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giovedì 29 novembre 2012

Batte il tamburo lentamente - atto II





ATTO SECONDO

6


Con la morte di Gianni, Michele  divenne il suonatore di tamburo ufficiale di Platì e così rimase fino alla sua scomparsa.
Con il suo strumento fu visto e riconosciuto anno dopo anno dovunque si celebrava una festa  dove accorrevano migliaia di persone: da Polsi a Seminara, dal Santuario della Madonna della Grotta di Bombile ad Acquaro per San Rocco, spingendosi fino a Reggio per la Madonna della Consolazione.
Michele era di carattere taciturno, in paese lo si vedeva più frequentemente la domenica alla messa delle otto, dove prendeva immancabilmente la comunione con una compostezza unica e sebbene pochi gli offrivano un lavoro lui si dava da fare per se e Rachele sua moglie.
Io penso che più di tutti,  quelli che lo ammiravano erano i bambini che lo guardavano con occhi lucidi di gioia pensando con il  cuore di imitarlo un giorno, tant’è che nelle fiere che si svolgevano durante  una festa  il tamburo era il giocattolo più venduto. Prima ancora di memorizzare le marce delle banda, Brunetta, era la mia preferita, tutti i piccoli avevano impresso nella mente quei due motivi suonati da Gianni e Michele e nessuno li ha scordati divenendo adulto, senza diventare tamburinaru. Nei pochi anni di università che ho fatto, ripetendo con Mimmo Mezzatesta le nozioni di istologia, per distrarci le eseguivamo con la voce. Le ripetiamo ancora quando ci incontriamo e le ripeto in solitudine.
Ecco: Michele è rimasto sempre un bambino. Se c’è modo di paragonarlo a qualcuno mi vengono in mente solo il dostoveskiano principe Miskin – a quel romanzo, di cui non cito il titolo per non offendere la memoria di Michele, si aggiunge anche l’episodio dell’ostinazione, a cui si era attaccato, di tenere in casa il corpo di Rachele, ormai esanime, per  vegliarlo indeterminatamente , avvertendo in quella separazione forzata il suo avvenire di solitudine - e il sodato Karataev di Guerra e pace, come nella sua semplicità c’era il carattere di Francesco d’Assisi. Egli non aveva idea di cosa fosse il denaro e come con questo si potesse corrompere chiunque e se stessi, pur comperando, con quel che riusciva a portare a casa,  vecchie case abbandonate; il tamburo non divenne mai  fonte stabile di profitto cosi come non aveva idea cosa intendesse il matrimonio con Rachele. Per lui Rachele era Rachele e lui per Rachele era Michele.

7


Ora non mettetevi in testa che con quanto ho scritto voglio una via intitolata a Michele Trimboli detto “u Giamba”, forse il solo modo intelligente per ricordarlo sarebbe quello di fondare una scuola di suonatori di tamburi con direttore stabile Steward Copeland.
Bisognerebbe cominciare a censire quanti hanno onorato il paese con la loro nascita e le loro opere, dagli sconosciuti poeti ai fabbricanti di pipe di cui non è rimasta memoria. Si, perché Plati, oltre che suonatori di tamburi ha avuto anche abili pipari  di cui si è perso il ricordo.
Il futuro è incerto e so benissimo che ci sono  difficoltà e istanze più urgenti, ma in fondo, due proposte le voglio fare ai sindaci che riusciranno a coprire quella carica, eletti dai platioti, per tutta la durata del loro mandato .La prima di derivazione pasoliniana: cancellare tutti i nomi attuali delle vie e sostituirle con platioti di cui oltre il nome e cognome si indica il mestiere: A.A. maniscalco, B.B. contadino, D.D. ricamatrice, M.M. medico condotto, E. E. sacerdote. La seconda: restaurare quei  pochi monumenti e cappelle che ancora esistono dentro il cimitero,risalenti alla fine dell’800 e agli inizi del 900, imponendovi sopra il vincolo della sovrintendenza alle opere artistiche, prima della loro definitiva demolizione.

