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venerdì 2 settembre 2022

Il sole sorge ancora - e ancora


 Caci il brigante di Michele Papalia
MARIA FRANCO
 
 Il 17 giugno 1861, «nel più profondo e remoto Sud, laddove il Signore perse scarpe e camicia, volge al termine un giorno uguale a mille altri. Sul promontorio dell’Aria del Vento, mille metri d’altura attorniati da lecci e querce, siede un uomo, barba incolta e occhi nelle orbite scavate dalle ultime notti insonni lo fanno più vecchio dei suoi trentacinque anni. (…) Tutto gli incombe, vede il buio scendere e accarezzare le pareti della montagna, sente aneliti di morte ansimargli contro. Travolto da una dolorosa stanchezza, Caci chiude gli occhi; è un attimo condensato in un riflusso di immagini: quelle della sua vita, gli scorrono davanti come una recondita illusione.»
Caci il brigante di Michele Papalia, edito da Leonida, ripercorre la vita di Ferdinando Mittica, nato a Platì il 23 giugno 1826, primogenito maschio di una famiglia della buona borghesia locale: «Quella Platì è terra di rivalità, delazioni e faide familiari a sfondo politico, alleanze irrimediabilmente compromesse e vecchie inimicizie. La competizione politica è sentita, bisogna impadronirsi dei terreni demaniali al fine di accrescere prestigio familiare e incamerare vantaggi economici. In questo microcosmo sociale sarà lunga e cruenta la lotta combattuta all’apice del Decurionato tra la potente famiglia Oliva e la rispettabile famiglia Mittica.»
Quest’ultima, pur senza quarti di nobiltà, ha una certa consistenza patrimoniale: «al Catasto Murattiano, Ferdinando Mittica, nonno di Caci, denuncia la proprietà di una casa a quattro vani con rendita catastale pari a 13 ducati e mezzo, un vigneto e un giardino adibito ad orto.»
Iscritto dal padre al seminario diocesano, Ferdinando «non uscirà con l’abito talare, tuttavia il grado di istruzione umanistica acquisito gli sarà sufficiente per affrontare un mondo impregnato di analfabetismo.»
«Agile di mano e svelto di mente», si misura con il suo paese: «un villaggio pericolosamente affamato e angariato da squallidi privilegi baronali, uomini di apparente prestigio che annegano nel vizio, foresi analfabeti e sciancati manovrati da clero e nobiltà, bari e marioli; una capitale di cui si racconta ogni sontuosità ma maledettamente lontana, l’impotenza di uomini e mezzi a sradicare sistema e regime, a rovesciare un re smemorato fellone e continuo debitore verso la Calabria e i calabresi.»
Finito presto in galera per una rissa, Ferdinando fa amicizia con alcuni reclusi, in particolare Domenico Carbone detto cucinata e decide presto «cosa fare da grande.»  Diventa così Caci il brigante, oppositore, prima, del sistema borbonico e poi difensore della monarchia napoletana contro l’unificazione italiana, fino alla sconfitta della sua banda e alla sua uccisione.
Michele Papalia segue le vicende di Caci con una minuziosa ricerca di documenti storici e una sensibile immaginazione, cercando di coglierne tutti gli aspetti della personalità e senso e limiti della sua scelta: «L’origine del brigantaggio di Caci non è ben delineata, non può essere altrimenti quando la storia la fanno e la scrivono i vincitori. Per essi (…) Mittica è un dannato, delinquente della peggior specie che combatte per ristabilire il tiranno borbonico. Invero lo status delinquenziale di Caci è da ascrivere al solco delle private inimicizie e delle lotte intestine al suo villaggio vissute sin dalla gioventù; e l’ostilità verso alcuni notabili del paese avvezzi dapprima al regime borbonico per poi assumere il ruolo di liberali e le prepotenze percepite nei rapporti tra plebe e padroni non sono che la ragione per un ulteriore, definitivo, spera il brigante, scontro. In particolare, Mittica punta l’indice contro l’etica predatoria della classe baronale, capofila la dominante famiglia Oliva padrona delle terre e del Decurionato percepito alla stregua di una grossa mammella, il latte che ne esce ha il sapore dei ducati mentre l’odore è quello della terra bagnata dalle prime piogge settembrine.»
Michele Papalia, Caci il brigante, Leonida, euro 12

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