REGGIO CAL., 25
(A. P.) Nel territorio
della nostra provincia da tempo vagava l'ergastolano Corso Rocco, evaso da un
penitenziario allorché la guerra era cominciata a divampare sul territorio
nazionale. Il Corso che cercava di far silenzio attorno al suo nome, onde evitare
la cattura, veniva in aperto contrasto con un suo fratello, specie quando quest’ultimo
uccise il collettore delle imposte di Varapodio, sig. Simone richiamando sulla
sua famiglia l’attenzione della polizia. Ad un certo momento l'ergastolano
uccise il fratello che, rendendosi autore di altri fatti di
sangue, aveva messo in allarme i carabinieri della zona. Ormai il ghiaccio
era rotto e l’evaso uscito dal riserbo che prima si era imposto, si abbandonò
alle ribalderie, una delle quali, e l’ultima in ordine di tempo, è stata la
rapina consumata in danno di Gliozzi Giuseppe da Platì, in combutta con il
pregiudicato Innocenti Nazzareno, da Varapodio. Messisi alla
caccia dei due rapinatori, i Carabinieri mentre sono riusciti ad acciuffare l’Innocenti,
hanno dovuto constatare la irreperibilità dell’ergastolano, che aveva pensato
bene di tagliare la corda espatriando in Francia. Nell'espatrio il
Corso è stato favorito dai contadini Morabito Ernesto e Ursida Rosario Carmelo,
entrambi da Molochio e residenti a Ventimiglia, ì quali sono stati denunziati
per favoreggiamento. IL GIORNALE D’ITALIA,
giovedì 26 maggio 1949
Carissimo Saverino, visto che da
tanto tempo che non ricevo più tue lettere, mi son deciso a scriverti. E ti
domando. Come mai ti sei dimenticato di me? Eppure ti volevo e ti voglio tutt’ora
sempre bene come un fratello. Forse l’aria d’America ti ha fatto dimenticare di
tutti e di tutto? Io non posso credere mai questo! Quindi ti esorto a volermi
bene e non dimenticarmi, scrivendomi spesso. Io ricevo le tue lettere con tanto
piacere. Ti mando una
figurina ricordo della I° Messa di mio fratello Ernesto e una fotografia fatta
assieme a lui e ad Emilio Zappia, sicuro che lo accetterai con piacere e
gradirai il mio pensiero. Lo sai che mio
zio medico si è fidanzato con la figlia di d. Rosario Zappia? Io qui conduco
sempre la solita vita. Forse mi arruolerò nella R. Aereonautica. Aspetto una tua
fotografia per vedere come ti sei fatto grande. Niente altro per
ora. Ti abbraccio fraternamente e credimi Tuo sempre Peppe Gliozzi In quel 17 febbraio
del ’38, XVI° dell'era in fez e camicia neri, lo zio Pepè stava per compiere il suo diciottesimo anno di vita. Era
già “u satturi”. Mentre nutriva
speranze aviatorie perdeva la sicurezza riposta negli affetti giovanili, seppur
indelebili. Il suo è un tono
strettamente confidenziale, aperto e intimo nello stesso tempo, che ricorrerà
sempre nelle corrispondenze, specie quelle coi familiari. Le sue missive
erano sempre piene di notizie dell’ultima ora, come in questa: un fratello
prende messa, lo zio medico si fidanza, la guerra che si approssima. Nella foto sulla terrazza della casa
che fu dello zio Michele e dello Giuseppino - nati Mittiga - con lui ed Ernesto c’è Emilio
Zappia fratello della futura sposa come anche di Don Ferdinando Zappia, colui che illuminò le notti di Platì. Difficile è stato rintracciare Saverio Saverino Violi, forse era figlio di
Antonio e Marianna Barbaro, classe 1919, gennaio 24.
Persone molto x bene delicate altruiste, li conosco eravamo vicini di casa e andavo spesso a casa sua sempre accoglienti brave, avevano l'unica villa che c'era a quei tempi molto bella ancora c'è, ma è disabitata, che dolore vederla in quello stato.
Ho spiegato allo zio Michele la
ragione per cui non mi son presentato dal dr. Macrì.
Attualmente mi sento come un
leone.
Vi abbraccio tutti, compresi i
miei, e mando mille bacetti per Nelluccia.
Vostro
Peppe
A tutti coloro che sono attratti delle sole immagini dico che l'autore della foto in apertura è il cav. Rocco Brancatisano di Bovalino Mare e come già detto: abbiatene cura!
Lo zio Pepè aveva un ottimo rapporto con i gallinacei e i pollacei: Silvana Trimboli proprio ora mi ha riferito che sua madre ricordava di un pollo (o gallina) tolto dalla strada dove solitario vagava e da lei cucinato e servito in una tavolata dove erano presenti suo marito 'Ntoni u parlinu, il professore De Marco, Ninì Gelonesi e ovvio lo zio Pepè. Occupavano la bottega del vino di 'Ntoni per cui il vino fu reclamato in abbondanza.
