Powered By Blogger

lunedì 17 ottobre 2022

DE GASPERI - L'UOMO DELLA SPERANZA [di Liliana Cavani - 2005]


 

QUELLA VOLTA
CHE VENNE DE GASPERI

U diciottu ottobri chi doluri
Quandu li frani vittimu scindiri,
si riuniru muntagni e vagliumi
paria lu giudiziu universali.

Il fango inghiottì tutto e mise in ginocchio l'economia agricolo-pastorale di Platì.
Scrisse Rizzuti sul Mattino di Napoli «Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il cimitero, lo ha sommerso». «. . .Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra, perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte».
Arrivano i primi soccorsi e nel marzo del 1953, in piena campagna elettorale, il capo del Governo Alcide De Gasperi sale a Platì per inaugurare le case popolari costruite in contrada Lacchi, alle porte del paese. Il corteo presidenziale viene fermato con uno stratagemma a Natile, lungo la vecchia statale 112: il tricolore deposto sull'asfalto obbliga il Presidente a fermarsi ed il capo-popolo, cavaliere Giovanni Napoli, consegna una lettera di protesta per il mancato trasferimento dell'abitato di Natile Vecchio. Si prosegue nel frattempo, superato lo scoglio della protesta popolare dei natiloti, verso Platì. De Gasperi nel vedere le casupole costruite alla frazione Lacchi ha un moto di ribellione, di stizza e non può non esclamare: «E che vi devono abitare i porci? Vergogna!». Altri tempi!
Dal balcone di casa Oliva lo statista tiene un comizio tra l'arciprete Gliozzi, l’on. Michele Murdaca ed il sindaco Peppino Zappia. C’è qualche contestazione popolare quando si arringa la folla paventando il pericolo comunista e gridando: «Il mostro comunista mangerà anche i vostri bambini ...». Domenico Catanzariti, mischiato tra la folla, risponde gridando: «Buum!». Accorrono i carabinieri e lo portano in caserma in stato di fermo e sarà poi lo stesso Capo del Governo ad invitare il Comandante della locale stazione a lasciarlo libero. De Gasperi, prima di partire, firma un assegno di un milione che consegna al Sindaco per i bisogni del popolo. Ma è proprio l'alluvione che determina lo sconvolgimento sociale di Platì. Un inesorabile processo di emigrazione che dissangua il tessuto economico platiese e dimezza nel giro di pochi anni la popolazione che contava più di 6.000 abitanti.

Gianni Carteri
Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992
Foto: Archivio Gliozzi

martedì 11 ottobre 2022

Voci da Platì - The Wish

If pa's eyes were windows into
a world so deadly and true
You couldn't stop me from looking
The Wish, Bruce Springsteen



Un ethos, cioè una mediata volontà di storia,
un progetto di «vita insieme», un impegno a
uscire dall’isolamento nevrotico per partecipare
a un sistema di fedeltà culturali e a un ordine
di comunicazioni interpersonali tradizionalmente
accreditato e socialmente condiviso.
Ernesto De Martino, La terra del rimorso, 1961

 

lunedì 10 ottobre 2022

Voci da Platì [di AA. VV. - 2022]

 


La pubblicazione di VOCI DA PLATÌ non sarebbe stata possibile senza il basilare contributo di Elisabetta Siotto redattrice e Irene Piras Art director.
TO BE PLAYED AT MAXIMUM VOLUME

giovedì 29 settembre 2022

U tempu da 'stati "a.k.a." SUMMERTIME [di David Lean - 1955]

U tempu da stati
“U tempu da ‘stati esti ‘nu bellu tempu:
I cotrareji jòcanu e non si faci friddu;
to’ patri è rriccu e to’ mamma è ‘na bellezza,
acchì matina i chisti
ti risbigghi e ti trovi cu’ l’ali ….”
 
