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venerdì 28 settembre 2018

Riders on the storm - THE DOORS

Ricordo di un ottobre funesto del 1951 nel piccolo centro aspromontano

Quell’alluvione che segnò Platì

I servizi degli inviati del tempo che fecero riscoprire agli italiani la montagna reggina - Arrivarono i soccorsi dopo una gara di solidarietà umana ma la stranezza di alcuni indumenti smessi fece arrivare in anticipo un ben strano Carnevale – tremila persone verso l’Australia in pochi anni: un’emorragia umana di dimensioni bibliche – Un articolo di Corrado Alvaro nel 1953 – Una relazione geologica di Alberto Ducci


di Antonio Delfino

"Per farsi una idea dei disastri che l’alluvione ha prodotto in Calabria, bisogna andare a Platì. Non è facile raggiungere Platì, un piccolo presepio di seimila anime a 300 metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma e interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona, enormi, e poi perché in questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estetica, contemplazione degli avvenimenti i quali si susseguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli".
Cosi iniziava il suo servizio Vittorio Ricciuti il 9 novembre del 1951 sul -Mattino- di Napoli. In quell'ottobre funesto io frequentavo la seconda classe del Liceo Classico di Locri e bloccato dalle frane a Platì, mi misi a raccogliere gli articoli più significativi di quell'evento calamitoso che aveva portato devastazioni e morte. Sono andato a sfogliarli. “Il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla: anche una piccola centrale elettrica, che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio. Tra qualche ora, mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita. Anche il sonno dei morti – conclude Rizzuti - a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato li cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si e ritirata si sono visti tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva, e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte”.
E Filippo Sacchi il 28 marzo del 1952 scriveva sulla “Nuova Stampa”: “Le scuole di Platì! Una casupola di tango, a cui si arriva ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di bucce, di detriti e di spurghi. Si sale scaletta, e sopra, nell’unico piano, ci sono le aule, tre stanzini soffocati, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque e cinque stavano gli scolaretti nel rozzi e miseri banchi. Era la mostra della denutrizione. La maestrina, me li chiamava fuori uno ed uno, bimbette e ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine, quel piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li chiamava fuori a uno a uno per nome, cosi semplicemente come se fosse la presentazione dei modelli.”
L’Aspromonte veniva riscoperto. In passato, per i briganti ed i terremotati, ora, per le alluvioni. Arrivarono i primi soccorsi. Fu una gara di solidarietà umana con sottoscrizioni e raccolte di fondi. Il sud doveva essere assistito. Interi camion riversarono sulla piazza dei paese indumenti smessi che crocerossine con tocchi di civetteria elargivano a tutti. Quell'anno il carnevale arrivò in anticipo. Rocco P., un anziano contadino padre di dieci figli all'ennesima distribuzione arrivò in ritardo. Era rimasto un vecchio frac dalle code lise e stazzonate che mi ricordavano i camerieri della Nuova Messina a Locri. Nel mesi estivi sotto un sole cocente indossò il frac per zappare sulla fiumara asciutta che mesi prima aveva portato lutti, e cercando di ricavare una “fiumarina”, un pezzo d'orto per sfamare i figli. Gli interventi furono d’assistenza. Si costruì qualche muro d 'argine e la gente stanca di aspettare prese la nave per l’Australia. Tre mila persone in pochi anni. Una emorragia umana senza precedenti, da dimensioni bibliche. Mentre si curavano le prime ferite arrivò l’alluvione del 1953. IL 24 ottobre del 1953, Corrado Alvaro pubblicava, sul Corriere della Sera, un articolo sferzante per la classe politica. «E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente. Il più moderno studio organico – prosegue Alvaro - sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governo borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene   spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra”.
E mentre Corrado Alvaro scriveva queste cose, nel Polesine la senatrice Lina Merlin (quella delle case chiuse) pretese che gli elicotteri militari salvassero dalle acque migliaia di tacchini che la furia del Po aveva spinti su strisce di terra e che sarebbero morti affogati. E quando intervenne nella Commissione parlamentare per i provvedimenti straordinari a favore della Calabria un mordace deputato commentò: Povera Calabria, che casino!
A distanza di oltre un secolo si ha la prima relazione geotecnica su Platì. E' Alberto Ducci, insigne geologo a compilarla, affermando che lo spettacolo che si offre è quello tipico di un fenomeno di grandiosa erosione in fase di piena attività. E' un vero sfasciume geologico che dipende - secondo Ducci - dallo stato di particolare e profonda fratturazione delle rocce costituenti l'intero versante orientale dell'Aspromonte orientale, dall'alterazione profonda dovuta a processi geo-chimici e dalla montagna in rapida fase di sollevamento. Le argille divenute rocce metaforfiche sono ritornate, per alterazione, argille. E dalle profonde rughe dell'Aspromonte sgorgano colate imponenti come manifestazioni di un astro appena nato. Ecco perché il problema di Platì si pone, passata la prima emergenza, in termini drammatici. Platì rappresenta il polso impazzito di una montagna che erutta argille. L’intero territorio va studiato da geologi. Allo stato attuale la regione Calabria (unica in Italia) non dispone di un servizio geologico. L'on. Pastore, nel 1961, invitato a Reggio Calabria dal presidente del Consiglio, Fanfani, a dire le sua, sulla legge speciale per le Calabria disse che, approvata nel 1955, divenne operante nel 1957 perché della Calabria mancavano persino le carte geografiche e geofisiche.
A Platì questa volta, bisogna andare con le carte in regola. E’ nell’interesse di tutti.

GAZZETTA DEL SUD, Anno XXXIV – Martedì 29 gennaio 1985

Nota - Questo articolo, come quello citato di C. Alvaro, era apparso su queste pagine il 7 ottobre 2011 come immagine, senza trascrizione ed un titolo diverso. Oggi, nel 67° anniversario di quel tragico evento, è un tributo alla penna di Antonio Delfino, che i pulinaroti si apprestano a commemorare. La  foto, tramite Francesco di Raimondo, appartiene alla famiglia Delfino.



mercoledì 26 settembre 2018

The Great Passage [di Yuya Ishii, 2013]

