Un campo sportivo che non fu mai costruito
A Platì, nel cuore dell'Aspromonte,
i ragazzi aspettano da anni
un posto dove fare sport,
ma, in una realtà sociale irta di difficoltà,
questo viene ritenuto ancora
un problema di importanza minore
Valerio Giacoia
Siamo a Plati, paesino situato nel mezzo, tra il
leggendario Aspromonte, conosciuto ai più solo come rifugio e terra di
briganti, prigione di sequestrati, e il mare dello Jonio calabrese, quello dei
bronzi, dello stesso colore che narrava Omero. La zona, in provincia di
Reggio Calabria, è proprio quella che batterono i figli di Zeus dall'ottavo
secolo avanti Cristo in poi.
Tutto qui rimanda alla Magna Grecia: l'aria che si
respira, il mare, i resti dei santuari e, soprattutto, l'ospitalità della
gente. Come allora, pur sconosciuto, l'ospite è sacro. Ci accolgono, per loro è
un giorno di festa. Per arrivare a Plati, dal nord, abbiamo attraversato, lungo
la statale ionica, tanti paesi e grossi centri, simili tra loro e uniti dallo
stesso destino: quello riservato, ai luoghi del sud, quello veramente profondo.
Nessuno può negare che qui lo Stato è per certi versi troppo lontano. Chi viene
da queste parti per la prima volta non può fare a meno di restare affascinato e
al tempo stesso sconcertato. Lungo la costa, mossi appena dal vento, gli agali;
stanno lì a osservare il mare e le spiagge, solitarie le lunghissime. Sull'asfalto
della statale, invece, ogni due passi un posto di blocco dei carabinieri. Si resta
allibiti per la quantità. E segno che le cose non'vanno spesso per il verso
giusto. Quando chiediamo il perché, nessuno ci sa rispondere. Loro sono
abituati.
Passiamo da Riace, città dei bronzi melanconicamente
dimenticati, arrivando in pieno sole a Bovalino, sul mare. A una quindicina di chilometri verso l'interno
c'è Platì. A Bovalino ci attende Domenico Marando, avvocato, che ci guiderà su
per quella che lui chiama «una buona strada».
Verifichiamo di persona ciò che ci aveva raccontato al
telefono: a Platì non c'è nulla. Oltre alle case, spesso ancora grezze, neanche una piazza che possa così
chiamarsi. Nelle stradine del paese si sta in gruppi; parlano e gesticolano i
vecchi, sulla testa il cappello, e i ragazzi in giro oppure al bar. Qualcuno lo
incontreremo sull'Aspromonte, a guardare le capre, in solitudine. Altri, chi ha
la macchina, fuggono a Bovalino; lì trovano la vita, le ragazze. Non esistono
ulteriori occupazioni. Molti, ad esempio, non sono mai andati al cinema e l'edicola più vicina e situata
fuori dal paese, non si sa bene dove.
L'avvocato Marando scrisse alla nostra rivista qualche
anno fa, denunciando queste e altre cose. I ragazzi di Platì non hanno nemmeno un posto dove andare a giocare.
Una breve indagine e scopriamo che è proprio vero. Un campo di calcio non è mai esistito. Una
palestra, poi, è fantascienza. Perche? «Trenta
anni fa - dice un ex assessore allo sport - ricordo che a Platì c'erano addirittura due squadre di calcio. Una
specie di Guelfi e Ghibellini, in continua rivalità ovviamente sportiva. II
calcio e lo sport rappresentavano tanto per noi. Poi è venuta I'alluvione, nel
'51, e ha portato via tutto. Avevamo il campo, ora i ragazzi sono costretti a
giocare per le strade, le donne gli urlano dietro perché rompono i vetri.
Intanto cosa si può fare? Se gli togli anche il pallone, che fanno?››.
