UN PICCOLO CENTRO DI CALABRIA IN LOTTA
CONTRO L'ANALFABETISMOI bimbi coi loro cartelli guidavano il corteo
di PlatìDove sono ancora vive le tracce
dell'alluvione del 1951 — Ventiquattro ore di sciopero per le scuole — Il 48
per cento di analfabeti nel paese natale di Corrado Alvaro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALEPLATI', novembre.Venire quassù, da Reggio, è un viaggio nell'estate; prima col treno fino a Bovalino Marina,
poi m motoleggera sulla strada tra le colline
basse, distese sotto un incredibile
sole di novembre, folte di ulivi centenari, fra i quali ogni tanto scopri una palma,
le larghe foglie di un banano. La strada va su a larghe curve, e ad
ogni curva rivela nuove prospettive,
nuovi giochi di volumi e di
colori, richiama alle mente altre strade, più famose, più illustri, che
attraversano luoghi celebrati: la cornice della Costa Azzurra, da Menton a Nizza. E anche qui si
attraversa un paese che si chiama Benestare, un nome senza dubbio suggerito dalla mitezza del clima, dalla
bellezza inimitabile dei luoghi.E', difficile ricordare che questa strada ci sia portando in un paese distrutto, sconvolto da un cataclisma d'un genere che si è
abituati a considerare «naturale», dall’alluvione
del 18 ottobre 1951. Cosa mai può
essere, in questi luoghi, una
alluvione? Non vi sono grandi fiumi,
qui, solo torrentelli, che ora - nella stessa stagione in cui, or è un anno, dilagarono e travolsero case e vegetazioni — appaiono, in magra, appena come tracce lievi tra il verde delle piante e il rosso delle foglie autunnali. Eppure sulla linea
ferroviaria, a pochi chilometri de Bovalino abbiamo ben visto i tre ponti crollati,
fra i quali quello grande, a traliccio dì acciaio, immersi per
metà in acqua come il relitto di un naufragio. E' la testimonianza certo che queste deboli acque torrentizie possono
anch'essi, in determinate circostanze, acquistare una forza tremenda, moltiplicarsi giungere a volle come un
flagello. Ma è facile capire che basterebbe assai poco per imbrigliare queste acque
quando esse sono come sono normalmente.
come le vediamo ora, vene esigue
di questo splendido tessuto vegetale. Assai
poco, qualche argine solido,
convenientemente alto e disposto nella maniera giusta, e qui di alluvioni non se ne parlerebbe per secoli. Una spesa forse di alcune decine di milioni, e si sarebbero risparmiati i quindici miliardi di danni dell’anno scorso. Chi è che paga? E intanto,
chi li paga, questi quindici miliardi? Il governo, finora,
ne avrà speso forse uno,
fra tutti i Comuni colpiti, che sono
84 sui 95 della provincia, 13
dei quali con particolare durezza. E il
resto lo scontano quelli che hanno
perduto gli ulivi, le semine, le case: i contadini poveri che non hanno ottenuto ancora alcun risarcimento, mentre i grossi proprietari qualche cosa hanno avuto, grazie ai mezzi di cui dispongono: avvocati, carta bollata, aderenze al ministero. I contadini poveri pagano con la
loro miseria di ogni giorno quello che hanno perduto perché
nessuno si era curato di arginare i fiumi. E i figli dei contadini poveri pagano: i bimbi di Platì che non vanno a scuola.Lunedì scorso
tutti i lavoratori di Platì, paese dì 4700 anime, si sono
astenuti da lavoro per ventiquattr'ore, ed hanno dato vita a una
indimenticabile manifestazione
di protesta ver il mancato inizio dell’anno
scolastico. Hanno chiesto che il governo
disponga la costruzione immediata di un edificio scolastico, e che frattanto siano
requisite le aule indispensabili nelle case dei privati. C'erano
tutti quattro o cinquecento braccianti della zona, i 140 edili dell'ANAS che
