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martedì 24 gennaio 2017

Incontro (reg. Piero Schivazappa - 1971)


INCONTRO CON LA RAGAZZA
In aprile Giacomo s’innamorò. Una ragazza, che gli era stata presentata da un amico, gli piacque immensamente, ed egli decise di farle la corte. Cercò di incontrarla quante più volte avesse potuto, l’attese all’uscita dalla scuola di belle arti, dove frequentava il corso di pittura, la fermò, cosi, come per caso, e si mise a discorrere con lei.
Passeggiavano i due giovani e l’avvenire era lieto davanti a loro: egli le espresse i suoi sentimenti, ed ella parve convincersi. << Se è destinato, saremo insieme felici» gli rispose la ragazza; e in un impeto improvviso di fede, volle separarsi da lui, andare sola a pregare nella chiesa vicina. "
 Si trovavano ogni giorno, di mattina, per un momento, e di sera più a lungo. Di sera andavano fuori porta, sulla strada polverosa delle automobili, camminavano un po’, quindi attraverso il viottolo tortuoso, uscivano nell’aperta campagna.
Si dirigevano in un boschetto vicino: lì sotto la cupa verzura degli alberi si sdraiavano, e le mani nelle mani si raccontavano storie innocenti.
— Vediamo chi ha più forza, di noi due? -- le proponeva Giacomo; e voleva provare, come se dubitasse di sé.
- No, no, mi sciuperesti il vestito e i capelli!
— E cosa importa che ti sciupi i capelli? Non mi piaceresti lo stesso? Ed io con le mie mani non te li acconcerei?
-- Ed il vestito, dopo che si fosse sgualcito o strappato? Cosa faresti tu?
-- Ma no, che non si strapperà...
Faremo cosi, per ridere! Via, Adelina, non mi scontentare! Sii buona con me!
Seduti per terra, allora, si cingevano con le braccia; e facevano come per scuotersi. Ma poi egli avvicinava la bocca alla sua; ed Adelina, confusa, cedeva.
Si abbracciavano quindi più volte e liberamente; e si baciavano a lungo senza stancarsi; mentre voci non si sentivano. Ed il canto solo degli uccelli al tramonto, volanti festosi sugli alberi prima della notte imminente, squillava alto nel cielo.
S’alzavano i due giovani ed in fretta ritornavano in città. Parlavano di rado ora e i loro visi erano tristi. La malinconia dell’insoddisfatto amore, il mistero della vita che si rivelava nel chiuso delle loro anime, la delusione che segue le ore di intensa felicità e il pensiero del distacco fino al giorno dopo accompagnavano i loro passi.
Arrivati in città, il più delle volte si separavano per non essere riconosciuti; ma qualche volta Giacomo accompagnava la donna fino alla porta di casa; ed entrato nel portone, in silenzio e come un disperato s’afferrava alla sua bocca.
Fu felice quel tempo.
Ma passo troppo presto; perché Giacomo, che era studente ed ancora doveva aspettare un anno per laurearsi, fu costretto a partire per il suo paese.
Poi il padre cadde ammalato e mori.
Gli affari vennero meno, le passività aumentarono. Sua madre, avvilita, piangeva.
Giacomo dovette abbandonare gli studi e pensare di sistemare la famiglia; e intanto col pensiero alla donna lasciata, poco riusciva a concludere.
Le scriveva di ricordarsi di lui e di attenderlo; le prometteva di sposarla; la supplicava nel dubbio.
E perché ella non dubitasse delle sue capacità, le assicurava che anche senza la laurea avrebbe potuto trovare un buon posto; che avesse la pazienza di aspettare; e dopo, l’indugio sarebbe stato compensato dalla gioia di non dividersi più fino alla morte.
In principio, Adelina ricambio l’affetto e le ansie; poi comincio a raffreddarsi; e non sempre rispondeva per tempo. 
Intanto Giacomo non riuscì a fare nulla di buono; si mise nel commercio e non aveva attitudini; e un posto, non riuscì affatto a trovarlo.
Né la famiglia lo lasciava tranquillo: la madre sempre era afflitta e stordita, i fratelli piccoli avevano bisogno di guida. Giacomo, inceppato, non poteva partire per la lontana città.
Domandò allora alla ragazza come mai così presto si fosse stancata di lui: ancora non era passato un anno! E dunque? Non gli aveva voluto mai bene?
Adelina colse la palla al balzo; disperò di poterlo mai più rivedere e gli scrisse di non pensare a lei. Ella lo aveva amato, si; ma ora, colla lontananza, di meno. Voleva essere sincera.
Che pensasse lui a dimenticarla, come pure si sarebbe sforzata di fare lei.
Giacomo, disperato, le rispose supplicandola di scrivergli e di aspettare la sua venuta, prima di dire l’ultima e irrevocabile parola. Che non gli facesse il torto di mostrarsi ingrata e cattiva.
Adelina, gentile, rispose di no, che non poteva; e che ella era indegna di lui. Non le scrivesse più; egli avrebbe potuto trovare altre migliori di lei.
Giacomo alla lettera fremé. Non sapeva se sdegno lo avesse preso o continuo e rinnovato furore d’amore. Come un pazzo le scrisse di nuovo.
Ma Adelina non si fece più viva.
Giacomo voleva partire, voleva raggiungere la donna, pregarla di nuovo o insultarla, non sapeva bene.
Ma i disordini della sua amministrazione glielo impedirono. In quel tempo i mobili della sua casa gli vennero pignorati e venduti, un piccolo podere della madre messo all'asta e venduto per poche lire.