L'avvocato Marando va oltre. Lui fondò - qualche tempo
prima di scrivere a Sportgiovane - un
gruppo denominato «Alfa››, che riuniva
un buon numero di giovani; aveva coinvolto quasi tutti. Marando ebbe un'idea coraggiosa;
tra mille difficoltà, infatti, tentò pian piano di far capire ai propri concittadini
che i ragazzi di Platì non potevano continuare a restare fuori dal mondo. Al Gruppo Alfa ci si batteva anche per il
campo sportivo. Domenico Marando, pur in totale solitudine e con seri problemi
fisici (fu colpito dalla poliomelite a 18 mesi), non si diede per vinto, almeno
per un po'. Condusse e vinse la battaglia per l'installazione del
ripetitore RAI. «Naturalmente nessun
elogio, nessun umano riconoscimento», come si legge nella lettera inviata
alla nostra rivista il 30 luglio 1982.
«Io penso però
che è sempre meglio un po' di bene - continua - anche se si ha la certezza di
essere mal ripagati, piuttosto che non fare niente e attendere che facciano gli
altri. In questa direzione, secondo quest'ordine di idee si sta muovendo il
Gruppo Alfa... Ora vogliamo intraprendere la lotta per il campo sportivo e
pertanto chiediamo a Sportgiovane di appoggiare la nostra iniziativa. Questa
deve essere la risposta civile a quella gente matura-immatura che sa solo
protestare quando vede i ragazzi per strada che tirano quattro calci al
pallone. A Platì è necessario il campo sportivo››.
Noi rispondemmo, promettendo di occuparci del «caso»
Platì non appena possibile. E passato del tempo.
Abbiamo volutamente lasciato trascorrere degli anni,
per vedere cosa ne sarebbe stato del campo sportivo, del paese, dei ragazzi del Gruppo Alfa. Ora siamo qui,
abbiamo conosciuto l'avvocato che scrisse tanto appassionatamente quella lettera. Senza dubbio un avvocato
povero. Abita con i suoi, una casa modesta, uno studio che per nulla ricorda gli studi ai quali
siamo abituati.
«Non guadagno,
facendo tutte le somme, neanche un milione al mese - dice, col sorriso sulle
labbra - ma non mi lamento troppo. E poi, cosa devo farne...››.
Marando non nasconde il fatto di non essere ricco,
come lo sono altri colleghi. Per lui è motivo di orgoglio non lamentarsi, accettando quello che la vita ha
potuto offrirgli.
«Le cause non ci
sono - ci spiega - e quelle poche che ci sono magari non me le assegnano. Poi,
per certi versi, sono anche un personaggio scomodo, perché dico e faccio quello
che penso, nella mia condizione di handicappato››.
E la «causa» del Gruppo Alfa e del campo sportivo?
«Vede, uno non
può annullarsi completamente per gli altri, specialmente se ti accorgi che, in
fondo, stai lottando da solo e sei anche criticato ››.
Queste parole ci lasciano un po' sorpresi, ma capiamo
perfettamente. Domenico Marando ha fatto ciò che ha potuto. ll Gruppo Alfa non esiste più. La
biblioteca, la cineteca, il campo sportivo, tutti sogni nel cassetto di un uomo
coraggioso, onesto, estremamente altruista, ma troppo solo.
«l ragazzi
cominciavano a seguirmi - racconta sconsolato e quasi scusandosi con noi per
non avere avuto la
possibilità di accoglierci in una Platì diversa - mi accorgevo che si interessavano
alle attività che gli roponevo. Avevo costruito piano piano una piccola biblioteca,
con volumi che richiedevo direttamente alle case editrici, pregando di
inviarceli gratuitamente. Spesso riunivo i ragazzi per la visione di un film,
di un documentario, poi ognuno doveva dire la sua; ci raccoglievamo per fare lo
sport. Cercavo di spiegare loro che stando assieme, iocando, anche con un po'
di agonismo, potevamo lasciare fuori dalla porta I mali che affliggono tanti
giovani. Lo sport può fare grandi cose per ragazzi di un paese che potrebbe
coinvolgerli in
tutt'altri affari››.
