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mercoledì 27 maggio 2015

Un giorno da ricordare (reg. James Foley - 1995)

931

7 Ottobre ore 20 - Zappia F Antonio
15 Novembre ore 4 - Dottor Filippo Zappia
31 Dicembre ore 4-30 Cav Uff Oliva M(ichelangelo)
il 1° Gennaio - 32 mentre Spadaro stava tessendo l’elogio funbre venne turbato da terremoto

932

10 Agosto moriva a 30 anni Fera Michelangelo
18      “ moriva a Brancaleone la Signora Zappia Elisabetta al 19 venne portata a Platì
27 ottobre Zappia Pasquale fu Carlo

934

Domenica 29 Luglio 0re 23-30 moriva il Cav. Furore Don Giosofattino - nato il 1865



appunti, preziosi, del nonno Luigi (nella foto) 

lunedì 25 maggio 2015

Santa (reg. Antonio Moreno - 1932)

2° Epigramma

Quando la donna prega ... lasciatela pregare!
E’ l’unico momento, in cui ... non può parlare


Giacomo Tassone Oliva

Istantanee che valgono un intero romanzo o documentario di National Geografic


domenica 24 maggio 2015

Amore e guerra (reg. Woody Allen - 1975)

E' lunga questa orazione funebre.  Leggerla per una sola volta non è tempo sprecato, visto come siamo costretti a sentire quelle di oggi, dette da persone che non hanno mai conosciuto i nostri cari.
E' anche storia del paese e del suo coinvolgimento con la Grande Guerra.


                                                                   Ha un fior la vita per la speranza,
                                                                   Ha un fior la morte per l’avvenir.
                                                              G. Prati