In apertura: Ciccillo, Pina, Ernesto e due Lambrette. In realtà, nella foto, lo zio Ciccillo faceva finta di portarla.
Oggi inizia quello che prima dell’avvento dell’Olivastro era definito
il mese Mariano. All’asilo sotto il vigile sguardo della Madre Maestra Armida, i
bambini cominciavano a fare i primi colorati fioretti, che appesi all’albero sarebbero stati sacrificati in
onore della Sposa del falegname Pepé e Madre del Cristo risorto. Tutto finito, il tempo sprecato, la festa dei lavoratori cassata! La Madre
Maestra Armida ci guarda dal Cielo e le sue consorelle rimosse sulle pagine di
faccebuck. Con questa pubblicazione terminano anche i virtuali festeggiamenti
per i cento anni dello zio Pepè e la data non è casuale perché oggi è il
compleanno della sua sposa Annina, ultima erede insieme a Tota e Carletto di
quella che fu la nobile famiglia dell’avvocato Lentini "machini e mulini".
mi scusati e mi perdunati se mi permettu u vi mandu stu' fogghiettu
c'ummè cummàri e p'o tempu chi ndavìti a perdìri p’ammu leghiti.
Dunca, cu volìa u saccíu acchì cosa pa tuttu ssu sdegnu chi ndavìti c’umnìa,
pecchì eu no’mmisentu in trascuransa non cu vvui e no cull'amici i nuja manèra,
ma sa trascuranza ncè vulerrìssi m'a saccìu in modu u mi pozzu scusari
c’uttùtti. Mi staiu magiandu i ciriveja d'a matìna a sira, ma no riesciu u mi
ricordu nenti. Mi ricordu sulu ca mi ndavivivu promettùtu u venìti ogni tantu u
si facití na visiteja a stu povuru malàtu, ma si vidi ca sta promisa vi catti i
menti o vi ndi stafuttìti i mia.
Ma non si faci nenti. Vi mandu o stessu i mei saluti, ma teniti cuntu ca
no’nci tegnu u vi scommutàti i nuja manera, altrimenti mi costringiti u
fazzu a chi mala figùra. Teniti cuntu ca
non ci sugnu.
Tanti saluti. E salutàti a me cummari.
Addio. PGliozzi
A Peppe Rinaldo
La foto con autografo di Fausto Coppi allo zio Pepé è una rarissima testimonianza del Giro della Calabria svoltosi nella primavera del 1950. Qualcuno ricorda che quel giro passò anche da Platì e questo video sembra testimoniarlo.
Queste parole mi sono state estorte con una minaccia, ve lo dico subito.
Per me, “Non mi devi deludere!” è peggio di una pistola puntata sul cuore. Ma è lì che ha mirato Ginocugino quando, giorni fa, mi ha chiamato per ricordarmi quest’anniversario. Che io me lo ricordavo, ma me lo tenevo stretto. Le esibizioni plateali sono quelle che mi fanno distinguere quando c’è da indossare cappelli dalle forme più strane o collane dai colori sgargianti, oppure salire su un tavolo a leggere racconti epici di paese, anche se il fiato mi abbandona ogni tre parole, non quando devo raccontare di un pezzo di cuore. Che anche lì, certe volte mi viene pure bene, anche se poi chi mi ama sul serio mi richiama subito, per dirmi che i sentimenti non si espongono in pubblico e che chi legge potrebbe essere proprio chi mi ha fatto più male al mondo, quello che ha giurato su un letto di morte e poi ha voltato le spalle.
A me non importa. Io sono così. Perciò è da qui che voglio partire, per raccontare papà. Dal momento in cui se n’è andato dal mondo per entrarmi definitivamente nel cuore. Da quella settimana in cui, lentamente si è consumato, permettendoci di maturare il distacco, di desiderarlo quasi, come chiedeva lui al dottore che si avvicinava al suo letto d’ospedale. Fatemi morire, mi sono stancato. E resisteva.
Per chiedere una promessa che non è stata mantenuta.
E per regalarmi un sorriso che non era per me.
Ma che io mi porterò nel cuore per sempre.
Potevo evitare di raccontarvi questo dettaglio, adesso, lo so. Ma ve l’ho già detto che io sono così. Vado a ruota libera, quando scrivo, non seguo una traccia, soprattutto a comando. O se ho pistole puntate sul cuore.
Isabella me lo dice sempre: tu sei figlia di tuo padre!!! E per me non c’è cosa più bella! Perché io lo so che gli somiglio, mi rivedo nell’allargarmi con tutti, nel prendere le cose con leggerezza, nella platealità di certi gesti, nel gustare certi piatti, nella rotondità del corpo e, più che ogni altra cosa, nell’immensità delle orecchie, che sembrano due padelle! Le mie e le sue!