“Ero più che adolescente quando Dominic Violi (pratioto puro sangue, figlio di miei parenti emigrati, ma nato e vissuto in America), occasionalmente a Platì in una delle sue prime rimptriate, mi tradusse estemporaneamente in perfetto dialetto platiese (rectius: pratiòto) un brano di Porgy and Bess di Gershwin. Si trattava dell’aria “Summertime”, che stavamo ascoltando insieme da un disco di Ella Fitzgerald”. Poiché non capivo un’acca di inglese, Dominic traduceva, canticchiando e seguendo la melodia”. Michele Fera
 
Summertime
Summertime,
And the livin' is easy
Fish are jumpin'
And the cotton is high
 
Oh, Your daddy's rich
And your mamma's good lookin'
So hush little baby
Don't you cry
 
One of these mornings
You're going to rise up singing
Then you'll spread your wings
And you'll take to the sky
 
But until that morning
There's a'nothing can harm you
With your daddy and mammy standing by
 
Summertime,
And the livin' is easy
Fish are jumpin'
And the cotton is high
 
Your daddy’s rich
And your mamma's good lookin'
So hush little baby
Don't you cry

Tempo d'estate
Tempo d’estate,
e vivere è facile:
i pesci stanno saltellando
e il cotone è alto.
 
Oh, il tuo papà è ricco
e la tua mamma è bellissima:
quindi stai zitto, piccolino,
non piangere.
 
Una di queste mattine
ti alzerai dal letto cantando;
poi spiegherai le tue ali
e andrai in cielo.
 
Ma fino a quella mattina
non c’è niente che possa farti male
con il tuo papà e la tua mamma che ti assistono.
 
Tempo d’estate
e vivere è facile:
i pesci stanno saltellando
e il cotone è alto.
 
Oh, il tuo papà è ricco
E la tua mamma è bellissima:
quindi stai zitto, piccolino,
non piangere.
 
Il brano in inglese è di DuBose Heyward e Ira Gershwin, Porgy and Bess di George Gershwin è del 1935
originale e traduzione sono qui:
https://lyricstranslate.com/it/summertime-tempo-destate.html

Il testo di Michele Fera è contenuto nella rivista di Mimmo Marando PLATI’, novembre 1996.

Nella foto d’apertura zia Amalia e zia Gemma con le cugine Tripepi arrivate da Mishawaka IN nei primi anni ’60 del passato secolo.

Ecco ora a voi la divina Ella,
a seguire la versione, sempre verde, di Janis Joplin:

 

 

mercoledì 28 settembre 2022

Qualcosa di personale - umiltà .... mansuetudine

 

Pur sempre umiltà e mansuetudine conquistano i cuori
Aff. Canonico F(elice) Galluzzo

Il canonico Felice Galluzzo è apparso di già qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2013/10/corpoceleste-pt6.html

- Immagine e testo contenuti nell'album personale di Ernesto Gliozzi il vecchio.

domenica 18 settembre 2022

La casa del buon ritorno [di Beppe Cino - 1986]



Per un ennesimo tributo al padre, Maria Antonia Romeo da Buenos Aires è tornata a Platì, paese delle sue origini e all'abitazione di via Domenico Agostino n. 23 dimora di famiglia fino a quel giorno, era il 1946 e l’Italia era appena una Repubblica, in cui svendendo uno sparuto gregge di pecore, insieme ai suoi fratelli Giuseppe Romeo (1919 – 2012) di Saverio e Maria Antonia Barbaro raggiunse Napoli per salpare verso l’Argentina.
Maria il paese lo aveva già conosciuto nella primavera del 1993, la ospitarono i ciceroni Barbaro Pasquale alias "U Glorijusu", barbiere e cugino di Maria, e Strangio Andrea.
Oggi la casa natale del padre nel suo abbandono è rimasta pressoché intatta.
Prima di salutarla, Maria mi svela quanto suo padre desiderasse rivedere il paese, rivolgendo alla Madonna di Loreto sempre la stessa preghiera, che gli apparisse in sogno la Platì di quando era ragazzo.
Giuseppe Romeo di Savo e Maria Antonia Barbaro aveva una sorella, Giuseppa classe 1915, i fratelli partiti con lui erano Bruno (1917), Rosario (1926) e Antonio Lucio (1930).
MICHELE PAPALIA

Tutte le foto, tranne l'ultima di Michele Papalia, sono di Maria Antonia Romeo che cortesemente le ha concesse per l'odierna pubblicazione: nella prima Giuseppe Romeo a Buenos Aires a seguire la stessa con Andrea Strangio e Pasquale Barbaro nel 1993, infine il recente viaggio a Platì di Maria Antonia.


