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martedì 23 maggio 2023

The Silver Chalice [di Victor Saville - 1954]


L’odierna pubblicazione la devo a Domenico Jermanò che giovanissimo per com’è, oltre a rincorrere per mari e monti la “Regina Angelorum”, si affanna a mantenere vive le tradizioni ecclesiastiche platiesi. Il calice, ben più prezioso del titolo in apertura, che nella base porta incisa la dicitura Il Cav. Francesco Oliva fu Rosario alla Madonna del Rosario – Platì Aprile 1905 è una sua scoperta. Le notizie sul donatore sono poche: figlio del citato Rosario e della nobildonna Marianna Morabito nacque a Platì il 29 marzo del 1852. Lasciò il Paese per stabilirsi in Gerace dove sposò la ventunenne signorina Francesca Serafina Maria Ferrante il 7 aprile del 1890 ed in quella cittadina visse. Lasciò le spoglie terrene il 22 aprile del 1939 a 87 anni.

 

 

lunedì 15 maggio 2023

I COSPIRATORI [di Martin Ritt - 1970]

Pasquale Miceli

Tra le vecchie notizie concernenti il territorio di Platì viene segnalato in rosso l’anno 1848. Le cronache dell’epoca – oggi polvere all’Archivio di Stato di Reggio Calabria – riportano l’episodio dei Piani della Corona, coinvolti centinaia di braccianti, mulattieri e foresi, alcuni pagarono solo per aver espresso vicinanza ai moti, la polizia borbonica di Pasquale Miceli ne fece agnello sacrificale.

Figlio di mulattiere, da bambino aveva perso il padre per il morso di una vipera, crebbe analfabeta come tutti gli appartenenti al suo ceto, ma sapeva fare di conto grazie al prete che gli impartiva la benedizione e pure le tabelline.
Ai Piani della Corona tra faggeti e pinete una fiumana di persone si dava convegno a parlamentare di rivoluzione e ad attendere Agostino Plutino e Casimiro De Lieto, fautori in Calabria del rovesciamento di regime nel costituire il provvisorio governo antiborbonico. Le milizie borboniche però seppero, della presenza di Miceli e di altri accoliti. Le indagini fecero appurare dello spirito utopistico e demagogico dell’indagato, anche della venuta di Agostino Plutino a Platì, proprio nella casa della sorella di Miceli, dove ricevette pranzo e ristoro.
Il resto lo fecero i notabili di Platì, rispettando la massima dalla notte dei tempi che vuole i delitti risolti con la delazione, su carta scritta informarono l’Intendenza; dismisero guardinghi la camicia borbonica per indossare la giacca dei liberali, le camice, quelle con il giglio al petto simbolo della casa reale sostarono negli armadi per anni, le restaurazioni consigliavano tenersi pronti per i ritorni al passato.
Cospirazione contro il governo reale e discredito contro la persona di sua Maestà, la Gran Corte Speciale si pronunciò con una pena di diciannove anni, Miceli ne scontò otto nel carcere di Procida per aver gridato in Piazza San Nicola testualmente: “Viva la Repubblica, viva il governo provvisorio, si fotta il Re”.
Pasquale Miceli dalla Gran Corte Criminale venne condannato a diciannove anni e trasferito da Reggio alla penombra delle celle di Procida, qui incontra Carlo Poerio, Antonio Garcea, i fratelli Palermo da Grotteria, Silvio Spaventa che lo farà più ricco insegnandogli lettura e scrittura.
Negli otto anni trascorsi in catene non un giorno senza sevizie, al mattino colpito alla natica con un bastone a cui erano legate corde di cuoio, al paese intanto perdeva due dei sette figli che aveva lasciato smarriti e lui lo appurava con mesi di ritardo, a giorni alterni i carcerieri cambiavano il lato della natica. Tornato in paese grazie all’amnistia concessa con decreto reale da re Franceschiello, i signorotti ne attesero la carrozza all’ingresso del paese, lo riabbracciarono per primi quelli che lo avevano denunciato, Don Ciccio Oliva colui che lo prenderà in carico, il risarcimento per l’ingiusta detenzione glielo offrì lui stesso tra le mura della casa comunale: il più alto possibile, otto anni di Procida per balzare al vertice della scala politica, Pasquale Miceli mulattiere pregiudicato eletto sindaco alle elezioni del 1860. Infine muore due volte, la prima nell’aprile del 1866, la seconda definitiva morte l’alluvione del 1951 che si prende anche la sua tomba.
MICHELE PAPALIA, maggio 2023