FINE

mercoledì 28 novembre 2012

Batte il temburo lentamente pt 2



Nelle festività del paese i bambini andavano dietro al tamburo accompagnato dalla grancassa come davanti alla banda, che veniva da Seminara o da Stilo; con i loro passi indicavano al gruppo musicale il percorso da compiere nei loro giri per le vie dell’abitato.
Michele non ha cominciato col suonare il tamburo, dapprima accompagnava con la grancassa Gianni “u tamburinaru”.
Credo che quando la mamma di Gianni lo concepì pensò già da allora di farne un suonatore di tamburo, così venne su massiccio, e, dono della natura, con il braccio sinistro più corto, cosa che lo aiutò molto a divenire un esperto dello strumento. E’ stato l’ultimo ad aver gridato il bando per le vie,  annunziando le ordinanze del municipio, come le offerte mercantili sempre con la stessa cadenza di voce, preceduta  dai rulli del suo tamburo.
A quel tempo gli strumenti, tamburo e grancassa, venivano realizzati artigianalmente con legno, pelle di capra o pecora e corda. Ricordo che Gianni aveva un tamburo con una cassa di risonanza larga circa 30 cm. dipinta di nero, mentre la grancassa di Michele era verde.
I motivi che suonavano nei giri erano due: un adagio molto marziale e una tarantella, a cui si aggiungeva un lento intonato solo fuori dalla chiesa al momento della consacrazione dell’ostia e del vino. Se il comitato che organizzava le feste raccoglieva soldi sufficienti al tamburo e alla grancassa si aggiungevano i giganti: il re, la regina e l’asino, questi la tarantella la ballavano lungo il percorso e talvolta sostando davanti a quei generosi che offrivano denari o rinfreschi.

continua ...

martedì 27 novembre 2012

Batte il tamburo lentamente (reg. John D. Hanckok - 1973)

Batte il tamburo lentamente, quasi un musical

OK! Mettetevi comodi e sgomberate la mente dalle insidie quotidiane perché andrò avanti per un po’ e, onde evitare la noia che mi è stata rimproverata in altre occasioni, tratterrò la vostra attenzione per qualche giorno su quanto voglio raccontarvi accompagnandovi-mi con le note di Lucio Battisti

ATTO PPRIMO



1

Un oriundo poco distratto che arriva a Platì e percorre le sue vie si accorge subito che non vi è traccia delle sue, non intendo parlare di storia, epoche passate: eppure le origini risalgono all’anno della scoperta dell’America;  scoperta che col passare del tempo causò il genocidio dei nativi e così lo spopolamento della Calabria con l’emigrazione verso quelle terre conquistate  con il ferro e con il fuoco .
E’ rimasto qualche casalino dei nobili, un pugno di vie che portano nomi di caduti nella Grande Guerra e c’è qualche rione con un cognome, Marando, Palumbo, Galatti, ma chi li ricorda per quello che sono stati questi cognomi!
 
2


Recentemente si è tentato di fare qualche cosa: gli zelanti commissari prefettizi venuti da fuori – il paese ha avuto più commissari prefettizi che sindaci nominati dalla popolazione – hanno contribuito, per ridare,  dicono,“ossigeno e dignità a tutta la comunità Platiese”  facendo installare un monolito nella fiumara per ricordare i morti dell’alluvione del 1951 e un cippo ai caduti delle due guerre mondiali lungo la via XXIV maggio,  copiando Antonio Presti e la sua Fiumara d’Arte di Santo Stefano Camastra in provincia di Messina.  Guarda caso l’artista autore di quei lavori proviene da quelle zone e, recentemente,  in una occasione mondana, nella città dello Stretto, si meravigliava come mai ancora le sue creazioni non siano state fatte bersaglio di anonimi proiettili calibro 45 che le avrebbero abbellite. Ancora, è stato restaurato palazzo Furore in piazza mercato e si è voluto ricordare Mimmo De Maio sindaco negli anni ottanta : lui sì è stato fatto bersaglio dei proiettili. Per il rimanente dei suoi figli nati ed ivi scomparsi il buio del Buco Nero galattico.