domenica 11 settembre 2022

Il canto dell'usignolo - Platì incontra Pier Paolo Pasolini

Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà. Pier Paolo Pasolini

 

Trimboli Rocco “U Ciuciu” cl. 1943
Nipote di gentiluomo brigante, figlio di pastore, pastore anch’egli già a undici anni. La sua infanzia tra le gole d’Aspromonte, vide sradicare il ciocco dai suoi zii, apprese come scalare le querce e catturare i ghiri, da autodidatta imparò a leggere e scrivere e, soprattutto, non si perse le serate di chitarra e strambotti. Andò incontro al mondo quando chiamato militare partì per Pordenone, lì assicura di aver visto Pasolini passeggiare tra le vie di Casarsa. Tornato in paese cominciò a rimare.
 
GUARDATI GENTI
“Guardati genti chi succeriu,
lu mundu in peggiu cambiau
e non si poti cchiù pregari a Diu,
ca u Viscuvu puru u previti cacciau.
Lu cunsigghju pasturali lu sciogghjiu,
ca li reguli soi disobbedii.
Guardati ‘nta stu paisi chi succeri
ca l’Islam ‘ndi voli ‘ncrementari,
chisti guardati sunnu cosi veri,
la religioni vonnu cancellari”
 
Barbaro Giuseppe “U Pintu” cl. 1947
Se per divenire poeti c’entra la genetica, l’insegnante di Barbaro Giuseppe ne fu la madre da cui apprese l’arte, anch’egli figlio della tradizione contadina, vino quanto basta ma mai poco eppure sempre sobrio, poeta di garbo, altero si porta appresso il bagaglio linguistico della propria epoca, un oracolo per dispensare dialetto e saggezza.

RICORDI
Dui occhi e mi veni ravanti,
nu paisi nu pocu curiusu,
na finestra chi guarda a levanti,
na’ vineja chi vaji pa’gghjùsu.
A cummari ‘ssettata javanti,
ca cunocchjia c’u fusu e u tilaru,
eu mi giru, mi votu fra tanti,
mi ricordu quandu era cotraru.
Teni ‘u mugnu la ‘gnura Cuncetta,
sciacqua i panni cu l’acqua e sapuni,
cu ricama e cu faci a carzetta
 è ssettata supa o barcuni.
Sunnu cosi du tempu passatu,
lapru l’occhji e non viju ‘cchiù nenti,
ca ora i cosi su’ tutti cangiati,
 ‘rresta sulu nu bruttu prisenti”

Perre Francesco “U Biscottu” 1959
Incarcerato. Tre mesi per associazione ndtranghetistica. Pena accessoria. In carcere gli venne proibito di accordare le sue rime alle corde della chitarra. Porta al petto della giacca la stella di poeta dialettale e operaio forestale. Salite a Platì, lo troverete in altura con la chitarra battente, nel presentarvi al vostro nome seguirà una rima baciata. Porta in tasca copia del decreto di liquidazione riconosciutagli per l’ingiusta detenzione subìta, lo sventola ai carabinieri ogni volta che indefessi tutori della legge lo controllano al posto di blocco, controlli di rito gli rispondono alle sue proteste, pur sempre poeta pregiudicato è.
 
U CARCIRI
Pari ca catti u cielu e mi ‘mpittau,
chi staju passandu u sapi sulu Diu.
Ma puru Diu ora mi ‘bbandunau
cu sti penseri sugnu ancora eu.
Sentu ‘u cori meu chi staci mali,
pacchì i sti porti si sperdiru i chjiavi,
i porti du ‘mpernu si lapriru,
jettaru i chjavi e ccà intra mi rassaru.
Quandu arbisci a matina
u cori meu si risbigghja e si ‘lluntana,
sentu puru u trenu quandu passa,
si leva i soi penseri e i mei mi rassa.
Penseri chi mi stannu cunsumandu,
pari ca finìu pammia chistu mundu.
Mundu salatu, dimmi, chi ti fici?
Notti e jornu nommu pigghju paci.
Paci trova sulu sta vita mia
quandu tornu ammata ca famigghja mia.
 
