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venerdì 28 settembre 2018

Riders on the storm - THE DOORS

Ricordo di un ottobre funesto del 1951 nel piccolo centro aspromontano

Quell’alluvione che segnò Platì

I servizi degli inviati del tempo che fecero riscoprire agli italiani la montagna reggina - Arrivarono i soccorsi dopo una gara di solidarietà umana ma la stranezza di alcuni indumenti smessi fece arrivare in anticipo un ben strano Carnevale – tremila persone verso l’Australia in pochi anni: un’emorragia umana di dimensioni bibliche – Un articolo di Corrado Alvaro nel 1953 – Una relazione geologica di Alberto Ducci


di Antonio Delfino

"Per farsi una idea dei disastri che l’alluvione ha prodotto in Calabria, bisogna andare a Platì. Non è facile raggiungere Platì, un piccolo presepio di seimila anime a 300 metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma e interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona, enormi, e poi perché in questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estetica, contemplazione degli avvenimenti i quali si susseguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli".
Cosi iniziava il suo servizio Vittorio Ricciuti il 9 novembre del 1951 sul -Mattino- di Napoli. In quell'ottobre funesto io frequentavo la seconda classe del Liceo Classico di Locri e bloccato dalle frane a Platì, mi misi a raccogliere gli articoli più significativi di quell'evento calamitoso che aveva portato devastazioni e morte. Sono andato a sfogliarli. “Il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla: anche una piccola centrale elettrica, che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio. Tra qualche ora, mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita. Anche il sonno dei morti – conclude Rizzuti - a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato li cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si e ritirata si sono visti tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva, e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte”.
E Filippo Sacchi il 28 marzo del 1952 scriveva sulla “Nuova Stampa”: “Le scuole di Platì! Una casupola di tango, a cui si arriva ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di bucce, di detriti e di spurghi. Si sale scaletta, e sopra, nell’unico piano, ci sono le aule, tre stanzini soffocati, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque e cinque stavano gli scolaretti nel rozzi e miseri banchi. Era la mostra della denutrizione. La maestrina, me li chiamava fuori uno ed uno, bimbette e ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine, quel piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li chiamava fuori a uno a uno per nome, cosi semplicemente come se fosse la presentazione dei modelli.”
L’Aspromonte veniva riscoperto. In passato, per i briganti ed i terremotati, ora, per le alluvioni. Arrivarono i primi soccorsi. Fu una gara di solidarietà umana con sottoscrizioni e raccolte di fondi. Il sud doveva essere assistito. Interi camion riversarono sulla piazza dei paese indumenti smessi che crocerossine con tocchi di civetteria elargivano a tutti. Quell'anno il carnevale arrivò in anticipo. Rocco P., un anziano contadino padre di dieci figli all'ennesima distribuzione arrivò in ritardo. Era rimasto un vecchio frac dalle code lise e stazzonate che mi ricordavano i camerieri della Nuova Messina a Locri. Nel mesi estivi sotto un sole cocente indossò il frac per zappare sulla fiumara asciutta che mesi prima aveva portato lutti, e cercando di ricavare una “fiumarina”, un pezzo d'orto per sfamare i figli. Gli interventi furono d’assistenza. Si costruì qualche muro d 'argine e la gente stanca di aspettare prese la nave per l’Australia. Tre mila persone in pochi anni. Una emorragia umana senza precedenti, da dimensioni bibliche. Mentre si curavano le prime ferite arrivò l’alluvione del 1953. IL 24 ottobre del 1953, Corrado Alvaro pubblicava, sul Corriere della Sera, un articolo sferzante per la classe politica. «E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente. Il più moderno studio organico – prosegue Alvaro - sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governo borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene   spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra”.
E mentre Corrado Alvaro scriveva queste cose, nel Polesine la senatrice Lina Merlin (quella delle case chiuse) pretese che gli elicotteri militari salvassero dalle acque migliaia di tacchini che la furia del Po aveva spinti su strisce di terra e che sarebbero morti affogati. E quando intervenne nella Commissione parlamentare per i provvedimenti straordinari a favore della Calabria un mordace deputato commentò: Povera Calabria, che casino!
A distanza di oltre un secolo si ha la prima relazione geotecnica su Platì. E' Alberto Ducci, insigne geologo a compilarla, affermando che lo spettacolo che si offre è quello tipico di un fenomeno di grandiosa erosione in fase di piena attività. E' un vero sfasciume geologico che dipende - secondo Ducci - dallo stato di particolare e profonda fratturazione delle rocce costituenti l'intero versante orientale dell'Aspromonte orientale, dall'alterazione profonda dovuta a processi geo-chimici e dalla montagna in rapida fase di sollevamento. Le argille divenute rocce metaforfiche sono ritornate, per alterazione, argille. E dalle profonde rughe dell'Aspromonte sgorgano colate imponenti come manifestazioni di un astro appena nato. Ecco perché il problema di Platì si pone, passata la prima emergenza, in termini drammatici. Platì rappresenta il polso impazzito di una montagna che erutta argille. L’intero territorio va studiato da geologi. Allo stato attuale la regione Calabria (unica in Italia) non dispone di un servizio geologico. L'on. Pastore, nel 1961, invitato a Reggio Calabria dal presidente del Consiglio, Fanfani, a dire le sua, sulla legge speciale per le Calabria disse che, approvata nel 1955, divenne operante nel 1957 perché della Calabria mancavano persino le carte geografiche e geofisiche.
A Platì questa volta, bisogna andare con le carte in regola. E’ nell’interesse di tutti.

GAZZETTA DEL SUD, Anno XXXIV – Martedì 29 gennaio 1985

Nota - Questo articolo, come quello citato di C. Alvaro, era apparso su queste pagine il 7 ottobre 2011 come immagine, senza trascrizione ed un titolo diverso. Oggi, nel 67° anniversario di quel tragico evento, è un tributo alla penna di Antonio Delfino, che i pulinaroti si apprestano a commemorare. La  foto, tramite Francesco di Raimondo, appartiene alla famiglia Delfino.



1 commento:

  1. Scopro solo ora che i due inviati del "Mattino" di Napoli e "La Nuova Stampa" di Torino furono anche valenti critici cinematografici. Chissà quale film videro in quelle macerie!

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