3


Vedete, la mia la potete considerare  una critica come una presa di posizione, Platì lo amo troppo, tanto che vorrei che con un colpo di bacchetta magica venissero cancellate le ingiurie che lo marchiano, vero piombo anche questo!
Il paese non è per niente diverso da qualsivoglia altro centro posto  in qualsiasi latitudine del globo. Lo si è voluto bollare e così servirlo dai media, per distogliere l’attenzione dai fatti gravissimi che stavano portando al fallimento della Democrazia e dello Stato Sociale, col risultato di abbandonarlo a se stesso.




4


Dopo questa ampia premessa sarete stupiti se io vi parlerò di uno dei suoi figli più umili: Michele Trimboli detto U Giamba classe  1923 e morto nel  2006, il  più grande suonatore di tamburo che ha avuto il paese.
Le storie narrate su di lui lo hanno sempre abbozzato come un miserabile o un barbone. Mi dispiace per questi narratori ma io non ho avuto questi occhi verso di lui.
Sono bambino quando comincio a ricordarlo e da bambino ve lo descrivo anche se occorrerebbe la penna di un Tolstoj o di un Dostoevskij per dipingerlo,  come  a lui si addice il tratto del grande Ligabue, non il cantante rockettaro.



continua ...




lunedì 26 novembre 2012

Sacre vette (reg. Eduardo Bencivegna 1913)


Giacomo Tassoni Oliva

Dagli agri … 1929

Carissimo Ernesto

Dal momento che la prefazione sarà fatta da chi porterà lustro al volumetto, mando a te la prefazione che avevo abbozzato io. Contentati  e tienilo – manoscritto s’intende – tra le tue carte se ti pare che meriti tanta ospitalità! Dato che non vedrà la luce non mi curo neppure di limarlo e te lo mando così come è balzato fuori, tutto d’un fiato.
“Sacre Vette”

Il titolo è davvero suggestivo e i quadri so dipinti finemente, han sfumature lievi, con un vivo discernimento d’arte che è sovente – per non dir sempre – un chiaro e fresco rivo di virtù immaginifiche, e consente al poeta-pittore, - alquanto schivo di laudi sonanti – veramente di ascendere al Parnaso, dove in coro, plaudenti l’attendono le Muse che – soddisfatte- apprestangli l’alloro che di dare a’ son aduse.
Non t’arrestar, poeta, avanti, avanti donaci – ché lo puoi – tuo’ nuovi canti: sarebbe amato? A’ posteri anzi ai critici, l’ardua sentenza!
Abbracci
                                                                                                                 Giacomo Tassoni Oliva

Bisogna  mi decida un giorno di scrivervi su Giacomo Tassoni Oliva, ormai anch’egli dimenticato.

giovedì 22 novembre 2012

Cortesie per gli ospiti (reg Paul Schrader - 1990)



Alla Gentile Signorina
Caterina Gliozzi e sorelle
( Reg. Cal. )   Platì

S. Ninfa 6 – 11- 45

  Carissima Cata, con un po’ di ritardo veramente vengo a ringraziarti del pacchetto che gentilmente hai voluto mandarmi a mezzo del Sagrista.
L’ho molto gradito e te ne sono grata. Ho ricevuto la postale di Iola. Godo per le buone notizie di S. Gemma e per il congedo di tuo fratello. Per tuo zio, mi è molto dispiaciuto, ormai è guarito e ringrazio Iddio.
Io sto bene, anche le suore. Proprio oggi siamo in festa per l’onomastico di S. Nicolina, una bravissima suora, buona quanto mai. Grazie del pensiero che conservi nelle tue preghiere ti prego a voler continuare, mentre ti assicuro che anch’io ti ricordo e sempre. Ricordo anche le gentilezze di D. Ernesto e D. Ciccillo, come la rozzezza e villania di altri. Per voi ho un ricordo continuo, affettuoso e grato. Solo per voi e per Galatti: spesso parlo di voi con l’arciprete che anch’egli è buono e gentile. Dalla cartolina di Iola ho appreso la rabbia di S. Anna per il trasferimento di M. Ilda. Poverina cosa vuole, è stato volere di Dio e lei anche con M. Ilda si è mostrata ingrata ed ha agito per come sa, negando le robe personali di M. Ilda. Proprio ora M. Ilda si è convinta di ciò che S. Anna è. La suora che è venuta è proprio quella che meritavano. È la sola