Signori,
E pure, mente l’ecatombe immane tinge il mondo di sangue, mentre le giovani vite mietute dalla mitraglia, giacciono insepolti ancora sulle balze del Trentino e del Carso, qui, dove la voce rauca del cannone non schianta i cuori, siamo riuniti ad una mesta cerimonia. La funebre cerimonia, se non è un’inferie di sangue da strappare dei cuori il grido, come dalla belva ferita; è non di meno un contributo di lacrime e di preghiere. Voi certamente non condividerete l’idea anticristiana del “ sacro egoismo “, e se vi stringete in questi giorni, ai petti i panni insanguinati dal dolore, guardate anche compassionevoli a coloro che piangono; a coloro che furono colpiti dalla sventura, sia essa acerba e crudele come quella per un caduto in battaglia, sia essa blanda e confortabile come quella di una madre che serenamente s’invola.
È il dolore che amalgama tutti, che stringe i vincoli dell’affetto; è il dolore che rifulge maggiormente l’idea cristiana, è, insomma intorno alle tombe che si cementano i cuori. E il vostro spontaneo accorrere in questo tempio, parato a lutto, la vostra solidanza nel dolore di un figlio che piange amaramente la madre molto mi danno affidamento; ond’io mi accingo a intessere parole dio lode per Donna Mariantonia Mittiga nata Gliozzi la quale, fra le virtù comuni a tutte le donne cristiane, si ebbe anche quella di amare intensamente, profondamente tutti i suoi parenti da formare in lei come un’esagerazione di amore, il che non è poco.
Il dovere, quindi, di riconoscenza mi lega ad onorare questa donna che come una madre ebbe per me palpiti di tenerezza; il pensiero che se vivesse mio padre mi avrebbe baciato con più affetto per questa azione, mi anima ..e se io arrivassi a convincervi che l’ardenza del suo cuore irradiava anche gli estranei, farei cosa utile anche per voi che mi ascoltate, perché voi sapete, l’esempio è tutto: è la scuola del genere umano. Ah si io vorrei che nelle parentele ci fossero di tali soggetti; ci fossero di queste donne che sentissero la missione di stringere i legami del sangue e si adoperassero a raccogliere intorno a loro tutti i membri della famiglia e del casato da formare un solo tetto, un focolare solo. Io vorrei che le famiglie patriarcali esistessero in questi tempi critici e che il comando di esse fosse affidato a una donna forte, energica e buona come quella che si è dipartita da noi in questo mese.
Ella vide compiuta la sua missione, vide realizzato il suo ideale e si addormentò nel Signore nella tarda età di ottant’anni, benedetta e compianta da quanti la conobbero.
Basterebbe tutto questo per tessere una corona ed ella, passata dalle ombre alla luce, potrebbe essere contenta, perché, alla fine dei conti, a noi tutti è dato di conseguire tanto e noi sappiamo che le giovani querce cadute accanto agli alberi secolari nella foresta, gemono di più  quando l’uragano passa e li schianta.
Ma io credo che qualche cosa di più ci abbia lasciato, se non fosse altro; quell’amore tenero e compassionevole verso i suoi parenti che la faceva soffrire ed inquietare per loro, per la loro salute, per i loro beni. Gioiva delle loro gioie, ne condivideva i dolori, era sempre vigile, anelante per loro e, se non poteva aiutarli, sacrificava tutto, anche se occorresse il sangue delle sue vene. Quest’amore era, come vi dicevo, poc’anzi, qualche cosa di anormale, un’esagerazione, una malattia, delle volte anche incompresa, perché non tutte le malattie dell’anima hanno una facile diagnosi. Ed anche sul letto di morte, dimenticava i suoi dolori per interessarsi di noi che l’assistevamo “ Voglio che stiate sano ”, mi diceva poche ore prima della sua morte, quando, nell’esercizio del ministero sacerdotale, io supplivo il figlio dolorante, “ che stiate sano – mi diceva – e vi ricordiate di me nel Santo Sacrifizio della Messa “. Fu allora che la mia mente corse a Santa Monica, la madre del grande Agostino ed alle parole che la morente rivolgeva al figlio là, sulle rive del Tirreno.
E non è questo pio desiderio che manifesta il suo amore e la sua fede?  Non c’è in queste parole tutta l’anima sua che visse della vita dei sui parenti, vicini e lontani; la manifestazione dell’Ideale per il quale era vissuta e che s’imprometteva di raccogliere i frutti di là della tomba, in un luogo dove “ l’umano spirito si purga e di salire e di salire al ciel diventa degno “?
Ecco l’Ideale!
L’uomo deve proporsi nella vita un fine e a quello tendere costantemente. E quando questo ideale è santo, quando al conseguimento di esso si uniscono tutte le forze della mente e delle braccia e si arriva a raggiungerlo … oh allora è grande la soddisfazione che si sente: è una soddisfazione divina. Che se poi ostacoli insormontabili si superano e si arriva stanchi, affaticati, sanguinati ad occupare la meta, anche gli astanti allora applaudiscono a l’eroe, egli è un grande che merita tutto quanto l’entusiasmo e la lode.
Quante virtù domestiche ed ignorate rassomigliano a questo genere di eroismo, che se si potessero raccontare tutte, non ci sarebbe bisogno di mendicare nei libri un po’ d’entusiasmo per solleticare gli animi nell’apatia della vita.
Donna Mariantonia Gliozzi, uscita dalla casa paterna in cui con mano assidua era stata educata come un fiore di bellezza e di virtù, uscita, dico, per cominciare la vita coniugale, cullava il più bello ideale; quello di avere un figlio e di farlo prete. Dio aveva stabilito intanto che ella non avesse altri figli maschi se non il primogenito. Non importa! Pensa che questo figlio l’aveva promesso a Dio, che dovrebbe vederlo salire l’altare ed assisterla poi sul letto di morte … ed oltre tomba. Oggi il figlio, come vedete, scioglie l’ultimo voto della genitrice.
Ma per giungere a questa meta, quanti sacrifizii superati, quante vittorie oscure!
Non è questo il luogo né il momento che io debba ricordare di che genere fossero i patimenti, le strettezze, le contraddizioni e le noie che si opponevano a questo ideale; non si contano le giornate d’ansie, le fatiche, gli ostacoli … ed il sogghigno dell’invidia, le vendette dei patenti, i castighi della miseria.  Basta!
Con fermezza volle, sempre volle, fortissimamente volle e finalmente vide salire l’altare il Novello Unto del Signore. Il suo desiderio era appagato!
Oh chi può dire la gioia di una madre che vede il figlio, ministro dell’Altissimo, messo in alto, sull’altare, tra i ceri fiammanti e l’incenso odoroso, che stende la mano per chiamare la Divinità sulla terra e sulle teste abbassate e i cuori commossi dispensa celestiali benedizioni? E questa gioia divina la ricompensò largamente dei passati travagli, si vide rispettata, amata, venerata da tutto un popolo riconoscente e buono e si raccolse in se stessa per aspettare la fine. La fine giunse in questi orribili tempi che misero, ancora una volta, l’assenzio dentro il suo cuore. Contristata dal pensiero della guerra, l’ansie indicibili dei parenti richiamati, il pericolo della partenza imminente del figlio; tutto un cumulo di timori, affrettarono la catastrofe; sebbene a scongiurarla ancora il figlio non lasciasse mezzo intentato e la morente si rivolse a noi con pietoso affetto, implorando la carità di un ricordo.
La tomba è santa, è cosa che non si nega a chi muor.
Che se poi è vero come non dubito, che la religione del Nazareno è la religione dei sepolcri, come quella che è nata tra le tombe  le tombe infiora con speranza, se è vero, dico, che i viventi si affacciano sulle tombe per accompagnare le anime di là coi suffraggi delle preghiere e dei voti; io credo che Donna Mariantonia Gliozzi si sia molto bene regolata nella vita, facendo il figlio prete, come colui, come colui che dovesse rischiararle il cammino d’oltre tomba, quando dall’altare, offrendo l’Eterna Vittima di espiazione, la prega che conceda alla madre sua “ la luce perpetua, l’eterna pace “.
Oh, si riposa in pace e ti sia lieve la terra che ti ricopre. A te che per l’Ideale combattesti e vincesti; a te sorrida l’Eterno Ideale Dio, che è il premio dei buoni, la luce delle anime, la meta verso cui cammina fidente lo stuolo innumerevole di tutte le creature vive. Salve!
                                                                                              Sac: E Gliozzi sen.
Platì 5 – 3 - 1917