Sì, lo so che adesso tutti, dopo aver versato le dovute lacrime leggendo l’inizio, non vi capacitate che io vi stia mostrando questa fotografia. Eppure io le orecchie me le guardo ogni mattina e lo vedo che diventano sempre più grandi, andando avanti nell’età, esattamente come quelle di papà.
Il naso invece no.
Quando è nato Jacopo, Mimmuzzo, amorevolmente, fece uno strappo alla regola, me lo portò in camera che io ancora non mi ero svegliata dall’anestesia e voleva mettermelo in braccio: io lo guardai e inorridita dissi NO!!!! Ha il naso di papà, dello zio Ciccillo e della zia Rosina messi insieme!!! Mimmo, non capì cosa stessi dicendo e, immaginando che non fossi sveglia, si guardò bene dal mettermelo in braccio…. ma credetemi, io lo so di cosa stavo parlando e tutti i miei cugini che stanno leggendo, lo sanno allo stesso modo.
Non un naso: una campana al posto del naso!
E, infatti, lui mi cantava sempre una canzoncina e la suonava facendolo dondolare e soffiando….
Dormiti bella e facit’u sonnu (ndilin- ndilon)
Se no vaju e vi chianu u Batitonnu (ndilin-ndilon)
U Batitonnu non potìa veniri (ndilin-ndilon)
Ca jiu u scangia cincucentu liri (ndilin-ndilon)
E li tricentu si li tornaru farzi (ndilin-ndilon)
E pe la pena si llordàu li carzi (ndilin-ndilon)
Doppu d’i carzi, si llordau i mutanti (ndilin –ndilon)
E ndeppi mu simmuccia ‘nto caccianti (ndilin –ndilon)
Ma lu caccianti ndavìa jiutu fora (ndilin –ndilon)
U cogghji na minestra di scalora (ndilin –ndilon)
E c’a scalora fici na ‘nzalata (ndilin –ndilon)
E la gugghjiu ‘nta na patamata (ndilin –ndilon)
(ndilin –ndilon)
(ndilin –ndilon)
Sì, lo state immaginando anche voi che se le inventasse su due piedi queste rime becere, e che il ndilin-ndilon servisse a raccogliere i pensieri per la rima successiva, oltre che per l’improvvisato spettacolo del naso che suonava come una campana percossa dalle dita, perché non c’è traccia, nella letteratura di nessun popolo al mondo di una ninna nanna come questa. Eppure questo stornello impietoso e di sicuro poco adatto al sonno di una bambina era l’unica cosa che lui mi sapesse cantare come ninna nanna ed io non l’ho mai dimenticata oltre a non essermi mai addormentata, ascoltandolo.
Ma questo lui cantava.
E a me andava benissimo!
Nota (Gino) - Il 24 aprile del 1920 è la data di battesimo dello zio Pepé, il 24 di quel mese era anche il giorno in cui si festeggiava la sua venuta al mondo.
A cavallo degli anni ’40 e ’50 sotto la casa dei “Minuri” alla Cresiola c’era un bar in cui si riunivano i giovani uomini della Platì bene a giocare al biliardo o a carte. Era un gruppo di allegri compagnoni, il più vecchio nato nel ’17, gli altri tra il 20 ed il 25. Alcuni erano stati in guerra, altri rimasti a casa perché troppo giovani. Quasi tutti avevano indossato le divise da Balilla in un paese a larga maggioranza fascista. Ma non di politica ci vogliamo interessare quanto di rapporti familiari ed amicali.
Il gruppo era di solito composto dai fratelli Gelonesi, Giannino e Francesco Spadaro, Rosario Caruso, Rosario Demarco, Ciccio Oliva, Vittorio Portolesi (figlio del segretario), Michele Fera e Pepé Gliozzi.
I maggiori animatori del gruppo, grazie alle battute pronte e forse anche per la capacità di organizzare, erano Pepé Gliozzi e Rosario Demarco meglio conosciuti il primo come U Satturi ed il secondo come U professuri Costateja. Entrambi arguti, si prendevano affettuosamente in giro a vicenda come la volta che Pepé comprò un’auto nuova, probabilmente i nuovi modelli dalle forme meno arrotondate, e Rosario commentò: “ti ccattasti a vasca da bagnu”.