Sup. Orfanatrofio G. li Causi
( Trapani)  S. Ninfa

mercoledì 21 novembre 2012

martedì 20 novembre 2012

Figlio e nipote (reg. Nunzio Malasomma - 1943)



I.  M. I.

                     Oppido Mamertina 8 Ottobre 1920
Egregio Signore,
Le comunico che la sua domanda per l’ammissione di suo figlio in  questo Seminario, è stata accolta favorevolmente.
Il Seminario si aprirà il 18 corrente, nel qual giorno Ella avrà cura di presentare suo figlio, munito del “ nulla osta” del Rev.mo Ordinario di Gerace-
Ossequi.
Dev.mo
Can. Andrea Taccone
Rettore del Seminario




                                                                                                                                               Platì 11 – 4 – 1925
Mio caro Ciccillo,

Se non avesse piovuto giovedì sarei venuto a cantare sanctum oleum. Mi dispiace di aver perduto si bella occasione per rivederti, ma il pensiero del viaggio lungo e faticoso diminuisce il mio dispiacere.
Dunque, ti voglio augurare buona la Pasqua … ma io so che questa solennità richiede una buona provvista di munizioni, per cui ho lasciato la cura a tua madre ed essa ha pensato di metterti in … efficienza. In quanto alla sottana, abbiamo già comprato la roba, se nonché Ronny si esibisce di farti un sottana veramente coi fiocchi e noi non vorremmo dispiacere il compare che è anche sarto sopra tutti i sarti. Mandami perciò la misura in Km. Della tua altezza e fra quindici giorni avrai la sottana bella e confezionata.
Ti accludo anche L. 150 per il deposito di cui mi parlavi. Se non ti vergogni per la pochezza del dono – consegnerai la Rettore, con i miei auguri di Pasqua, una ricotta salata e delle mozzarelle che trovi in mezzo ai tuoi oggetti.
Ora passo adirti che stiamo tutti bene, che siamo tutti santi, e che, grazie ai PP. Missionari, ci prepariamo a fare una buona Pasqua. Quando tu leggi la presente io mi trovo in pieno esercizio delle mie funzioni di Angiolo – salendo centinaia di scalette di legno e scendendo provvisto di benzina, dalle sontuose scale dei ricchi … L’augurio è lo stesso:  Entrare Papa ed uscire Cardinale, o al massimo, vispicu mu vi viju di Fiurenza … Ti ricordi che mi auguravano di entrare con una croce d’oro ed uscire con una d’argento … e questo credo di averlo fatto. Asta!
Papà vuole sapere se hai bisogno di scarpe e di altro. Scrivi, se hai tempo, un po’ a lungo e dimmi tutto.
Elia è a Ciminà e Romano dove? Quando verremo per il ritiro mensile a Gerace M. facilmente saliremo a farti una visita. Hai visto Giacomo? E’ partito di notte, all’improvviso, perciò non ti abbiamo mandato con lui niente.
Finisco perché è tardi e non ho altro da dirti. Riceviti gli auguri ed i saluti delle maestre, dei parenti ed amici. Ti baciano le sorelle ed i fratelli. Io pure ti bacio. Ti benedicono i genitori. Buone feste
   Tuo zio
                                                                                                                                   Ernesto

lunedì 19 novembre 2012

L'amante di Gramigna (reg. Carlo Lizzani - 1969)