Donna Mariantonia Mittiga nata Gliozzi - sposò Mittiga Nicola e furono i genitori dell’arciprete Francesco, di Giovanna e Angiolamaria, 
Fu zia di Francesco Gliozzi padre di zia Serafina e zio Ernesto sen. e quindi di nonno Luigi

mercoledì 20 maggio 2015

La città dolente



Ricordo una notte di settembre del 1908, una domenica notte fragrante di odori rosmarino, di cisto e di finocchio che calavano in aromatiche ondate dalle alture disseccate dal sole -una notte stellata, calma e tranquilla. Messina non mi era mai parsa così bella. Arrivandoci di giorno e da altre città più grandi e più animate, si è portati a notare soltanto i suoi difetti. Ma la notte meridionale possiede un tocco magico. Nasconde tutte le cose brutte, oppure le trasforma in oggetti di mistica bellezza; mentre le opere più nobili dell'uomo-quelle facciate, quei cornicioni, quei panciuti balconi in ferro battuto-diventano eteree come palazzi di fate. E venendo, come venivo io, dall'impervia Calabria, la città con le sue larghe vie ben tenute, i suoi caffè illuminati e la sua folla di cittadini contegnosi nella passeggiata serale, prendeva l’aspetto di una metropoli.
Con voluta lentezza, ritardando con molto sentimento, mi diressi verso il ristorante che mi era familiare. Finalmente! Finalmente, dopo un'interminabile dieta a base di pane duro, di cipolle e di formaggio di capra, stavo per assaporare il complicato menu che studiavo da settimane, vagliandone con cura i pro e i contro tanto complicato, in effetti, che ho dimenticato da tempo i suoi particolari. Ricordo soltanto il pesce-spada, una specialità locale e (per finire in bellezza) la cassata alla siciliana, una sinfonia glaciale, un gelato multicolore di sapori deliziosamente fusi, che ci vuole assai più tempo a descrivere che a divorare. Sotto l'effetto di questi cibi sibaritici, innaffiati da una vecchia bottiglia di vino calabro (troppo forte è il vino siciliano per me, troppo deciso e senza compromessi: preferisco perdere le mie facoltà mentali poco per volta, come un gentiluomo), il mio fisico esausto rifiorì come per incanto: diventai amabile e socievole. Dopo tutto, conclusi, il destino del viaggiatore non è dei peggiori. Quanto a Messina ...Messina era indubbiamente una città piacevole. Ma perché i negozi chiudevano tanto presto, la sera?
«Questi Siciliani devono sempre giocare a qualcosa» mi spiegò il cameriere napoletano, una mia vecchia conoscenza. «In questo periodo giocano agl'inglesi. Sono  ossessionati dall'idea della chiusura domenicale. Ma di solito i loro attacchi non durano più di quindici giorni.››
Giocano agl'inglesi!
Ora, quelli che sono rimasti hanno inventato un nuovo gioco: vivono ammassati in case di bambola e temo che la situazione non cambierà molto presto.
Norman Douglas, Old Calabria

