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lunedì 28 novembre 2016

Partire è un po' morire (reg. Giacinto Mondaini 1951)


P A R T E N Z A

( D a l  v e r o )

Giovanni Virgara

Le campane della Chiesa Matrice suonavano a festa mentre un concerto musicale allieta le vie di un piccolo paesello calabrese.
Sperduto tra i monti, sprofondato nell’imo di una valle, circondato da amene campagne, ed allietato da diversi rumorosi torrenti,il villaggio ha sempre una pace quasi claustrale. Ivi non vedesi mai il fumo nero di una locomotiva, non si ode mai il rumore del gran serpente nero che corre, corre, corre e riunisce tanti paesi, riunisce tante città, mette in comunicazione tanti cuori.
Ivi non si vedono tranvai, non sontuose macchine, ma bensì si scorge di tanto in tanto qualche piccola automobile, quotidianamente il servizio postale.

Quel giorno era festa …!
Si solennizzava la Protettrice della Confraternita del paese: La Vergine del SS. Rosario.
La giornata era splendida; il sole sorrideva coi suoi raggi indorati mentre un lievissimo venticello accarezzava leggermente il viso del passeggero.
Le campane suonavano a festa.
Una scarica di mortaretti annunzia il principio della processione del Simulacro della Vergine.
Sopra i balconi tutti vi si sporgono gettano fiori in gran copia e segnandosi recitano mentalmente devote preghiere.
Tutto il popolo segue devoto l’Immagine, formando un lungo corteo. Là sul bianco verone, si vede un rosso visino, circondato intorno intorno da una corona di biondi capelli trattenuti da un azzurro nastrino.
Due occhi cerulei splendono come due fari luminosi ed un dolce sorriso corona la sua rosea bocca.
Al passar del simulacro pian piano inginocchiossi e devotamente recitò una breve preghiera, mentre la processione seguì lentamente il suo svolgersi.

Un’altra scarica di mortaretti annunziò il ritorno nella Chiesa della Statua.

E’ suonata l’ora tredicesima, altri due minuti e l’ AUTOBUS si accingerà a partire.
Vestita con la sua vestina bianca, con in testa il suo bianco cappellino, e col suo solito sorriso sulle labbra si asside sur un sedile mentre scendono giù per le gote due grosse lacrime lucenti.
Un altro momento … E … ADDDIO! ! ! !

Là nel rumore della città, nella Capitale del mondo forse ti si dimenticata del tuo povero Vanni …

Forse mentre le ore passano veloci, mentre i giorni si susseguono ai giorni, tu hai altri pensieri, forgi altre idee … Quei pensieri che un giorno erano diretti ad una sola persona, adesso vagano altrove; il tuo sorriso che coronava sempre la tua rosea bocca e col quale affascinavi chiunque osava mirarti, adesso forse è diretto ben lungi; i tuoi occhi cerulei che sempre mandavano dardi d’amore, adesso forse mirano un altro volto più bello, un altro viso più affascinante.
La tua voce squillante che notte e dì non si stancava mai cantando le belle canzoni d’amore e pronunziando quel nome fatale, adesso pronunzia altri nomi, canta altre canzoni, dice altre ben diverse parole …
Quelle tue bianche manine che tanto spesso erano il mezzo per poter essere un momento insieme, giocando coi nostri diversi giuochi, adesso forse sono il mezzo per avvicinarti ad altre persone …
Ah! Grande illusione! Ma amore è sempre amore, il primo amore non si cancella mai … Primo amore eterno amore.
Invano la lontananza tenta di farmi dimenticare la tua dolce fisionomia; Invano tenta farmi scordar quel tuo volto angelico. Invano i cento chilometri tentano spaventarmi con la loro lunghezza; nulla, nulla è capace farmi dimenticare te, i tuoi occhi, i tuoi capelli, il tuo dolce sorriso …
Vani sospetti di quando in quando passano per la mia mente e cercano soffermarsi e farmi dubitare …
Ma il pensiero fugace vola immediatamente a te, e tutto passa tutto ritorna come prima.
Ed io t’amo. T’amo d’una amore vero e sincero, t’amo dello stesso amore che ‘amai la prima volta, ma rinforzato ed alimentato dalle sofferenze e dai sacrifici; t’amo di quello amore che non si spezzerà giammai, e che durerà in eterno. Passano le ore, passano i mesi, passano gli anni, ma non passerà giammai il mio ardente amore per te.
MARIA! A nome sì caro il mio cuore sussulta, il respiro mi si sofferma, e tutto il mio essere si concentra nel pensiero di te, obliando il tempo che fu-
Ah ! Diletta, l’animo mio non si sazierà mai del tuo amore, sempre ti cercherà, ed andrà ramingo finché non ti avrà posseduto, finché non ti avrà stretto a sé, finché non ti avrà trasfuso tutto l’ardore che continuamente l’infiamma e lo strugge.
Il mio cuore sarà il tuo cuore, la mia anima sarà la tua anima, il mio tutto sarà il tuo essere stesso.
Io e te saremo una cosa sola, un essere solo, un’anima sola …

F I N E


Nota
Di Giovanni Virgara si sono perse le tracce. Lasciato il paese per la Sicilia (Palermo, Trapani) vi faceva ritorno solo occasionalmente. Quello che so è che la casa dei suoi familiari era dalle parti del ponte. Fu poeta primariamente, narratore occasionalmente. Di ogni sua pubblicazione faceva dono allo zio Ernesto il giovane, che non mancava mai di passare a salutare nei suoi ritorni sempre più sporadici. Come il Leopardi si struggeva per Silvia il nostro Virgara si perse dietro Marietta, sua coetanea platiota, che di lui non ne voleva sapere. Marietta lasciò anch’essa il paese e a Giovanni Virgara non rimase che rimembrarla con i suoi versi.


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