Non erano trascorsi che otto anni dall’inizio del nuovo millennio quando Platì perse i suoi due ultimi figli più illustri: Antonio Delfino e Ernesto Gliozzi il giovane; il braccio secolare e quello metafisico-religioso di un paese altrimenti noto. Lo zio il giorno della candelora, Delfino allo scoccare dell’equinozio d’autunno. Nei cicli ricorrenti dell'anno sono due momenti importanti, l'inizio del risveglio e l'inizio del riposo della natura, un grande passaggio, che non è dato a chiunque poter scegliere, solo a chi lo merita. Per un paese come il nostro è molto importante, visto che ancora il legame con la terra permane. Tutti e due ampiamente ricordati per mezzo delle loro opere e giorni. Tutti e due con un background familiare difficile da nascondere. Antonio Delfino era figlio, del secondo, cronologicamente, uomo più famoso tra quelli che cavalcarono per le terre e le montagne di Platì: Giuseppe Delfino, meglio noto con l’alias massaru peppi; il primo era stato Ferdinando, Caci, Mittiga. Come nei migliori John Ford, l’uomo della legge ed il bandito. Per buona parte, la storia di Platì, quella ancora arcaica, la vissero loro due. Tra gli intellettuali platioti Antonio, Totò, Totu Delfino è stato il più completo: docente, politico, letterato, giornalista, fotografo e chissà quant’altro. Il matrimonio lo condusse fuori dal paese ma non per questo lo perse, anche grazie alla complicità della sua sposa. Platì e la Calabria, la loro gente e i luoghi, le leggende e la storia furono il suo chiodo fisso, da proteggere, conservare, tramandare. E questo fece, grazie anche alla sua dote di uomo sociale e ben voluto, accettato nelle mense ludiche siano esse intellettuali che conviviali. Ogni platioru ha un Totu Delfino suo, anche io ho il mio che non dimenticherò mai: amico di papà, dello zio Ciccillo, dello zio Ernesto, dello zio Pepé. Una sera dei miei anni di mezzo squilla il telefono, Ginu sugnu Totu Delfinu, ndi sperdimmu, chi ta passi? Oggetto della telefonata era una cosa naturale per quegli anni: una raccomandazione agli esami di licenza liceale. Io li avrei promossi tutti, ma, gli dissi, se la doveva vedere con mia sorella, membro della commissione in un liceo messinese, che era più irremovibile di me. Come finì non lo so, quello che mi rimane ancora nelle orecchie è quella sua voce gioviale, smagliante. Non lo rividi mai, la sua testimonianza rimane anche grazie a queste pagine in cui egli ritorna e rinasce.
La macchina con dentro i pulinaroti si è mossa. Loro cozzano e si scherniscono da platioti. La loro meta e che il 1° Antonio Delfino tribute & award non vada sprecato.

giovedì 5 ottobre 2017

La Carne e l'Anima (reg. Wladimir D. Strichewsky - 1943)


Ieri mattina i carabinieri hanno vietato la vendita della carne di capra
I riti di Polsi bloccati dai Nas
A poco sono valsi i tentativi di della Chiesa

POLSI(San Luca) – “...Tra la calca alcuni armenti sono portati in voto entro la chiesa e gli animali quasi fossero compresi della grandezza nella quale si trovano piegano le ginocchia sui gradini dell’altare. I buoi piegano il collo legato da un nastro, e il timido pastore li guarda ripone il berretto nella tasca e prega anche lui per le cose più care, per i suoi armenti, e quell'umile vestito di orbace nella prostrazione si confonde col vello delle agnelle... Per quella turba magna non basta il convento né le case della comunità, né le capanne e si sceglie ognuno il suo posto sotto i boschi. Tien bottega ognuno all'aperto, le bestie macellate sono appese agli alberi”. E' Corrado Alvaro, che scrive da studente ginnasiale, nei primi decenni del secolo, in uno dei suoi viaggi a Polsi nel Santuario della Madonna della Montagna. Ed io conosco queste cose sin dall’età della ragione quando trascorrevo con mio padre, maresciallo dei carabinieri, le estate infuocate in un paesaggio da orrido, vivificato dalla Madonna dal volto popolano che viene considerata come ‘espressione della pietà popolare più genuina in quanto scaturisce dalla devozione di un popolo, di un'etnìa e della sua cultura. Il preambolo era d’obbligo.  Dopo tre millenni la sacralità di Polsi con i suoi riti, miti, è stata interrotta dai carabinieri, di cui esiste a Polsi soltanto un rudere della vecchia caserma con scritta; “Carabinieri reali". Ieri mattina in modo massiccio sono intervenuti i Nas (Nuclei anti sofisticazioni) per bloccare tutte le attività relative al commercio della carne di capra. Un intervento estemporaneo che se applicato in altri contesti avrebbe portato a consensi, si è rivelato, invece, tra le migliaia di pellegrini come un atto di sottocultura. nei confronti delle tradizioni di Polsi, oggetto continuo di studiosi a livello mondiale nel campo etnico, sociologico e culture. Don Pino Strangio, Rettore del Santuario con incisività dice: “I fatti dimostrano che tutte le soluzioni cercate insieme, collaborando e convincendo con la pazienza le persone interessate, hanno sempre trovato un esito del tutto favorevole. Se si fossero messi in chiaro i dati del problema si sarebbero tempestivamente elaborate soluzioni congrue, coinvolgendo tutte le componenti della società civile”. Non sono valse neppure le sagge parole del vescovo Monsignor Giancarlo Bregantini, né del capitano dei carabinieri, né del comandante la stazione di San Luca. Irremovibili in un'azione che cancella tradizioni e riti. Questa volta dagli agiografi anticoppole non si può leggere che “una mangiata di capra a Polsi è sempre un summit”. `
Antonio Delfino
Gazzetta del Sud, 3 settembre, 2002

Nota - Ancora Toto Delfino critico nei confronti della benemerita. C'è di più, ed è don Pino, oggi declassato e sostituito con prestanomi, ma allora distributore di medaglie e gadget a personaggi in tour on Polsi come dimostra la foto che lo vede appuntare al cuore della regina Paola Ruffo di Calabria, allora sovrana del Belgio, la croce di Polsi, made Gerardo Sacco. Infine, il citato Corrado Alvaro era tra gli sceneggiatori del titolo odierno.

mercoledì 4 ottobre 2017

I Delfini (reg. Francesco Maselli - 1960)


Il caso Polsi. L'ELOGIO DELLA CAPRA
La capra sull’Aspromonte è un animale sacrificale. Sacrificato anche durante i sequestri di persona quando lo Stato, trattava e pagava per riavere gli ostaggi, come Casella, Celadon, Fiora e Sestito e tanti altri, da far dire ad un saggio massaro che viveva da eremita in uno stazzo d’ Aspromonte: Si ficiru amici i lupi e i cani, poveri pecureji ed affritti capri" (Si son fatti amici i lupi (anonima sequestri) ed i cani (forze dell`ordine) povere pecore ed afflitte capre). La capra è antica quanto il mondo, e tutt`ora sull`Aspromonte, vengono divise per età come ai tempi di Polifemo, nell`Odissea di Omero”... ciascun gruppo era chiuso a parte, da un lato i più vecchi, da uno i mezzani, da un altro i lattanti... A sera tornò guidando le greggi villose sedutosi, munse le pecore e le capre belanti, tutto in modo giusto, e sotto ogni bestia spinse un lattante”.
Dall`operazione "Ariete", condotta dai carabinieri del Nas a Polsi, si sono salvate le capre più pregiate le cosiddette "Lastre", le tenere caprette che non hanno mai assaporato l`afrore del barbuto caprone. E da Materazzelli al Piano dei Reggitani, dai Menti a Pirria è stato uno scialo di “lastre” arrostite tra le felci e gli odori di erbe fragranti. La "lastra" chiama vino, in una abbuffata dionistica e paganeggiante senza precedenti. A Pietra Cappa, massaro Bastiano mi dice: “La buonanima di vostro padre quando trovava carni di capre rubate dal Timpa, imprendibile ladro, improvvisava con i carabinieri tra braci ed erbe rare, prelibati banchetti”. Altri tempi. Tempi di carabinieri reali. Ora si ragiona a ritmo d`intelligence e non si perde il vizio di presentarsi a nome di uno Stato repressivo come ha sottolineato icasticamente il vescovo di Locri, Monsignor Giancarlo Bregantini. I carabinieri hanno sequestrato trecento capre quasi tutte vecchie quasi tutte “lardite”. I tiggì soprattutto di Mediaset, per far dimenticare agli italiani il giusto processo, si sono abbandonati tra le braccia dell`Operazione “Ariete”. Macellazione clandestina con rifiuti buttati nel Vallone della Madonna che poi con il torrente Castanìa forma il Buonamico. I Nas si sono accorti, soltanto ora che le fiumare sono inquinate, basta raggiungere il Careri alla foce per tapparsi il naso. Ma nel contesto di Polsi occorre fare l`elogio alla capra, un animale, che sull'Aspromonte è come la renna per i Lapponi. Si utilizza tutto, anche le corna. Anni fa a Reggio un commerciante che faceva incetta di corna di capra, da spedire al nord ad una fabbrica di bottoni, per il lezzo maleodorante, gli hanno messo sotto il deposito un paio di candelotti di gelignite. E ricordo quel vecchio direttore di giornale che mi butta dal letto con destinazione a Reggio. “Vai subito, perché ad uno gli hanno fatto saltare le corna". E poi un titolo a nove colonne. La capra è da tutti osannata. Alvaro che villeggiava a Bagnara impazziva per una pastora dagli occhi verdi che davanti alla porta gli mungeva in una scodella il latte di una capra che approfittava di un momento propizio per brucare un cespo di parietaria. E Matilde Serao, ne “Il ventre di Napoli" scrive: "Ad ogni portone il branco si ferma, si butta a terra, per riposarsi, il capraro acchiappa una capra, e la trascina dentro il portone, per mungerla innanzi agli occhi della serva, che è scesa giù; talvolta la padrona è diffidente, non crede né all'onestà del capraio, né a quella della serva; allora il capraio e capra salgono sino al terzo piano, e sul pianerottolo si forma un consiglio di famiglia, per sorvegliare la mungitura del latte”. Mia madre, quando sono nato non aveva latte e mio padre comprò tre capre da latte, una “minda”, una “draguna” ed una “martìsa". Poi arrivò anche il latte d'asina per combattere la febbre maltese. Per questo faccio l`elogio alla capra messa tra tanti mezzibusti televisivi per cantare l`ode all’Operazione “Ariete”. Ma sono grato anche all’asino che considero come un fratello. Di latte.
Antonio Delfino
il Quotidiano della Calabria, martedì 3 settembre 2002