Quali? Platì appartiene a una delle province più
turbolente d'ltalia. Mario La Cava, scrittore e giornalista, scriveva il 19
febbraio del 1986 sul Corriere della Sera: «...Bisogna ricordare che Platì non fu mai un paese di agnellini: la sottigliezza,
sfociante a volte nella furfanteria, era proverbiale nei paesi della Locride...››.
L'articolo si intitolava «L 'antico cuore
perduto di Platì››. Un ex cittadina modello, così la ricordano Marando e gli amici, famosa per l'artigianato
e per la laboriosità dei suoi abitanti. L'alluvione del 1951 portò via tutto,
lasciando Platì senza forze. Da allora, come dicono, il declino.
Ma un figlio di quel «cuore» ora «perduto››, Domenico
Marando, aveva cercato di cambiare le cose, che non andavano e non vanno bene non
solo per colpa di calamità naturali, ma per la difficile mentalità dei più. «A un certo
punto mi sono accorto che era inutile - prosegue l'avvocato - i risultati erano
scarsissimi, e i ragazzi erano anche ostacolati dalle famiglie. Il campo
sportivo che tanto avevamo sognato non fu mai costruito. Ero stanco e afflitto,
così decisi di mollare tutto e pensare di guadagnare qualche soldo per me››.
- Perché al tempo del Gruppo Alfa si rivolse a noi?
Qui Marando ci dà una risposta che lascia intendere
molte cose:
«Questo non è un
paese dove lo sport non si può fare perché non esistono impianti, nemmeno un
campo di calcio,
anche piccolo; qualcuno pensa di fare qualcosa per la sua gente, affinché i
giovani restino lontani dal male
che ci circonda, ma non ci riesce. Per questo mi rivolsi a voi, a una rivista
che tratta anche di questi problemi, al Coni. Credevo di rivolgermi al Padreterno››.
«Sono d'accordo
che lo sport sia una cosa importante per i nostri ragazzi - ribatte il
Sindaco di Platì, Natale Marando, parente dell'avvocato - ma qui mancavano ' strutture primarie, come luce, acqua e strade.
Abbiamo dovuto pensare prima a queste cose ››.
ll progetto per un campo sportivo è stato fatto,
presentato e - a quanto dice l'ingegner Gelonesi di Bovalino- approvato dalle autorità
competenti:
«Credo che Platì
avrà al più presto il suo campo ››, dice pieno di ottimismo. Il Sindaco è
dello stesso parere, ma ci tiene a ribadire che qui mancano «certezze sociali»
più importanti.
Domenico Marando, invece non ci crede: «Sono completamente pessimista, ma con
immenso dispiacere».
Nota
Dei giornali nazionali, tra tutti gli inviati (qui invitato) Valerio
Giacoia è stato il più onesto, illuminato, sia per il motivo di base
dell’investigazione (un campo di calcio) sia per chi in paese, novello
Virgilio, lo aveva accolto e guidato: Mimmo Marando. Oggi questa riedizione
vuole essere un omaggio a quest’ultimo ed in particolare un’esortazione agli
amici pulinaroti affinché dal rintracciato fallimento di un’esperienza traggano
motivo per un coinvolgimento che escluda qualsiasi perdita d’animo come di
intenti, per portare avanti gli obiettivi prefissati in statuto, sfidando chi
questo esperimento di ribaltare le sorti del paese pensa che non durerà.
Per tornare a Valerio Giacoia ed alla testata che lo aveva incaricato, Sportgiovane, importante è l’analisi
fuori dal coro, di quei tempi andati e di quelli contemporanei, che questi fa
delle condizioni, chiamiamole morali, in cui si trovava il paese, analizzate
senza nessun pregiudizio come presupposto mediatico che portasse ad additare un
territorio ed una comunità come dei farabutti, compresa la guida spirituale,
che vi ricordo, in quel tempo, per
usare un’espressione rituale, era lo zio Ernesto il giovane.
Nella foto i ragazzi del Gruppo Alfa con Mimmo Marando alla sinistra e
lo zio Ernesto in centro.
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