Powered By Blogger

martedì 15 gennaio 2019

STILL LIFE - La dispersione


"niente voglio e niente spero ca tenerte sempe affianco a me"
Califano-Cannio,1915




4

Gli anni ’50 furono anche quelli dell’inizio della dispersione delle famiglie: i giovani emigravano in Argentina o in Australia oppure andavano a studiare a Roma, Torino, Milano e non tornavano se non per le vacanze estive. La morte del capo-famiglia, poi, dava il colpo finale. Le madri si trasferivano a vivere con uno dei figli, le case si riaprivano solo per l’estate e nemmeno tutti gli anni. Non fece eccezione la grande famiglia di zio Francesco: la prima a partire fu Marianna, figlia della seconda moglie, che andò in Argentina e fu seguita dopo qualche anno da Rosario.
Anna è l’unica ad essere sempre vissuta a Platì: “era figlia della prima moglie di papà, ricordo la casa dove abitava all'inizio dell'Ariella, dopo il negozio dei giarruni. Abitava sopra la bottega di falegname del marito, Pasquale Giorgio. Hanno avuto due figli: Domenico, che vive a Platì e lavora al Comune, e Tita (Teresa) che vive in Australia, sposa di Domenico Addabbo, morto un anno fa circa; a Platì, essendo molto industrioso lo richiedevano tutti, da monsignor Minniti, ai componenti la banda musicale o quanti avevano bisogno di un elettricista. Chi fu bambino tra gli anni ’50 e gli anni ’60 lo ricorda soprattutto come proiezionista del cinema parrocchiale .”

Giuseppe fu disperso in guerra. “Tre fratelli l'hanno combattuta,” - racconta ancora Attilio - due sono stati feriti e uno, Giuseppe, risultò disperso e mai ritrovato. Quindi, ormai da tempo, è stata dichiarata la morte presunta. Ovviamente nessun risarcimento dallo Stato, con la scusa che avrebbe fatto parte della "cessata Repubblica di Salò".* Cornuti e mazziati, direbbero a Napoli. Era figlio di primo letto di mio padre. Nato e vissuto a Platì, faceva il falegname. A casa mangiavamo su un tavolo da pranzo fatto da lui, che, all'occorrenza, si poteva aprire e diventava il triplo, con l'inserimento di otto tavole.”


Attilio continua con il ricordo dei fratelli: “Rosario faceva il barbiere in paese. Frequentava i vitelloni del tempo: Peppino Gliozzi, Gianni e Mario Spadaro, Saro Morabito, Saro Zappia, poi emigrò in Argentina, dove si sposò ed ebbe quattro figli. Li vivono la moglie Norma e i figli.
Antonio, nato dopo di Rina, seguì le orme di papà facendo il commerciante di generi alimentari, frutta e verdura. Lui fu l'unico maschio a non sposarsi. In un certo periodo si vociferava di un interesse per una delle figlie di Peppantoni, ma non se ne fece nulla.”
Domenico, istruito come tanti a Platì nell’arte della sartoria maschile, fu collaboratore di suo cugino Mimì Perri, grande sarto della borghesia romana e fratello di mio nonno Peppantoni. Successivamente emigrò in Canada dove vivono la moglie Colomba e tre dei quattro figli, la figlia Elisa è mancata un anno fa circa.
Benito imparò a fare il sarto da mastro Nicola Addabbo che aveva la bottega verso “u vajuni” e poi dal cugino Peppino u muttuiu, ma frequentava anche la bottega di mastro Saverino Marando sulla piazza del mercato, una specie di salotto paesano dove gli uomini si riunivano anche a chiacchierare e, perché no, a fare una partitina a carte. Partito soldato, in Piemonte dove si sposò, a Novara, aprì una sartoria con buon successo, ebbe due figli, prima di separarsi dalla moglie. Benito ospitò il fratello più piccolo, Attilio, che così lo ricorda ancora: “Ho potuto riprendere a studiare ed ho iniziato a lavorare nelle assicurazioni. A Platì ero candidato a fare il falegname da mastro Rosario Stancati. In seguito, ci raggiunsero mamma ed Antonio e prendemmo casa vicino a Benito. Franca invece andò a vivere con Marietta a Camigliatello, per via della prima figlia che era malata. Antonio trovò lavoro alla Rhodiatoce, ma in seguito decise insieme a Benito di aprire un negozio di Articoli Sportivi a Camigliatello Silano (Sci in particolare). Quindi a fine anni Sessanta il grosso della famiglia si concentrò a Camigliatello, mentre io andai a completare l'Università a Napoli, quando ero già dipendente della SAI. A Napoli ho trovato ospitalità da Elisa che viveva lì con il marito. Rina abitava a Catanzaro”.

Lo zio Francesco contrasse una asma bronchiale cronica che lo portò alla fine, a 71 anni, nel 1958; la sua famiglia si è dispersa, tra l’Italia, le Americhe e l’Australia, la sua casa sulla piazza del mercato non esiste più.
ROSALBA PERRI & ATTILIO CARUSO


There is no end, but addition.
Thomas S. Eliot*



NOTE
- * In effetti Giuseppe, nella foto in apertura, col grado di sergente, cadde a Pola, sotto il bombardamento, conseguentemente disperso, il 17 febbraio 1945. La notizia l’ho trovata qui: http://www.laltraverita.it/elenco_caduti_e_dispersi.htm
- Le foto incorniciate dal brano di Alan Lomax e Diego Carpitella ritraggono i piani di Zervò in autunno
- Nella foto centrale: Saro Morabito e lo zio Pepè (Gliozzi), un pò vanitoso, dove finisce la via Roma e si diparte la via XXIV maggio.
- Rosalba come commento musicale a STILL LIFE aveva pensato alle canzoni napoletane. Su questo argomento sono poco incline. Optando sulla tradizione calabra, per finire, non potevo tralasciare  'O surdatu 'nnamuratu eseguita dalla Fanfara di Piminoro il sabato sera, vigilia da festa i santu Rroccu all'uscita della messa celebrata, lo voglio ricordare, da don Pino Strangio alla fine dei ricordati anni '90 del secolo della bomba atomica. Devo ammettere una registrazione poco efficace, la foto appartiene agli eredi di Mimì "Colonnello" Fera.
* In my beginning is my end
per ricondurvi al principio di questo immenso racconto degno di Bernardo Bertolucci.

2 commenti:

  1. Splendido il primo brano musicale. Quanto al secondo, malgrado la imperfetta registrazione (o forse proprio per quello), mi ha profondamente commosso: è la colonna sonora di quegli anni, dei nostri ricordi.

    RispondiElimina
  2. Attilio Caruso Grazie a Rosalba, a Gino e a tutti voi che avete seguito e commentato con 🤗 affetto. 👋

    RispondiElimina