 A discapito dell’immagine d’apertura, laddove lo zio Mimì, anch’egli Miceli, è con sua sorella Cristina, il volto di Pasquale Miceli mi piace immaginarlo con il cipiglio irish di Sean Connery del film in apertura. Del resto la prosa disumana di Michele Papalia ben si addice ai cospiratori, siano essi irlandesi o pratioti.

sabato 13 maggio 2023

Dalla nube alla resistenza [di Danièle Huillet & Jean-Marie Straub - 1979]




Varcando la soglia delle 300.000 visualizzazioni queste pagine si affermano come la prima ed unica guida enciclopedica di e su Platì. Vedo i sorrisi sarcastici di molti ma sento anche la partecipazione dei più. A quest’ultimi come ai primi un Grazie sentito.

mercoledì 10 maggio 2023

The Professor [di Wayne Roberts - 2018]



26 gennaio 1916 – 9 febbraio 2016


The Professor  Giovanni Virgara, Voce di Platì, aveva già fatto capolino in queste pagine*. Oggi appare in veste di protagonista. Egli nacque il 26 gennaio del 1916, e confermato presso la lauretana fonte battesimale nel giorno di San Valentino dello stesso anno. Il padre, Giuseppe, ebbe la fortuna di sposare Maria Concetta Sposato in quel di Oppido Mamertina sul finire del XIX° secolo. Entrambi ventiquattrenni i due stabilirono la sede familiare in Platì ed essendo noti come possidenti ebbero modo di allevare una famiglia numerosa: il professore era settimo, ed ultimo, in ordine di tempo. Iniziò gli studi in paese e li continuò presso il Seminario di Gerace. Con la laurea in mano iniziò la carriera scolastica in quel di Reggio, prima che gli italiani venissero chiamati alle armi, alleati di tedeschi e nipponici contro il resto del modo. A conflitto finito migrò in Sicilia - Trapani, Palermo - non dimenticando i genitori, ancora in vita, per primi e gli amori giovanili nelle composizioni poetiche o prosastiche che diede alle stampe a proprie spese. Rimasto ancor giovane vedovo si risposò e visse fino all’età di cento anni in Palermo.
A queste brevi note aggiungiamo che con la Signora Concetta arrivarono da Oppido altri due fratelli Francesco e Antonio.


*https://iloveplati.blogspot.com/2013/10/la-recluta-reg-clint-eastwood-1990.html
  https://iloveplati.blogspot.com/2016/11/partire-e-un-po-morire-reg-giacinto.html
  https://iloveplati.blogspot.com/2018/02/la-strategia-della-lumaca-reg-sergio.html





 

venerdì 28 aprile 2023

Prigioniero del male [di Willis Goldbeck - 1950]

