Bianco: scoperti preziosi mosaici
In una villa romana sulla “106”
Interessantissimi lavori di decorazione
stanno per venire alla luce
in una diruta costruzione lungo la statale jonica, nei
pressi di Bovalino –
Il parere degli esperti
(Nostro servizio)
BIANCO, 9
Malaria, terremoti e saraceni furono ali antichi nemici dell'archeologia jonica. Quelli attuali sono gli archeologi! Dagli inizi del secolo ad oggi c'è stata una involuzione. La archeologia da trincea, allo aperto, ha ceduto il passo a quella da caminetto, da poltrona. La ricerca metodica, sistematica e scientifica non esiste. Le più recenti e sensazionali scoperte sono frutto del caso. Fenomeni di erosione che scoprono ruderi o lavori di scavo per opere pubbliche. Il teatro greco di Locri è stato scoperto per caso. Un gregge di pecore belava sotto gli ulivi. Una acustica eccellente riproduceva perfettamente i belati. Si scavò. Sotto c'era la cavea del teatro greco.
L'anno scorso sulla provinciale per Portigliola, nel demolire una vecchia casa, venne alla luce l'antica porta di Locri, da dove entrò Annibale. Non si fece più nulla. Da anni sulla statale jonica 106, tra Bovalino e, Bianco c'era un vecchio rudere. Il prof. De Franciscis disse che si trattava di una villa rustica o suburbana. Il muso di una scavatrice portò alla luce splendidi mosaici. Si lavorava per l’acquedotto del Bonamico. Pochi operai furono preposti allo scavo e, finiti i fondi, gli ambienti già scoperti vennero di nuovo sotterrati. Un fare e disfare vergognoso. Da pochi giorni il lavoro è ripreso, ma finirà venerdì. Splendidi mosaici sono venuti alla luce. Un mosaico perfetto che denota un grado di alta perfezione.
Un operaio con un fascio di lentischi toglie la sabbia ed appare una figura femminile a cavalcioni di un leone, un pampino e poi un'altra figura incerta. In un altro ambiente è possibile notare un sole, dai raggi a coda di pavone, mentre vicino alla piscina, sono disegnati grandi rosoni. Ci troviamo di fronte ad un grande complesso che si estende per circa 4.000 metri quadrati, dalla riva del mare alla collina, sovrastante di argilla. Secondo il parere degli esperti, la villa risale al I secolo avanti Cristo, rifatta poi nel periodo della decadenza.
Si trattava certamente di un ricco signore, dal livello di vita elevato. Certamente ci sarà pure il lato rustico per la numerosa servitù. La sistemazione definitiva della villa romana porterà un contributo notevole alla conoscenza della storia economica della Calabria, di un periodo molto oscuro. In questi ultimi anni sono state fatte molte scoperte. Soprattutto nella piana di Sibari, a Castrovillari ed a Gioia Tauro. Ma il ritrovamento di contrada Palazzi può ricostruire fedelmente la topografia delle ville romane esistenti in Calabria, ed appartenenti allo stesso periodo.
La decorazione pavimentale è perfetta. Molte suppellettili sono venute alla luce in un cunicolo, accanto a resti umani, qualche moneta indecifrabile e una decorazione parietale. Le cose trovate sono state portate al museo di Reggio. Gli archeologi del passato sono andati sempre alla ricerca di pezzi per fare belli i musei di mezzo mondo o per le collezioni private di ricchi mecenati. Mai si è pensato di riportare fedelmente alla luce un intero complesso lasciando sul posto i pezzi ritrovati. Portati lontano dal luogo della scoperta parlano un linguaggio diverso. Pochi operai lavorano agli ordini di un assistente. Una studentessa universitaria reggina prepara «in loco», una tesi sulle ville romane in Calabria.
Non poteva scegliere un posto migliore. Un dilettantismo archeologico che fa paura. Non fotografia aerea o rivelatore elettro-magnetico, non analisi chimica del suolo o metodologia geofisica, ma piccone e badile. Colpi secchi nei ruderi e carriole piene di detriti luccicanti al cocente sole. Venerdì il cantiere archeologico finirà di lavorare ed i mosaici saranno ricoperti da nuovi detriti. Non ci sono fondi. L'assistente tornerà a fare il custode del museo, la studentessa tornerà tra i libri e gli operai, sputando nelle palme delle mani, inizieranno nuove fatiche. Questa è l’archeologia jonica.
IL TEMPO, 10 settembre 1965
In apertura Antonio Delfino con Mons. Michele Alberto Arduino e tanti altri volti noti.
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