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giovedì 19 marzo 2020

Benvenuti in paradiso [di Alan Parker, 1990]

A Documentary in Three Parts 
by Rosalba Perri







Alla fine degli anni Trenta, molti platiesi partirono verso l’Australia dove sin dalla fine dell’Ottocento si erano già stabiliti altri compaesani. A partire per primi furono, in genere, gli uomini raggiunti poi dalle mogli e dai figli. Gli immigrati della prima ondata erano quindi riusciti a congiungersi con le famiglie e ad ottenere la cittadinanza quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale che vide Italia e Australia su fronti opposti. Gli immigrati degli anni Trenta furono invece sorpresi dalla guerra prima di poter ottenere la cittadinanza ed il ricongiungimento familiare. Furono, quindi, considerati “enemy alien” ovvero “nemico alieno” che a noi farebbe pensare ad un film di fantascienza ma che semplicemente indicava un cittadino di nazione nemica.
Gli italiani, insieme ai tedeschi, agli austriaci ed ai giapponesi, furono arrestati ed internati in campi di detenzione. Grazie all’intervento di figure rispettabili come l’Arcivescovo di Melbourne, non tutti gli italiani vennero internati. Benché solo gli uomini dai sedici anni in su venissero rinchiusi, le autorità dei vari stati si videro costrette ad ammettere nei campi anche alcune famiglie poiché non riuscivano a sopravvivere senza l’uomo come principale sostegno.
Molti prigionieri catturati dagli Alleati sui campi di battaglia del Nord Africa furono trasferiti dagli inglesi in India o in Australia. Coloro che finirono in Australia furono i più fortunati e spesso incontrarono “paesani” proprio nei campi di internamento. I militari catturati sui campi di battaglia, al loro arrivo, ricevevano un cappotto militare ed una gavetta. Molti di loro si dichiararono non fascisti e leali al re. Dichiarazioni accolte con un certo scetticismo dagli australiani (Video “Italian prisoners down under 1941”). Mentre i soldati tedeschi e giapponesi furono internati in campi di massima sicurezza, i prigionieri italiani entrarono in quelli a più bassa sicurezza e spesso venne dato loro il permesso di lavorare nelle fattorie (Video: “Australian prisoners of War, part 1”). Lì i prigionieri provenienti da Platì, Cirella, Careri, Benestare, Siderno, Casignana, Reggio ed altri paesi della costiera jonica si incontrarono con i “paisani” poiché non si fece distinzione fra “Internee” gli immigrati con cittadinanza di paese nemico e “Prisoner of War” (prigionieri di guerra). Questi ultimi rimasero a lungo in Australia anche dopo l’armistizio contribuendo alla costruzione di strade e di altre opere pubbliche. Fra i rimpatriati molti fecero richiesta di emigrazione una volta in Italia.
Oltre 25000 militari ed un imprecisato numero di civili vennero internati in campi improvvisati. I principali campi di prigionia per gli italiani furono Cowra nel Nuovo Galles del Sud (NSW) e Loveday nell’Australia Meridionale (S.A.).
I campi di detenzione non erano duri campi di concentramento come gli stalag tedeschi. Né assomigliavano a quelli giapponesi descritti in film come Il ponte sul fiume Kwai, né gli internati vennero mai alle prese con carcerieri come Takeshi Kitano in Merry Christmass Mr Lawrence, ragion per cui i nostri emigranti vi si trovarono abbastanza bene. A parte qualche convinto fascista, tutti si dichiararono pronti a lavorare per l’Australia sul fronte interno e alcuni addirittura chiesero di essere arruolati (non furono accettati).
Molti (ma non tutti) degli emigrati di Platì furono internati. Sul sito dei “National Archives of Australia” si trovano le schede relative ad ognuno.

At the end of the Thirties, many people from Platì emigrated towards Australia where, since the end of 1800s, already many others from the same town had settled. Generally, man would leave first to be joined later by wives and children. Most people from first migration wave were naturalized by the time Second World War, in which Italy and Australia were on opposite sides, broke out. Thirties were caught up buy the Second World War as “alien enemies” since Australia and Italy were engaged on opposite sides. Migrants who had arrived around the Thirties were caught by the war in a situation in which they were considered “enemy alien” as citizens of an enemy Country.
Italians, together with Germans and Japanese, were captured and sent to makeshift internment camps. Thanks to the action of some people such as the Archbishop of Melbourne, not all Italians were sent to camps. Although only men from the age of sixteen would be arrested, State Authorities had to admit also some families who were not able to cope without the breadwinner.
Many prisoners captured by the Allies in North Africa’s battle fields were transferred by the British to India or Australia. Those who arrived in Australia were more fortunate and often met with townsfolk in the internment camps. On disembarking they would receive a military coat and a mess tin. Many of them declared they were not fascists but rather loyal to the King, Australians were rather sceptical about this (Video “Italian prisoners down under 1941”). While German and Japanese prisoners were sent to high security camps, Italians entered in low security camps and often had the permit to work in farms (Video: “Australian prisoners of War, part 1”). Prisoners coming from Platì, Cirella, Careri, Benestare, Siderno, Casignana, Reggio and other towns of the Ionian coast met with their townsfolk since there was no distinction between “Internees” and “Prisoners of War”. The latter remained in Australia for some years after the armistice and contributed in road constructions and other public works.  After repatriation some applied to migrate to Australia.
Over 25000 prisoners and an unspecified number of civilians entered makeshift internment camps. Main camps for Italians were Cowra in NSW and Loveday in SA.
Internment camps were not hard concentration camps like the German stalags. Nor were they similar to the Japanese ones as seen in the movie “A bridge over the river Kwai”, nor internees were ever confronted with guards such as Takeshi Kitano in “Merry Christmass Mr Lawrence”. Therefore, our migrants were in a relatively good condition. Except for very few unrepentant fascists, all migrants volunteered to work for the Australian home front and some even asked to be enrolled in the Army (but were not accepted).
Many Platì’s migrants (but not all) were sent to internment camps, their records can be found on The National Archives of Australia.
by Rosalba Perri



In apertura Vito Scotti e Micky Dolenz in un frammento uscito da Head di Bob Rafelson del 1968.

FINE 
Prima Parte

3 commenti:

  1. Caro Gino, spero sia utile quanto segue. In Australia appresi da Joe Catanzariti - già ospite del tuo blog enciclopedico - seppi che i primi platioti giunti a Griffith furono tale Paolo Calabria e un suo zio sempre Calabria, nonché Barbaro Antonio "U Pppenny", tutti arrivati intorno al 1927. Inoltre, ad Adelaide un certo Staltari (forse Tony) che conobbi mi raccontò di suo padre che arrivò via nave a Melbuorne e poi ad Adelaide intorno al 1926-1927. Infine, conferma ulteriore che i paesani arrivarono prima degli anni Trenta ce la dà il post "Il filo nascosto" ove leggiamo:"...Il decano era Rosario Zappia nato nel 1898 a Platì, arrivato nel novembre del 1927 molto rispettato, conosciuto in tutta Adelaide come Mr Zappia..."

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  2. commento di Catanzariti Francesco sul link a questo post che ho pubblicato in FB: Mio padre, Catanzariti Domenico, fu ferito e fatto prigioniero dagli Inglesi in Nord Africa nel 1941 e deportato in Australia. Ha lavorato nelle fattorie come riporta l'articolo e rimpatriato in Italia nel 1947, due anni dopo la fine della guerra. Tutte queste notizie me le raccontava, con dovizia di particolari, ma sono confermate dal suo Foglio matricolare che conservo ancora come ricordo.

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