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martedì 6 maggio 2025

L'ascesa [Larisa Shepitko, 1977]

Ecco, Luigi. Ho terminato la traduzione e la sottopongo alla sua attenzione. L'architettura formale è molto complessa e lo stile involuto, quasi enigmatico, ben si attaglia all'argomento: l'elogio è sottile e oscuro, evidentemente riservato a spiriti eletti, in grado di cogliere il senso riposto dei riferimenti sottesi. Nella resa ho cercato di mantenere la massima fedeltà nei confronti del'originale, anche a costo di risultare a mia volta poco chiaro



Ode

Salve, Divinità del Tevere, creata

In questo giorno, mai ricordato, in cui

Vedi gli anni di Pietro, e salve ancora,

O Sommo dei Devoti!

I popoli che vedono questo giorno esultano,

Poiché credono che proprio allora per Te

Trasformi le lacrime in riso, e in alma

Pace la guerra.

Tu per cinque lustri illimitate,

Barbaramente preparate contro tanti figli,

Nel corpo a malincuore sopportasti tollerante

Nel cuore fatiche.

Donde tanti eventi, se non per il fatto che fosti

L’integro custode delle Tradizioni e della Fede?...

Che tu insegni con la tua parola e la tua penna accorte,

Con la morte proteggi!...

Di qua ferve la Potenza di questo secolo putrido,

E ferve il Principe che giace nelle Tenebre,

Stridono con i denti e stolti tentano

Di rovinare il Sacro[1]!

Ma contro la Fede potranno pochissimo

Le porte degli Inferi, come un’alta canna,

Subito, anzi, spezzate periranno,

Testimone il Maestro.

Come il cane morde la pietra gettata,

Quando, rabbioso, non può mordere la mano di chi gliela scaglia,

Così fanno anche quelli che vedono il dono della Fede,

Ma non possono toccarlo.

I perfidi insultano il trono di Pietro e quella

Che in tutto il mondo è venerata con pia devozione,

La tua vecchiaia, la insultano tra la gente,

Dicendo il falso!...

E Dio stesso, per confondere gli ingiusti,

E garantirti di nuovo cari fedeli,

Questo Sole con nuova e insolita luce

Fece sorgere.

L’ascesa al soglio in questo giorno manifesta al Mondo

Che regni col cuore, con l’anima, sui tuoi,

Che s’impegnano tutti insieme per pagare il tributo

D’un tenero amore.

Da qui celebrano felici la tua vecchiaia,

Ti salutano a gran voce, con le mani piene

Di corone il seggio reale del duplice diritto[2]

Ornano di fiori.

Testimonino la loro gratitudine per un favore così grande,

Di qui si dirigono in chiesa e chiedono calorosamente

Che il Signore almeno fino a un secolo di vita

Ti protragga gli anni.

Li protrarrà!... verrà il tempo in cui i ribelli

Tristi vedrai coi tuoi occhi

Implorare il perdono ai tuoi piedi, con la fronte

Cosparsa di polvere.

O Padre benevolo, gioisci di una grande felicità,

Dio prepara allori trionfali[3]

Per la nave dei misteri e per te che la governi,

Percossi i flutti[4].

Allora la gioia sarà piena per il popolo e per Te,

Che l’avrete ottenuta, con lo stupore delle persone,

Allora “PIO NONO” e “salve” ripeteranno

Entrambi i Mondi!

………………………………………………………………………………………………………………......

Vincenzo Fragomeni, Canonico Penitenziario della Chiesa Cattedrale di Gerace

 

Il celeberrimo Don Antonio Pujia, Arcipresbitero di Filadelfia, una volta che ebbe letta quest’Ode, onorò molto l’autore, che era un suo Amico, con i seguenti versi, composti secondo lo stesso schema metrico:

Modulando la strofe saffica, o amico,

Prepari innumerevoli allori,

Oh! voglia il cielo rendere realizzati

 Gli auspici formulati.

