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mercoledì 9 novembre 2016

Qualcosa è cambiato (reg.James L. Brooks -1997)

Arrivo per la presentazione del libro di Michele e una notizia, quanto mai inaspettata, mi viene catapultata in petto: Micuzzu ha lasciato il suo posto di sacristianu. Durante l’incontro, nel fu Cinema Loreto di Platì, attraverso la finestra con vista sul balcone di casa sua, spero si manifesti per un istante. Tale sarebbe stata la mia letizia; niente, solo una sfuggevole Marietta. Siamo alla frutta! Lo dico perché la figura che egli rappresentava è stata l’istituzione più longeva, per quel che io ricordi da quando gattonavo in chiesa. Nel momento in cui tutto segnava il passo, i parroci, i reggenti la parrocchia, i casuali aiuti mandati da Locri, ma anche quanto attorno a lui accadeva, dai battesimi, ai matrimoni, ai funerali, alle solennità festive, si era certi che dalla chiesa Micuzzu non sarebbe svanito. Ancora: quando il coro non esisteva era sua la voce che intonava assieme all’officiante, così come la squilla era diversa quand’era lui a tirare le corde per messe, angelus o mortorio. Micuzzu è stato anche un’icona al pari di quella di San Paolo assiso su uno degli altari della navata sinistra e come il santo egli faceva fronte col mondo secolare che scalpitava fuori ed i cui rumori massacravano finanche i più semplici rituali ivi celebrati.
Quel mondo secolare l’ho sempre visto come un qualcosa di staccato dagli influssi sacri, per i marcati e distinti colori che si avvicendavano in municipio ma, se ci pensate, anche per le diverse posizioni occupate: il municipio al di sotto la via XXIV maggio, la chiesa al di sopra. Quasi una linea di confine quella carrozzabile, una demarcazione che nessun prelato o sindaco osasse attraversare senza il relativo capo abbassato che era anche una disposizione. Gli unici ad valicala a testa alta erano i novelli sposi, con il loro corteo di testimoni, parenti, amici e le consuete ciurme di bambini, il loro vociare cristallino attirava gli sguardi dei più distratti, che dopo il rito in Comune si avviavano, tutti vestiti in abiti freschi di lavanda, verso la chiesa per fissare la data del vero obbligo, anche morale, dell’uno verso l’altra e viceversa. 
Le opere e i giorni hanno cancellato ogni officiante comandato ai rituali laici o divini. Viepiù che il prelato incaricato dalla curia non è un nativo che parla lo stesso idioma del paese, limitato a subire le interferenze di chi occupando la carica di primo cittadino ha dimenticato, per la maggiore onestà e fedeltà del compito affidatogli, di lasciar in sacrestia le cariche ricoperte in quel contesto.
Nei tempi dei miei ricordi, gli zii Ernesto e Ciccillo pur avendo avuto come compagni di gioco quanti andavano a sedere in consiglio comunale, tenevano cara la loro autonomia o, se preferite, non ingerenza pur avendo la stessa fede politica, talvolta indotta, e così in senso contrario. Quando, anche il primo cittadino, di color rosso peperoncino, teneva all’amicizia ed al rispetto del prelato figlio di famiglie che, seppur avverse politicamente, sedevano insieme nei banchetti lieti o tristi della vita. E nessuno, qualsiasi fosse il suo schieramento, avrebbe ardito portare la fascia tricolore nella processione della Madonna di Loreto o di San Rocco. 


Nota
Questo scritto apparso sulla rivista in Aspromonte nell'ottobre scorso era stato redatto nel mese di giugno. La realtà ha superato la fantasia perché ho l'impressione che ci avviamo a divenire macchiette per un qualunquemente film con l'albanese di turno.
Nella foto in BN, sotto il vigile sguardo dello zio Ciccillo e di mons Minniti, Toto Delfino bacia l'anello a  mons. Michele Arduino che resse la Diocesi di Locri-Gerace dal 1963 al 1972.



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