza è stata tolta. Il processo sarà ripreso domani e durerà
parecchi giorni.
GAZZETTA DEL SUD, 24 febbraio 1954 ,
Le precedenti puntate:
https://iloveplati.blogspot.com/2011/04/i-cancelli-del-cielo-reg-michael-cimino.html
Francesco Perri/e
il contabile
non lo scrittore
Don Pepé Gliozzi, conosciuto come “u Satturi” (tanto che io seppi il suo nome dopo molti anni), ebbe come compagno di sventura in questo agguato Francesco Perri, fratello maggiore di mio nonno Peppantoni. Cicciu per i familiari, Cicciu “u muzzuni” per il paese, era nato nel 1902. Era una persona gentile e riservata. Lo zio Ciccio aveva una memoria formidabile per i numeri tanto che accompagnava don Pepè non solo come vetturale, ma anche come registro vivente poiché teneva a mente la contabilità dell’Esattoria quando giravano per le frazioni. Abitava con la famiglia accanto alla chiesa del Rosario, nel 1937 aveva sposato Caterina Barbaro (della famiglia dei “scarpareji”) con cui ebbe 4 figli. Lo si vede molto spesso nelle foto delle processioni con la tunica bianca e la mozzetta rossa dietro al prete o accanto alla statua. In uno dei bassi della casa di mio nonno, quello che dava sul vicolo sul retro, teneva l’asino. In seguito, ebbe una bottega di vino come suo padre Pasquale. Di questo padre aveva seguito le orme nei mestieri. Ci sarebbe molto da dire sui legami familiari ed un giorno dovrò farlo.
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