lavorano alla costruzione della strada 112, i 90 lavoratori del cantiere di rimboschimento, i 60 edili del cantiere
Velonà, gli operai della
centrale idroelettrica del signor
Zappia: pochi questi, circa 20, perché la ditta non trova a credito e fondi
necessari per la ricostruzione della centrale distrutta dalla alluvione. E con i
lavoratori c'erano le famiglie,
le donne, tutto il popolo di Platì, quattrocento senza tetto di Platì; e i bimbi: i bambini e i ragazzi senza scuola, che portavano ben alti
i cartelli con la loro unica, essenziale, solenne rivendicazione, la scuola, la
via della conoscenza, del sapere, che è strada alla libertà dall’incubo delle
alluvioni. Neanche un vano
Intorno a
questa alta rivendicazione si è realizzata qui la più larga unità del popolo: anche il sindaco democristiano, Giuseppe Zappia,
si batte insieme con i lavoratori per
avere l'edificio scolastico, e non se n'è avuto troppo a male per lo sciopero, sebbene fosse proprio lui a sostenere l'impossibilità
di svolgere il nuovo anno scolastico nei locali utilizzati
l'anno scorso. Perché, in definitiva, il fatto è questo: che in un anno, da quando
l’alluvione è passata in questi luoghi travolgendo ogni cosa, qui non si è
costruito un solo vano. Solo a tre
chilometri e mezzo dal paese,
in un posto scelto, non si sa per quali caratteristiche, da un sottosegretario d.
c. sono sorte una ventina di casette
tinte di giallo, prive di acqua
e di luce, che dovrebbero essere
fittate a duemilacinquecento
lire il mese: una cifra
praticamente inaccessibile a questi lavoratori. E allora in quello
che resta delle case di Platì
si ammucchiano le famiglie, esattamente
come un giorno e una settimana dopo il
disastro. E le promesse che
De Gasperi pronunciò qui, di fronte a queste rovine, nello scorso marzo, sono rimaste quello che erano un basso espediente elettorale.Poco discosto
da Platì c'è un villaggio, San Luca, dove è nato uno dei nostri scrittori
più significativi: Corrado Alvaro.
Ma in queste zone le percentuali di analfabetismo
sono le più alte d'Italia: il 48% è la media regionale, che sale al 53% nel
reggino, e su questi colli
tocca punte anche superiori all' 80%: «tutti quelli che hanno più di 50 anni non sanno leggere», mi dice
il compagno Ciccio Catanzariti, segretario
della C. d. L. di Platì, che
ha molto meno di 50 anni. E si capisce che cosa
questo significhi; significa, che
per secoli e fino ai nostri tempi qui i padroni hanno
avuto sempre ragione come nel caso —
che Catanzariti mi racconta —
del colono Francesco Spagnolo,
che il padrone ha illegalmente estromesso dalla terra per presunta inadempienza
del contratto a miglioria.
Illegalmente, ma con l'aiuto di
un avvocato, così che il
povero Spagnolo non solo è rimasto senza lavoro, ma deve anche pagare una
certa somma, per sentenza del
tribunale. Significa che i grossi proprietari riescono ad ottenere
dal governo il risarcimento per i
danni subiti dall'alluvione, mentre i contadini poveri non hanno riavuto ancora
nemmeno le case e le masserizie perdute. Significa, di conseguenza. che i
grossi proprietari se ne
infischiano di erigere gli argini, mentre i contadini — per i quali gli argini sono condizione di vita — non sono stati in grado, fino a prima
del disastro dell'anno scorso di
imporne la costruzione.A qualche decina di chilometri da
qui, nel comprensorio di Caulonia, i contadini hanno ripreso in queste settimane con rinnovato slancio la lotta per la
terra ed hanno occupato i feudi che l'Ente di Riforma protegge, facendo vista di volerli scorporare.
