INTERVISTA
CON
FRANCESCO F(P)ERRI
Non appena mi venne sotto l’occhio l’annuncio del nuovo romanzo di
Francesco Perri (Il discepolo ignoto),
romanzo che a giorni vedrà la luce coi tipi della casa editrice Garzanti, mi
sovvenne del lungo lavoro di ricerca e di studio che lo scrittore aveva fatto.
E me ne risovvenni perché, curvo lui, in quel tempo, sui tomi antichi, curva io
sui vecchi libracci, ci eravamo incontrati più e più volte nelle severe aule
delle biblioteche cittadine. Facevamo entrambi delle ricerche. Questa frase che
al lettore profano sembrerà forse convenzionale, è per noi studiosi, profonda
di significati: fare delle ricerche significa studiare lentamente, attentamente
il clima storico, l’aura sociale, l’atmosfera umana nella quale si devono
muovere i nostri personaggi. Che erano, e quelli a cui Perri dedicava i suoi
studi ed i miei, personaggi storici. Diversamente storici, si capisce: ma
ugualmente basati sulla conoscenza profonda del loro modo di essere.
Quando solevo incontrare Perri nelle biblioteche milanesi, egli forse
non aveva ancora cominciato a fissarsi su questo o su quel episodio del
Vangelo, ma io sapevo che tutta la sua anima tendeva a realizzare quello che si
potrebbe chiamare un sogno spirituale: trovare cioè il nucleo di una bella
favola sacra che gli permettesse alla maniera antica di raccontare con stesura
ampia, con respiro largo, un bel racconto.
Poi seppi che aveva trovato l’episodio, che ne approfondiva i
particolari, che leggeva i testi sacri per meglio addentrarsi nell’atmosfera
del tempo, che già, nella sua fantasia, la vicenda si allargava, prendeva la
consistenza e la forma di romanzo: seppi che il lavoro di creazione era
cominciato, ferveva.
E, naturalmente, persi di vista Perri: egli chiuso nel suo compito, io,
sempre alla ricerca storica dei miei personaggi antichi, girovagavo un po’ per
gli archivi d’Italia.
Ma ora che ho saputo pronto il romanzo, ora che ho visto gli annunci,
mi sono affrettata a chiamare Perri, a intervistarlo. Volevo sapere come egli
avesse condotto il suo lavoro; che criteri lo avessero guidato, quali
sentimenti lo avessero animato.
Per questo le domande che gli rivolgo sono poche ma a mio parere
essenziali.
- Quale è l’episodio saliente che vi ha ispirato? Chiedo.
-Un episodio descritto da San Marco, nel suo Vangelo, egli mi risponde,
quell’episodio là dove narra dell’arresto di Gesù nell’orto del Getsemani, là
dove l’Evangelista Marco dice: allora
quelli - i soldati - misero le mani addosso a Gesù e lo
arrestarono … E tutti lo abbandonarono e fuggirono. E un certo giovane lo
seguiva ravvolto in un lenzuolo sul nudo, e lo presero, ma egli, lascito il
lenzuolo, se ne fuggì ignudo.
-E’ dunque il giovinetto ignoto, il discepolo senza nome, il
protagonista del vostro romanzo? È la mia domanda.
-Si, mi risponde Francesco Perri, è attorno a lui che si impernia la
mia vicenda: Il romanzo consta di tre parti: nella prima ho voluto descrivere
la vecchia Roma imperiale di Tiberio. Ed ecco il perché delle tante mie
ricerche che voi avete seguite. Volevo che la rievocazione della Roma imperiale
fosse colorita, ricca di particolari, ed anche qui fu necessaria una
particolare preparazione che mi permettesse di fare rivivere, non
superficialmente ma con cognizione di causa, il clima palestinese del tempo. La
quarta ed ultima parte culmina con la passione di Cristo di cui il giovinetto
romano, che a volerla risentire in maniera si farebbe, oltretutto, un peccato
di lesa bellezza spirituale. Ma ho voluto attenermi alla tradizione evangelica
soprattutto perché vi è nel mio romanzo l’intenzione di richiamare gli uomini
alla fraternità, a quel senso di luminoso amore che fu la dottrina di Cristo.
-Avete quindi data intonazione religiosa al vostro libro?
-No, non fraintendetemi: il mio è un romanzo, un romanzo vero e proprio
con una trama appassionante, avvincente, amorosa anche. Un romanzo
dall’intreccio ampio, vivace, anche se rivissuto su fondo storico. Ma è un
romanzo nel quale il pittoresco non offusca la verità secondo i Vangeli, nel
quale il largo disegno fantastico rispetta consuetudini ed usi del tempo, nel
quale una folla di personaggi lotta, vive, ama, soffre. Un romanzo diremmo di
masse, scritto anche per riportare la prosa nostra a quel pieno, caldo senso
che qui dava la narrazione antica, quando raccontare voleva dire narrare con
poesia ed amore a bella favola. Spero di essere riuscito nel mio intento.
Rassicuro Perri: queste sue momentanee titubanze di artista che ha
appena compiuta la sua opera, che se ne distacca con difficoltà e sofferenza,
che la segue ancora come una creatura viva, sono comprensibili. Egli è ancora dentro al suo lavoro e lo risente in sé,
fortemente. Lo rassicuro perché so, credo, sono convinta, che l’opera sia
bella. Lo rassicuro perché conosco l’aspettativa che vi è di essa nel mondo
letterario e perché sento nelle sue parole ancora un afflato di quella poesia
umana e cristiana che lo ha ispirato.
Titina Strano
LA GAZZETTA – 10 marzo
1940 Anno XVIII
Nota
Nell’ inchiesta sulla letteratura del 2 febbraio 1939 Francesco Perri
annunciava un nuovo romanzo, del quale a
suo tempo se ne parlerà, eccolo: Roma imperiale, masse, littori, e forse,
littorine. Mah !, forse è meglio il silenzio che auspicava un'acuta redattrice di elevato spessore culturale.
Prima di dimenticarlo, fatevi un giro di web per scoprire quanto andava
cercando la Titina, curva sui vecchi
libracci … nelle severe aule delle biblioteche cittadine.
Tranquilli, tutto questo è materiale che servirà a quanti studieranno
nel prossimo futuro, svincolati da parentele, amicizie, fastidiosi brontolii di fondo, blogghi, giornali cartacei, quotidiani on line, faccebucche, sentito dire.
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