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mercoledì 8 maggio 2019

La canzone delle rose [di Ugo Gracci, 1920]





LE ROSE

Dopo le umili e modeste viole de l'aprile, le rose superbe ed uberi del maggio.
Sboccian da per tutto al mite favonio che le nevi discioglie, sotto il tiepido raggio del sole carezzevole. Un sottile profumo lontano ci annunzia il loro ritorno. E volgendo qua e là, con impazienza, la pupilla vivace, le vediamo, piene di vita novella, su le verande signorili, nel vano scuro de le ruvide finestre, nei giardini in fiore, lungo i sentieri rinverditi dei prati e de le ville, sui cigli erbosi de le gore stagnanti. Ve ne ha de le tinte più varie, dei colori più disparati; sempre belle pero, sempre morbide, vellutate, fragranti.
Spuntano e muoiono in un giorno. E mentre alcune in pieno rigoglio, vengono spiccate da la materna aiuola, altre ed altre sbocciano sul cespo odoroso, anelando a la vita. E, strette in mille varie fogge, in mille modi eleganti, si spargono per la città rumorose, per i villaggi tranquilli. Ogni luogo inondato dal loro profumo inebriante: da le gigantesche e maestose basiliche, a l'umili e bianche chiesette rusticane: dai superbi palagi signorili a l'umide e buie catapecchie de la povera gente. E non vi è persona che non l'ami, non gusti il profumo soave, non se ne adorni il seno.
Questo è il loro mese, il mese de loro sovrano imperio.    
E rose, e non altri fiori, sui pettini inamidati, sui cappelli a l'ultima moda, ne le mani e in bocca, a tutti. A volte anzi per le vie e una pioggia di petali multicolori, che scendono lievemente, titubando, dai balconi e da le terrazze, abbandonate" con compiacenza da mani gentili.  
Oh, le rose, le rose, piccole creature delicate, di quanti cuori non sono regine, di quanti animi magiche conquistatrici, di quanti affetti inconsce messaggere.
In Chiesa, su l'Altare de la Madonna, non vi sono che rose. Son disposte a cono, le uno accanto a le altre, in alto, fino ai piedi de la buona Madre Celeste. E tutte, sembra vogliano ascendere, ascendere per essere più da presso a la pia Signora, che guarda con occhio buono, sorridendo.
Ascolta Ella i fremiti indistinti, le vocine sommesse, i susurri lievi de le rose? Che dicono esse, ai suoi piedi, nel loro strano linguaggio? Che dicono sommessamente? Deh, scostiamoci per poco dai rumori assordanti de la vita quotidiana, inoltriamoci riverenti e devoti ne la bionda penombra del tempio, accostiamoci silenziosi a l'Altare di Maria.  Udite? In quelle rose vibra l'anima di un popolo di credenti. In esse sono i palpiti, le aspirazioni di tanti cuori avidi di luce; sono le angosce e le lagrime di tanti infelici trafitti dal dolore; le preghiere di tante madri che vogliono veder buoni i figliuoli traviati; di tante spose che intercedono pace pel marito lontano; di tanti operai che chiedono pane per le famiglie affamate. E palpiti ed aspirazioni, preghiere e gemiti, s’elevano come una voce sola da tutte le rose.
lvi non vi è distinzione di classe. Daccanto a, le rose scialbe e scolorite de la povera gente, stanno le rose superbe e roride dei nobili. Oh quante cose non dicono quelle rose molteplici, strette da un supremo vincolo di santo amore verginale, a la Regina dei Cieli. E potrà Ella, la Madre de le misericordia, non esaudire loro fervide preghiere sommesse?
Oh, le rese, le rose!  `
Siete tanto belle, fresche ed aulenti, rose del maggio. Ma - è triste il dirlo - la vostra, non e che bellezza effimera e passeggera. Io vi ammiro, sì, e son lungi da l’odiarvi. Ma il mio cuore, il mio vergine cuore di giovane levita, non è per voi. Esso ama un'altra rosa, una rosa che non appassisce mai, una rosa fulgida di bellezza, eterna: ama, la Mistica rosa dei Cieli, Maria.
Francesco Portolesi
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 21  MATERA 24 MAGGIO 1903

NOTA. Don Ciccio Portolesi quando scrisse questo poetico, strappalacrime alla Raffaello Matarazzo, roseo testo era, come dice lui, un giovane levita. Durò qualche anno questa sua vocazione, unita a quella di poetare talvolta, prima di buttarsi anima e corpo negli affari pubblici e privati di Platì quindi essere ricordato come u segretariu Portolesi. In quegli anni levitici il nostro aveva pubblicato sempre su LA SCINTILLA lunghi articoli spesso di critica letteraria – Bricche di critica erano appellate - di opere edificanti come Le vittime il 3 maggio 1903, Rivali il 14 febbraio 1904 e Attraverso il prisma il 17 luglio 1904.
La seconda foto ritrae due gentlemen australianplatioti, Giuseppino Portolesi, son of don Ciccio, e Joe Ielasi, ora star di questo blog, alla vostra destra   

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