A volte salivano sulle auto e se
ne andavano verso la montagna portandosi dietro qualcuno dei ragazzini che
gravitavano intorno a loro come mio zio Francesco Perri. Qui devo aprire una
parentesi: di Francesco Perre o Perri ce n’erano e ce ne sono tanti. C’era u Muzzuni, fratello di mio nonno
Peppantoni, che con Pepé Gliozzi lavorò; poi c’era U Nterdettu, cugino di mio nonno; c’era il figlio di Domenico
Perri, che emigrò in Australia; c’è mio zio Frank che aveva quasi vent’anni
meno di Pepé Gliozzi in seguito emigrato anche lui in Australia. È proprio lui
a raccontarmi che Pepé Gliozzi era sempre gioioso, sempre pronto alle battute
ed ai divertimenti. Lo caricano quindi sulla loro auto e vanno verso la
proprietà del medico Zappia dopo la curva dei Cromatii dove il contadino ha messo dei fichi d’india a rifrescare
sotto un getto di gelida acqua di montagna. Si sfidano a chi ne riesce a
mangiare di più ed il vincitore è Pepé con una cinquantina.
Organizzarono anche una
rappresentazione sacra nel garage, accanto alla villa di Galatti, dove si
parcheggiavano gli autobus: Peppino Gelonesi era Gesù, Rosario Demarco vestiva
i panni di Giuda, Giannino Spadaro quelli di Pilato.
U Satturi, al secolo Giuseppe Gliozzi, era il terzultimo figlio di
Luigi Gliozzi ed Elisabetta Mittiga. Aveva due fratelli maggiori, entrambi
sacerdoti, tre sorelle maggiori e due più giovani. Dalle due sorelle maggiori,
Rosina e Caterina, Giuseppe ha dei nipoti con cui è affettuoso. Si accovaccia
per insegnare a Maria di Caterina a camminare. È lui a scarrozzare Pina di
Rosina sul suo scooter o d’estate a portarla a passeggio per comprarle il
gelato, ad Ardore, dove va a trovare il fratello Ernesto parroco e la sorella
minore Amalia che ospitano la nipote. Lei lo guarda incantata: è così bello lo
zio! Le regala dei soldi ogni San Giuseppe quando Pina va a fargli gli auguri.
Pepé Gliozzi era amico di molti
senza limiti di età: da Peppe Rinaldo più giovane di venti anni, a Giuseppe
Zappia che aveva venti anni più di lui ed era lo zio paterno di Annina Zappia
destinata a diventare sua moglie.
Proveniva da una famiglia molto
unita i cui componenti potevano sembrare poco calorosi ed invece nelle loro
lettere mostravano grande affettività gli uni verso gli altri e verso i
genitori. “Peppino ha rispecchiato il
comportamento della madre, donna Bettina. È stato amico e fratello, disponibile
con tutti. Era benvoluto in paese perché era un signore con tutti” dice di lui
Isabella Zappia figlia del Giuseppe Zappia prima menzionato e cugina di sua
moglie Annina. “E sua figlia Marilisa” continua Isabella, “ha preso dal padre e
dalla nonna Bettina.”
Quei giovani uomini, che
movimentavano la vita di Platì, si sono sparpagliati fra gli anni ‘60 e ’70.
Chi molto lontano, chi, come Pepé Gliozzi, a Bovalino in un luogo
geograficamente vicino eppure risultato lontanissimo per atmosfera e mancanza di
quella rete di relazioni parentali ed amicali che sono distintive di precisi
luoghi.
P.S. un grazie a Francesco Perri, Pina Miceli e Isabella
Zappia che hanno condiviso i loro ricordi con noi.
*
**
Between the end of the forties and the
beginning of the fifties, at the bottom of the house belonging to the “Minuri” in the area called “Cresiola” there was a bar which was the
meeting place for the Young men of the middle class in Platì. It was a group of
happy going fellows, the older born in 1917, the others between 1920 and 1925.
Some had fought in WW2; others had remained home due to young age. Most of them
had worn the Balilla uniform in a town with a large majority of fascists.
However, not of politics we want to talk, but of family ties and friendship.
The group included the Gelonesi brothers,
Giannino and Francesco Spadaro, Rosario Caruso, Rosario Demarco, Ciccio Oliva,
Vittorio Portolesi (son of town clerk), Michele Fera and Pepé Gliozzi. Due to
their ability to organize and their humorous nature, leaders of the group were
Pepé Gliozzi and Rosario Demarco better known as “U Satturi” and “U professuri
Costateja”. Both provided with a sparkling wit, they used to fondly tease
each other. When Pepé bought a new car, probably a new model with less a
rounded shape, Rosario remarked “Did you by a bathtub?”
At times they would get in their cars and drive
towards the mountain bringing with them one or two of the kids that hang around
them like my uncle Frank Perri. And I must digress a little: there were and
there are quite a few Frank Perri or Perre. There was “U Muzzuni” who worked with Pepé Gliozzi and was brother of my
grandfather Peppantoni: there was “U
Nterdettu”, my grandfather’s cousin; there was Domenico’s son who migrated
to Australia and there is my uncle Frank who is about 20 years younger than
Pepé Gliozzi and now lives in Australia. He remembers Pepé Gliozzi always
cheerful, witty and entertaining. So, he follows them on their trip to a
property of Dr Zappia just after the turn in the area known as Cromatii where the farmer has already
plunged some prickly pears in icy mountain water. They challenge each other on who will eat the
most and Pepé wins with about 50.