Giurò a se stesso di rifarsi la posizione e, cambiando genera di commercio, riprese il lavoro. I guadagni erano modesti, ma sicuri. Risparmiando sul mangiare e sul vestire, qualcosa poteva mettere da parte.
La casa a poco a poco si ricostituiva.
I fratelli furono mandati a scuola; e la madre, nelle pratiche di religione, trovava il conforto di cui aveva bisogno.
Nel lavoro e nella preoccupazione passò diverso tempo. Gli amici antichi della città s’erano squagliati. Egli loro scriveva e quelli non rispondevano.
Passò, ripeto, del tempo. Ma pochi anni, cosa erano in confronto della vita d’un uomo? E dell’eternità senza confini?
E com'è che nella vita di Giacomo tali anni avevano un così grave peso? Comè che si sentiva invecchiato e stanco?
Qualche capello grigio era spuntato sulle tempie; la faccia e la pancia erano ingrossate; il colorito, una volta cosi fresco, era vizzo; ed i capelli, i bei capelli ondulati della sua gioventù, erano scomparsi come per una raffica improvvisa.
Il suo cuore pure era vecchio e stanco. L’ amore più non balenava dinanzi alla sua immaginazione. E le speranze? E le illusioni?
Giacomo a poco a poco si era adattato alla sua vita mediocre; si contentava di umili donne del popolo che come un servizio gli offrivano l’amore, era rassegnato del suo stato modesto.
Aveva lasciato gli studi per sempre; e di -rado rimpiangeva di non essersi preso la laurea.
Né soffriva più per le abitudini della provincia: ormai le aveva fatte sue, e ci stava a suo agio. E commerciante tra commercianti adoperava il loro linguaggio grossolano, le loro frasi, le loro maniere.
Solo di tanto in tanto pensava alla bella Adelina, amata per cosi breve tempo e pur cosi viva nel ricordo: la vedeva sempre giovane e fiorente. E non immaginava che potesse essere sposa di altri.
L’ignoranza che egli aveva della vita di lei lo incoraggiava a sognare secondo il ritmo del passato; e la vedeva, ardita e splendente, andare insieme a lui nella campagna del suo passe. S’accorgeva della fantasia, e smetteva.
Ma una volta —- erano passati quasi dieci anni — Giacomo volle permettersi il lusso di prendersi le vacanze e fare un viaggio. Prese il biglietto e, partì per l’antica città della sua giovinezza.
Aveva curiosità di sapere la fine di Adelina. Con cuore trepidante andò a casa di lei. Non se ne ricordava bene.
Bussò, ed una donna anziana s’affaccio.
-- Abita qui la famiglia Cozzupoli?
-- No, chi desiderava?
-- Niente, o niente. E non sa dove si è trasferita?
— Stanno a Roma, ma l’indirizzo non lo so.
— E non conosce chi me lo potrebbe dare?
— No, proprio. E’ da diversi anni che son partiti.
— Grazie tante, lo stesso! – disse Giacomo; e non rimpianse troppo di non averla veduta.
Giro per altre città e si divertì finché finirono i soldi e dovette pensare al ritorno. Capitò a Roma dove solo per qualche giorno avrebbe voluto rimanere.
Si trovava solo davanti alla piazza della stazione, quando un signore elegante parve riconoscerlo; anche lui lo riconobbe. Era Enrico Piromalli, l’amico che gli aveva fatto conoscere Adelina, e di cui poi non aveva saputo più nulla.
 -- Chi si rivede?  Come stai? – gli disse l’amico.
-- Bene! E tu? Ti rivedo con tanto piacere! — rispose Giacomo.
— Senti! Ho da fare! Debbo andare all’ufficio! Non mi puoi accompagnare?
— Ma si — rispose Giacomo contento.
Parlarono del tempo trascorso insieme, degli anni di poi, delle seccature della loro vita presente. L’amico non ricordava gli amori di Giacomo, tante cose gli erano sfuggite, e questi non gliene parlo.
Arrivarono, così, dinanzi a un Ministero.
Ci vedremo a cena stasera? – disse l’amico – vieni a trovarmi a casa, segnati l’indirizzo. Ho sposato, sai, e sto bene!
— Si, verro, ma non vorrei recare disturbo.
-- Ti pare?
E si lasciarono.
La sera dello stesso giorno, Giacomo bussò alla porta di casa dell‘amico.
Venne egli stesso ad aprire. Il corridoio era splendidamente illuminato; mobili di lusso adornavano le stanze
—-Siediti, che ora chiamo mia moglie.
-- Si, si.
Dopo un po’ s’intese di nuovo la voce dell’amico. Altri passi si sentivano ai suoi.
 Giacomo si alzò dalla poltrona dove s’era messo a sedere.
— La conosci? '-- gli disse l’amico ridendo; e gli batté una mano sulla spalla.
Comparve una donna, giovane, fresca, dall’acconciatura elegante. Col sorriso sulle labbra, agile di corpo e snella come un animale selvatico, gli fu davanti.
S’avvicinò a lui, gli- stese la mano.
Egli divenne pallido e s’appoggiò al braccio dell’alnico; il cuore gli sembrò uscisse dal petto; temé di cadere; perché la bella donna, di cui toccava tremando la mano gentile, non era che la sua fidanzata per sempre perduta.
  Mario e La Cava
Pubblicato su IL MESSAGGERO nel 1941

Nota. Questo ritaglio, come quelli riguardanti Francesco Perri, fa parte dell’archivio di Ernesto Gliozzi il vecchio. Anche se i bovalinoti ora mi daranno addosso, consideriamo, causa i suoi antenati, Mario La Cava uno scrittore platiotu, aggiungendolo al nostro “Pantheon” di glorie paesane,  mi pare anche, che le note del Maestro rendano bene gli affanni di Giacomo in questo racconto poco noto. 

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