 Piano dello Zillastro, 4- 8 settembre 1943

Luigi stava sudando copiosamente. Scarpinava da ore. Il 185° Reggimento Divisione Nembo aveva appena lasciato alle spalle Bagaladi e San Lorenzo, dopo un estenuante combattimento contro gli Alleati sbarcati in Calabria. Erano stati chiamati a sostegno del 502° battaglione, dislocato sulle coste, ma gli Alleati erano numericamente superiori. Gli altri battaglioni dei paracadutisti, il II e l'XI, erano stati costretti a battere in ritirata verso il nord della regione, mentre l’VIII, cui faceva parte guidato dal capitano Conati, stava ripiegando sull'impervio dorsale dell'Aspromonte.
Da diverse notti dormivano all'addiaccio, sotto un’insistente pioggia che stava cadendo fitta sulle montagne, rendendo viscido il percorso sui tratturi. Dopo tre giorni di dura marcia, i paracadutisti attraversarono l’ultimo tratto che univa Platì a Oppido Mamertina, tallonati senza tregua dal Reggimento New Scotland e dal Reggimento Edmond.
Sul finire di quel terzo giorno il reparto raggiunse il Piano dello Zillastro, e bivaccò nella faggeta Matrogianni, ignari che alle loro spalle i nemici ii avevano preceduti e si erano accampati nello stesso luogo.
All'alba dell'8 settembre, al grido di incitamento del capitano Conati all'attacco Nembo, quattrocento parà italiani contro cinquemila anglo-canadesi si scontrarono senza tregua. Luigi e i suoi compagni combatterono fino all'esaurimento delle munizioni, poi la lotta si tramutò in un corpo a corpo con i nemici.
II capitano Conati cadde prigioniero nelle mani degli alleati. Tra i fanti italiani ci fu un memento di disorientamento, ma il capitano Diaz, subentrato al comando dei paracadutisti e uno dei pochi superstiti del battaglione, prese in mano la situazione e la battaglia prosegui fino all'indomani.
Tuttavia la capitolazione italiana fu definitiva. I superstiti dell’VIII battaglione si ritirarono a Platì, sede del Comando di Reggimento, dove appresero, con sgomento e incredulità, che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli alleati da ormai cinque giorni. Il governo italiano era passato dall'altra parte, senza che loro avessero subodorato nulla!
Luigi fu uno dei pochissimi sopravvissuti della battaglia sullo Zillastro. Ferito al braccio, da cui perdeva sangue copiosamente, aveva perso conoscenza. Una circostanza fortunata. Gli anglo-canadesi lo avevano creduto morto e l’avevano lasciato lì a sanguinare nella faggeta Mastrogianni.
Quando si riprese, il buio ammantava ogni cosa e neanche lo spicchio di luna in un cielo stellato riusciva a penetrare tra il fitto folto degli alberi. Luigi fu travolto da un dolore immane, profondo, che lacerò la sua anima. Avverti un senso di disorientamento che gli annebbiò la mente, la capacità di prendere decisioni.
Che cosa doveva fare, ora? Luigi fu conscio che d'ora in poi la sua salvezza dipendeva dalla capacità di fuggire tra quei monti ostili e non farsi catturare dai nemici.
Abbozzò un piano di fuga. Guardò su in cielo. Tra la Costellazione dell’Orsa Maggiore e Cassiopea individuò la Stella Polare. Cautamente, con il favore del buio e strisciando tra gli alberi, guardandosi continuamente alle spalle, tagliò per il Nord. Doveva raggiungere Platì.
All'alba del mattino successivo, sfinito dalla stanchezza, mentre stava percorrendo l'ultimo tratto del dorsale dell’Aspromonte, in prossimità di Platì, incrociò un contingente della 26° Divisione Panzergranedier, in ritirata verso settentrione. Credendoli amici Luigi diede le sue credenziali, ma la loro immediata reazione lo lasciò perplesso.
I tedeschi, rabbiosi e infuriati, gli puntarono contro i fucili. «Traditore.» Senti dire da uno dei soldati tedeschi, il viso contorto da un’espressione di evidente disprezzo misto a odio. Luigi trasecolò. Non aveva la minima idea di cosa parlasse quel tedesco.
«Voi italiani avete firmato l’armistizio con gli Alleati. Ci avete tradito!» Gli fu rudemente spiegato da un ufficiale.
Luigi non ebbe il tempo cli capacitarsi del cambiamento cli rotta da parte del suo stesso Governo che un colpo secco del calcio cli un fucile colpi la sua tempia, tramortendolo gravemente. Luigi perse i sensi. Quando rinvenne, alcune ore dopo, realizzò con orrore di essere un prigioniero.
Una sottile forma cli paura e terrore serpeggiò dentro cli lui. Per la prima volta nella sua vita sperimentò sulla propria pelle l’umiliazione, l’insulto, la denigrazione, ma nulla, tuttavia, a confronto cli quello che avrebbe provato negli anni a venire.
La Divisione Tedesca marciò per giorni, fino a ricongiungersi con altri contingenti verso Taranto. Da qui Luigi fu caricato su un carro bestiame, pigiato, schiacciato insieme con altri deportati italiani rastrellati in vari campi di battaglia.