Papalia Francesco “U Burettu” cl. 1990
Nipote diretto del poeta analfabeta Michele Papalia (1933 - 2017). Un giorno di aprile si mise a spulciare all’archivio diocesano per ricostruire il suo albero genealogico e scoprì quello che aveva sempre presentito: Francesco Papalia, ossia “Cicciu i Mastru Micheli” era un suo arcavolo. Francesco e Michele, nomi che si rincorrono senza soluzione di continuità nella genealogia dei Papalia. Pertanto, da un Francesco Papalia a un altro, persistenza transgenerazionale, due secoli in versi, la poesia a tinte pastello a colorare il buco nero della nostra esistenza.
 
L’ARMACERA
Quandu la facci bona si posa,
pari na fimmina cu ll’abitu i spusa,
‘ndavi cent’anni e puru non pari,
 sa conzi giusta ija non cari.
Vaji cumpagna cu li soi sorelli,
 ma non vaji sa sunnu gemelli.
Sa potìa quantu cuntava
di riscipuli e mastri a unu a unu
Sa esti chjatta o tunda o stritta
cu chjumbu e ‘lliveju ti veni ‘ddritta.
Teni puru a cchjiù randi muntagna
 l’armacera chi ‘ndaju ‘a campagna.
 
Perre Giuseppe “U Cicerca” cl. 1981
Con superiore capacità di osservazione e analisi del mondo platiese, accorda musica e poesia, li tiene a braccetto. Egli si volta a guardare indietro alla ricerca dei grumi del secolo scorso, invecchia e suona, incanutisce e scrive, di rima vive.
 
LI TURMENTI
“Stasira mi ritrovu a passijari,
‘nta chista ruga bella e profumata,
nu pocu i ventu e nu cielu stijatu
na umbra esti chi balla nta la notti.
E bonasira a vui stija lucenti,
di chistu cori nesciunu sti canti,
fustivu a causa di tanti turmenti,
chi scumpariru tutti ora ‘ccà vanti”

La poesia dialettale è un paesaggio notturno colpito a un tratto dalla luce. Per quanto mediocre essa sia … pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio. Pier Paolo Pasolini

Testo e foto : MICHELE PAPALIA

In apertura: Rocco Trimboli, Giuseppe Barbaro e Perre Francesco

Trimboli Rocco alias u Ciuciu e
Barbaro Giuseppe alias u Pintu sono apparsi qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/08/poeti-al-chiaro-di-luna-lu-sensu-e-la.html
 
Una selezione di poeti & poesie qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2018/01/rapsodia-in-agosto-reg-akira-kurosawa.html
 
Perre Francesco alias u Biscottu e apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2018/09/carcere-di-george-hill-1930.html

giovedì 8 settembre 2022

Sete [di Ingmar Bergman - 1949]



UN PAESE COMPLETAMENTE ABBANDONATO
A Senoli di Platì mancano tutti i “comforts” moderni
La popolazione vive in uno stato di miseria –
Difettano acqua, strade, luce, servizi sanitari e igienici
 