La Volontà della Provvidenza divina, del Vecchietto sacro che indossa l’emblema della dignità sacerdotale,

Che conserva le chiavi del fedele Pietro,

Finché supererà i colpi ostili

Protrarrà l’esistenza[5].



[1] Il punto dopo Sacra andrebbe eliminato per recuperare il senso del periodo, che così torna (stolidi, nominativo plurale maschile, si riferisce sia a Potestas che a Princeps e la concordanza viene rispettata). Un’ipotesi più indolore potrebbe essere quella di tramutare il punto in virgola, anche se in linea di principio qualsiasi modifica al testo tràdito per me risulta sempre dolorosa. Notevole la frequenza delle iniziali maiuscole, che ho cercato di mantenere, compatibilmente con le esigenze della traduzione.

[2] Chiaramente umano e divino.

[3] Endiadi.

[4] Le virgole nel testo sono un po’ libere, ma questo è il caso più particolare: nell’ablativo assoluto fluctibus ictis, stando almeno a questa dispositio verborum, non dovrebbe esserci alcun elemento separatorio.

[5] Ho mantenuto la disposizione dell’originale latino, ma in realtà il periodo andrebbe riordinato nel seguente modo, per una sua migliore fruibilità: «La Volontà della Provvidenza divina protrarrà l’esistenza del Vecchietto sacro che indossa l’emblema della dignità sacerdotale e conserva le chiavi del fedele Pietro, finché supererà i colpi dei nemici».


La traduzione, le note, come l'epigrafe iniziale, sono del Prof. Arduino Maiuri docente di latino e greco presso il Liceo Classico Cornelio Tacito di Roma e dottore di ricerca in Filologia greca e latina e Storia religiosa presso la Sapienza Università di Roma.

Il Canonico Vincenzo Fragomeni (16 dicembre 1814 - 10 maggio 1884), geracese, compose l'ode in occasione del faustissimo giorno 23 agosto 1871 in cui Pio IX raggiunse gli anni ed i giorni del supremo pontificato di San Pietro in Roma.

Don Antonio Pujia (Filadelfia, 1818 -1886), fu arciprete di Filadelfia (VV)

Il documento originale apparteneva al sacerdote Prof. Rosario Oliva di Platì, ceduto dallo stesso ad Ernesto Gliozzi il vecchio.

Questo post è un'occasione per ricordare Larisa Yefimovna Shepitko (1938 - 1979) "one of the most prominent Soviet filmmakers".
 

sabato 26 aprile 2025

La forma dell'acqua [Guillermo del Toro, 2017]

IN CALABRIA È TORNATA LA PIOGGIA
La tragica sorte di Platì
un paese destinato a sparire
E come Platì, spariranno sotto le frane Mammola, Caulonia, Grotteria, Africo e anche S. Caterina d’Aspromonte se non si iniziano lavori di grande portata. 