Nota - Questo brano ci riconsegna – se ce ne fosse ancora bisogno – più caro, il grande, indimenticabile, affabile Toto Delfino, qui esperto conoscitore e buongustaio della capra, incontrastata regina delle nostre montagne. E dire che sembra andare egli contro se stesso se non contro l’Arma che tanto fece per la sua famiglia. E nella foto a Polsi, con mons. Pangallo, il capostipite, il leggendario Giuseppe Delfino (1888 – 1954) alias massaru Peppi, la frusta per i cattivi, in Aspromonte. A proposito, ho avuto la fortuna di conoscere il citato massaro Bastianu, che di cognome andava Codispote,zio dei miei amici natiloti, proprio a Pietra Cappa con una riottosa mandria di capre poco tempo prima che lasciasse questo mondo.



domenica 7 maggio 2017

Acque del Sud - 1985. Si è tornati al 1951





PLATI` -- A Platì si è tornati al 1951 quando l'alluvione spazzò via l'intero paese provocando 17 morti. Due frane di proporzioni immense si sono staccate dai costoni dell'Aspromonte orientale mettendo a repentaglio la vita dell'intero centro. Una situazione drammatica che la gente affronta con antico rituale.
Oltre cento famiglie da ieri sera hanno abbandonato le case trovando rifugio provvisorio presso parenti e amici. Sono gli stessi nomi del 1951 che una natura avversa spinge verso una nuova diaspora. Si chiamano Romeo, Catanzariti, Vilardi, Trimboli. Barbaro, Burzomò, Perri, Marando, Violi. gli stessi nomi che Francesco Perri, Corrado Alvaro e Mario Lacava descrissero nei paesi di fango e del diluvio. Una situazione insostenibile e drammatica che trova intere famiglie costrette a ricoveri di emergenza.
Ma veniamo alla cronaca delle ultime ore. La prima frana si è staccata da contrada Pandefraro con una colata di fango e detriti su un fronte di cento metri travolgendo fiorenti uliveti e la Statale 112. Un uragano di notte che ha fatto scappare dal rione XXIV Maggio Saverio Romeo con la moglie e gli otto piccoli figli assieme con altre famiglie.
Poi, un grido assordante di gente. Dall'altra parte del paese, dal Vignale, un'altra frana si è abbattuta su un dedalo di case. Altre fughe verso il centro del paese intasato di mezzi e persone. La Statale 112 è interrotta in diversi punti e diversi nuclei familiari delle contrade Acone Giacchino, Nefrara e Badia non danno segni di vita.
Nella tarda serata i carabinieri, al comando del brigadiere Antonino Marino, hanno tentato di raggiungere a guado le località tagliate fuori dalla fiumara Tre Valloni. Una presenza continua quella dei carabinieri come nelle epiche tradizioni dell'Arma. Poi i vigili urbani Rocco Crea e Paolo Scarfò presenti in ogni evenienza.
Nel tardo pomeriggio è giunto il dott. Mario Gangemi, responsabile della Protezione civile della Provincia, con il ten. col. Galata, comandante il Gruppo dei carabinieri di Reggio Calabria, e il cap. Salvi con funzionari del Genio Civile, dei vigili del fuoco e dei consorzi di bonifica per i primi provvedimenti di emergenza. In serata è anche giunto il prefetto della provincia dott. Agatino Neri, assieme agli assessori regionali Piero Battaglia e Guido Laganà.Un giro per il paese tra visi smarriti con un Aspromonte che slitta sulle argille marnose del Quaternario verso il mare. Poi una riunione al Comune.
Il sindaco, Mimmo De Maio, ha avuto espressioni sincere di fiducia verso le istituzioni; ha detto quello che si è fatto e quello che non si è fatto. Interventi frammentari e settoriali mai inquadrati in una visione unitaria nell`assetto del territorio. Poi ancora altri come Nicola Sergi, tecnico del Comune, che anni segue l’evolversi di una situazione senza sblocchi positivi. L'assessore Piero Battaglia di fronte alla drammaticità della situazione che rischia di cancellare dalla carta geografica un intero paese, ha parlato un linguaggio non politico ma da calabrese.
«E' nostro dovere essere qui - ha  detto Battaglia - prima di tutto per salvaguardare le vite umane e poi per intervenire in maniera seria e organica con un piano di bacino che anticipi la Legge Calabria  con Platì, paese di acqua e di fango”.
Il prefetto della provincia ha detto  che il fenomeno è imponente ed ha raccomandato alla popolazione di affrontare questo momento di emergenza e delicato con molta serenità. Oggi per Platì inizia un`altra giornata piena di paure. Le colate di fango potrebbero isolare il paese. Ieri sera si è fatto un primo bilancio dei danni. Oltre cento abitazioni abbandonate, interi uliveti distrutti, montagne che scendono a valle trascinando alberi come birilli.
Un'altra pagina amara per la popolazione di Platì.
Antonio Delfino
Gazzetta del Sud  venerdì 18 gennaio 1985