Natile Nuovo, 25 luglio
Senoli, frazione di Platì, consta di circa 200 abitanti, pari, ad un numero di quasi 30 famiglie, in gran parte dedite all'agricoltura ed alla pastorizia, che non sanno se considerarsi cittadini italiani, esseri appartenenti ad una Patria comune poiché vivono in condizioni primitive e pietose, in uno stato di vita sacrificata e difficile resa tale dalla mancata risoluzione dei principali e più urgenti problemi che attanagliano la loro esistenza ponendola al difuori dei limiti del mondo e del vivere civile.
A Senoli manca tutto: acqua, strada, luce elettrica, scuole, servizio sanitario, servizio postale, un problema più urgente dell'altro, necessità, sentite e che sono di complemento alla vita.
L’acqua, in primo luogo, costituisce la principale esigenza. Ci è ancora presente il triste spettacolo cui abbiamo assistito: abbiamo visto cittadini senolesi attingere il prezioso liquido a pozzi, ruscelli e sorgenti inquinati, ricettacolo d'ogni sorta di microbi, d'aver noi stessi, costretti dall'arsura, bevuto acqua di calce e di gesso a spontanee sorgenti, non senza una mossa di disgusto per l’assoluta impotabilità, di quell'acqua, dovuta soprattutto alla mancanza di iodio in essa. L’essere stati costretti in passato e l’essere ancora costretti a deporre le labbra arse dalla calura estiva su un liquido assolutamente impotabile, è ben ricordato nella mente degli abitanti di Senoli perché fra essi si sono avuti moltissimi casi di tifo, paratifo ed altre gravissime malattie che hanno arcor più intristito l’esistenza di questi laboriosi contadini.
Perché continuare a sottoporre quella popolazione al supplizio di Tantalo, quando a circa 200 metri dal loro abitato, scorre fresca, limpida e cristallina nelle tubazioni dell’acquedotto consorziale Natile-Ardore il prezioso liquido che si potrebbe facilmente deviare per Senoli?
Il Sindaco di Platì si era in merito fattivamente interessato ma la sua proposta è crollata dinanzi al «ferreo non possumus» dei dirigenti dell’acquedotto consorziale medesimo e non venne accolta dai Sindaci dei centri consorziati. Manca una strada rotabile che possa rendere più agevoli le comunicazioni necessarie con Platì, favorendo così l'allacciamento della Frazione alla SS. 112 e con essa al mondo civile. È stata, è vero, costruita una stradetta mulattiera per congiungere Senoli alla Statale 112, ma essa non ha affatto risolto il problema, oltre a non essere stata completata.
Non esiste la luce elettrica, ma funzionano, ancora, in pieno secolo ventesimo, le lucerne ad olio ed i lumi a petrolio. Manca un plesso scolastico, sia pure in misura ridotta, che possa ospitare insegnanti ed alunni costretti gli uni svolgere, gli altri ad accogliere la missione educativa in umide stamberghe. in ambienti malsani ed antigienici privi d'aria o di luce.
Manca assolutamente anche il servizio sanitario e gli ammalati, con la neve o il solleone o la pioggia dirotta che ingrossa i burroni separanti la Frazione, ed attraverso impervi sentieri, devono essere trasportati su improvvisate barelle nei paesi più vicini per la necessaria assistenza medica. E quando si verificano casi gravi di malattie, allora il calvario, diviene più doloroso...
Manca il servizio postale e gli abitanti di Senoli, per l'inoltro ed il ritiro delle loro corrispondenze e per tutte le operazioni effettuabili presso gli Uffici Postali, devono portarsi altrove, percorrendo chilometri di strada malagevole. E questo problema, a nostro modesto avviso, e come anche fattoci presente dai Senolesi, si potrebbe risolvere subito disponendo che il servizio di portalettere, recentemente istituito a Natile Nuovo, venisse esteso anche per Senoli, nel senso cioè che il portalettere di Natile effettuasse giornalmente in quella località la distribuzione delle corrispondenze in arrivo di pertinenza di quegli abitanti, prelevando inoltre quelle in partenza per la raccolta delle quali si renderebbe, di conseguenza, necessaria l’installazione a Senoli di una cassetta d'impostazione.
Questo, purtroppo, il desolante quadro di squallore che si è offerto ai nostri occhi, un quadro ognora presente nella mente dei cittadini di Senoli, una dolorosa realtà viva palpitante che turba i loro sonni e la loro quotidiana esistenza, ponendola nelle condizioni di inferiorità rispetto al più sperduto villaggio delle più lontane plaghe dell'infinito. Eppure, ciò nonostante, Senoli è sempre tenuto ben presente quando si è trattato o si tratti di sfruttamento elettoralistico da parte di tutti gli Onorevoli «papaveri» che al tempo delle votazioni promettono mari e monti che poi vagamente sfumano nell'eterno fluire del tempo... Passa il Santo e... passa la festa...!  Inoltre Senoli paga profumatamente le tasse ed in tutti gli eventi bellici, ha dato alla Patria in armi i suoi figli migliori.
Forse e senza forse Senoli è il più sperduto piccolo centro d'Italia, nel quale non vi esista neppure l’ombra dei principali comforts, presenti in ogni paese civile.  
Lasciamo Senoli all’imbrunire, presi anche noi dallo sconforto aleggia su quella gente. E non potremmo chiudere il presente servizio senza rievocare la figura di una madre che alla nostra partenza ci avvicinò e con il volto su cui si leggeva il pallore della miseria, mostrandoci i cinque figlioletti attaccati alla sua gonnella, ci disse «scriva che i nostri figli hanno bisogno di mangiare, i nostri uomini di lavorare e noi donne a non sentire il quotidiano tormento di una dolorosa situazione alla base della quale s'intrecciano i motivi logici ed umani della nostra vita, della nostra vita di cittadini d'Italia che abbiamo il diritto di chiedere ed essere esauditi».
FRANCO CALLIPARI
GAZZETTA DEL SUD 26 luglio 1957