They also organized a mystery play for Easter
in a garage, by the house of Galatti, where buses were parked: Peppino Gelonesi
played Jesus, Rosario Demarco was Judas and Giannino Spadaro was Pilate.
Giuseppe (Peppino, Peppe or Pepé) known as “u Satturi”, was the third to last child
of Luigi and Elisabetta (née Mittiga). He had two older brothers, both priests,
three older sisters and two younger ones. Giuseppe had a loving attitude
towards the nieces and nephews, children of his older sisters. He squats to
help Maria (Caterina’s daughter) take her first steps. He drives Pina
(Rosina’s) daughter around on his scooter and, when Pina spends her summer in
Ardore, with Uncle Ernesto who is the parish priest there and Aunt Amalia,
drops in for a visit and takes her out for ice cream. Pina looks at him in awe:
he is so handsome! On saint Joseph day she always wishes him a happy name day
receiving a money gift from him.
Pepé Gliozi had friends of any age: from Peppe
Rinaldo who was 20 years younger to Giuseppe Zappia who was 20 years older and
uncle to his wife to be, Annina Zappia.
He was born in a close knitted family whose
members might have seemed not very warm while, on the contrary, in their
correspondence show love and affection towards each other and their parents.
“Peppino mirrored the behaviour of his mother, donna Bettina. He was a friend
and a brother, always helpful to all. He was beloved in town because he was a
real gentleman” states Isabella Zappia daughter of above-mentioned Giuseppe and
cousin to wife Annina. “And his daughter Marilisa” goes on Isabella, “has taken
after her father and her grandmother Bettina.”
Those young man who animated life in Platì
scattered during the sixties and seventies. Some very far away, some, like Pepé
Gliozzi, in Bovalino, a place geographically close but still very far for
atmosphere e for the lack of a network of friend and family relationships which
are unique to a given place.
P.S.L thanks to Francesco Perri, Pina Miceli and
Isabella Zappia who have shared their memories with us.
ROSALBA PERRI
In apertura Ciccillo Gliozzi e Nino, di don Bertinu, Pepè Gliozzi e Pina Miceli, al centro Frank Trimboli and Frank Perri. In finis, sul balcone in corso San Nicola: Pepè, Annina e Isabella Zappia, Mimmo Priolo, Fina/Gemma, Amalia, Mimì Galatti in Zappia.
Nel momento in cui mi sono proposto di fare una breve,
necessaria celebrazione dei cento anni di età dello zio Pepé non sapevo come
redigerla e come dare inizio al tributo. Leggendo Corrado Alvaro mi si è aperta
la mente. Ho capito che in sostanza era un tributo anche per mio padre che a
suo tempo non potei fare perché queste pagine non erano ancora apparse. Mi è
apparso all’istante che quella dello zio Pepé e di Papà erano due vite
parallele nate sullo teso segno: La devozione al padre, l'annullamento della (propria) personalità
di fronte alla legge familiare*. Perché le loro vite potessero realizzarsi
dovettero aspettare dapprima l’accasamento delle sorelle e dei fratelli e di
conseguenza la morte del padre che servirono annullandosi. Ciccillo, Ernesto e Fina avevano scelto di
accasarsi con la Chiesa i primi, con Gesù la seconda. Mentre per Amalia si
scelse di accasarla con i due fratelli preti. Lo zio Peppino, fratello
sordomuto di Papà, preferì l’emigrazione verso Milano. Le sorelle restanti avevano
già preso la via della Montagna, dell’America o il varco dello Stretto di
Messina. Lo zio Pepè e Papà si sono così
ritrovati coi capelli bianchi, e di
fronte a un altro impegno per il resto dei loro anni, il matrimonio cui
pervennero per nuovi sacrifici, avendo già dato la metà della loro vita alla
creazione dell'opera paterna*. I due a differenza dei loro genitori
dovettero però fare i conti con il tragico destino in cui stava sprofondando
Platì e una nuova società che stava volando senza sosta per adattarsi al
progresso/sviluppo. Non restava altra scelta che fuggire e andare anonimi in
città dove i figli avrebbero potuto studiare e a loro volta sistemarsi. I due non
fecero però i conti con quell’avvenire che i loro figli altrimenti intendevano
realizzare, a dispetto dei loro sogni. I
dolori per lo zio Pepè e Papà ebbero la prevalsa che solo la morte placò.