 Ieri 18 novembre 2012 le Forze dell’Ordine di Ciurrame al comando del capitano Broccolis hanno inferto un duro colpo alla malavita organizzata ed ai suoi legami che si distendevano per tutti i dintorni: la Gramigna se non debellata è stata posta in quarantena. Il capitano Broccolis per voce del suo aiutante Cima di Rapa ha dedicato questo notevole successo ai martiri di Masseria.
L’azione era cominciata quando ancora il Gallo “Rrocchiceju” doveva ancora cantare per la quarta volta e ancora la campana della Chiesa di san Giorgio doveva risuonare per  il richiamo alla messa mattutina delle vecchiette insonni.
Le forze dell’Ordine, come i mille piedi che disturbati nella loro riproduzione si sparpagliano per tutte le direzioni possibili, avanzando serratamente sorprendevano gli affiliati anche nel sottosuolo scavato allo scopo, occultandosi, di mettere radici e ramificarsi. A nulla sono valse le grida di allarme dei vari Sucameli, Silipu e Pisciasangu che con lo sbarrare la strada agli indomiti militi cercavano di dare tempo alla Gramigna di uscir fuori e dissolversi disidratandosi.
Sistematala in modo da non nuocere, quindi lasciar sviluppare i giovani germogli di una coltivazione radiosa e prospera di Piselli e Fave, alla luce del sole ormai splendente, le gloriose truppe si sono dirette presso il locale Centro Sociale diretto dal professor  Marzo  e ricevere con un brindisi augurale  a base di grappa  di Cicoria il plauso e la gratitudine dei rappresentanti la Nazione  ciurramesca.

in contemporanea con

http://luigi-nuovocinemaloretoplati.blogspot.it/

giovedì 15 novembre 2012

Autunno caldo (reg. Luciano Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni - 1969)

Udine (foto di Maria Mittiga)



Bovalino, Giuseppe e Alessandro Gliozzi (foto Pina Celona)

Messina (foto Antonio Calabrò)

mercoledì 14 novembre 2012

Futurismo (reg Marcel L'Herbier - 1924)

Ancora due poesie dedicate ad Ernesto Gliozzi sen., di questo notevole poeta di San Luca si sono perse le tracce ed i suoi paesani non lo conoscono. E' autore anche di un'opera intitolata Polsiade che prossimamente vedrete sul vostro schermo.
Questo blog, con mia somma soddisfazione, è diventato un luogo dove la poesia sconosciuta ne innalza il valore.
Che ne dici Francesco?

Inaugurazione
( Allegoria (1) futuristica in veste passatisteggiante )
Il ciel di Caci (2) sovrastava plumbo
Risentivan la pioggia i riformati
Per pondo abbovinevole (3), e squagliavansi
Pastori e armenti dagli aprici (4) prati.

Lo scilocco e il levante, in reo connubbio,
condensati sen givano bel bello,
quando Giacobbe (5), colto il dì propizio,
ratto, di scoperchiò l’avìto ostello!...

E non vedesti in giro altro che tégole
Travoni, travi, travicelli ed assi …
Inciampavi ad ogni passo, in qualche “scandala” (6)
O ti slogavi tra mattoni e sassi.

Poi, finalmente, s’è veduto splendere
Dal tetto il sol nelle scoperte sale:
e s’è potuto finalmente, imprendere
la loggia attesa che non à l’uguale! (7)

Le maestranze già si disponevano
A dar principio alla regal terrazza,
squittia rimbrotti ed ordini il gran Lépanto, (8)
architettino (9) di stilese razza,

quando, ahi ria sorte! Su, nel ciel, s’aprirono
le cataratte, e, nel battere d’un cìlio,
a rivi, a fiumi, a laghi, a mari, a océani …
invaser di Giacobbe il domicìlio!... (10)

