RACCONTI CALABRESI
Per colpa di un'anguilla
Platì 17 febbraio
Raccolti in circolo
vicino alla gora, appoggiati con una mano sul fondo ghiaioso del canale, e
brandendo nell'altra una forchetta affilatissima, aspettavamo la preda
pazientemente. Sbucò quando meno ce l'aspettavamo, una enorme anguilla che
sferzava l'acqua facendola gorgogliare, nella corsa.
Passata a sorpresa,
Ciccio Donarom vibrò il primo colpo; era stato sempre un ottimo tiratore, ma
stavolta invece di colpire l'anguilla, colpì la mano di 'Ntoni Conio. Se ne
accorse subito e ritirò prontamente la forchetta; Anche l'altro se ne dovette
accorgere, però, a giudicare dall'urlo che cacciò e che disorientò la stessa
anguilla, mentre a noi fece perdere la bussola.
Fummo tutti intorno
al povero 'Ntoni, che agitava la mano in aria, e continuava a urlare come un
bue scannato.
In quel parapiglia,
l'anguilla pensò bene di filarsela verso altri lidi.
Una parte di colpa
nella faccenda che seguì, l’ebbe pure lei, l’anguilla, perché invece di farsi
prendere dagli altri cacciatori, appostati più a valle, avrebbe potuto filare
via verso il mare.
Ecco che non
sarebbe mai nata la questione che mutò in odio aperto, il leggero antagonismo che
esisteva da anni tra la squadra del Nord e la squadra del Sud, (corrispondenti rispettivamente
alla parte alta e alla parte bassa del paese).
Quando quelli del
nord vennero a mostrarcela, tutti felici e sorridenti, la riconoscemmo subito:
non capitava tutti i giorni di catturare un'anguilla di tal fatta! Provammo una
fitta di rimpianto e di invidia e tacemmo.
Ma accompagnato a
casa quell'animale di 'Ntoni, corremmo subito a fare valere i nostri diritti;
Ciccio Donarom capo della squadra del Sud, cercò di spiegare come era andata la
faccenda, e come l'anguilla spettava a noi perché avevamo speso due chili dì calce
per snidarla;
Avremmo consentito,
disse, anche a una spartizione dell'anguilla in parti uguali.
Giusi Toriv,
comandante in capo della squadra del Nord, lo lasciò parlare e quando finì gli
rise in faccia;
— «se l'anguilla
vi fa gola, disse, siamo disposti a cedervela, purché a vostra volta ci cediate
per un mese l'uso del «serro
avvelenato»; Ma se siete venuti
ad accampare diritti che non avete, potete anche risparmiare il fiato».
Questo disse, e lo disse con una tale arroganza, che davvero restammo senza fiato. Era un
sopruso, una ruberia!!
Girammo
dignitosamente sui tacchi, e la sera stessa, senza perder tempo, la squadra del
Sud si riunì sul «serro avvelenato», il quartiere generale. Eravamo in tutto circa
un centinaio, mentre quelli del Nord erano più di duecento; Nonostante tutto,
decidemmo all'unanimità di dichiarare la guerra. Le ostilità avrebbero avuto
inizio il giorno dopo.
Avvertimmo alcuni
nordisti che passavano, che dall'indomani, chiunque avesse osato portarsi nella
nostra zona, vale a dire nella bassa del paese, l'avrebbe pagata cara.
Eravamo fiduciosi
soprattutto nella energia e nella decisione del nostro capo che era di gran
lunga più forte del loro: Ciccio Donarom, infatti, lanciava le pietre molto più
lontano di Giusi Toriv.
Per molti giorni
dalla dichiarazione di guerra, quelli del Nord non si fecero vedere nella
nostra zona; Né noi, osavamo fare scorribande nel Nord; ci accampavamo la sera
nel nostro quartier generale, e giocavamo ispirandoci alla guerra reale, quella
di cui sentivamo le notizie alla radio «Tizio — comandava il capo — vai a bombardare Milano, Torino e Genova!».
Tizio apriva le
braccia, metteva fuori un rombo prolungato, e decollava con le tasche piene di sassi. (I «bombardieri» avevano
l'obbligo di tenere sempre le
tasche piene di sassi; Una
volta uno dei più quotati subì
un grave castigo: era stato mandato a bombardare alcune zone, e si era fermato in volo, per
giocare alle ghiande!! Fu declassato a caccia, senza pietà).
Ma torniamo alla nostra guerra; — Dopo
molte sere, finalmente il capo dei nordisti si fece vedere, tronfio e
baldanzoso, nella nostra zona, in segno di sfida. Fu subito spedita una
spedizione di caccia a mitragliarlo. Noialtri ci fermammo sul ciglio della
collina a goderci lo spettacolo. I caccia arrivarono rombando in zona di
operazioni, e aprirono il fuoco con le fionde. Ma non appena furono partiti i
primi colpi, sbucarono da ogni parte torme di nordisti, armati dì un'arma
insolita; enormi fasci di ortiche, coi quali colpirono a lungo le gambe
indifese dei nostri caccia. Quando finalmente, arrivammo noi sul campo, non
c'era più nessuno: anche i caccia, avevano pensato bene di tornarsene a casa, anziché
al campo.
Non ci restò che tornarcene al
quartiere a meditare sul tradimento.
Giurammo di vendicarci: loro avevano
adoperato le ortiche? ebbene, noi avremmo messo in atto, qualche altro «colpo basso».
Dopo due settimane di preparativi, una
sera ci avviammo in schiera verso l'alto.
Arrivammo indisturbati fino alla casa
di Giusi Toriv: A un cenno del capo i bombardieri partirono velocissimi, e
scagliarono il loro carico sui vetri della casa del capo avversario, e di
quelle vicine.
Successe un parapiglia: la squadra del
Nord si mobilitò tutt'a un tratto, e d insegui fino al serro: (noi fingevamo di scappare, ma in realtà volevamo allontanarci dall'ira dei «grandi» a cui avevamo rotto i vetri, e
attirare il nemico nel nostro campo).
Giunti al serro, a
voltammo, repentinamente e facemmo roteare ì nostri bastoni sulle teste avversarie;
i caccia ci giravano intorno, scagliando all'impazzata con le fionde i loro pezzetti
di piombo; tanta che una buona metà dei proiettili ce li ricevemmo noialtri invece
degli avversari.
E quella vittoria
fu per noi peggio di una sconfitta: oltre alle randellate nemiche e alla mitraglia
dei nostri caccia, buscammo un'altra dose di botte (botte vere, questa volta!) dai
nostri familiari che il fragore della mischia aveva richiamato a frotte sul
luogo.
Intanto le famiglie
dei «bombardieri» dovettero pagare le spese dei vetri rotti alle famiglie bombardate; Un nostro carro armato
stava perdendo un occhio a causa di un «autogol» di un nostro
caccia; E per lungo tempo, le rispettive famiglie ci vietarono le riunioni sul
serro. Tutto per colpa di un'anguilla.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 18 febbraio 1956
Il testo è riproposto con la punteggiatura originale
I remember Michele.
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