venerdì 21 aprile 2017

Orizzonti di gloria - La Festa

Il giorno 7 agosto 1993, vigilia della festa Patronale di Maria S.S.ma di Loreto si è solennemente celebrata l'incoronazione della statua; avendo previsto il grande afflusso di fedeli che poi effettivamente si è verificato per la circostanza, si è allestito un palco sul sagrato della chiesa.
Erano presenti alla cerimonia, presieduta da S.E. Mons. Domenico Crusco, Vescovo della vicina Diocesi di Oppido - Palmi, i seguenti sacerdoti: Mons. Vincenzo Nadile, Amministratore diocesano di Locri - Gerace, p. Stefano De Fiores, monfortano, p. Roberto Timpani o.f.m., arc. Giosofatto Trimboli, superiore del Santuario di Polsi, D. Antonio Sculli, arciprete di Natile, D. Giuseppe Strangio, arciprete di S. Luca, D. Ernesto Gliozzi, Vicario parrocchiale di Platì, p. Ambrogio Gandolfi, monfortano, coadiutore nella medesima parrocchia, tutti concelebranti.
Erano inoltre presenti sul palco il comandante della stazione circondariale dei Carabinieri di Locri, con un discreto numero di carabinieri, di cui due in alta uniforme, il Sindaco di Platì dott. Francesco Mittiga con una numerosa rappresentanza del Consiglio comunale, il dott. Antonio Delfino scrittore  e giornalista  e l'orafo prof. Gerardo Sacco, il quale, per essere presente alla cerimonia, aveva rinviato altri impegni, e che,  per la circostanza, in segno di gratitudine,  era stato insignito della cittadinanza onoraria di Platì.
La liturgia è stata celebrata col Rito proprio per l'Incoronazione dell'Immagine della Beata Vergine Maria. Dopo la lettura del Vangelo, con grande attenzione i presenti ascoltarono l'omelia in cui il presule illustrava la funzione materna e regale della Madonna, nel mistero della Chiesa ed in relazione alle esigenze dell'attuale ambiente sociale.
L' esultanza dell'immensa folla che occupava tutta la piazza antistante, fino a corso Umberto I°, a corso S. Nicola, i balconi e le terrazze prospicienti, arrivò al culmine quando, fra lo scroscio degli applausi e la melodia dei canti, il Vescovo celebrante benedisse e posò le corone, prima sul capo del Bambino e poi sul capo della celeste Madre; lo stesso Gerardo Sacco poi aiutò a sistemarle e fissarle ai perni adatti.
Con grande devozione e attenta partecipazione tutto il popolo e le Autorità seguivano le preghiere della Messa, al termine della quale p. Stefano De Fiores, non avendo avuto il tempo di leggerlo, ci lasciò perché fosse illustrato ai fedeli un suo studio sul raffronto iconografico tra la nostra statua, la statua venerata nel santuario di Loreto, la statua della Madonna della Lettera di Messina ed una icona conservata nel Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, in Aspromonte.
Seguì la processione per tutte le principali vie, da un capo all' altro del paese, accompagnata dai canti e le preghiere dei partecipanti e il suono del concerto bandistico della città di Stilo (RC).  Rientrata in chiesa, la venerata immagine venne collocata nella sua nicchia, sopra l'altare maggiore.
E' tradizione che questa statua  non  sia  mai rimossa dal suo posto ( tranne il caso di  ragionevole ed  estrema necessità ) e tale tradizione verrà rispettata nei tempi a venire.
E quella venerata Immagine di Maria che ascolta con grande attenzione ed esaudisce con cuore materno le nostra invocazioni, possa veramente farci crescere nell'amore e nella devozione verso di Lei, che, come tutti abbiamo potuto sperimentare nelle varie circostanze della nostra vita, ci ha dimostrato la sua efficace protezione: Tale speranza consegniamo ai fedeli, invitandoli a ripetere sovente l'antica invocazione che dice:
      " Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio;
         non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,
         e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta."
          (dalla Liturgia delle Ore)

FINE
sac. Ernesto Gliozzi

giovedì 20 aprile 2017

Orizzonti di gloria - Fede e Devozione

Era la vigilia della domenica delle Palme; in quel giorno si dimostrò ancora una volta la fede e la devozione alla Madonna di questa popolazione, accorsa in massa per la quasi totalità ad accoglierla sotto l' infuriare di una tempesta mai vista, tanto che nel primo punto di appoggio, dove la statua fu tolta dal furgone per essere portata in processione, fu necessario ricoprirla con un velo di plastica trasparente: ivi accorsero alcune decine di persone tra le più entusiaste; la massa della popolazione era in attesa in contrada "pirare", all'inizio dell' abitato: nessuno si tirò indietro e tra l' osannare dei canti e delle grida di evviva, fu portata in processione fino alla Chiesa Matrice. In quel momento la tempesta cessò.

Era presente al rito di accoglienza in Chiesa padre Stefano De Fiores, sopra citato, il quale, tessendo con la sua impareggiabile maestria l' elogio della Madonna, ce la additò come Colei che dal cielo ascolta con grande attenzione le nostre preghiere e ci mostra Gesù come Via, Verità e Vita.

Ma l'entusiasmo dei fedeli non era stato da meno quando, lanciata l'idea del restauro, si fece appello alla loro generosità per sostenerne le spese necessarie: nessuna famiglia è assente nell' elenco degli offerenti, tutti hanno contribuito secondo le loro possibilità, non solo con le offerte in denaro, ma anche con l'oro, che è stato raccolto in quantità quasi sufficiente per la realizzazione delle corone.

Il comitato per la raccolta, presieduto dal Vicario parrocchiale, era formato dalle seguenti persone, che hanno lavorato col massimo impegno ed a costo di grandi sacrifici : per il centro abitato: Lentini Giuseppe e moglie Marando Rosina; Agresta Rosina in Barbaro, Calabria Marietta e marito Catanzariti Francesco; Pangallo Rita in Sergi; Schimizzi Francesco; le sorelle Marando Elisa in Papalia, Anna Maria in Musitano e Marianna in Carbone; per la contrada Lacchi: Oliva Francesca in Pangallo; per la contrada Bosco e Senoli: Zappia Melina in Zappia; per la contrada Marando: Portolesi Giuseppina in Barbaro.

In seguito al restauro si è pensato alle corone che dovevano adornare il capo della Madonna e del Bambino che tiene sulla mano sinistra e addita con la destra. Le corone di cui era corredata la statua prima del restauro erano in lamiera di ottone quella della Madonna e in argento quella del Bambino e molto differenti tra loro nello stile: mentre quella del Bambino era graziosa e di stile settecentesco, molto simile a quello di altri arredi conservati nella chiesa matrice, specie all' ostensorio, in argento, quella della Madonna era alquanto rozza , molto grande di diametro (per cui calava troppo giù sulla fronte) ed ornata di pietre di nessun valore: era necessario creare delle corone in oro, per mano di persona esperta nella materia. Dopo aver consultato alcuni artisti della zona molto esigenti sui prezzi, tramite il dott. Antonio Delfino, nativo di Platì, ci si è rivolti all' orafo calabrese Gerardo Sacco, residente in Crotone, artista molto stimato in campo internazionale, il quale, nonostante la mole di lavori in cantiere, ci è venuto incontro con molta simpatia e riguardo, chiedendo per il lavoro prezzi molto contenuti ( per cui gli esprimemmo la nostra viva riconoscenza ) e scontando l' oro raccolto tra i fedeli, ai prezzi correnti in borsa.