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE

 REGGIO CALABRIA, 7

  Per farsi un’idea dei disastri che l’alluvione ha provocato in Calabria, bisogna andare a Platì.
  Non è facile raggiungere, Platì un piccolo presepio di seimila anime a trecento metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma è interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona enormi, poi perché a Platì, come in tutti questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estatica contemplazione degli avvenimenti i quali si seguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli.
  Andiamo dunque a Platì. Il treno ci porta sino a Bianconovo. Da Bianconovo a Bovalino – 9 chilometri – la linea è interrotta per il crollo del ponte.
  Nei primi giorni si trovavano pronti a Bianconovo dei camion e dei calessini che si incaricavano di eseguire il trasbordo, non avendo le ferrovie dello Stato provveduto ad istituire un qualsiasi mezzo che raccogliesse i viaggiatori; ma da qualche giorno un povero diavolo, più per bisogno di fare qualche soldino che per amor del prossimo, ha tirato fuori da chissà mai quale deposito di cose fuori in uso, un vecchio arnese che un tempo doveva esser stata una corriera. Del resto date le condizioni della strada che bisognava percorrere essa è ancora in buono stato.
            Spettacolo desolante
  La corriera ansima, traballa e pare che voglia rovesciarsi ad ogni scossa. Ai lati lo spettacolo comincia a diventare desolato: le campagne sono ridotte ad un letto di torrente e, in qualche punto, il rilevato stradale è stato asportato dalle impetuosità delle acque. Il Genio Civile ha provveduto a costruire due passerelle ma esse non sostengono più di tre tonnellate per cui per rendere più variato il viaggio, bisogna scendere dalla corriera due volte e fare, per due volte, qualche centinaio di metri a piedi, cercando di evitare i materiali di risulta ed il fango che vi giunge sino alle caviglie.
  Giunti a Bovalino i viaggiatori che debbono proseguire per Taranto trovano, quando Dio vuole, un treno; ma per Platì che è nell’interno non c’è altro mezzo che scegliere che l’automobile. Ed anche qui bisogna raccomandarsi a Dio e all’autista perché la strada è spesso interrotta da frane ed i monti che la fiancheggiano hanno tutta l’aria di voler, da un momento all’altro, giocare un brutto scherzo, che potrebbe essere per esempio quello di lasciarvi cadere sulla testa dei grossi sassi che sembrano a stento sostenuti dalla roccia.
  A Platì troviamo, come accade in tutti i disastri qualcuno che è sempre pronto a fare da guida e ad enunziare le distruzioni.
  Più che il dolore in questa gente ciò che colpisce è la prostrazione. Platì ha il triste primato dei morti: 15 su 85 che si sono avuti in provincia. La nostra guida ci mostra il torrente che ha operato tanti danni: un filo di acqua che scorre ribollendo tra il fango e le pietre. La gente di Platì si chiede come sia stato possibile ad un torrente così magro e di solito tanto tranquillo di infuriarsi in quel modo: eppure è un fenomeno naturale di questi torrentelli a breve corsi in pendio rapidissimo.
  Essi si impennano in un baleno e già dalle sorgenti prima di defluire a valle acquistano una violenza spaventosa così da riversare milioni di metri cubi di acqua nell’alveo che poco prima era asciutto o percorso da un rigagnolo.
  In tal modo si spiega come in queste alluvioni vi sono stati dei contadini che, mentre attraversavano col somarello il torrente ancora asciutto, investiti dalla furia delle acque non hanno fatto in tempo a salvarsi e sono annegati: perché data la tortuosità di questi torrenti e la rapidità con la quale si sono ingrossati, quei contadini hanno avuto sentore della piena quando essa era già vicinissima, come se d’improvviso si fossero spalancate due paratie e, nel loro varco fosse apparso l’enorme mostro delle acque che si avviava verso il mare. Qui usano chiamarla le «teste del torrente» ed esse sono caratteristiche dei fiumi del torrente.
