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domenica 30 maggio 2021

Le stelle non hanno padroni [di Salvatore Bongiorno - 2018]

"Non lasciate che nessuno scriva la storia al posto vostro".



UN PICCOLO CENTRO DI CALABRIA IN LOTTA CONTRO L'ANALFABETISMO
I bimbi coi loro cartelli guidavano il corteo di Platì
Dove sono ancora vive le tracce dell'alluvione del 1951 — Ventiquattro ore di sciopero per le scuole — Il 48 per cento di analfabeti nel paese natale di Corrado Alvaro
 
 
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
PLATI', novembre.
Venire quassù, da Reggio, è un viaggio nell'estate; prima col treno fino a Bovalino Marina, poi m motoleggera sulla strada tra le colline basse, distese sotto un incredibile sole di novembre, folte di ulivi centenari, fra i quali ogni tanto scopri una palma, le larghe foglie di un banano. La strada va su a larghe curve, e ad ogni curva rivela nuove prospettive, nuovi giochi di volumi e di colori, richiama alle mente altre strade, più famose, più illustri, che attraversano luoghi celebrati: la cornice della Costa Azzurra, da Menton a Nizza. E anche qui si attraversa un paese che si chiama Benestare, un nome senza dubbio suggerito dalla mitezza del clima, dalla bellezza inimitabile dei luoghi.
E', difficile ricordare che questa strada ci sia portando in un paese distrutto, sconvolto da un cataclisma d'un genere che si è abituati a considerare «naturale», dall’alluvione del 18 ottobre 1951. Cosa mai può essere, in questi luoghi, una alluvione? Non vi sono grandi fiumi, qui, solo torrentelli, che ora - nella stessa stagione in cui, or è un anno, dilagarono e travolsero case e vegetazioni — appaiono, in magra, appena come tracce lievi tra il verde delle piante e il rosso delle foglie autunnali. Eppure sulla linea ferroviaria, a pochi chilometri de Bovalino abbiamo ben visto i tre ponti crollati, fra i quali quello grande, a traliccio dì acciaio, immersi per metà in acqua come il relitto di un naufragio. E' la testimonianza certo che queste deboli acque torrentizie possono anch'essi, in determinate circostanze, acquistare una forza tremenda, moltiplicarsi giungere a volle come un flagello.
Ma è facile capire che basterebbe assai poco per imbrigliare queste acque quando esse sono come sono normalmente. come le vediamo ora, vene esigue di questo splendido tessuto vegetale. Assai poco, qualche argine solido, convenientemente alto e disposto nella maniera giusta, e qui di alluvioni non se ne parlerebbe per secoli. Una spesa forse di alcune decine di milioni, e si sarebbero risparmiati i quindici miliardi di danni dell’anno scorso.
 
Chi è che paga?
 
E intanto, chi li paga, questi quindici miliardi? Il governo, finora, ne avrà speso forse uno, fra tutti i Comuni colpiti, che sono 84 sui 95 della provincia, 13 dei quali con particolare durezza. E il resto lo scontano quelli che hanno perduto gli ulivi, le semine, le case: i contadini poveri che non hanno ottenuto ancora alcun risarcimento, mentre i grossi proprietari qualche cosa hanno avuto, grazie ai mezzi di cui dispongono: avvocati, carta bollata, aderenze al ministero. I contadini poveri pagano con la loro miseria di ogni giorno quello che hanno perduto perché nessuno si era curato di arginare i fiumi. E i figli dei contadini poveri pagano: i bimbi di Platì che non vanno a scuola.
Lunedì scorso tutti i lavoratori di Platì, paese dì 4700 anime, si sono astenuti da lavoro per ventiquattr'ore, ed hanno dato vita a una indimenticabile manifestazione di protesta ver il mancato inizio dell’anno scolastico. Hanno chiesto che il governo disponga la costruzione immediata di un edificio scolastico, e che frattanto siano requisite le aule indispensabili nelle case dei privati. C'erano tutti quattro o cinquecento braccianti della zona, i 140 edili dell'ANAS che lavorano alla costruzione della strada 112, i 90 lavoratori del cantiere di rimboschimento, i 60 edili del cantiere Velonà, gli operai della centrale idroelettrica del signor Zappia: pochi questi, circa 20, perché la ditta non trova a credito e fondi necessari per la ricostruzione della centrale distrutta dalla alluvione. E con i lavoratori c'erano le famiglie, le donne, tutto il popolo di Platì, quattrocento senza tetto di Platì; e i bimbi: i bambini e i ragazzi senza scuola, che portavano ben alti i cartelli con la loro unica, essenziale, solenne rivendicazione, la scuola, la via della conoscenza, del sapere, che è strada alla libertà dall’incubo delle alluvioni.
 
