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mercoledì 22 marzo 2017

Verso la gioia (reg. Ingmar Bergman - 1949)



Quando la zia Amalia giunse al termine del … (aggiungete voi quanto vi garba …), avevo appena finito di spararmi tutta la filmografia di Ingmar Bergman, che nella sua parte finale reca il tracollo, o se vogliamo, l’annientamento di quanto per quaranta anni il grande regista svedese aveva retto su improbabili  impalcature d’acciaio. E mentre eravamo lì: Pina, Duccio, Pina, Luigi, Marilisa, Jacopo, Giorgio e Gino, a gustarci gli ultimi istanti della sua presenza (dolce, l’abbiamo constatato tutti!) tra un mio singhiozzo e l’altro, tra me e me, andavo paragonando la vita della zia con quella di Ingrid, Bibi, Harriet, Liv, Gunnar, Max, Erland, nelle varie fasi dell’estesa opera di Ingmar. Ovvio che a separare loro dalla zia c’è la cultura greco-latina, contro quella nordica-teutonica, ma a separare loro e noi maggiormente, c’è quella dose, più o meno carica, di cattolicesimo versus protestantesimo, che ha permeato la nostra e la vita di quei personaggi. Anzi il cattolicesimo non dà adito ad alcuna introspezione, e questo l’ho potuto constatare nella mamma, nello zio Ernesto, nella zia Gemma e nella zia Amalia (su questo accetto volentieri che mi si contraddica) che sono quelli con cui ho più viaggiato dal mio ingresso nella vecchiaia, come in uno di quei film americani che ora non si fanno più.
Quello che è accaduto nelle ultime ore trascorse con la zia Amalia è stato un rituale commemorativo dal ludico dei pasti al festoso delle fotografie e mentre lo zio Ernesto celebrava “il memoriale della morte e resurrezione del Figlio di Dio”, noi celebravamo il memoriale della morte e resurrezione di una Famiglia platiese.

Dedicato a don Giuseppe attuale parroco di Platì.

Per non offendere nessuno le foto sono negativizzate; di certo tutti hanno modo di vederle nel positivo originale.

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