lunedì 18 maggio 2015

Ricorda il mio nome

-Ielasi Domenico(13.6.1935/32-58)di Domenico carzivirdi e Catanzariti  Caterina di Domenico gajìna.
-Marando Giuseppe saverio(29.6.1935/33-60)di Rosario testelignu e Sergi Caterina di Saverio.
-Zappia Bruno(1.7.1935/34-63)di Giuseppe cirejotu e Zappia Immac.di Pasq.
-Violi Caterina(14.7.1935/35-68)di Antonio riggineju e Ielasi Fr.sca di Dom.
-Catanzariti Maria(1.8.1935/36-71)di Franc .mussubeju e Carbone Marianna di Rocco surdineju.
-Calabria Anna(28.3.1935/23-30)di Franc.tizzuni e Ciampa Fr.sca di Gius.
-Pangallo Domenico(21.4.1935/24-35)di Pasquale batazzinu e Sergi Elis.di A
-Catanzariti Francesco(21.4.1935/25-38)di Gius. grugna e Carbone Maria di Francesco..
-Bartone Marianna(2.5.1935/26-40)di Antonio brigante e Pangallo Filom.di Fr
-Carbone Francesco(26.5.1935/28-47)di Franc. prunarisi e Demarco Caterina di Francesco catojino.
-Carbone Michele(26.5.1935/29-48)di Dom. tridicinu e Grillo Maria di Michele.
-Perre Saverio(26.5.1935/29-50) di Gius. pascalici e Barbaro Anna di Dom.
-Agresta Domenico(19.5.1935/30-51)di Saverio ddommìcu e Perre Elisabetta
-Barbaro Domenico(15.5.1935/30-52)di Dom.zumpanu e Catanz.Cater.di D.
-Sergi Domenica(6.6.1935/31-54)di Franc. birrozzu e Sergi Caterina di Paolo.
-Iermanò Francesco(9.6.1935/31-55)di Antonio pitera e Taliano Ant.a di Gius.
-Iermanò Antonio(9.6.1935/31-56)di Giuseppe pitera e Zappia Maria di Gius.

-Pangallo Rosario(9.6.1935/32-57)di Franc.batazzinu e Portolesi Gius.a di R.

domenica 17 maggio 2015

Caro diario






martedì 12 maggio 2015

Il prezzo del potere (reg. Tonino Valerii - 1969)

Mons. Giosofatto Mittiga
1876 - 1951
ritratto di Luigi Musitano

Quanto si poteva raccogliere dei rapporti tra Platì e Polsi oggi ha termine con il personaggio che più di tutti ha fatto parlare di sé: Monsignor Giosofatto Mittiga, il quale destinò le sue capacità e le sue conoscenze alla maggior gloria del santuario. Personaggio colluso col potere fascista ricorda un altro paesano per molti aspetti simile. Ambedue finirono scaricati dopo un sommario processo segreto.
Si ricorre al capitolo I vescovi di Locri-Gerace a Polsi a cura di Enzo D’Agostino apparso in S. Maria di Polsi – Storia e pietà popolare, Laruffa editore, 1990.
Monsignor Giosofatto Mittiga era nato a Platì il 16 marzo del 1876 da Domenico e Violi Maria.

Il Santuario, ora elevato ad abbazia,  mercé  la  solerzia  di  monsignor  Mittiga,  allora  non  era  che una chiesa alle dipendenze della diocesi di Gerace,  retta  da  un  priore  e  servita,  per  le  questue,  da  un corpo ristretto di frati secolari, non dipendenti da alcun ordine,  che  giravano  la  provincia,  come  fanno tuttora, cavalcando i loro bei muli gagliardi, e raccogliendo le offerte dei fedeli.
Francesco Perri, Emigranti