ROCCO CORSO, FRATRICIDA ED EVASO TORNA IN ASSISE CON ALTRI COMPAGNI
Rapinarono l’esattore comunale di Platì
e si procurarono il denaro per l’espatrio
Davanti ai giudici di Locri un clamoroso processo per oscuri delitti
contro il patrimonio
Locri, 23 febbraio
Si è iniziato davanti la Corte di Assise di Locri il processo a carico
del quarantanovenne Rocco Corso di Francesco; di Varapodio; Nazzareno Innocenti
di Enrico, di 45 anni, anch’esso di Varapodio, di Ernesto Morabito di Domenico,
di 50 anni, di Molochio; e di Rosario Ursida di Carmelo, di 30 anni da Molochio.
I primi due sono detenuti e vennero rinviati a giudizio per essersi,
mediante minaccia con armi ed allo scopo di procurarsi ingiusto profitto,
impossessati della somma di lire trecentotremila sottratta a G. Gliozzi nella
contrada Due Petti di Platì il 15 febbraio 1949 alle ore nove, di espatrio
clandestino e di concorso in falsificazione di documenti di identità.
Gli altri, tutti contumaci sono imputati: il terzo per avere aiutato dopo
una rapina, gli altri due sottrarsi alle ricerche dell’autorità giudiziaria, il
terzo e il quarto di avere aiutato i due primi ad espatriare in espatriare in Francia senza passaporto.
Ecco i fatti: Nel dicembre del 1948 al prof. Giuseppe Attisani in
Cirella perveniva una lettera con cui gli si intimava di depositare in una
località della di lui proprietà denominata S. Girolamo la somma di L. 100 mila,
attenendosi a certe modalità dallo autore della lettera medesima indicate,
fissando la data della notte sull'8 dicembre. Il destinatario lasciò sul luogo
indicatogli un giornale ed, al posto del denaro richiesto, una lettera, con cui
invitava gli sconosciuti a presentarsi personalmente da lui, nel qual caso
avrebbe esaminato la possibilità di esaudire il desiderio espressogli. Nelle
vicinanze del posto indicato dagli sconosciuti autori della misteriosa lettera
vegliarono, per tutta la notte dal 7 all'8 dicembre, persone di fiducia dell'Attisani,
senza notare alcun individuo, che si portasse per ritirare l’involto; ma in
seguito, si potè constatare che questo era scomparso. La notte seguente, l’Attisani
udì bussare al portone della sua abitazione e poté, affacciandosi, scorgere
un'ombra che si dileguava.
Soltanto nell’aprile dell’anno dopo i Carabinieri seppero di questo delittuoso
episodio. Intanto il 15 febbraio 1949 alle ore 9, in contrada Petti di Cirella,
lo esattore comunale Giuseppe Gliozzi, che si portava in compagnia del
vetturale Francesco Perri con un mulo carico di documenti e della somma di 303
mila lire dalla frazione di Cirella a Platì avvertiva il fruscio caratteristico
del frascone scosso proveniente da un cespuglio da dove, subito dopo, sbucarono
alcuni individui forniti di armi militari, i quali, dopo aver intimato ai due
di fermarsi e di mettere le mani in alto, riuscirono ad impossessarsi del
denaro, dandosi quindi alla fuga.
I Carabinieri, però, continuarono le loro ricerche, fin quando da
qualche confidenza riuscirono a sapere che proprio in quei giorni si aggiravano
per le gole montane di Platì, Cirella, Ciminà i due attuali imputati e che, nel
pomeriggio del 15 febbraio, tal Domenico Mammone, che pascolava le mucche in
contrada Micalandrà, fu richiesto da due individui a lui sconosciuti, di cui
uno aveva il viso butterato dal vaiolo, se il cascinale che sorgeva in quei
pressi fosse o meno abitato, dandone risposta negativa; Era quanto bastava,
perché i sospetti convergessero verso Rocco Corso di Francesco, il quale si
nascondeva, sapendosi ricercato dai carabinieri, avendo egli ucciso il proprio
fratello Giuseppe, reato consumato nell’inverno del 1948 ed ancora perché evaso
dal penitenziario di Portolongone ove scontava la pena dell'ergastolo inflittagli
nel marzo 1938 dalla Corte d’Assise di Palmi.
Sia l'Innocenti che il Corso il 28 febbraio 1949 partirono dallo scalo
ferroviario di S. Ilario per Ventimiglia e di qui con l'aiuto del Morabito e
dell'Ursida espatriarono a Tolone da dove furono poi rimpatriati dalla polizia francese.
Nel maggio 1949 l'Innocenti venne fermato e, poi, associato alle carceri, sotto
la grave accusa di rapina aggravata pur essendosi egli mantenuto sulla
negativa. Intanto i carabinieri disponevano un confronto tra il Mammone e l'indiziato
e il primo non aveva difficoltà d’identificarlo, specie attraverso il viso
butterato, per l’individuo che lo aveva interpellato il 15 febbraio 1949. Oltre
a ciò altri elementi vennero a concretizzare l’accusa contro lo Innocenti e il
Corso Rocco, che intanto, assicurato alla giustizia. era stato relegato a Procida.