Per i fondi occorrenti, il Parroco ed i collaboratori lanciarono il seguente

INDIRIZZO A TUTTI I PLATIESI RESIDENTI IN PLATI' E NEL MONDO

Il restauro dell'antica e venerata immagine di Maria, dinanzi alla quale si prostrarono i nostri padri nei primi secoli della storia del nostro paese, è un' idea che la Madonna ci ha ispirato e che tutti abbiamo voluto.
E sotto la spinta della fede e dell'entusiasmo, non abbiamo fatto calcoli sulla spesa da affrontare, purché essa costituisse per noi un tesoro di fede e di arte.
Ci siamo rivolti alle persone più competenti: per il restauro l'abbiamo affidata ad artisti restauratori di Firenze, per la corona abbiamo interpellato l'orafo che in questi tempi riscuote i maggiori consensi in Italia e nel mondo: il calabrese GERARDO SACCO, il quale, trattandosi di una corona per la Madonna (in realtà sono due, una per la Madonna e una per il Bambino), ci ha favorito al massimo per la progettazione e per l'esecuzione.
Ma oltre all'oro occorrente, che finora voi tutti avete offerto con encomiabile generosità, bisogna ornarla di gemme preziose vere ed autentiche e quindi di elevato valore.
Le somme che finora abbiamo raccolto le abbiamo impegnato quasi totalmente per il restauro: ci restano da pagare le spese soprattutto per le pietre preziose.
Facciamo appello ancora una volta alla vostra generosità, al vostro entusiasmo, alla vostra devozione.
DOBBIAMO FARCELA ! SIAMO SICURI CHE CE LA FAREMO, con l'aiuto della Madonna (che con segni evidenti ha dimostrato il suo gradimento) e con la collaborazione di tutti voi, vicini e lontani.
Perché cresca sempre più la nostra devozione a Maria. Perché la nostra chiesa abbia un tesoro a cui si possano applicare le parole: "Le poni sul capo una corona di oro fino!"(sal.20).
La Madonna ci benedica tutti!

IL PARROCO - I COLLABORATORI

Le corone sono di stile classico, ornate di simboli rispondenti alla nostra economia: ramoscelli di ulivo e spighe di grano, ed arricchite di perle e di pietre preziose naturali; sulle croci spiccano numerosi brillantini, e su quella della Madonna, al centro nella faccia posteriore un brillante offerto dall' orafo Sacco e nella parte anteriore un brillante che con grande devozione la sig.ra Zappia Elisa ved. Messineo ha offerto, facendolo estrarre dal suo anello nuziale.

                                                                                              (continua)

lunedì 10 aprile 2017

Un mondo perfetto (reg. Clint Eastwood - 1993)



Tutta Platì si è stretta intorno alla     statua di Maria SS. Di Loreto


E Platì si ricompone dopo quasi mezzo secolo di fughe nell'emigrazione e ritorna alle radici di una profonda religiosità popolare per celebrare Maria SS. di Loreto, protettrice del paese. E stata la festa del ritorno, esaltazione di antichi valori sommersi, ricomposizione di una comunità che si porta dietro un fardello di false etichette. Criminalizzata ed umiliata.
Discorsi celebrativi e partecipazione corale di un popolo sono serviti a scacciare questa «diversità» che ogni Platiese ha come stigmi, un tempo impressi a fuoco a schiavi malfattori.
La festa della Santa Patrona è stato un momento di riconciliazione e di profonda riflessione. Una giornata esalante. Prima in Municipio dove il sindaco, Franco Mittiga, e il consiglio comunale convocato in seduta straordinaria, ha dato la cittadinanza onoraria a Gerardo Sacco. E l’orafo di Crotone, dalle umili origini, si è commosso davanti a tanta spontaneità di sentimenti e di calore umano. Una presenza significativa e qualificante quella di Gerardo Sacco che ha voluto portare alla comunità di Platì non solo un attestato di grande valenza artistica ma soprattutto umano. E le due corone, uscite dalla fucina di Crotone intrecciate con serti di grano e foglie di ulivo, rappresentano l’operosità di un popolo.
Il sindaco è stato parco di parole. Un ringraziamento a Gerardo Sacco e poi la descrizione reale di un paese rappresentato come ricettacolo tutti i mali del mondo. Da quasi mezzo secolo si aspettavano interventi. Eppure Alcide De Gasperi, dopo l’alluvione del 1951, dal palazzo sgarruggiato dei conti Oliva disse che “deve finire l'Italia di Platì”.
E Plati è lì fermo che si gonfia e si apre ad ogni pioggia come pane azzimo. Una situazione da terzo mondo con la più alta percentuale di epatite virale in Europa. Ma nessuno si muove in questo paese d'acque.
Una festa di pietà popolare diventa anche riflessione dei mali che affliggono una comunità mons. Crusco, vescovo di Oppido Mamertina. Un discorso vibrante, pieno di significati. Un invito alla pace, nella religiosità del lavoro.
Don Ernesto Gliozzi, arciprete di Platì, ha scelto attraverso un recupero interessante, i canti religiosi di antica tradizione popolare. E dall'Ariella, sono scese a frotte le donne per tessere le lodi alla Madonna nella loro dolce parlata. A Gerardo Sacco, la gente di Plati ha fatto dono degli attrezzi di vita agro-pastorale. Un piccolo aratro e la caratteristica «standa» un piccolo albero privo di foglie che viene messo vicino all'o-
vile per appendere indumenti. Ed ancora cucchiai in legno, fiscelle intrecciate con steli di giunco, ciotole ed una stecca di legno dove i pastori con segni convenzionali segnano la produzione giornaliera.
L'orafo di Crotone ha gradito questi doni come espressione di un'antica civiltà contadina e si ripromette di riprodurli in argento. Gerardo Sacco è alla continua ricerca di oggetti che fanno parte integrante della Calabria per tramandare nel tempo gli aspetti più significativi d'intere comunità.
Scriveva monsignor Antonino Denisi: «La festa non è mai un episodio. Diventa un momento essenziale dell'esistenza umana, un atteggiamento radicale dello spirito, un gesto qualificante. Rivela un popolo, un'epoca, una cultura, una fede. E’ appuntamento ed attesa; momento di amicizia ed espressione di gioia liberante››.
Il significato dell'incoronazione della Madonna a Platì, è un risveglio di coscienze in una comunità che ha una propria identità storica e culturale.
Antonio Delfino

Foto e testo
Gazzetta del Sud, Venerdì 13 agosto 1993

giovedì 6 aprile 2017

The Artist (reg. Michel Hazanavicius - 2011)


Sacco rinuncia alla rassegna di New York per diventare cittadino onorario di Platì

