O professuri,
la spiga chi vinciu era di granu,
e nui 'ndi-'ndi futtimu i Don Peppinu
Sotto il segno della «Spiga con
foglia» si rompe con il passato, così sembra, e nel maggio del 1947 il Delfino, dopo alcuni mesi di carica, cede
la poltrona di sindaco ad un giovane della stessa lista: Ciccio Prestia. Il
Prestia fece notizia: fu il sindaco più giovane d'ltalia in quell'anno ed alla
sua scuola e a quella di Michele Crea si formerà politicamente Ciccio Catanzariti,
che diventerà poi sindaco e deputato al parlamento, nelle fila del PCI,
segnando un momento particolarmente felice nella storia amministrativa del
centro aspromontano.
In verità quella del '46-'47 fu
una battaglia aspra. La lista cattolica portò in processione la statua della
Madonna del Loreto, la patrona di Platì («a Madonna du Ritu») ma tutto apparve
inutile. Ben 500 voti distanziarono gli «eretici» dai loro «santi» avversari. Un
tripudio popolare con la spiga di grano appesa ai balconi del paese per diversi
giorni. Non mancarono le serenate consolatrici ai vinti (Don Peppino Zappia,
l'ins. Rosario De Marco). Qualche vecchietto mi intona i versi mentre si forma
un nutrito capannello di nostalgici e curiosi. « ... O professuri, la spiga chi
vinciu era di granu, e nui 'ndi-'ndi futtimu i Don Peppinu, u signurinu». Si passava
di poi sotto il balcone dello Zappia con una sola variazione: «’ndi-'ndi
futtimu du vostru vinu, o Don Peppinu, o Don Peppinu...!».
Passati i fumi del vino, la
concentrazione popolare si sfalda. Nel giro di qualche anno pressioni esterne
ed iniziative giudiziarie degli agrari costringono qualcuno della Spiga alla
defezione. Gli agrari prendono in mano il comune quindici giorni prima dell’alluvione
del 18 ottobre 1951 ed eleggono sindaco proprio Giuseppe Zappia. Il cataclisma
sconvolge il paese: diciassette sono i morti tra una popolazione sgomenta, atterrita
per il lento disfacimento della montagna sovrastante il paese. Domenico
Catanzariti, «u giarruni», padre del futuro sindaco e deputato, Francesco,
scrive alcuni versi per ricordare la catastrofe:
U diciottu ottobri chi doluri
Quandu li frani vittimu scindiri,
si riuniru muntagni e vagliumi
paria lu giudiziu universali.
Scrisse Rizzuti sul Mattino di Napoli «Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il cimitero, lo ha sommerso». «. . .Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra, perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte».
Dal balcone di casa Oliva lo statista tiene un comizio tra l'arciprete Gliozzi, l’on. Michele Murdaca ed il sindaco Peppino Zappia. C’è qualche contestazione popolare quando si arringa la folla paventando il pericolo comunista e gridando: «Il mostro comunista mangerà anche i vostri bambini ...». Domenico Catanzariti, mischiato tra la folla, risponde gridando: «Buum!». Accorrono i carabinieri e lo portano in caserma in stato di fermo e sarà poi lo stesso Capo del Governo ad invitare il Comandante della locale stazione a lasciarlo libero. De Gasperi, prima di partire, firma un assegno di un milione che consegna al Sindaco per i bisogni del popolo. Ma è proprio l'alluvione che determina lo sconvolgimento sociale di Platì. Un inesorabile processo di emigrazione che dissangua il tessuto economico platiese e dimezza nel giro di pochi anni la popolazione che contava più di 6.000 abitanti.
È un richiamarsi a vicenda; dall'Australia e dalle Americhe. Si abbandonano le campagne e conseguentemente i proprietari terrieri incominciano a perdere il loro potere. Furono in prima fila ad ostacolare il trasferimento dell'abitato di Platì che si voleva portare nella zona di S. Ilario dello Ionio. Si optò per il consolidamento. Con i contadini vanno via tanti bravissimi artigiani (in special modo sarti) cerniera sociale tra la borghesia terriera e la classe contadina: il vero collante insieme agli intellettuali (non pochi) della società platiese. (continua)
La foto introduttiva è nella rivista che contiene il testo di Gianni Carteri. La foto con il professore De Marco e lo zio Ciccillo e quella dello statista con lo zio e don Peppino Zappia sono una cortesia di Francesco di Raimondo. L'immagine con Ciccillo Prestia è già apparsa in queste pagine.
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