Un'istanza al Prefetto per la situazione di Senoli

 (F. C.) – Conseguentemente al nostro servizio sulla dolorosa situazione di Senoli, la piccola frazione di Platì, da parte dei cittadini senolesi è stata in proposito presentata una motivata istanza al Capo della Provincia, sottoscritta da tutti i nuclei familiari residenti in quell'assolato borgo. Ripetiamo il pressante appello d'intervenire, nella speranza che i voti degli abitanti di Senoli vengano sollecitamente esauditi.

La mancanza idrica in quel di Senoli è denunciata ancora oggi. I senolesi continuano a pagare le tasse senza acqua alla gola.

Francesco Callipari è stato corrispondente dai primi anni dell'edizione reggina della Gazzetta del Sud sino agli anni ottanta del secolo passato, altre sue corrispondenze sono apparse qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/silenziosa-minaccia-reg-christian-jaque.html
https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-1985minacce-senza-fine.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/03/unanguilla-da-300-milioni-dal-ciancio.html


La foto d'apertura con un restyling photoshoppiano girava, gira?, nella rete.
 



venerdì 2 settembre 2022

Il sole sorge ancora - e ancora


 Caci il brigante di Michele Papalia
MARIA FRANCO
 
 Il 17 giugno 1861, «nel più profondo e remoto Sud, laddove il Signore perse scarpe e camicia, volge al termine un giorno uguale a mille altri. Sul promontorio dell’Aria del Vento, mille metri d’altura attorniati da lecci e querce, siede un uomo, barba incolta e occhi nelle orbite scavate dalle ultime notti insonni lo fanno più vecchio dei suoi trentacinque anni. (…) Tutto gli incombe, vede il buio scendere e accarezzare le pareti della montagna, sente aneliti di morte ansimargli contro. Travolto da una dolorosa stanchezza, Caci chiude gli occhi; è un attimo condensato in un riflusso di immagini: quelle della sua vita, gli scorrono davanti come una recondita illusione.»
Caci il brigante di Michele Papalia, edito da Leonida, ripercorre la vita di Ferdinando Mittica, nato a Platì il 23 giugno 1826, primogenito maschio di una famiglia della buona borghesia locale: «Quella Platì è terra di rivalità, delazioni e faide familiari a sfondo politico, alleanze irrimediabilmente compromesse e vecchie inimicizie. La competizione politica è sentita, bisogna impadronirsi dei terreni demaniali al fine di accrescere prestigio familiare e incamerare vantaggi economici. In questo microcosmo sociale sarà lunga e cruenta la lotta combattuta all’apice del Decurionato tra la potente famiglia Oliva e la rispettabile famiglia Mittica.»
Quest’ultima, pur senza quarti di nobiltà, ha una certa consistenza patrimoniale: «al Catasto Murattiano, Ferdinando Mittica, nonno di Caci, denuncia la proprietà di una casa a quattro vani con rendita catastale pari a 13 ducati e mezzo, un vigneto e un giardino adibito ad orto.»
Iscritto dal padre al seminario diocesano, Ferdinando «non uscirà con l’abito talare, tuttavia il grado di istruzione umanistica acquisito gli sarà sufficiente per affrontare un mondo impregnato di analfabetismo.»
«Agile di mano e svelto di mente», si misura con il suo paese: «un villaggio pericolosamente affamato e angariato da squallidi privilegi baronali, uomini di apparente prestigio che annegano nel vizio, foresi analfabeti e sciancati manovrati da clero e nobiltà, bari e marioli; una capitale di cui si racconta ogni sontuosità ma maledettamente lontana, l’impotenza di uomini e mezzi a sradicare sistema e regime, a rovesciare un re smemorato fellone e continuo debitore verso la Calabria e i calabresi.»
Finito presto in galera per una rissa, Ferdinando fa amicizia con alcuni reclusi, in particolare Domenico Carbone detto cucinata e decide presto «cosa fare da grande.»  Diventa così Caci il brigante, oppositore, prima, del sistema borbonico e poi difensore della monarchia napoletana contro l’unificazione italiana, fino alla sconfitta della sua banda e alla sua uccisione.
Michele Papalia segue le vicende di Caci con una minuziosa ricerca di documenti storici e una sensibile immaginazione, cercando di coglierne tutti gli aspetti della personalità e senso e limiti della sua scelta: «L’origine del brigantaggio di Caci non è ben delineata, non può essere altrimenti quando la storia la fanno e la scrivono i vincitori. Per essi (…) Mittica è un dannato, delinquente della peggior specie che combatte per ristabilire il tiranno borbonico. Invero lo status delinquenziale di Caci è da ascrivere al solco delle private inimicizie e delle lotte intestine al suo villaggio vissute sin dalla gioventù; e l’ostilità verso alcuni notabili del paese avvezzi dapprima al regime borbonico per poi assumere il ruolo di liberali e le prepotenze percepite nei rapporti tra plebe e padroni non sono che la ragione per un ulteriore, definitivo, spera il brigante, scontro. In particolare, Mittica punta l’indice contro l’etica predatoria della classe baronale, capofila la dominante famiglia Oliva padrona delle terre e del Decurionato percepito alla stregua di una grossa mammella, il latte che ne esce ha il sapore dei ducati mentre l’odore è quello della terra bagnata dalle prime piogge settembrine.»
Michele Papalia, Caci il brigante, Leonida, euro 12