E tutto galleggiò: dalle pantòfole
Degli antenati ai ludi della Pina, (11)
ritto Giacobbe ste ‘, sfidando impavido
fin gli uragani della sua Carlina! (12)

Amareggiata givansi in quel pélago
La secolare zia (13) in argentea chioma;
umili vesti e zuppe (14) la coprivano,
la guernìa casalingo perizòma (15)

Gli amici ed i vicini, in tal pericolo,
accorser, com’è solito, al galoppo:
e venne Cola (16) in toga d’Esculapio
e il papà (17) ch’è di calli e reumi zoppo!...
Quei proponea di toglier tanto liquido
Con un’appropriata reazione (18)
E questi sostenea lasciarlo correre,
 o rovesciarlo in via con un landone! (19)

Giacobbe invece disse: “dee pur spiovere” (20)
E così fu difatti: onde, in cemento,
lo stilese architetto, a nome lèpanto,
della loggia conchiuse il monumento!

Se non che, mentre ognuno vi si estasia
E dalla via plebea gode il distacco,
non si consola già, non trova requie
l’immortale sirorchia (21) di Tabacco! (22)

“Ahimé dove ora stendo il mio panicolo”? (23)
“quel pazzo che m’à fatto del soralo? (24)
E piangeva e piangeva, e le sue lacrime
Spietrar perfino il cuore d’un bovaro! (25)

Giacobbe nel vederla inconsolabile,
e temendo di perdere la zia, (26)
pensò ad un tranello per accattivarsela
a perdonargli la terrazza ria! (27)

Disse fra sé: “le sacre cose incùtono
A fedeli vestuste un pio rispetto? (28)
Ebbene: io vò che cessi ogni discordia
E sia tal loggia un luogo benedetto!...”

Disse: e, ad un cenno, il buon sacrista Coccalo (29)
Apparecchiò l’ìssopo e l’acua santa.
“Quel mi passi” (30) la Pìstola (31), mormora;
“ma questa a che, se qui ce ne tanta?...”

E fu compiuto il rito: ecco or si sciolgono
In discorsi le facili favelle:
sono poeti issati sulle nuvole,
sono oratori dalle prose snelle … (32)

Ché accorse alla solenne cerimonia
Ognun che gusta il bello, o l’aria, o il vino … (33)
Bene augurando alla tua loggia Giàcopo,
sotto il ciel di Caci ormai turchino! (34)