Giosofatto Míttiga, giovane sacerdote di Platì , arrivò a Polsi il 3 ottobre 1905 con l'incarico di economo curato, ottenuto dall'amministratore apostolico fr. Sisto Paoleschi; il 10 aprile 1906 divenne titolare della parrocchia e superiore del santuario; il 15 settembre 1908 ottenne di portare al cappello un laccio nero dorato; il 4 maggio 1910 ottenne per sé e per i superiori suoi successori il titolo di prelato domestico di S. S..: un crescendo di cariche e di riconoscimenti che certamente alimentarono smodatamente le già presenti inclinazioni ai fasti ed agli onori del Nostro. Il quale, vedendosi così considerato, immaginò di poter fare di Polsi la sede idonea a realizzare i propri sogni di indipendenza ed a praticare un potere effettivamente monocratico. Polsi divenne una specie di cantiere onnicomprensivo e continuamente aperto: furono restaurate o ricostruite parecchie abitazioni; fu innalzato il terzo piano del convento; fu installato il telegrafo; fu realizzato il monumentale calvario e fu posta in sito l'artistica balaustra dell'altare maggiore (opere di V. ]erace): il tutto contraendo molti debiti, ma sotto gli occhi entusiasti e compiaciuti di pellegrini e pellegrinaggi sempre più frequenti e numerosi .
Dagli inizi del 1907 la diocesi di Gerace era retta da mons. Giorgio Delrio …
Nei confronti del Mittiga, mons. Delrio fu all'inizio prodigo di incoraggiamenti e di riconoscimenti; poi, quando si accorse che la situazione debitoria stava diventando estremamente grave, intervenne con energia e durezza; infine, reagendo alle ambizioni del superiore, tentò con tutti i mezzi di liberarsene.
L'anno cruciale fu il 1913, nel quale, il vescovo, prese le distanze dalle iniziative del Mittiga, e ridottine drasticamente i poteri, avocò decisamente a sé l'effettiva direzione del santuario e riuscì quanto meno a bloccare, sia pur temporaneamente, l'incremento dei debiti .
Il Mittiga, però, non rinunziò ai propri progetti e tentò in tutti i modi e con diversi mezzi di creare le condizioni per raggiungere l'agognata indipendenza. Di ciò è segno la petulante richiesta di poter abitare a Polsi nel palazzo vescovile “, ma sono segno più evidente i tentativi operati scopertamente per " inventare" una qualche autorità che fosse superiore al vescovo e che dal vescovo non potesse in alcun modo essere contestata.
Non può essere letta che in tale chiave l'operazione "cardinale protettore", pensata e felicemente condotta a termine dal Mittiga con la nomina pontificia, appunto a protettore del santuario, del cardinale Filippo Giustini, ottenuta il 20 dicembre 1916. Da tale situazione il Mittiga trasse l'aìre per riprendere le sue progettazioni fantastiche.
La nomina del cardinale, obtorto collo salutata dal vescovo Delrio con una notevolissima lettera pastorale , consentì al Mittiga di organizzare grandi festeggiamenti per la venuta a Polsi del protettore. L'evento si svolse il 2 settembre 1919 e ce lo ricorda l'epigrafe posta l'anno dopo sulla facciata del convento  ivi il vescovo Delrio è del tutto ignorato, non essendo citato nello scritto e mancando il medaglione con la sua effigie accanto a quelli di Benedetto XV, di Filippo Giustini e di Giosofatto Mittiga. Non basta. Sempre più deciso a svincolarsi da qualsiasi tutela vescovile, il Mittiga, favorito da ambienti romani interessati, andò precisando un nuovo progetto, con il quale si proponeva di restituire "al santuario l'antico titolo di
Abbazia e quello di Abate al Superiore del tempo, con tutti quegli onori e privilegi degli antichi abati, onori e privilegi che corrispondono a quelli degli Abbati o Prelati Nullius, escludendo ben inteso ogni idea di giurisdizione, la quale dovrebbe rimanere sempre al vescovo di Gerace, come lo è attualmente .
Il progetto andò in porto (8.4.192O) , senza che vi si potesse opporre il vescovo Delrio, il quale, anche se mancano documenti precisi, sembra improbabile che potesse condividerlo .
Appena qualche mese dopo, il 16 novembre 1920, mons. Delrio fu promosso arcivescovo e trasferito ad Oristano.
Il titolo di Abate nullius consentì al Mittiga un nuovo periodo di gloria. Nello stesso 1920, "sontuosamente vestito da vescovo”, partì per l'America e ne ritornò dopo due anni con i ricchi proventi della sottoscrizione ivi operata tra i tanti immigrati italiani. Nuovi privilegi (quello di celebrare in trono con baldacchino e pastorale) ottenne dal protettore cardinale Michele Lega († 15.12.1935), che era succeduto al cardinale Giustini, e dal pontefice Benedetto XV un chirografo attestante stima.
Nel frattempo, però, egli, impenitentemente, non aveva smesso le iniziative fantasiose e dispendiose, oltreché malviste e denigrate per le umane debolezze di tutti i tempi nei confronti di chi comunque operi. Il Mittiga aveva tentato un passo lungo. Forse era stato mal consigliato, ma è probabile che fosse stato anche strumentalizzato. Le sue intenzioni erano probabilmente oneste, le sue azioni non limpide e comunque non condivise, anzi in contrasto con le intenzioni e le direttive dell'autorità vescovile.
Chiamato ancora una volta a rispondere del suo operato 91, il Mittiga non riuscì più a convincere alcuno della bontà delle sue iniziative. Pu così che il 10 novembre del 1927 fu privato del titolo di abate, ed il 26 ottobre 1928 fu costretto a dimettersi da arciprete. Da quel momento, con Polsi ebbe rapporti soltanto per qualche debito da pagare. Morirà poverissimo (è questo è segno della sua intima onestà) nel 1951.