I Carabinieri e poi il Magistrato requirente hanno potuto ricostruire
così i fatti: i due pressati a provvedere nel più breve tempo al versamento
delle somme per l’espatrio clandestino, si decisero prima ad operare l'estorsione
ai danni dello Attisani e, poiché, il tentativo fallì, decisero di passare all'aggressione
diretta ed avendo sentito che lo Gliozzi aveva proceduto agli incassi in
Cirella (ove l'Innocenti si recava spesso, essendo questo il paese della
propria moglie) ed che ne avrebbe trasportato il ricavato a Platì, nella mattinata
del 15 febbraio, si appiattarono in un punto, ove la vegetazione è fittissima e
con facilità potettero seguire il loro piano delittuoso.
Questi i fatti sui quali la Corte d'Assise di Locri è chiamata a
pronunziarsi. Intanto l’udienza odierna è stata, interamente occupata dall’interrogatorio
di Rocco Corso, il quale si è proclamato del tutto estraneo alla rapina in
danno del Gliozzi, aggiungendo di non essersi mai macchiato di delitti contro
il patrimonio.
Dopo le dichiarazioni del maggiore
imputato l’udienza è stata tolta. Il processo sarà ripreso domani e durerà
parecchi giorni.
Rocco Corso è un personaggio crudele e allo stesso tempo romantico che potrebbe stare tra le pagine di Victor Hugo come in quelle di Jim Thompson o in un film di Budd Boetticher con il volto di Lee Marvin e quei fatti oggi sono un'epopea d'altri tempi.
IL FIDANZAMENTO. Da
quella volta la cassata siciliana mi è indigesta
Pina euforica per l'arrivo del futuro fidanzato
correva da una parte all'altra della casa non sapendo decidere cosa indossare;
la nonna Mariuzza sovrintendeva in cucina, tutto doveva essere pronto per la
sera (una cena leggera) e per l'indomani il sontuoso pranzo di fidanzamento di
sua figlia Pina con Giovannino antiquario di Messina nonchè già cognato di sua
figlia Rosa che aveva sposato Placido il di lui fratello.Tutto era pronto ,era
l'estate del 1957, noi bambini facevamo capolino continuamente per vedere se
arrivavano... intanto si era fatto buio e niente.La mamma decise che per
noi era arrivata l'ora di cenare e andare a letto.Era stato difficile prendere
sonno si avvertiva un'aria nervosa in casa e anche il timore che tutto andasse
in fumo.Io presi sonno con difficoltà ma...ad un certo punto voci ,risate,
abbracci grida: erano arrivati gli ospiti e il fidanzato. Dopo la cena ,venne servita un'enorme cassata siciliana che
doveva essere repentinamente consumata, il caldo e il viaggio non le davano più
margini di attesa.
Il ricordo di quella sera/notte è per me
indelebile, sarà che avrò mangiato con avidità sarà che la ricotta non si era
forse mantenuta freschissima sarà ... fatto stà che il mal di pancia mi ha fatto vedere quell'alba con due
occhiaie a virgola, nere.
Il fidanzamento è stato bellissimo, Pina era
raggiante ma riservata come voleva l'educazione delle signorine di allora.
Dopo il grande pranzo dell'enorme
tavolata, sotto lo sguardo austero di nonno Rosario e col suo permesso,
Giovannino prese un' Ortensia rosa offrendola a Pina, lei fece scattare la
molla di questo astuccio che si aprì sotto i nostri occhi incantati, specie i
miei e quelli di Angelina, dentro un anello diluccicanti brillanti era il simbolo di una richiesta d'amore che Pina
accettava con la benedizione dei suoi genitori e la felicità dell'intera
famiglia.
MARIA
Nella foto il matrimonio a Paola, dietro gli sposi da sinistra: lo zio Pepè, lo zio Ciccillo, la zia Rachelina, Pino Fedele, lo zio Peppino, le sorelle Lucia e Maria Sciarrone, la mamma e Saro. Tra tutte le cover del brano di Elvis Presley quella di Beck va avanti a tutti.
Ora vi dico quello che
è il legame tra lo zio Pepé e Michael Cimino e così vi svelo il titolo di oggi.
Nei colori dei film
dell’ultimo dei grandi maestri hollywoodiani così come in alcune scene, molto
spesso fotografati da Vilmos Zsigmond, lui e Gordon Willis negli anni ’70 hanno
rifatto il volto del cinema Usa, vedo questo episodio che accadde nelle colline
di Platì, a valle di quell’elevata parete che è chiamata l’Aria du Ventu e verso Cirella.
Nei primi tempi di
questa spasciata repubblica, nata spasciata, zio Pepé era l’esattore comunale
del paese. Per l’esattezza “u satturi”.