Fine
Note

(1) Perché nell’inaugurazione della terrazza è adombrata la palingenesi di Giacobbe
(2) Nome indigete di colore alquanto fosco.
(3) Anomalia che fa diventar barometri e inabili al servizio militare
(4) Forma aggettivale cara a Giacobbe (v. avanti)
(5) Protagonista del carme e di molteplici avventure che sarebbe bene narrare, Delle sue gesta risuona specialmente Locri e vicinanze, ma la patria di Caci, che l’accolse bimbo irrequieto e giovane ne sa pure qualcosa.
(6) Assicello di castagno per impalcature-
(7) Terrazza ideata e attuata da Giacobbe, come sfogo di impulsi estetici
(8) Così chiamato perché discendente di don Giovanni D’Austria.
(9) Diminuitivo di grazia, alludente alle forme limitate di sviluppo e non alla statura artistica del prelodato.
(10) S’accenna al Diluvio parziale che Giove Pluvio scatenò sulla magione di Giacobbe, durante la scoperchiatura di essa, e all’insaputa del fratello Tonante … per far piacere … altrui.
(11) Vezzoso rampollo di Giacobbe, le cari pupe perirono annegate.
(12)  Contraz. Di Carolina., licenza poetica di grand’effetto
(13) Donna Maria: secolare perché centenaria.Il MIchelet spina tutt’altro, cioè non monaca e pur zitella laica.
(14) Cioè bagnate, ovvero bisunte.
(15) Grembiule volgarmente detteo “fardale largo. Pare che si identifichi col “frabalà°”
(16) Taumaturgo e scienziato del tempo. La fece anche da Mecenate proteggendo le arti, specie le occulte. Ancora un debole pei  medium” che riuscivano perfino a farlo largheggiare.
(17) Papà del precedente. Soffriva di calli e reumi e ignorava le reazioni chimiche; però fra i legumi preferiva le anguille
(18) L’opinione dei chimici al riguardo è controversa: pare si tratti d’un metodo di preparazione dell’ossigeno mediante la scintilla elettrica.
(19) Metodo pratico che il Cola appellò “ decantazione”
(20) questa terza idea circa l’acqua da levare è originale. Notinsi le 3 differenti proposte di soluzione d’uno stesso problema: il Cola, santissimo Iddio da scienziato invoca l’intervento della chimica in veste ufficiale;il papà s’attacca, pratticamente, al “cannatone”; Giacobbe incrocia le braccia e attende i Fati!
(21) Donna Maria. E’ detta immortale perché  dimenticata da Atropo, e non come spina il Michelet, perché accademica di Francia.
(22) Sommo Sacerdote di Caciopoli, zio di Giacobbe.
(23) Derrata che va distesa contro le muffe,. Donna Maria la ricavava dai “paraspori”
(24) Luogo adatto a stendervi le derrate: vi regnano topi e altri insetti nocivi.
(25) Essere rudimentale gastro-spinale , che si commuove difficilmente. Veste  la  lora anche di corto; ma i tipi più rappresentativi hanno abiti … da società.
(26) Per l’affetto grande. Pare che Giacobbe per siffatto affetto “tirasse sassi”.
(27) Cioè la dannosa trasformazione del solaio utilissimo nell’inutile terrazza.
(28) Accenna al gran rispetto che hanno per le cose sacre le fedeli specialmente quando attempiate vecchiette.
(29) Famoso missionario che predicando ai Caciopoliti, faccia parlare un teschio (volgarmente detto “coccalo”, “cocculu”), donde il suo nome.
(30) Gergo volgare di sapore pistolino.
(31) Cortigiana ancora in voga al tempo della costruzione della terrazza: fu cantata dai poeti del tempo: son per lei i versi : “Passan per le tue frasch come in antri tranquilli – Filosofi e Poeti – In certi riti fungevan anche da sacerdotesse.
(32) Si allude alla celebrata scuola d’eloquenza fiorita in quel tempo sotto il cielo di Caci: ne furono capiscuola Mastro Filippo, Ting-Tang, Cola da Spadio e Grantassa
(33) L’A. fu tra quelli dell’aria; tra quelli del vino figurò il papà di Cola da Spadio; non si conoscono i nomi di coloro che accorsero per il bello:
peccato …
(34) Il cielo a Caciopoli dà belle sorprese.



  

All’Amico Grantassa
Congedo alla Metastasio

Il volume che t’invìo
L’illustrai di proprio pugno:
né il cugino né lo zio
deggion, quindi, protestar:
  ell’èpiù facil, quan’io pingo,
fare un brutto che un bel grugno:
per musci non gii ramingo
con Rosario a studiar …
Il burlesco lavorino

Strage fa d’ognun che è caro:
non s’adonti che un pochino
sol colui che assente n’è
Ma, però, non fare motto
con Ernesto e con Portaro!...
la lor critica, di botto,
mi polvì-zzerebbe … ahimè!...
Nota
  E’ evidente che, nel primo originale, l’A. à anche corredato di figure il volumetto, inviandolo all’interessato Grantassa.
Questo secondo originale, scritto apposta per Ernesto, di cui è parola nell’ultima strofa del congedo, non à illustrazioni: forse l’A. non è stato capace di riprodurvi le prime perché vecchio.
   Il lettore, però, se lo pungesse vaghezza di veder tali celeberrime pitture a penna può andar a riscontrare il primo originale nella paleo teca del Grantassa, a Locri soprana.