Di seguito il filmato dell’inaugurazione del Sanatorio ” Vittorio Emanuele II “ai Piani di Zervò. Alla cui edificazione contribuì in vario modo Mons. Giosofatto Mittiga



lunedì 11 maggio 2015

Terra di conquista (reg.William C. McGann - 1942)


Alla presenza di noi qui sottoscritti Donna Carolina Mittiga, suo figlio D. Ferdinando, e sua figlia Donna Mariantonia Gliozzi hanno dichiarato, che col consenso del loro Padre D. Francesco Gliozzi marito della prima si hanno ricevuto dal Sacerdote D. Filippo Gliozzi, la somma di docati trentasette per loro vestimenti, e sovvenimenti, quale somma loro fu data perché gli dessero il possesso, come glielo hanno dato, di altrettanta valuta consistente in quattro piedi di olivi della valuta di docati quindeci, e docati ventidue di terra boscosa, che in una formano docati trentasette, come sopra. Gl’olivi e la terra boscosa suddetta limitano da una parte col suddetto Sacerdote D. Filippo Gliozzi, e dall’altra con gli stessi dichiaranti. Il sentiero della parte di sotto, dove sono i quattro piedi di olivo, che attaccano colla terra boscosa, quanto prima verrà formato da una maceria, che principia dal primo piede di olivo dei quattro suddetti e termina nella maceria di divisione della terra così detta Colacchiata colla rasola della vigna d loro pertinenza. Di questi due punti di maceria poi in linea dritta per sopra sino alle pietre volte vicino il lacco del rimanente della terra boscosa nella contrada Petto, ossia Boschetto, formano i quattro lati dei sentieri divisori di detta estensione, che cedono a cono dei docati cinquantadue, che avea il dritto D. Francesco Fera, e li ha ceduti a D. Filippo Gliozzi suddetto e che ancora non aveano ceduto, perché il compratore Sig.r Gliozzi non avea dato loro il complimento, giusta la loro convenzione, di docati cinquanta, riserbandosi di dare l’altro possesso quando verrà aggiustata la somma di docati cinquanta. I due ultimi si obbligano ancora solidalmente all’evizione. Ed alla cautela, ecc.
Platì li 4. Aprile. 1861
Diacono Saverio Mittiga ho scritto e sono testimone
Ferdinando Gliozzi

domenica 10 maggio 2015

La leggenda del santo bevitore (reg. Ermanno Olmi - 1988)

Da oggi pongo alla vostra attenzione una raccolta di poesie dovute a  Giacomo Tassone Oliva solo di recente ritornate alla luce. Vengono da una trascrizione a macchina, Olivetti Lettera 22, dovute allo zio Pepé; una, su carta velina, illeggibile, ebbe pure la bontà, per noi, di riportarla anche con la sua bellissima calligrafia. Eccovi la prima.


P A S C O L I A N A

          Se arde il sole oppur fiocca la neve
MASTRO MICHELE BEVE ... BEVE ... BEVE ... !!!
Giacomo Tassone Oliva

In tutto tredici voci, nove puntini e tre punti esclamativi. E, il piccolo mondo antico platiota si erge davanti ai nostri occhi. C’è solo da chiedersi chi fosse Mastro Michele, ora nella leggenda!

mercoledì 6 maggio 2015

All'ombra della montagna - redux

Anche lo zio Ciccillo fu a Polsi, nel 1950, aiutante di monsignor Antonino Pelle di Antonimina. Allora il viaggio, a piedi, da Platì avveniva risalendo la montagna alle sue spalle, prendendo per Misafumera si arrivava ai Piani di Zervò e così al Sanatorio. Quindi imboccando u passu da cerasara si scendeva a Polsi.

