Oggi è la volta del pezzo di presentazione, Siamo fermi al 1951. Sono parole emblematiche, ancora valide, ma, quello che più mi preme farvi notare, è la somma dei tradimenti con cui la realtà si scontrava e che non poteva dare origine a quanto è accaduto successivamente. E continua ad accadere ancora in questi giorni.
Siamo
fermi al 1951
PLATI', 9 - Dal 1851 al 1951 la popolazione di Platì era
aumentata con un ritmo più che proporzionale passando da 1635 abitanti a 4411,
tenendo conto delle guerre, emigrazioni, terremoti, mortalità ed altri fattori
che hanno influito sulle statistiche demografiche.
Sino al 1951 la popolazione per il 74 per cento si dedicava
all’agricoltura, mentre la rimanente parte ad altre attività. I redditi, pur
non essendo eccessivi, si contenevano in limiti di benessere. Fiorivano le
piccole imprese artigiane; i raccolti agricoli erano ottimi; i traffici ed i
commerci erano intensi, sicché ci si avviava verso un miglioramento delle
condizioni di vita.
Si arriva all’alluvione dell’ottobre 1951 che segna una data importante
nel destino di questa gente.
I morti furono 17; campagne devastate, colture distrutte, strade scomparse;
due terzi delle abitazioni invase dai detriti, raccolti perduti e redditi
nulli.
Vennero i primi soccorsi, si apprestarono i primi interventi di
emergenza che si rilevarono sin dall’inizio d’una provvisorietà sconcertante.
Si erogò l’assistenza in varie forme ma con metodi paternalistici.
Tuttavia il governo stanziò dei fondi che dirottarono verso altri
centri, in seguito
a varie pressioni di ordine politico.
La popolazione di Platì, che aveva subìto perdite umane rilevanti e
danni materiali non estimabili, ebbe la più esigua parte.
Finché la Cassa per il Mezzogiorno(come nella classica favola della
montagna che partorisce il topolino), nella compilazione del piano regolatore
di massima per la Calabria, incluse il territorio di Platì nei bacini di V categoria
(che è poi l’ultima), con una dicitura alquanto amena:
“ Bacino molto dissestato, con
interventi da effettuare soltanto per fini sistematori locali, in rapporto a
situazioni di emergenza per la difesa di particolari interessi pubblici “.
Quali fossero questi “ interessi
pubblici “ dovevamo saperlo più tardi, quando la Cassa devolse per la
sistemazione idraulica dei terreni attraversati dalla statale 112, 319 milioni,
già destinati alla bonifica del Careri.
Così il paese dal 1951 è in completo abbandono, la popolazione, in un
decennio (1951-1961), ha subito un decremento, le campagne sono abbandonate; i
numerosi torrenti (specialmente l’Acone, Mannara e Sanello) vagano liberi in
nuovi terreni ulivetati, completando l’opera devastatrice. La statale 112 è
chiusa al traffico dal 1951, frane e valanghe si accentuano sui fianchi
montani.
Aumentano le emigrazioni transoceaniche
(nel 1961-62 164 unità), mentre quelle interne ed europee si mantengono
con oltre 550 unità fluttuanti.
Mancano le iniziative individuali per l’insicurezza del domani in
questa valle soggetta a disfacimento. Le opere pubbliche fatte e che si fanno
sono improntate alla più netta provvisorietà. Abbondano i “ cantieri scuola “,
che disamorano l’operaio al lavoro. Però le tasse le contribuzioni arrivano.
Appunto da queste conosciamo nel nostro territorio di Enti di Bonifica.
L’illustre professore Bandini definisce l’opera di questi enti consorziali come
“ l’insieme armonico di tutti gli
interventi che si attuano su un territorio per portarlo ad un grado superiore
di produttività “.
Tralasciando il fatto che spesso il tutto è disarmonico e irrazionale,
possiamo affermare che i consorzi di bonifica sono strumenti creati dallo Sato
per sviluppare le infrastrutture necessarie allo sviluppo economico e sociale
delle popolazioni.
Quali infrastrutture necessarie sono state create in questi anni se non
qualche opera pubblica di lieve entità? E se opere pubbliche non sono state
fatte, come si giustificano i tributi che la popolazione paga a questi due
Enti?
La popolazione di Platì è stanca: Ha bisogno di fiducia. Occorre creare
“ ex novo “ un piano di sviluppo per il paese, con la creazione di opere
pubbliche di vasta portata che esulino dalla frammentarietà. Abbiamo bisogno di
una sicurezza naturale, presupposto alla sicurezza economica.
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