          Case nel fango
  Se ci guardiamo intorno vediamo il paese o la parte del paese che è rimasta in piedi non sono che povere cose che stringono il cuore, e interamente circondate dal fango: il fango subito dopo l’alluvione era così alto che non permetteva di entrare nelle case.
  Ora nel paese il fango è stato in gran parte rimosso ma dove erano i seminati nessuno ha pensato di toglierlo. Sarebbe una pazzia il tentarlo; il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla; anche una piccola centrale elettrica che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio.
  Tra qualche ora mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita.
  Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il Cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si è ritirata si sono visti – o spettacolo pieno di orrore – tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva; e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Oggi la pietà dei rimasti ha tentato di ricomporre le loro povere ossa nei loro avelli.
  E questa è la tragica sorte di Platì un povero paese che come Mammola, come Caulonia, come Grotteria, come Africo, è destinato a sparire dalla faccia della terra   perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte: ed è la sorte di S. Caterina d’Aspromonte che, oltre ad avere perduto l’acquedotto, ha avuto quasi tutte le case distrutte ed è sotto l’incubo di due frane che minacciano l’abitato: la sorte di Condofuri anch’essa in pericolo per una frana: la sorte di tante piccole frazioni dove, se ricomincerà a piovere, comincerà a farsi sentire il pericolo dei torrenti in piena. È una situazione che di giorno in giorno appare più angosciosa e allarmante.
 Da Roma giungono notizie sul fervore col quale si formulano progetti e disegni di legge, decisioni e programmi; ma i calabresi alzano le spalle. È un pessimismo indubbiamente non giustificato o per lo meno prematuro. Ma come volete dare la croce addosso a questa gente se sorride sentendo parlare di miliardi che saranno spesi per la Calabria? Il calabrese non conosce la ribellione: secoli di sottomissione lo hanno abituato ad essere cupamente rassegnato, ma non apre facilmente il suore alla speranza. La sua stessa storia gli ha insegnato a non credere al dilà di ciò che vede e tocca con mano.
            Si aspetta un miracolo
 Ed allora? Solo un miracolo potrà rendergli la fiducia, la speranza che i suoi paesi saranno assicurati stabilmente alla terra ed i fiumi apporteranno prosperità, invece di essere un pericolo di morte; e il terreno tornerà ad essere umido ed acre e idoneo a ridare i suoi frutti. Questo miracolo sarà possibile se il problema della Calabria sarà guardato con occhio diverso e con decisa volontà d avviarlo alla soluzione. Io ricordo di aver veduto lasciando Platì, due donne che scendevano a valle. Si erano caricati sulle teste, ciascuna di esse, un materasso ed una coperta e camminavano l’una rasente l’altra con la stessa grazia che, di solito, si riscontra in loro quando tornano a casa portando le anfore e cantando. Lasciavano il paese ed andavano a chiedere un posto per dormire a chi aveva la fortuna di possedere una casa. Si sono fatte appena da parte per lasciar passare la nostra automobile ma non si sono nemmeno voltate ed hanno proseguito senza chiedersi se da noi potesse venire loro un aiuto.
 Questa tragedia di sentirsi soli è il grande sconforto nel quale gli uomini possono cadere. Ma, purtroppo. È una realtà in questi paesi che non hanno più niente che li avvicini alla vita; dove nemmeno il sonno dei morti è rispettato ed anche l’acqua, questa grazia di Dio che dovrebbe essere la ricchezza dei paesi, si trasforma in un castigo.
 Questa sera ha ricominciato a piovere e la pioggia, se dovesse durare, renderebbe più angosciosa la situazione dei paesi colpiti; la situazione soprattutto degli sfollati ai quali non si è potuto dare, né si potrà dare per adesso, una sistemazione conveniente:
          Vittorio Ricciuti
IL MATTINO, 8 novembre 1951