 
Neanche un vano

Intorno a questa alta rivendicazione si è realizzata qui la più larga unità del popolo: anche il sindaco democristiano, Giuseppe Zappia, si batte insieme con i lavoratori per avere l'edificio scolastico, e non se n'è avuto troppo a male per lo sciopero, sebbene fosse proprio lui a sostenere l'impossibilità di svolgere il nuovo anno scolastico nei locali utilizzati l'anno scorso. Perché, in definitiva, il fatto è questo: che in un anno, da quando l’alluvione è passata in questi luoghi travolgendo ogni cosa, qui non si è costruito un solo vano. Solo a tre chilometri e mezzo dal paese, in un posto scelto, non si sa per quali caratteristiche, da un sottosegretario d. c. sono sorte una ventina di casette tinte di giallo, prive di acqua e di luce, che dovrebbero essere fittate a duemilacinquecento lire il mese: una cifra praticamente inaccessibile a questi lavoratori. E allora in quello che resta delle case di Platì si ammucchiano le famiglie, esattamente come un giorno e una settimana dopo il disastro. E le promesse che De Gasperi pronunciò qui, di fronte a queste rovine, nello scorso marzo, sono rimaste quello che erano un basso espediente elettorale.
Poco discosto da Platì c'è un villaggio, San Luca, dove è nato uno dei nostri scrittori più significativi: Corrado Alvaro. Ma in queste zone le percentuali di analfabetismo sono le più alte d'Italia: il 48% è la media regionale, che sale al 53% nel reggino, e su questi colli tocca punte anche superiori all' 80%: «tutti quelli che hanno più di 50 anni non sanno leggere», mi dice il compagno Ciccio Catanzariti, segretario della C. d. L. di Platì, che ha molto meno di 50 anni. E si capisce che cosa questo significhi; significa, che per secoli e fino ai nostri tempi qui i padroni hanno avuto sempre ragione come nel caso — che Catanzariti mi racconta — del colono Francesco Spagnolo, che il padrone ha illegalmente estromesso dalla terra per presunta inadempienza del contratto a miglioria. Illegalmente, ma con l'aiuto di un avvocato, così che il povero Spagnolo non solo è rimasto senza lavoro, ma deve anche pagare una certa somma, per sentenza del tribunale. Significa che i grossi proprietari riescono ad ottenere dal governo il risarcimento per i danni subiti dall'alluvione, mentre i contadini poveri non hanno riavuto ancora nemmeno le case e le masserizie perdute. Significa, di conseguenza. che i grossi proprietari se ne infischiano di erigere gli argini, mentre i contadini — per i quali gli argini sono condizione di vita — non sono stati in grado, fino a prima del disastro dell'anno scorso di imporne la costruzione.
A qualche decina di chilometri da qui, nel comprensorio di Caulonia, i contadini hanno ripreso in queste settimane con rinnovato slancio la lotta per la terra ed hanno occupato i feudi che l'Ente di Riforma protegge, facendo vista di volerli scorporare. Quassù non c'è feudo, ma l’aria che tira è la stessa. Anche qui troppo hanno comandato i padroni, i ricchi, i potenti e non potendo farlo in nome del diritto feudale, perché per una volta tanto il diritto feudale, che qui ha dato luogo agili «usi civici», non li favoriva, si sono rifatti con i codici e il latino: quello degli azzeccagarbugli e quello arcipreti. Anche adesso c'è a Platì un arciprete giovane vigoroso e latinista, che in pochi anni si e comprato un fondo per tre milioni e mezzo, in nome della Madonna di Loreto, e si è fatto la canonica prima ancora di costruire la chiesa.
E' attraverso queste e simili esperienze che i bambini e i ragazzi di Platì hanno capito che debbono andare a scuola. E i genitori analfabeti hanno capito che i loro figli devono imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. Così è nato il grande sciopero di lunedì; un atto rivoluzionario, come l'occupazione delle terre nel Silano – Crotonese e a Caulonia. Un atto che dimostra come i contadini di Calabria e del Mezzogiorno abbiano trovato la via giusta per scrollarsi di dosso l'oppressione secolare dei padroni, dei potenti. Che ci dice come la battaglia per la cultura nel Mezzogiorno non sia più l'opera e il sacrificio di pochi intellettuali isolati, ma sia ormai lotta di masse, e perciò concretamente lotta per la libertà e il progresso.
FRANCESCO PISTOLESE
Testo e foto: L’UNITA’ sabato 15 novembre 1952

Il film suggerito in apertura oggi pur con alcuni difetti di composizione – le orribili riprese col drone e  la poca cura sui costumi – potrebbe sfigurare affiancandolo a Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti ma sta bene accanto a Il brigante (1961) di Renato Castellani che per altro aveva accanto Giuseppe Berto. La storia di Le stelle non hanno padroni (2018) ha luogo in Sicilia nei pressi di Petralia Sottana, Il brigante si svolge in Calabria, nel Marchesato in un arco di tempo che prende le mosse durante il Regime Nero per concludersi con l’occupazione delle terre nell’ immediato dopoguerra.

L’articolo dell’UNITA’ a 70 anni dalla sua pubblicazione può far storcere il naso alla maggior parte dei lettori di oggi ma apre uno squarcio sulla Platì di quegli anni e le conclusioni sono le stesse lamentate nei titoli finali di Le stelle non hanno padroni: l’abbandono delle terre e il conseguente esodo in massa.

Curioso appare l’elogio fatto sulla testata portavoce del PCI a don Ferdinando Zappia, gestore postale e proprietario unico della centrale elettrica, la quale veniamo a sapere contava 20 occupati, a suo tempo gerarca in fez e camicia nera come imponeva la moda. Come curioso appare l'elogio all'altro Zappia, Giuseppe, allora sindaco democristiano.

 

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