Quando la zia Amalia giunse al termine del … (aggiungete voi quanto vi
garba …), avevo appena finito di spararmi tutta la filmografia di Ingmar
Bergman, che nella sua parte finale reca il tracollo, o se vogliamo, l’annientamento
di quanto per quaranta anni il grande regista svedese aveva retto su
improbabili impalcature d’acciaio. E
mentre eravamo lì: Pina, Duccio, Pina, Luigi, Marilisa, Jacopo, Giorgio e Gino,
a gustarci gli ultimi istanti della sua presenza (dolce, l’abbiamo constatato
tutti!) tra un mio singhiozzo e l’altro, tra me e me, andavo paragonando la
vita della zia con quella di Ingrid, Bibi, Harriet, Liv, Gunnar, Max, Erland,
nelle varie fasi dell’estesa opera di Ingmar. Ovvio che a separare loro dalla
zia c’è la cultura greco-latina, contro quella nordica-teutonica, ma a separare
loro e noi maggiormente, c’è quella dose, più o meno carica, di cattolicesimo versus
protestantesimo, che ha permeato la nostra e la vita di quei personaggi. Anzi
il cattolicesimo non dà adito ad alcuna introspezione, e questo l’ho potuto
constatare nella mamma, nello zio Ernesto, nella zia Gemma e nella zia Amalia
(su questo accetto volentieri che mi si contraddica) che sono quelli con cui ho
più viaggiato dal mio ingresso nella vecchiaia, come in uno di quei film
americani che ora non si fanno più.
Quello che è accaduto nelle ultime ore trascorse con la zia Amalia è
stato un rituale commemorativo dal ludico dei pasti al festoso delle fotografie
e mentre lo zio Ernesto celebrava “il memoriale della morte e resurrezione del
Figlio di Dio”, noi celebravamo il memoriale della morte e resurrezione di una
Famiglia platiese.
Dedicato a don Giuseppe attuale parroco di Platì.
Per non offendere nessuno le foto sono negativizzate; di certo tutti hanno modo di vederle nel positivo originale.
Nessun commento:
Posta un commento