Per Luigi iniziò una lunga, lenta e penosa marcia verso le terre fredde. Un calvario che durò trenta giorni, dove molti suoi connazionali persero ignominiosamente la vita per inedia. Il carro merci sostò in diverse località, anche per giorni interi. Ai deportati fu negata ogni parvenza di dignità umana, privati di cibo e acqua, senza alcuna possibilità di respirare aria fresca o di espletare i propri bisogni fisiologici.
A fine settembre la tradotta tedesca giunse nel primo campo di smistamento. Qui, nel Durchgangslagen-Dulag, il fante Luigi Colinni perse la sua identità. Fu schedato e identificato con il numero 54367. Poi i prigionieri furono fatti risalire nuovamente sui carri merci, smistati verso i campi di internamento dislocati nei territori occupati dalla Germania, Francia e Polonia.
Ai primi di ottobre Luigi giunse nello Stalag III (Kriegsgefangenfager), situato ad Alt Drewizt, quartiere periferico di Kustrin a cento chilometri da Berlino, dove gli fu riferito, non senza una nota di disprezzo, che era un IMI, acronimo di Itaiianesche Militar Internierte. Su richiesta del Fuhrer, Keitel, capo del comando supremo della Wermacht, i prigionieri italiani sarebbero stati considerati, da quel momento in poi, internati militari italiani e privati, dunque, dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra del 1929. E pure con il beneplacito di Mussolini.
Tuttavia venne offerto loro una via d'uscita. Alcuni giorni dopo il suo arrivo al campo, Luigi, insieme ad altri prigionieri, fu convocato da un certo Anfuso, ambasciatore italiano di Berlino, per conto cli Mussolini. Gli fu chiesto di arruolarsi nell’esercito della nascente Repubblica di Salò, in cambio di cibo e di uno stipendio. L'offerta era allettante.
Luigi fu tentato dalla prospettiva di poter uscire incolume da quel luogo orribile, di ritornare dalla sua Anna, la sua ancora di salvezza, terraferma stabile in cui ormeggiare la barca e tenerla lontana dalle onde trascinanti della follia e dalle brutture di quel lager. Poi il suo pensiero corse ai suoi amici cli battaglia, uccisi sul Piano dello Zillastro.
No, meglio rifiutare l’ignominia, l’infamia; meglio morire che essere disprezzato per codardia, meglio la fame, il freddo, i pidocchi, che tradire i suoi connazionali deportati insieme con lui in quello che era l'ultimo pesto dimenticato da Dio.
Il suo rifiuto gli costò le peggiori umiliazioni. Le guardie tedesche non posero limite alia crudeltà, alle perversità, alle torture. Gli appelli, le Appellplatz, del mattino e della sera erano massacranti. In piedi per ore, sotto la pioggia, le gelide sterzate del vento e la fitta neve, i prigionieri tremavano al freddo gelido. E la paura. Si insinuava nelle viscere, quando un medico tedesco decretava la fine di una vita. Guai a chi cadeva sette il brutto tiro della malattia, guai a chi si rivelava poco produttivo nel campo di lavoro, guai a chi rallentava la produzione! E allora l'essere bollato come inabile al lavoro, era una sicura condanna a morte.
Due mesi dopo Luigi fu mandate in un Arbeftskommando, nei pressi di Berlino, e utilizzato nello sgombero delle macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti delle truppe alleate. Luigi divenne uno dei tanti invisibili sklaven di Hitler, uno stucken, une schiavo, partorito dall‘idea del machiavellico Spazt, primo Ministro degli Armamenti, che propose l’utilizzo della manodopera degli internati italiani nelle industrie belliche a costo zero. Successivamente Luigi fu trasferito in una fabbrica belligerante e costretto a lavorare dodici, quattordici ore, ininterrottamente, frustrato, dalle crudeli SS, con inaudita violenza a ogni cenno di stanchezza. E il tutto per una ridicola e offensiva carta moneta, la Kriegsgefangeneng Lagergeld, che era buona solo per uno scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Lo scambio di merce inutile spendibile all’interno del campo. Le razioni del cibo, ridotte al minimo, non erano che una sporca brodaglia con qualche rimasuglio di rapa marcia.
«Tieni, falla durare almeno una settimana!» Sbraitava il sorvegliante con una grassa risata, lanciando quello che sembrava essere un tozzo di pane raffermo e ammuffito.
Alla fame si aggiunsero la sporcizia, i pidocchi, le cimici, la difterite, la gastroenterite, la tubercolosi.
Era quello che i tedeschi definivano la strategia di annientamento dell’essere umano, fortemente auspicata da Hitler.
Ben presto il processo di annullamento colpi inesorabilmente e senza pietà Luigi Colinni, che diventò l’ombra di sé stesso.
Patrizia Orato, La notte dei sospetti, 2018