19 Aprile 1950
Carissimo papà
Lunedì scorso vi ho fatto spedire un telegramma per farvi sapere che ho fatto un buon viaggio. Domenica sono arrivato qui alle quattro e un quarto. Il viaggio è stato ottimo, solo un pò prima del sanatorio c'è stata una leggera pioggia e per conseguenza mi son riparato' presso il guardiano del Sanatorio. Per circa mezzora, poi ,scomparsa la nebbia e cessata la pioggia, mi sono messo di nuovo in cammino. E' inutile dirvi che sono stato accolto bene da tutti e specialmente dal Superiore. Ho a mia disposizione una bella stanza, letto con rete metallica e due materassi di lana ecc. La luce elettrica funziona bene e nella mia stanza ci sono due lampadine da 50 candele l'una. Vedete dunque che sfarzo di luce. Il mangiare è ottimo. Tutti già incominciano a volermi bene
Domani il Superiore partirà per Roma e io gli darò una lettera per Fina, che lui andrà a vedere. Al suo ritorno io verrò a casa per alcuni giorni. Non mi resta che inviarvi i più cari abbracci e baci per tutti in famiglia, comprese Rosina e Cata coi bambini e lo zio Michele, che spero sia già guarito. Saluti agli altri parenti tutti. A voi e alla mamma bacio pure la mano, chiedendovi di benedirmi

Aff.mo
Ciccillo
P.S. Scrivetemi e ditemi come state.




 (A Polsi)Vi erano i rappresentanti di quasi tutta la provincia: i Sanluchesi vestiti di orbace, agili e aitanti, coi panciotti di panno turchino e i bottoni azzurri di acciaio, i riccioli sulla fronte, le cicatrici delle pustole in mezzo alla guancia; vi erano i pastori selvaggi di Solano, coi berretti di lana muniti di un fiocco, e le zampitte allacciate con corregge sottili intorno alla gamba, come i sandali nelle antiche statue; le donne di Bagnara con le tradizionali sette sottane a piccole pieghe, strette intorno ai fianchi, e aperte a campana in fondo. Portavano i capelli spartiti sulla fronte, le trecce a corona, le camicette di colori vivaci; i loro occhi color nocciola lampeggiavano come lame. Si diceva portassero  iraisoi nei capelli, e maneggiassero il coltello più arditamente degli uomini; E poi i mulattieri di Platì, i pastori di Natile sudici, alti, dalla parlata strascicante; i Benestaresí con accanto le loro donne dai busti fortemente colorati; le popolazioni della marina, vestite di chiaro, e col volto di un bronzeo partico1are; le Cardítane che avevano fama di essere le più

Francesco Perri, Emigranti, Garzanti, edizione del 1941 XIX

lunedì 4 maggio 2015

La città dolente (reg. Mario Bonnard - 1949)

Da oggi, e per qualche tempo, do inizio alla trascrizione di Caos, capitolo contenuto in Old Calabria di Norman Douglas, ricordo che l’edizione è quella di Aldo Martello. Tema è la città dove vivo parte del mio tempo: Messina, vista com’era prima e dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. E’ un capitolo allo stesso tempo elegiaco e doloroso. Nessuno, come Norman Douglas, ha saputo cogliere il senso e il luogo di questa città, ricostruita più volte, che occupa un sito che solo avendo il senso della mitologia si può sottrarre. 



O gioventù d'ltalia in alto i cuori

Cantante Domino Canticum novumm  

Potessero ritornare in vita le povere 
vittime del terremoto del 28 dicembre  1908,
per opporre questo cantico di Dio 
alle canzoni di Satana pubblicate nel 
giornale “ il Telefono ,, e diffuse per le 
vie e le case di Messina alla vigilia del- 
l' immane distruzione !... 

-          Voto e ricordo.  
-
Quaresima del 1914.

 CAN. TEOL. V. RASCHELLA’ 