Questo pezzo, già citato da Toto Delfino*, lo devo alla solerzia di Salvatore Carannante, che si è presa la briga di andarlo a stanare presso la sede de IL MATTINO a Napoli.

 *https://iloveplati.blogspot.com/2011/10/have-you-ever-seen-rain-creedence.html

    https://iloveplati.blogspot.com/2018/09/riders-on-storm-doors.html




 

venerdì 11 aprile 2025

FESTEN [Thomas Vinterberg, 1998]


Ernesto Gliozzi il giovane
12 aprile 1915



 

mercoledì 22 gennaio 2025

Inviati speciali [Romolo Marcellini, 1943]

Sacerdoti di Platì che hanno svolto il loro incarico in altra sede

Fera Domenico (1), Polsi 1836 - 1856
Gliozzi Filippo, S. Nicola dei Canali frazione di Ardore 1882 – 1885
                             Natile 1885 – 1889
Gliozzi Ernesto di Francesco, Casignana 1926 – 1948
Marando Francesco, Casalnuovo 1917          
                                      S. Nicola dei Canali frazione di Ardore 1925
Mittiga Francesco di Nicola (2), S. Ilario 1896 – 1907
Mittiga Giosofatto, Polsi 1906 – 1927
Oliva Filippo, Ciminà 1921 – 1924
Oliva Francesco, S. Luca 1819 – 1823
Oliva Rosario (4), Siderno Sup. 1881
Pangallo Diego, Bruzzano Zeffiro 1920 – 1931
                              Gioiosa Sup. 1931
Pangallo Francesco (3), Polsi 1927 - 1939