Gerardo Sacco sarà domani a Platì, per ricevere dal sindaco, dott. Francesco Mittiga e dal consiglio comunale convocato in seduta straordinaria, la cittadinanza onoraria. Non era mai avvenuto che ad una personalità calabrese, proiettata in campo mondiale per la sua valenza artistica e culturale, venisse concessa una simile onorificienza.
A Gerardo Sacco, la gente di Platì consegnerà non le chiavi del paese come un tempo si usava, ma gli antichi arnesi della civiltà agro-pastorale come tangibile segno di riconoscimento verso un raro artista, messaggero ed ambasciatore della creatività calabrese in ogni parte del mondo.
I platiesi, sono molto legati alla Santa Patrona, Maria SS. di Loreto che in ogni comunità di emigrati, dall’Australia all'America all'Argentina rappresenta un punto di riferimento un raccordo spirituale con la terra d'origine. Le due antiche corone che ornavano la statua della Madonna e del Bambino sono state rifatte in maniera artistica, rara ed esemplare da Gerardo Sacco che ha rinunziato a qualsiasi ricompensa.
Del resto Gerardo Sacco non è la prima volta che si pone come restauratore di opere artistiche che riguardano comunità ecclesiali povere. Sacco aveva restaurato la più grande icona bizantina, quella di Capo
Colonna, venerata da tutte le genti del Marchesato di Crotone. E l’artista degno continuatore degli antichi orafi della città di Pitagora, ha rinunziato per la prima volta ad essere presente alla Rassegna Internazionale di gioielleria di New York dove partecipa con una collezione di ampio respiro artistico.
Incontriamo Gerardo Sacco nella sua fucina d'arte a Crotone intento a studiare, su un disegno, lo stupendo diadema scoperto nell'area archeologica di Capo Colonna ed appartenente ad Hera Lacinia. Ne farà alcune riproduzioni ed intanto poniamo alcune domande.
- Lei rinunzia a partecipare alla Rassegna di New York per essere presente a Platì per le celebrazioni della Santa Patrona che sarà incoronata dal Vescovo di Oppido Mamertina?
«Parafrasando l'antico detto che l'ultimo dei Crotoniati era il migliore dei greci, son convinto che non esiste al mondo un luogo più bello della propria terra. E sono convinto che il calore umano e l'affetto dei platiesi non è secondo agli emigrati della grande comunità italiana di New York».
- Che giudizio ha di Platì e dei paesi dell'Aspromonte?
«Non ci sono altri posti dove l’accoglienza e l’ospitalità hanno qualcosa di più sacro. E devo purtroppo dire che spesso la stampa ed i mass-media distorcono fatti tracciando profili sbagliati ed offrendo  immagini false ››.
- Quindi secondo lei esiste una criminalizzazione d'intere comunità?
«I fatti di cronaca purtroppo sono all'ordine del giorno ma quanto avviene nella nostra regione diventa cassa di risonanza per l'intera comunità nazionale».
- Come si possono debellare determinati fenomeni?
«Lo Stato dovrebbe intervenire con interventi mirati e razionali soprattutto in aree geografiche fragili come quelle dell’Aspromonte creando fonti di lavoro, specie dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto punti critici».
- Quindi basterebbero i posti di lavoro per cambiare questa nostra società malata?
«Non lo penso ma ne sono certo. Infatti mi sto prodigando, proprio nel momento in cui le grosse industrie sono in netto regresso, per creare il primo polo orafo del Sud dell'Italia e sfidare la concorrenza di Valenza, Vicenza, Arezzo che hanno fatturati da capogiro. Comunque io sono uno che crede nelle favole ››.
E quella di Gerardo Sacco è appunto una favola, dove un apprendista barbiere diventa uno dei più prestigiosi orafi in campo mondiale. Anche questa è Calabria.
Antonio Delfino

Testo e foto:
Gazzetta del Sud, venerdì 6 agosto 1993


giovedì 2 febbraio 2017

Strada sbarrata- ovvero - Contestazione generale (reg. Luigi Zampa - 1969)



NON SI AFFRONTANO NEANCHE I PICCOLI PROBLEMI
Lo Stato è latitante:
allora provvediamo noi

NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
PLATI’, 28 –Avevano avvisato persino Michele Giamba a tenersi pronto con il suo tamburo di pelle d’asino  a suonare il tam tam della contestazione. Ma Michele Giamba, preso dai suoi studi danteschi, si è addormentato. Avrebbe fatto senza dubbio la parte di Fronte di Rocca che capeggiava i careresi quando al grido di “viva il re, viva la regina“ come dice Francesco Perri, andavano ad occupare le terre  di Ancona, Carruso, Angelica e Flavia usurpate dai grossi e pingui agrari. Qualcuno avrebbe voluto vedere come nel dipinto “Fragalà” di Ernesto Treccani la scena delle occupazione delle terre del Marchesato.
Ma questo non è successo.
All’alba quando l’ultima stella scompariva dietro il Calvario dai vicoli dell’Ariella al Vignale, al Giardinello sino alla chiesuola si sono trovati tutti in piazza. C’era da scalare l’Aspromonte, dall’aria un po’ corrucciata, con la siepe di nubi a grondaia su Monte Scorda.
Si riempirono i camion, ogni mezzo si stipò come nei vecchi autobus di linea, quando, nel secondo dopoguerra, le persone si accovacciavano persino sul tetto. Si utilizzarono persino gli asini, mancò all’appuntamento soltanto uno, il più vecchio, falcidiato tempo fa, ahimè, dai colpi di mitra e lupara.
L’appuntamento era al Fonte di Cromatì sulla statale 112 impropriamente detta strada. Qualche buontempone intrecciò con oleandri, ginestre e mirti una corona con la scritta “ANAS”. Fu buttata fra la commozione generale nel ruscello sottostante. La commemorazione fu significativa. Quindici anni fa il ponte fu coperto sa una montagna di detriti a qualche giorno dal collaudo. L’ANAS era arrivata, come si disse, a “tumulazione avvenuta”
Al Passo della Rondinella 600 persone erano precedute dalla ruspa rumorosa di Peppe “u maistru”, allegro e scanzonato. Spesso si ride per non piangere. Dietro con badili e picconi tutti gli altri ad aprire al traffico una strada statale su cui da tempo l’ANAS aveva steso un certificato di morte. Un amara storia di intrallazzi, beghe, progetti scomparsi e riapparsi come nel cilindro del più bravo prestigiatore.
Questa volta a Platì hanno detto basta. Si sonno sostituiti alle carenze dello stato, hanno offerto le proprie braccia per garantire un pubblico servizio che una burocrazia borbonica e lontana un anno luce ha sempre negato.
La strada statale 112 di Aspromonte è persino scomparsa dalla più aggiornata cartografia europea. Chiusa al traffico dopo l’alluvione del 1951, fu ripristinata per garantire soltanto un sicuro rifugio a branchi di capre e pecore allo stato brado che dimoravano fra i colpi assordanti dei clacson degli automobilisti. È stata sempre considerata come il termometro della strafottenza burocratica e del pressapochismo politico. Una volta si bruciava il municipio o l’ufficio delle tasse, oggi i cittadini di Platì hanno messo in mostra una nuova forma civile di contestazione. Ci sostituiamo allo Stato, dicono contenti.
In due giorni di lavoro si sono fatti miracoli. Le previsioni catastrofiche di miliardi che si dovevano spendere per ridare una strada decente ai due versanti dell’Aspromonte sono state smentite. Si è rifatta una strada con pane e olio. Un pane duro e raffermo, tagliuzzato a dadi, di cui in platiesi non buttano neppure le briciole. Una lezione di coraggio e dignità che fa meditare tutti.
ANTONIO DELFINO
GAZZETTA DEL SUD, 29 Luglio 1972

Nota
Bisogna riconoscere che Toto Delfino il paese di Platì lo portava nel cuore. La foto, conservata da Francesco di Raimondo, è pure sua.


