Powered By Blogger

giovedì 2 maggio 2019

F for Fake [di Orson Welles, 1973]



Un racconto ipocrita, un finale ipocrita. La sua visione di come vanno le cose l'autore l'aveva già schierata nell'opera precedente: vicenda criminale con pentimento. Se lì il colore dello sfondo era rosso, in questa nuova fatica lo sfondo è nero. Il tutto, lì e qui, con l’occhio dei magistrati in ascesa. Location arraffate qua e là, manifesti, locandine, arredi ed utensili vintage. L'art director, bisogna riconoscerlo, ce l'ha messa tutta, come anche i parrucchieri. Nel film in questione, edito da poco, anzi no, nel file, perché di questo si tratta, la parola Platì è ripetuta per dieci volte. Una novità per gli schermi e per il paese. Il titolo a modo suo vorrebbe rimandare al capolavoro di Clint Eastwood ma la classe dell’autore in questione è acqua diluita con acquetta. Ai piccoli platioti poi è da sconsigliarne la visione onde evitare di ripetere gli errori di chi ha sperato nei facili guadagni, questa volta imitando le imprese attoriali cui si è costretti ad assistere, assi poco convincenti. Alcuni recensori – bullshits!- hanno definito il protagonista uno yuppie. Per dirla tutta, uno dei sedicenti attori parla l’idioma platiotu alla maniera di quelli di San Piero Patti (ME). Ok! per riprendermi mi sono rivolto a Kathryn Bigelow ed al suo Blue Steel, Platì non c'entra per niente e Jamie Lee Curtis e molto più maschio dello Scamarcio di turno.

In alto:
Lo spietato, 2019, di Renato De Maria



Nessun commento:

Posta un commento