(1) https://iloveplati.blogspot.com/2020/05/fatti-corsari-praebens-firma-argumenta.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2022/06/il-dono-di-dio-di-gaston-kabore-1982.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2021/01/e-permesso-maresciallo-di-carlo.html
(4) https://iloveplati.blogspot.com/2014/03/storia-immortale-pt-3.html

L’elenco originale (molto parziale) è del Canonico Protonotario Antonio Oppedisano (1866 – 1964).

La foto di apertura è del 1929: seminaristi (c'è pure lo zio Ernesto di Luigi), docenti e vescovo presso il Seminario Vescovile di Gerace.

L'odierna pubblicazione è dedicata a tutti i reverendi citati.

 





 

lunedì 30 dicembre 2024

A Ghost Story [David Lowery, 2017]

BOZZETTO CALABRESE
In una grotta di Montalto
 
Platì, 17 gennaio
Eravamo saliti fin sulla cima di Montalto con l'intenzione di fare una gita.
Il destino avverso ci costrinse anche ad un bagno che non era davvero nei nostri programmi: quando eravamo partiti, infatti, si prospettava una magnifica giornata di sole; poi, a poco a poco, s'era levata una certa nebbiolina leggera che si era infittita verso mezzogiorno, fino a toglierci ogni visibilità. Procedevamo incespicando tra i cespugli grondanti di umidità e non osavamo allontanarci l'uno dall'altro: se appena uno muoveva un passo fuori dal gruppo, lo vedevamo svanire come Orfeo, buonanima, vide svanire Euridice quando si volse a guardarla, nell'Ade.
Ci accorgemmo della pioggia solo quando entrati a ripararci nella grotta del Corvo ci guardammo a vicenda e scoprimmo di essere ammollati fino alle ossa.
«Questo disgraziato di agosto ci ha fatto fare il bagno turco!!!» — bofonchiò Ciccio Donarom, levandosi la giacca inzuppata e appesantita.
Non aveva finito di pronunciare la frase che udimmo di rimando, dal fondo della grotta: «agosto, fa olio, miele e mosto!!».
Ci rivolgemmo tutti nella direzione da cui proveniva la voce e riconoscemmo, sdraiato su un letto di felci, il fantasma di Mico X.
Stavamo per tagliare la corda, impauriti, ma il fantasma ci rassicurò con un largo sorriso e ci invitò ad accostarci a lui.
Accettammo il consiglio, giacché fuori non ci si vedeva a un palmo dal naso e si correva il pericolo di sprofondare in qualche burrone.
Decidemmo nel contempo di accendere un fuoco per asciugarci. Mico X, molto gentilmente ci indicò i resti di un fuoco acceso in un angolo, molto tempo prima, chissà da quale pastore trovatosi nelle stesse nostre condizioni.
Un paio di minuti dopo, fumavamo tutti come torce bagnate, mentre l'acqua abbandonava i nostri vestiti in forma di vapore.
Voltatici a ringraziare Mico, ci accorgemmo con meraviglia che questi era sparito.
Ma la sua voce ci rassicuro subito, spiegandoci che in vicinanza di un fuoco, ogni fantasma che si rispetti, diventa invisibile.
Per deferenza, allora, versammo dell'acqua sul fuoco, che si spense sfrigolando in dense nubi di vapore. Quando l'ultima di queste nubi si dissolse, Mico X era ancora placidamente sdraiato sulle felci e sonnecchiava.
Ci stringemmo a cerchio intorno a lui e gli chiedemmo come mai si trovasse nella Grotta del Corvo.
Parve aspettarsi la domanda perché si mise subito a raccontare.
Restammo sgomenti; Mico X, da vivo, aveva la terribile abitudine di raccontare per ore ed ore, aneddoti, storielle eccetera. Chissà cosa ci sarebbe toccato di sentire!!
«Non immaginate – cominciò stavolta - quanto abbia dovuto faticare per trovare questo posto! Decisamente, la disoccupazione è una piaga sociale!».
«Come - chiedemmo interessati - anche nell'aldilà c'è la disoccupazione?».
Annuì tristemente, più volte. Poi riprese:
«Io qui non mi trovo neanche definitivamente. Sostituisco un collega che è andato in ferie per un paio di secoli».
E vedendo il nostro interesse alla narrazione, continuò, come ispirato:
«Molti anni addietro, sull'Aspromonte viveva una banda, di fuorilegge. Accadde che durante una rissa, seguita alla spartizione di un grosso bottino, quasi tutti i componenti della banda trovassero la morte. Il capo stesso restò ferito a morte. Restò illeso, invece, uno che non aveva preso parte alla lotta. Il capo gli si avvicinò e gli disse a bruciapelo: "Promettimi che resterai a guardare il tesoro finché non verrò io a prelevarlo".
«II poveretto, preso alla sprovvista, annuì e si mise di guardia vicino alla parte di roccia che custodiva il tesoro nascosto.
«II capo indugiò un poco lì vicino, poi, visto che il giovane era distratto, gli sparò a bruciapelo tra testa e noce di collo. Quindi si stese accanto al cadavere, e morì pure luì.
«Così lo spinto di quel ragazzo restò qui nella grotta a fare la guardia al tesoro che vi è nascosto. E nessuno, pertanto, potrà mai impadronirsene».
Rabbrividimmo guardandoci attorno. Mico X continuò:
«Adesso è andato via per un po' di ferie, ed io son qui a sostituirlo. Qualcuno di voi ha una sigaretta?».
Ciccio Donarom si affrettò ad estrarre dalla tasca il suo pacchetto di americane autentiche:
«Te lo cedo - gli disse - se ci fai vedere il tesoro nascosto nella grotta».
Mico crollò il capo, mortificato: «Perderei il posto per un pacchetto di sigarette americane, magari fasulle. Ti pare giusto?».
Così dicendo, con la mano leggera dei fantasmi, sfilò dal pacchetto dieci sigarette e le nascose tra le felci. Ciccio non se ne accorse e rimise in tasca il pacchetto semivuoto.
«Ragazzi - riprese Mico - mi permettete di raccontarvi una delle mie avventure?».
Ci consultammo, e poiché pioveva a dirotto, stabilimmo di ascoltarlo tra una boccata di fumo e l'altra. Mico cominciò il suo barboso racconto.
D'un tratto una gran luce entrò nella grotta, proprio mentre stava per venire il bello dell'avventura, e la voce di Mico si affievolì a poco a poco e si spense. Anche il fantasma si affievolì, perdé colore, e scomparve del tutto. Restò solo la sigaretta, mezzo consumata, sospesa in aria. Ad un tratto sparì anche quella.
Uscimmo con un brivido dalla grotta, in silenzio. Fuori c'era il sole
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, Mercoledi 18 gennaio 1956

Ciccio Donarom [Marando?] in precedenza è apparso quai:

 

 

martedì 10 dicembre 2024

Spiaggia libera [Marino Girolami, 1965]


PER LO SVILUPPO TURISTICO
Spiagge da valorizzare
sulle coste dello Jonio
Superato il Capo Spartivento fino a Bianconovo il
mare punteggiato dagli scogli diventa Incantevole