CAOS
Non ho mai avuto occasione di ammirare la magica  Fata Morgana dello Stretto di Messina quando, in determinate condizioni atmosferiche, palazzi fantasmagorici di meravigliose forme appaiono sulle acque -  non riflessi, ma come sorti dal mare; quasi tangibili,  eppur diafani come un velo. 
Un monaco domenicano di nome Minasi, corrispondente dell'Accademia di Napoli e amico di Sir  W. Hamilton, scrisse una dissertazione su questa beffa  atmosferica. Molti l'hanno vista e descritta: fra questi,  Pilati de Tassulo. Nicola Leoni riferisce il resoconto di  un testimone oculare del 1643; e troviamo un altro  resoconto nel libro di A. Fortis, Mineralogische Reisen,  1788. L'apparizione è timida. Tuttavia, alcune immagini del fenomeno appaiono in un articolo del Dr. Vittorio Boccara in «La Lettura», nel quale l'autore accenna anche a un trattato scientifico scritto da lui  stesso sull'argomento; e anche nel volumetto Da  Reggio a Metaponto di Lupi-Crisafi, stampato a Gerace  alcuni anni fa. Cito questi scrittori per coloro che,  più fortunati di me, potranno assistere al fantastico  spettacolo e interessarsi delle sue origini e della sua  stona. 
Le cronache di Messina registrano le sovrumane  imprese del tuffatore Colapesce. Gli oscuri paesaggi  sottomarini dello stretto, con le loro grotte e le loro  foreste, non avevano segreti per lui: i suoi occhi conoscevano i misteri marini quanto quelli di un pesce.  Alcuni ritengono che la leggenda risalga a Federico II,  al quale Colapesce riportò quella coppa d'oro che venne poi immortalata nella ballata di Schiller, Der Taucher. Ma Schneegans asserisce di aver trovato documenti normanni che parlano di lui. C’è poi l'altra leggenda, secondo la quale Colapesce, novello Glauco,  avrebbe esplorato il mare alla ricerca della fanciulla  amata, inghiottita dalle onde.
 Fra le numerose favole che si raccontano sul suo  conto, ecco la più portentosa: un giorno, durante uno  dei suoi vagabondaggi sottomarini, Colapesce scoprì  le fondamenta di Messina. Erano pericolanti! La città  posava su tre colonne, la prima delle quali era intatta,  la seconda completamente crollata e la terza parzialmente corrosa. Spuntando dalle azzurre profondità,  avvertì allora con un distico i cittadini della minaccia  che incombeva su di loro. In questi profetici versi  attribuiti al favoloso Colapesce riecheggia un”apprensione generale, anche troppo giustificata.  Anche F. Münter, uno dei viaggiatori che esplorarono la zona dopo il terremoto del 1783, espresse i  suoi timori che Messina non avesse ancora sofferto  tutto quello che il Destino le riservava.        
Norman Doulglas, Old Calabria






domenica 3 maggio 2015

All'ombra della montagna (reg. Alois Johannes Lippl - 1940)


Nell’estate del 1847 lo scrittore inglese Edward Lear compì un lungo viaggio a piedi in Calabria e Basilicata. Il tour ebbe inizio da Reggio. L’8 e il 9 di agosto soggiornò a Polsi e qui ebbe modo di incontrare e conversare con il superiore di allora, Domenico Fera di Platì, già avanti negli anni. Questa la sua narrazione ed la sua picture.



August 8. The noontide hours were employed in sketching in the cloisters, and in
examining the relics and treasures of the church under the auspices of the Padre
Superiore. The subjects which weigh most heavily on his mind are " Quel tunnel," * and
"Quei Preti maritati ! Vescovi sposati ! o cielo ! Una moglie di arcivescovo ; O che
stravaganza ! The afternoon we passed in strolling about the fine scenes around this
hermit-home ; but, though containing endless material for foreground study, its general
picturesque character is limited, and we decide on leaving S. ta Maria di Polsi
tomorrow. We must retrace our steps as far as San Luca, and then make for Gerace,
sleeping either at Bovalino or Ardore, as time may allow.

August 9. The worthy Superior presented us with a medal and a print of the Madonna
di Polsi, the original picture having been discovered by a devout ox, who inveigled one
of the early Norman Conquerors of Sicily all the way from Reggio to this place, for the
particular purpose of inducing him to build a monastery. The excellent ox, said the
monk, led on the prince from hill to hill till he reached the proper spot, when,
kneeling down, he with his pious horns poked up the portrait of the Virgin Mary, which
was miraculously waiting some inches below the ground for its bovine liberator.
 Edward Lear,Journals of a Landscape Painter in Southern Calabria, 1847

Nel precedente post si è accennato ai superiori che Platì offrì a Polsi. L’elenco era incompleto mancando dei nomi di Enrico Macrì (dal 1874 al 1879)e Antonio Macrì (dal 1879 al 1903)ambedue originari della frazione Cirella. Il canonico Francesco Pangallo fu invece vice superiore di Giosofatto Mittiga dal 1927 al 1929 quando fu elevato superiore, titolo che tenne fino  all’1 dicembre 1939 quando sopraggiunse la sua morte. Questi era nato a Plati il 24 dicembre del 1876 da Giuseppe Pangallo e Portulesi Maria. Qui sotto il suo ritratto (per gentile dispensa di Francesco di Raimondo)