Edita per i tipi di G. Fuggiasco. San Luca di Calabria
1931 . X .


martedì 13 novembre 2012

Lontano da casa ( reg. Phillip Borsos - 1995)


Platì  20 – 1 – 64

mio caro Peppino
Ho ricevuto la tua tanto gradita lettera e tutti contenti a saperti che ci assicuri della tua buona salute anche noi in grazia al Signore tutte benoni noi non abiamo pace per questa tua lontananza specie tua mamma che tu la conosci quanto beni ti vuole in tutti i modi speriamo che ti sistemi beni per magiori contentezza tua e nostra contenti che tutti i paisaniti vogliono bene e a tutti me li saluti specie alle famiglie Morabito e Pangallo tua mamma con la prima occasioni ti mandera le lenzuola e se ti occorri altro lo scrive Peppino ti raccomando di stari attento di non fari lavori pesanti specialmente con questo freddo tutti stiamo in pensiero per questa tua lontananza e per la tua salute tua mamma ogni volta che prepara la tavola e vedi il tuo posto vuoto si mette a piangeri
Basta speriamo che il Signore ti aiuta di sistemarti beni e accontentari a tutti e a sentire sempre la tuoi buoni notizie
No più ti saluta Ciccillo Cata Maria Saro Gino e Luigi ed io nel darte la S. B. ti abbracciamo caramente tuo affmo
Papa e mamma

giovedì 8 novembre 2012

Un amico - Il maestro



Forza signor La Rocca, abbiamo tutti ancora bisogno di lei

mercoledì 7 novembre 2012

La scuola dei timidi (reg. Carlo Ludovico Bragaglia - 1941)

Non era proprio una scuola di timidi, si chiamava avviamento; io riconosco mio fratello Saro, mia cugina Pina, suo fratello Duccio, forse PasqualinoVioli, lo zio di Francesco, che mi ha ha regalato la foto ed ancora altri ed altre per sempre giovani.
Lo zio Ernesto stentava per  tenerli a freno nell'ora di religione, li ricordo quando passavano dall'asilo per andare a fare pratica agraria, era  un mucchio selvaggio.
Buon onomastico zio Ernesto

martedì 6 novembre 2012

Dio ha bisogno degli uomini (reg. Jean Delannoy - 1950)

Domani è l'onomastico dei due Ernesto, basi su cui si appoggia questo blog



A loro queste poesie scritte dal dottor Domenico Vincenzo Papalia, medico condotto di Platì tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 ed autore dell'unico romanzo con il Paese protagonista, Lividure.

Al Reverendissimo Sacerdote Ernesto Gliozzi

Di monte in monte la tua sacra lira
De l’aquila il gran volo sospirando
Di là de l’Orsa col suo volo a spira
A l’infinito giunge, a Dio cantando

Di gloria gl’inni a cui salire aspira
L’alma tua eletta degna d’Ildebrando
Pel tuo rigor nel tempio, cui ammira
Popolo e Dio, sempre Te lodando.


Tra quei monti torreggia il tuo Parnaso,
su cui dai vanni d’oro la tua musa
gl’increduli in credenti ha persuaso.

Così di diva luce circonfusa
L’etica poesia senza occaso,
onde Te rinomanza non ricusa.

_--------------------_


1

Salve! O gran Sacerdote a cui natura
Del Vas d’elezione incorruttrici
Ne l’alma impresse idee di fede pura
Vieni e i miei lari e me, me benedici.

2

Vieni e su l’ara eleva la preghiera
Che questa figlia snaturata e imbelle
Vi si corregga, ed ove ancor bufera
Continuasse ad essere, alle stelle

3

De l’infinito, o Dio a sé la chiami
 O me infelice a riposare in Dio,
Ché di natura questo aborto grami
Più i giorni miei non faccia e il dolor mio! …

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Spenta è la speme che ella si ravveda,
Poiché la tua fiera disciplina santa,
Che fu, o gran Ministro, sacra fede,
Non valse, e tua pazienza ormai è infranta! …

Platì,  15 Aprile 1925
D. V. P.