Platì, 22 agosto
Superato il capo Spartivento, fino a Bianconovo, il mare Ionio diventa incantevole. Dopo, riprende il suo aspetto piatto e monotono: un mare senza scogli, è infatti come una ragazza senza «sex-appeal».
Sono proprio gli scogli a punteggiare di una bellezza fuoriserie le spiagge di Ferruzzano e di Brancaleone, (per non citarne che le principali).
Ma il viaggiatore che ammira dai finestrini di qualche pittoresco treno a vapore, non sospetta neppure, nella maggioranza dei casi, che sotto il soffitto azzurro di quel mare si cela un mondo nuovo e completamente diverso dal nostro: il mondo dei pesci e dei ricci, delle cozze e delle patelle che ben conoscono i cultori del diffusissimo «Hobby» della caccia subacquea. È sommamente bello scendere in quel mondo nuovo tra lo stupore dei pesci che vi girano intorno e vi guardano da ogni lato con gli occhietti idioti. I fenici non provarono la stessa ebbrezza, quando navigarono per la prima volta.
Da Ferruzzano a Brancaleone, ed un poco oltre, è il luogo ideale per i cacciatori subacquei, che vi accorrono a frotte da ogni parte dei paesi jonici.
Ma quello di cui si nota la mancanza, nelle dette località è un minimo di organizzazione turistica. Non vi esiste nessuno stabilimento balenare destinato a porgere ai bagnanti i comforts che conciliano la vita da campeggio con la vita normale di tutti t giorni. Abbiamo visitato le due spiagge di Ferruzzano e di Brancaleone: nella prima, l'iniziativa privata, crea ogni anno il lido più caratteristico d'Europa: decine e decine di capanne di rami e di oleandri intrecciati in stile hawaiano, sono costruite dagli abitanti del piccolo centro, che sorge a molta distanza dalla spiaggia. Per tutta l'estate, le famiglie abitano in quella specie di tucul senza luce elettrica né acqua corrente, e agli ultimi di settembre le capannine restano abbandonate sul lido, fino ad andare in lento disfacimento.
A Brancaleone, invece, manca pure questo: quella che potrebbe essere una spiaggia tra le più belle d'Italia, resta invece una delle più comuni.
Di caratteristico presenta la divisione in caste dei bagnanti! Sul tratto più orientale, si annidano (e il termine esatto) i cittadini della vicina Bruzzano, che vengono al mare in autobus; poi, di seguito, per nette categorie, le famiglie della piccola borghesia cittadina, che insieme alle pochissime famiglie di turisti, hanno il monopolio dello « scoglio lungo» cosiddetto: le famiglie della media borghesia, che risiedono stabilmente nel tratto detto della stazione ferroviaria, e hanno il monopolio del cosiddetto « cogito sacro », e infine, di seguito, nel tratto più occidentale, la gente del popolo.
Chi non ci credesse, può andare a verificare.
Comunque, se qualcuno pensasse a costruire un piccolo stabilimento balenare, con relative piste di ballo, tutti quei bagnanti ora disseminati ostilmente su circa un chilometro di lido, sarebbero riuniti e si troverebbero meglio. Inoltre, vi sarebbe un più numeroso flusso di turisti.
Cosa ne pensa l’E.P.T., di valorizzare al turismo queste incantevoli località?
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 23 agosto 1957

In apertura la spiaggia ed i caratteristici scogli presso Capo Bruzzano (Zephyrion Akryterion) dove approdarono nel 6° secolo A.C. i coloni locresi provenienti dalla Grecia.
Di seguito una cover di un brano, Un Altro Mare (1969), del Maestro Morricone, quando dava il meglio di se stesso.


 

domenica 10 novembre 2024

La lunga attesa [Mervyn LeRoy, 1948]



UNA REALIZZAZIONE ATTESA DA OLTRE UN CINQUANTENNIO
Solenne inaugurazione a Platì
del nuovo edificio scolastico
Presenti alla manifestazione il Vescovo della Diocesi, il Prefetto, il Sindaco, le autorità locali e tutta la popolazione
 