domenica 4 dicembre 2016

L'inchiesta - il campanile elettorale

Giro d’orizzonte sulla Calabria minore

Il progresso non passa per Platì

LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963

A cura di Antonio Delfino


Il  campanile “ elettorale “

PLATI’, 9 – Ferdinando il Cattolico, verso il 1500, concesse a Don Carlo Spinelli vaste terre impervie e disabitate denominate Prati.
Il feudatario pensò di popolarle chiamando gente dai villaggi vicini e regalando un piccolo podere per costruire la casa.
I primi abitanti, molto religiosi, costruirono una piccola e rustica chiesa che fu edificata verso il 1550. Il terremoto del 1783 la distrusse completamente e fu necessario ricostruirla.
La popolazione, che nel 1795 era di 1300 anime, raggiunse nel 1940 le 4000 unità; sicché la Chiesa, per la sua limitata capienza e malsicura architettura, non fu più idonea alle esigenze del culto.
L’arciprete Giuseppe Minniti con spirito encomiabile e confortato dallo slancio religioso della popolazione, diede inizio ai lavori per la ricostruire una Chiesa più ampia della precedente e di architettura moderna.
La popolazione concorse con aiuti finanziari e prestazioni gratuite di manodopera. Gli emigranti inviarono i loro risparmi. I più indigenti trasportarono dal vicino greto del torrente il materiale da costruzione.
I lavori, per alcuni anni, proseguirono a ritmo intenso; successivamente, però, ebbero un arresto per la scarsezza dei contributi statali (in tutto 5 milioni dal Genio Civile)
Attualmente tutto è fermo ed il lavoro comincia a screpolarsi in certi punti, per la non continuità dei lavori. Il barometro delle opere, eseguite a ritmo lento ci è fornito dal campanile, battezzato da tutta la popolazione “ campanile elettorale “.
Infatti, in ogni competizione elettorale, il campanile aumenta di 4 metri (attualmente è a 22), in relazione ai modesti contributi che giungono per interessamento dei vari parlamentari desiderosi di essere preferiti nella scelta competitiva.
Da rilievi eseguiti, potrebbe essere ultimato verso il 1970, sempre che le competizioni (e ce lo auguriamo) abbiano in futuro un corso democratico.

Nella foto: il campanile “ elettorale “ che attende ancora la definitiva sistemazione.

Nota 
Questo articolo completa il reportage dedicato a Platì dalla Tribuna del Mezzogiorno di Messina il 10 gennaio 1963 a cura di Toto Delfino.
Il campanile invece rimarrà protagonista di queste pubblicazioni per qualche tempo, come pure la strada SS. 112, un'altra sinfonia incompiuta.

lunedì 28 novembre 2016

Alberi (reg. Michelangelo Frammartino - 2013)


Don Giacomino Tassone Oliva nacque a Siderno il 3 gennaio 1887 da Tassone d. Giuseppe di Domenico da Fabrizia e Oliva d. Giuseppa di d. Giacomo e Oliva d. Paola i quali si erano uniti in matrimonio a Platì il 22/02/1874.
La sua esistenza la trascorse per buona parte a Platì dove venne adottato dagli zii don Saverio Oliva, arciprete, e dalla di lui sorella, per cui al cognome del padre aggiunse quello di Oliva. Alla morte degli zii divenne erede dei beni degli stessi, che non erano pochi, motivo questo della sua assidua permanenza in paese. Studioso colto e preparato allacciò amicizia con gli intellettuali dell’epoca, da Vincenzo Papalia a Ernesto Gliozzi sen.
Don Giacomino sposò Carolina Migliaccio di Domenico e Rosina Scaglione , geracesi, dalla quale unione nacquero due figliole: Maria di Polsi e Giuseppina. In Platì per via della signora Mattia Migliaccio sorella della moglie e del canonico Ettore Migliaccio, morta prematuramente, fu legato anche alla famiglia Furore. Questa parentela con i Migliaccio gli nocque non poco perché nel 1930 il canonico Migliaccio fece interdire don Giacomino in quanto, come asserivano, affetto da grave malattia nervosa ed assumendo la tutela di Maria di Polsi e Giuseppina ancora minori.
Poeta fecondissimo ed autore di una tragicommedia non riuscì mai a raccoglierli in una pubblicazione nemmeno a proprie spese come era consuetudine a quei tempi e la sua scarsa fama è legata solo a qualche citazione da parte di scrittori come Gianni Carteri o Antonio Delfino.
Morì a Siderno nel 1941


Queste bevi note sono state redatte con il fondamentale contributo di Francesco di Raimondo


giovedì 24 novembre 2016

L'Inchiesta - I cittadini segnalano


Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino

I cittadini segnalano
i problemi del comune

PLATI’, 9 – Dalle interviste che cortesemente ci hanno concesso numerosi cittadini, rappresentanti le varie categorie sociali, si rileva che i problemi del nostro centro sono complessi e vasti ed occorre una azione decisa e urgente in un piano generale di sviluppo economico-sociale.
-Rag. Salvatore Calanna (collocatore comunale): Incrementare le case popolari. Apertura al traffico della statale 112 e di bonifica. Creazione di aziende silo-pastorali. Scuole professionali.
-Sig. Natale Cusenza (rappr CISL): Maggiore sorveglianza dello Stato verso le imprese appaltatrici di opere pubbliche in quanto il denaro è frutto di lavoro dei cittadini. Sviluppo dell’agricoltura con metodi moderni.
-Sig. Pasquale Oliva (Commissario DC): Creare i presupposti per una agricoltura razionale, necessari al miglioramento del paese. Apertura della statale 112.
-Sig. Francesco Prestia (vice –sindaco): Fognature. Rete idrica nuova. Copertura vallone Lordo. Sistemazione dell’agricoltura con metodidi immediati e sistematici. Apertura statale 112.
-Fudoli (direttrice Avviamento agr.): Costruzione edificio scolastico con lo sviluppo delle attrezzature, indispensabili alla istruzione secondaria.
-Sig. Luigi Zappia (pres. Az. Catt.): Fognature, rete idrica, statale 112, sistemazione del bacino Ciancio e Sanello e del vallone Luscrì, sistemazione del bacino montano, mercato, macello, e miglioramento rete elettrica.
-Sig. Michele Crea (sindacalista):  Applicazione della legge sulla Calabria, con preferenza verso i problemi dei paesi montani.
-Sig. Francesco Perri (rappr. Braccianti): Sistemazione dei torrenti, apertura statale 112 e sistemazione agricola definitiva.
-Prof. Giuseppe Gelonesi (ins.):  Apertura statale 112, ampliamento della rete idrica e sistemazione, immediata e definitiva, del circuito elettrico difettoso, in quanto il paese resta spesso senza energia.
-Dott. Mario Spadaro (proc. Legale):  Creazione di opere pubbliche definitive necessarie al miglioramento delle condizioni di vita del paese.
-Sig. Rosario Morabito (pres. U.S. Platiese): Costruzione del campo sportivo e miglioramento delle attrezzature ginnico-sportive.
- Sig. Umberto Romeo (agente emigrazione): Statale 112, incremento di circoli culturali e scuole professionali. Maggiore sorveglianza igienico sanitaria sugli esercizi pubblici.
-Sig. Antonio Miceli (cons. comunale): Ampliamento acquedotto. Chiusura circuito e ammodernamento interno ed esterno della rete elettrica. Bonifica integrale del bacino del Careri.
-Mons. Giuseppe Minniti (arciprete): Sistemazione idraulico-forestale del bacino del Careri, presupposto al miglioramento delle condizioni di vita.
-Sig. Armando Mittiga (fiduc. Invalidi guerra): Bonifica integrale del bacino del Careri e del torrente Acone.
-Comm. Fortunato Furore (rappr. Agricoltori): Bonifica integrale delle imposte per i terreni alluvionati.
-Sig: Francesco Marando (perito agr.): Applicazione legge speciale per la Calabria. Bonifica integrale. Apertura statale 112.
-Sig. Antonio Tripepi (rappr. commercianti): Strada statale 112. Sviluppo edilizia.
-Sig. Alberto Domenico Aurelio (pres. Coldiretti): Sviluppo della bonifica del Careri. Apertura della statale 112. Sviluppo dell’edilizia. Incremento per un’economia silvo-pastorale.
-Sig. Rosario Stancati (rappr. Artigiani): Maggiore potenziamento delle piccole

Nota
Questi nomi corrispondono al Catalogo delle navi nel secondo libro dell'Iliade di Omero, un'epica del passato platiotu. A rappresentarli, tra tutti ho scelto Luigi, meglio noto come Gino, Zappia, nella foto il primo alla vostra destra.