lunedì 29 agosto 2022

Il canto dell'usignolo [di Antonio del Amo 1957]



Francesco Papalia “Cicciu i Mastru Micheli” (1818 - 1901)


Figlio di Michele Papalia e Anna Trimboli, il padre appellato mastro senza che gli atti dello stato civile indichino in quale arte eccellesse, piuttosto ora vaccaro ora pecoraro, facile immaginare anch’egli artista nella rima. Sempre il padre, nella tassa fra gli usuari del 1831 denuncia il possesso di due bovi, la madre a filare il telaio alla luce della finestra, fino a sera al lume della lucerna a olio, fino ad accecarsi; Ciccio era figlio insieme ad altri otto, la storia ce lo consegna come il poeta del popolo, il signore del volgo.

Nel 1849 il nostro sposò Catanzariti Pasqualina che dopo avergli dato cinque figli lo lasciò vedovo per vent’anni, e da qui la sua maggiore produzione in vernacolo, le opere tutte tramandare oralmente. Rimane celebre il dialogo con l’arciprete Filippo Oliva con cui anticipò di un secolo A livella del principe Totò De Curtis: “quandu veni la morti e ti stendicchjia, cu ndavi e cu no ndavi mangia cazzi”.

Era spesso ospite ai pranzi delle famiglie nobili che ne chiedevano intrattenimento. Tra gli aneddoti quello della morte del signorotto: un giorno in montagna due pastori di Oppido chiesero al poeta informazioni sulla salute di Don Ciccio Oliva, e Ciccio rispose: ”il Don è morto”, e allora il Don recepita l’antifona chiamò a palazzo Ciccio che giunse a dorso di mulo, e dagli inservienti ne fece caricare il basto di viveri e vino.

Morì una mattina d’inverno del 1901 nella sua casa in Via Vignale, su un materasso rabberciato con foglie di pannocchie. I poeti del circondario ne vegliarono la salma e i ritardatari si portarono al cimitero. La sua tomba venne sradicata dall’alluvione del 1951, usurpate le sue ossa dal fiume Ciancio e poi al mare Jonio, la dispersione del corpo invece di consegnarlo all’oblio ebbe l’opposto effetto, ne accrebbe il mito, l’analfabeta che sfidava con le parole il potere dei baroni, con Ciccio Papalia e per mezzo della sua opera i platiesi capirono di avere una coscienza sociale.

Testo e foto: 

MICHELE PAPALIA


Cicciu i mastru Micheli è apparso precedentemente qui:

https://iloveplati.blogspot.com/2020/02/poesia-senza-fine-di-alejandro.html  


In apertura: Domenico Papalia (1855 - 1942) unico figlio maschio del poeta.