Platì, 22 gennaio
La giornata di ieri i cittadini platiesi l'attendevano da oltre un cinquantennio. Con una solennissima cerimonia sotto il più bel sole che si fosse ancora visto dall'inizio dell'anno 1957, è stato inaugurato il nuovo edificio scolastico che ospiterà nei suoi vastissimi locali, dotati di attrezzature degne del nostro secolo, gli ottocento alunni delle elementari del nostro centro.
Via Roma brulicava di gente fin dalle ore otto della mattina. Il corpo Insegnanti al completo impartiva istruzioni al piccolo esercito di bambini assiepati all'ingresso del grande palazzo.
L'opera fu iniziata nel 1955 dall'impresa Zimbaletti, di Santo Stefano d'Aspromonte, e proseguiti con ammirevole onestà e serietà fino ad oggi sotto la direzione del dottor Griselli, ingegnere capo dell'Unrra Casas Prima Giunta, e con l'assistenza del geom. Carmelo Manfrida, il quale con rara perizia e amorevole interessamento ha curato nei minimi particolari l'esecuzione dei lavori.
Alle dieci cominciavano ad affluire i personaggi invitati alla cerimonia. Tra gli altri, il Prefetto della Provincia, dr. Correrà, l'Ispettore scolastico dott. Barillaro, il direttore didattico dott. Fonte, il maggiore dei Carabinieri comandante del Gruppo Interno di Locri, dott. Ella, il capitano De Franco, il tenente Varisco. Alle dieci e trenta arrivava il vescovo della Diocesi, Mons. Pacifico Perantoni, Insieme all'on. Filippo Murdaca. Venivano In seguito il dottor Ferdinando Griselli, direttore dell'ufficio distrettuale della Calabria Unrra Casas, l'avv. Ferro dell'A.A.I. e i sindaci di Ardore, Bovalino, Oppido Mamertina etc.. Il prefetto della Provincia procedeva al classico taglio del nastro teso sulla soglia dell'edificio; dopo di che, il vescovo mons. Perantoni benediva tutti i locali.
Dopo la benedizione, nello immenso salone che sarà destinato a refettorio, dinanzi al folto pubblico ivi raccolto il sindaco del Comune, signor Giuseppe Zappia, che possiamo senz'altro definire come il principale autore della grandiosa opera, dava lettura dei telegrammi inviati dagli on.li Cassianì e Scelba, dal ministro della Pubblica Istruzione.
Quindi il Sindaco si rivolgeva all'uditorio ringraziando gli illustri ospiti della loro cooperazione, con brevi e commosse parole. Successivamente prendeva la parola il prefetto, seguito dall'Ispettore scolastico dott. Barillaro. Parlava in ultimo il vescovo della Diocesi.
Foto e testo: Gazzetta del Sud, 23 gennaio 1957

L'esecuzione dei lavori in corso d'opera è apparsa qui:

L'articolo sopra riportato non porta firma; lo si può attribuire senza ombra di dubbio a Michele Fera, in quegli anni corrispondente ufficiale per la Gazzetta del Sud.
NB
Sulla destra di don Peppino Zappia appare il profilo, riconoscibilissimo, dello zio Ciccillo.


 

martedì 5 novembre 2024

lunedì 30 settembre 2024

Composition Class [Kajiro Yamamoto, 1938]








Diego Vitrioli, 1819 - 1898. latinista reggino, ebbe notevole influenza sugli allora aspiranti poeti.
Ernesto Gliozzi il vecchio, 1883 - 1948 è parte notevole di queste pagine.
Francesco Sofia - Alessio, 1873 - 1943, nativo di Radicena, oggi Taurianova, è stato autore di carmi in latino, soprattutto religiosi.
Giovanni Conia, 1752 – 1839 è già comparso qui: 

Il quaderno Etremae Ausoniae Gentes ... lo zio Ernesto il giovane  lo redisse a Gerace quando ancora era un giovane seminarista, per allegerire il peso degli studi e della lontananza da casa. Su di lui gravò a vita l'influenza del precedente suo zio omonimo.

Nota:
Il titolo originale del film è Tsuzurikata Kyoshitsu  (綴方教室) ovvero Lezione di ortografia, molto più aderente alle immagini riportate.










 

mercoledì 18 settembre 2024

Su per la discesa [Robert Mulligan, 1967]



Robert MulliganUp the Down Staircase, 1967