 

venerdì 18 novembre 2016

Vamos a matar compañeros (reg. Sergio Corbucci - 1970)

Pintaremos de rojo sol y cielo
Segio CorbucciVamos a matar compañeros 


Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino



Ferdinando Mittiga brigante borbonico

PLATI’, 9 – Cento anni or sono il territorio di Platì fu teatro di azioni brigantesche ad opera di Ferdinando Mittiga. Giovane appartenente a modesta famiglia e dotato di forte coraggio, riuscì a costituire una banda di molte persone reclutate nei paesi vicini.
Le sue imprese brigantesche erano una conseguenza della questione politico-agraria che travagliava il Meridione, sicché erano ben viste dalle popolazioni in disprezzo al nuovo governo italiano che si era reso impopolare aumentando gli oneri fiscali e i prezzi del pane e del sale.
In questo clima di larghe simpatie la banda Mittiga rappresentava il simbolo del defunto regno borbonico.
Il Mittiga riuscì a mettersi in contatto con il Comitato Borbonico clandestino, sovvenzionato dallo stesso Francesco II che non si era ancora rassegnato alla perdita del Regno.
La banda Mittiga fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che disponesse di forze ingenti sicché questi inviarono in Calabria il generale spagnolo Josè Bories con altri 22 ufficiali per inquadrare queste forze e dare un assetto organico.
Gli spagnoli sbarcarono a Brancaleone e Ferruzzano e, dopo essere stati a Bianco ospiti del convento dei Riformati, proseguirono per Cirella ove si incontrarono col Mittiga. Restarono però delusi alla visita di quelle poche forze male addestrate, alle quali si erano aggiunti delinquenti di ogni risma che assalirono Platì e fecero rubberie.
Il governo, che non voleva distogliere forze militari che si trovavano impegnate al confine con l’Austria, intervenne successivamente, pensando che il brigantaggio nell’Aspromonte potesse divenire pericoloso ed allargarsi alla provincia. Pertanto, inviò un gran numero di bersaglieri, al comando del maggior Rossi, che affrontò la banda e la decimò.
Il Mittiga trovò riparo in un mulino nei pressi del torrente Acone, ma, tradito dal mugnaio, fu ferito dai bersaglieri. Morì dissanguato in montagna dov’era fuggito. La sua test fu portata in giro, affissa ad un palo, per esempio alla popolazione.

Nota
La speranza è che la saga su Ferdinando Mittiga/Mittica non venga ad esaurirsi mai, a detrimento di storici ufficiali e sottufficiali, come diceva il principe De Curtis - magari ora si scopre che Totò era un nostalgico dei Borboni.


lunedì 7 novembre 2016

L'inchiesta - le strade si collaudano con il sedere

Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino


Le dolenti note della viabilità interna
Gli interventi d’emergenza dell’ANAS hanno bloccato il traffico sulla  S. S. 112

PLATI’, 9 – Tra le strade statali, che attraversando gli Appennini congiungono i sue mari, la statale 112 è quella di maggiore interesse commerciale e turistico.
Unisce, attraverso un tracciato pianeggiante, quasi 30 centri in fase di sviluppo economico mentre vi gravita una popolazione di oltre 100 mila abitanti.
Chiusa al traffico dal 1951 non è stata ancora ultimata perché l’Anas interviene saltuariamente e non con un piano generale di lavori. Infatti gli interventi passati sono stati improntati ad un piano d’emergenza.
Spesso i ponti e le altre opere non appena ultimati o cadono o vengono coperti da detriti.
Un mese fa il ponte delle “ Cromatì “, già ultimato (e forse collaudato), venne coperto da 500 tonnellate di detriti, secondo la perizia dell’Anas.
Un solo cantoniere, saltuariamente, è preposto alla manutenzione del fondo stradale, impervio e sconnesso ed ancora esistente in qualche punto, mentre l’erba vi cresce come nei migliori prati inglesi.
E si lamentano che manca il pascolo!
Vengano i tecnici sul posto, e non in visite turistiche per vedere di sfuggita qualche opera ed ammirare il panorama veramente stupendo.
Diceva Ferdinando IV di Borbone che “ le strade si collaudano con il sedere “. Aveva ragione, perché oggi si collaudano con apparecchiature tecniche intrigate e moderne.
Le opere finora fatte con criteri slegati, dove spesso c’è contrasto tra gli stessi enti operanti, portano al paradosso che prima si sistema la valle e poi si iniziano i lavori a monte. Di questa drammatica situazione ne risente la popolazione di Platì, che da quasi 12 anni è priva di una strada che rappresenta la vita del paese per gli intensi traffici e commerci che si svolgevano con i paesi della ricca Piana.
Mentre a monte la situazione è questa descritta, L’Anas continua a costruire strade, autostrade e superstrade (persino di materie plastiche!), mentre fa devolvere per i terreni attraversati dalla statale 112 la somma di 219 milioni, che la Cassa aveva destinato alla bonifica del Careri.
Questo è l’esempio più evidente di come l’Anas non intende dare un assetto organico e definitivo alla statale 112.
Sulla costruenda strada della bonifica la situazione non cambia. Platì, ai primi anni di questo secolo, doveva essere collegato con Bovalino attraverso una strada che, costeggiando l’argine sinistro del corso del Careri avrebbe dovuto portare al mare dopo pochi chilometri.
A questo progetto si interposero persone influenti per censo e per politica, sicché i Platiesi ebbero un tracciato che per raggiungere Bovalino si snoda per ben 25 km., con grave danno economico e spesso di … stomaco.
La bonifica del Careri riprese il vecchio progetto con qualche modifica e si iniziò una strada che sembra il duplicato della statale 112.
Non viene mai alla luce, anzi, mentre dal ponte di Giulia verso Bovalino sono stati iniziati i lavori di bitumazione, il rimanente tratto verso Natile è ancora in fase di sistemazione di tracciato.
Come sempre i lavori iniziano dal mare verso la montagna.
Tralasciando il fatto che il progetto originario è stato modificato con grande dispendio di fondi che sono poi quelli dei contribuenti, è possibile che per la prossima primavera i Platiesi abbiano la nuova strada?
Noi ce lo auguriamo, in modo che Platì attraverso queste due strade possa ridiventare un centro di traffici, di commerci e di turismo, che la posizione geografica offre, in modo da recuperare gli anni perduti per incomprensione generale, quando venne usurpata nei suoi sacrosanti diritti.