sabato 22 aprile 2023

Fiori di zucca [di Stefano Pomilia - 1988]

Ma cosa siamo noi senza la nostra storia?”.

[…] A Reggio, tutto il personale scolastico sa del mio rientro e alla fine di agosto ricevo, tra mille telefonate, anche quella dell’insegnante vicario di Platì con cui decidiamo di incontrarci il primo settembre a Bianco, una località costiera della Jonica, e andare con la sua macchina a Platì, che dista appena qualche chilometro.
Il primo settembre 2013 di buon mattino, intorno alle sei, sono alla stazione centrale pronta, alla primissima esperienza da pendolare, a raggiungere la mia nuova scede di lavoro, Platì un piccolo paese della nostra provincia distante novanta chilometri da Reggio.
È una giornata particolarmente calda, prendo posto in un vagone ancora completamente deserto, i finestrini sono tutti abbassati, l’odore penetrante di treno mi riporta indietro nel tempo, ai miei lunghissimi viaggi verso Venezia, e mi perdo nei ricordi.
Al fischio del capotreno “Tutti in carrozza, si parte!” l’ambiente comincia ad animarsi, ed io mi lascio andare ad un’emozione nuova, quella di disegnare, fantasticandola, la vita dei miei compagni di viaggio, persone mai viste prima e nella mia mente si aprono come in un film pagine avventurose, appassionate, misteriose, enigmatiche, burlesche che mi accompagnano a tratti per quasi tutto il viaggio, fino a quando i miei occhi vengono improvvisamente abbagliati dal sole che salendo dai monti si tuffa con riflessi dorati nelle calme onde del mare. Un viaggio breve, fantastico, molto affascinante!
Alla stazione di Bianco, ad aspettarmi il mio professore, una persona particolarmente garbata.
Attraversiamo in macchina una lunga vallata e strade contorte e ripide che tagliano estese colline e monti sommersi da una lussureggiante vegetazione fino ad arrivare in paese, dopo circa un quarto d’ora.
Platì è un piccolo borgo, sembra isolato dal resto del mondo, ben nascosto, perfettamente mimetizzato col rigoglioso e selvaggio verde dell’Aspromonte, una località purtroppo ben nota per la presenza di famiglie tra le più potenti al mondo della ’ndrangheta.
La scuola è un piccolo, sobrio e ben pulito edificio, il cui ingresso principale dà proprio sull’unica strada che attraversa tutto il paese, mentre il cortile con l’ingresso degli alunni è situato nella zona retrostante.
Al mio arrivo, sono immediatamente accolta da un’atmosfera semplice e particolarmente familiare. I docenti, in massima parte molto giovani, mi vengono incontro con sorrisi raggianti che mi tranquillizzano e mi fanno subito capire la smisurata voglia che hanno di scendere in campo finalmente per cambiare, rinnovandola e migliorandola, l’azione didattica, in una scuola che negli ultimi periodi era rimasta solo a guardare, limitandosi all’essenziale.
Mi fermo molte volte a pranzare con loro e tutto il personale fa a gara per prepararmi piatti prelibati e gustosi. Non dimenticherò mai le frittelle di fiori di zucca della mia carissima assistente di segreteria.
Gli uffici funzionano molto bene per la presenza degli assistenti e del Direttore Amministrativo, tutti non solo molto professionali ma anche bravissime persone.
Viaggio in treno per circa due mesi, poi sono costretta a utilizzare la macchina. Il viaggio di ritorno era sempre un’incognita. Non sempre riuscivo a trovare un pesto a sedere e poi spessissimo, per guasti alla rete ferroviaria, ero costretta a soste che a volte si protraevano per lunghissime, interminabili ore.
Il viaggio in macchia. mi rende più autonoma e libera negli spostamenti, ma poi mi rilassa moltissimo. Accendo la radio ed io che amo cantare, non la smetto se non quando arrivo a scuola.
In un ambiente sereno e fortemente collaborativo anche con le famiglie, il lavoro che è stato sicuramente molto impegnativo, consente alla fine a tutti quanti noi di raccogliere con grande soddisfazione e tantissimo orgoglio risultati importanti e significativi in ogni settore dell’attività scolastica.
Indimenticabile il giorno in cui riusciamo tutti assieme, col nostro presepio vivente a riempire ogni angolo, ogni piccola parte del paese, ricostruendo, con minuziosa attenzione e curandone ogni minimo particolare, le antiche botteghe artigiane. Un intero paese si sente fortemente coinvolto, una comunità fatta di gente semplice che non si tira mai indietro e fa di tutto per non deluderti. Tra quella gente, in quei posti, ho la sensazione di vivere la vera essenza, il vero significato del Natale, non mi era mai accaduto prima di provare emozioni così profonde. […]
Emilia Occhiuto, La casa delle storie, 2021
 

mercoledì 19 aprile 2023

Gioventù bruciata [di Nicholas Ray - 1955]




Ricordo Pasqua 1956

1-Toto Delfino
2-Pino Prochilo
3 Zappia Pasquale
4-Spadaro Mario
5-Romeo Umberto
6-Zappia Rosario
7-Delfino Francesco
8-Zappia Rosario
9-Renato Castorina
10-Zappia Filippo
11-Prochilo Virgilio

Foto: ASGMZ Archivio Storico Gliozzi-Mittiga-Zappia