Il nonno Luigi gli
aveva pure approntato l’ufficio in quella parte della casa dove ora c’è l’ingresso
principale in corso San Nicola, in quel tempo accanto alla farmacia. Molto
spesso i tassati accusavano malore dopo aver pagato e il farmacista
professor/dottor Nicola Spadaro soccorreva repentinamente il malcapitato. Io
questo professor/dottor Spadaro non lo potevo vedere perché era lui
che preparava l’olio di ricino che la mamma mi dava per purgarmi lo stomaco. Ma
questo è un altro film.
La scena è questa, e
ditemi se non è un western, un platiotuwestern.
Zio Pepé con due
aiutanti sta tornando da Cirella dove era stato per il suo esercizio
esattoriale. Il Monte Calvario era ancora molto distante e i due sono in groppa
a due muli per altro mansueti. Siamo in estate, i serri per la risplendente
luce del sole sono del colore delle messi mature: non ascoltate le cicale che
sembrano suonare un pezzo uscito fuori da una delle suites per violoncello solo
di Bach? Con l’archetto che va e viene sullo strumento?
Un qualcosa di simile
lo si trova anche ne Il Siciliano sempre di Michael, cinematographer Alex
Thomson.
Ancora. Lo si trova
in alcuni momenti dei film baarioti del buon Peppuccio, e lui di fotografia se
ne intende, quando ha l’apporto di Lajos Koltai o ultimamente di Enrico
Lucidi.
I nostri eroi, ignari
di quanto sta per accadere, asciugandosi il sudore dal collo se la discutono
sull’afa e su cosa nonna Lisa farà trovare sulla tavola da pranzo, quando dalle
siepi sbucano due bravi: pantaloni neri, camicia bianca con una fila di
bottoncini neri al centro, coppola calata in testa, portano sul viso
bandane alla Jesse James per non farsi riconoscere. L’intimidazione è quella
che abbiamo appreso sullo schermo in cinemascope: “o la borsa o la vita”.
FINE PRIMO TEMPO
Intermezzo: Roy Rogers
SECONDO TEMPO
Dopo il primo sgomento
lo zio, che era uno degli uomini più ben voluti in paese, cerca un qualche
dialogo, anche perché lui era andato a Cirella per constatare, ancora una
volta, l’estrema miseria in cui versavano i paesi della Calabria dal tempo dei
Bruzi. Ancora il prode Alcide, accompagnato dal suo fido Andreotti, doveva sbarcare in America per fare la questua
e rovinarci con i soldi yankee dopo che questi ultimi ci avevano scaricato
sul paese le bombe con la scusa della cacciata dei tedeschi. Mica fessi
gli yankee, i conti se li sapevano fare, “prima ti bombardo le case e poi ti
presto i soldi per la ricostruzione”.
Il racconto è sospeso
in quell’aria estiva o come quando nel cinema Loreto di Platì si inceppava il
proiettore bruciando la pellicola e Mimmo Addabbo doveva sospendere la
proiezione tra i fischi e le grida dei ragazzi, nella sala illuminata dallo
schermo bianco. Io in quei momenti guardavo incantato in quel quadratino
da dove uscivano i miei sogni, cercando di capire cosa succedeva in cabina di
proiezione.
Nella mia infanzia zio
Pepé era un mito, perché lo vedevo poco e quando compariva per strada con il
professore De Marco io ero molto contento e gli correvo tra le gambe cercando
di farmi regalare qualche gelato al bar del mitico Dante De Maio, già il
suo bar papà lo aveva ceduto, dove lui giocava a carte con gli amici.
Questo accadeva prima
che lui si sposasse ed io sbarcassi dall’aliscafo a Messina.
Titoli di coda: Goodbye Yellow Brick Road
In realtà i fatti sono
qui, con qualcos’altro:
Platì, 18 Febbr. 1949
Gent.ma Sig.a Comare,
Rispondo con ritardo alla gradita Vs, del 13 c.m., dato che quel giorno
che ho ricevuto la lettera eravamo preoccupati, perché mentre mio figlio
Peppino faceva ritorno da Cirella dove era andato a riscuotere delle Imposte,
venne rapinato a mano armata da sconosciuti delle somme riscosse, per oltre
300mila lire; fu puro miracolo se gli hanno risparmiato la vita a lui ed altre
due persone che l'accompagnavano.
Rilevo con piacere nella VS. che state bene, come Vi dico di me e dei
miei.
In quanto alla Vs. richiesta di notizia sul conto del Sig. Avv. Caruso,
non trovo niente in contrario a quanto desiderate di sapere, essendo un giovane
che risponde tutto bene, serio, istruito e di buon portamento. E' anche di
famiglia facoltosa; la sorella ha sposato un Maggiore di Artiglieria, nostro
compaesano.
Per tutto quello che Vi possa occorrere sono sempre a Vs. disposizione,
lieto se Vi potrò servire.