Quassù non c'è feudo, ma l’aria che tira è la stessa. Anche qui troppo hanno comandato
i padroni, i ricchi, i potenti
e non potendo farlo in nome del
diritto feudale, perché per una volta
tanto il diritto feudale, che qui ha dato luogo agili «usi civici», non
li favoriva, si sono rifatti con i codici e il latino: quello degli azzeccagarbugli e quello arcipreti. Anche adesso c'è a Platì un arciprete giovane vigoroso e latinista, che in pochi anni si e comprato un fondo per tre milioni e mezzo, in nome della Madonna di Loreto, e si è fatto la canonica prima
ancora di costruire la chiesa.E' attraverso queste e simili
esperienze che i bambini e i ragazzi
di Platì hanno capito che
debbono andare a scuola. E i genitori analfabeti hanno
capito che i loro figli devono imparare
a leggere, a scrivere e a far di conto. Così è nato il grande sciopero di
lunedì; un atto rivoluzionario, come l'occupazione delle terre nel
Silano – Crotonese e a Caulonia. Un
atto che dimostra come i contadini di Calabria e del Mezzogiorno abbiano trovato la via giusta per scrollarsi
di dosso l'oppressione secolare dei padroni, dei potenti. Che ci dice come la battaglia per la cultura
nel Mezzogiorno non sia più
l'opera e il sacrificio di
pochi intellettuali isolati, ma sia ormai lotta di masse, e perciò
concretamente lotta per la libertà e il progresso.FRANCESCO
PISTOLESE Testo e foto: L’UNITA’ sabato 15 novembre 1952
Il
film suggerito in apertura oggi pur con alcuni difetti di composizione – le
orribili riprese col drone e la poca
cura sui costumi – potrebbe sfigurare affiancandolo a Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti ma sta bene accanto a Il brigante (1961) di Renato Castellani
che per altro aveva accanto Giuseppe Berto. La storia di Le stelle non hanno padroni (2018) ha luogo in Sicilia nei pressi
di Petralia Sottana, Il brigante si
svolge in Calabria, nel Marchesato in un arco di tempo che prende le mosse
durante il Regime Nero per concludersi con l’occupazione delle terre nell’ immediato
dopoguerra.
L’articolo dell’UNITA’
a 70 anni dalla sua pubblicazione può far storcere il naso alla maggior parte
dei lettori di oggi ma apre uno squarcio sulla Platì di quegli anni e le
conclusioni sono le stesse lamentate nei titoli finali di Le stelle non hanno padroni: l’abbandono delle terre e il
conseguente esodo in massa.
Curioso appare l’elogio
fatto sulla testata portavoce del PCI a don Ferdinando Zappia, gestore postale e proprietario unico della
centrale elettrica, la quale veniamo a sapere contava 20 occupati, a suo tempo gerarca in fez e camicia nera come imponeva la moda. Come curioso appare l'elogio all'altro Zappia, Giuseppe, allora sindaco democristiano.
Il
film suggerito in apertura oggi pur con alcuni difetti di composizione – le
orribili riprese col drone e la poca
cura sui costumi – potrebbe sfigurare affiancandolo a Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti ma sta bene accanto a Il brigante (1961) di Renato Castellani
che per altro aveva accanto Giuseppe Berto. La storia di Le stelle non hanno padroni (2018) ha luogo in Sicilia nei pressi
di Petralia Sottana, Il brigante si
svolge in Calabria, nel Marchesato in un arco di tempo che prende le mosse
durante il Regime Nero per concludersi con l’occupazione delle terre nell’ immediato
dopoguerra.
L’articolo dell’UNITA’
a 70 anni dalla sua pubblicazione può far storcere il naso alla maggior parte
dei lettori di oggi ma apre uno squarcio sulla Platì di quegli anni e le
conclusioni sono le stesse lamentate nei titoli finali di Le stelle non hanno padroni: l’abbandono delle terre e il
conseguente esodo in massa.
Curioso appare l’elogio
fatto sulla testata portavoce del PCI a don Ferdinando Zappia, gestore postale e proprietario unico della
centrale elettrica, la quale veniamo a sapere contava 20 occupati, a suo tempo gerarca in fez e camicia nera come imponeva la moda. Come curioso appare l'elogio all'altro Zappia, Giuseppe, allora sindaco democristiano.
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