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giovedì 10 febbraio 2022

L'anguilla [di Imamura Shohei - 1997]

RACCONTI CALABRESI
Per colpa di un'anguilla

Platì 17 febbraio
Raccolti in circolo vicino alla gora, appoggiati con una mano sul fondo ghiaioso del canale, e brandendo nell'altra una forchetta affilatissima, aspettavamo la preda pazientemente. Sbucò quando meno ce l'aspettavamo, una enorme anguilla che sferzava l'acqua facendola gorgogliare, nella corsa.
Passata a sorpresa, Ciccio Donarom vibrò il primo colpo; era stato sempre un ottimo tiratore, ma stavolta invece di colpire l'anguilla, colpì la mano di 'Ntoni Conio. Se ne accorse subito e ritirò prontamente la forchetta; Anche l'altro se ne dovette accorgere, però, a giudicare dall'urlo che cacciò e che disorientò la stessa anguilla, mentre a noi fece perdere la bussola.
Fummo tutti intorno al povero 'Ntoni, che agitava la mano in aria, e continuava a urlare come un bue scannato.
In quel parapiglia, l'anguilla pensò bene di filarsela verso altri lidi.
Una parte di colpa nella faccenda che seguì, l’ebbe pure lei, l’anguilla, perché invece di farsi prendere dagli altri cacciatori, appostati più a valle, avrebbe potuto filare via verso il mare.
Ecco che non sarebbe mai nata la questione che mutò in odio aperto, il leggero antagonismo che esisteva da anni tra la squadra del Nord e la squadra del Sud, (corrispondenti rispettivamente alla parte alta e alla parte bassa del paese).
Quando quelli del nord vennero a mostrarcela, tutti felici e sorridenti, la riconoscemmo subito: non capitava tutti i giorni di catturare un'anguilla di tal fatta! Provammo una fitta di rimpianto e di invidia e tacemmo.
Ma accompagnato a casa quell'animale di 'Ntoni, corremmo subito a fare valere i nostri diritti; Ciccio Donarom capo della squadra del Sud, cercò di spiegare come era andata la faccenda, e come l'anguilla spettava a noi perché avevamo speso due chili dì calce per snidarla;
Avremmo consentito, disse, anche a una spartizione dell'anguilla in parti uguali.
Giusi Toriv, comandante in capo della squadra del Nord, lo lasciò parlare e quando finì gli rise in faccia;
— «se l'anguilla vi fa gola, disse, siamo disposti a cedervela, purché a vostra volta ci cediate per un mese l'uso del «serro avvelenato»; Ma se siete venuti ad accampare diritti che non avete, potete anche risparmiare il fiato».
Questo disse, e lo disse con una tale arroganza, che davvero restammo senza fiato. Era un sopruso, una ruberia!!
Girammo dignitosamente sui tacchi, e la sera stessa, senza perder tempo, la squadra del Sud si riunì sul «serro avvelenato», il quartiere generale. Eravamo in tutto circa un centinaio, mentre quelli del Nord erano più di duecento; Nonostante tutto, decidemmo all'unanimità di dichiarare la guerra. Le ostilità avrebbero avuto inizio il giorno dopo.
Avvertimmo alcuni nordisti che passavano, che dall'indomani, chiunque avesse osato portarsi nella nostra zona, vale a dire nella bassa del paese, l'avrebbe pagata cara.
Eravamo fiduciosi soprattutto nella energia e nella decisione del nostro capo che era di gran lunga più forte del loro: Ciccio Donarom, infatti, lanciava le pietre molto più lontano di Giusi Toriv.
Per molti giorni dalla dichiarazione di guerra, quelli del Nord non si fecero vedere nella nostra zona; Né noi, osavamo fare scorribande nel Nord; ci accampavamo la sera nel nostro quartier generale, e giocavamo ispirandoci alla guerra reale, quella di cui sentivamo le notizie alla radio «Tizio — comandava il capo — vai a bombardare Milano, Torino e Genova!».
Tizio apriva le braccia, metteva fuori un rombo prolungato, e decollava con le tasche piene di sassi. (I «bombardieri» avevano l'obbligo di tenere sempre le tasche piene di sassi; Una volta uno dei più quotati subì un grave castigo: era stato mandato a bombardare alcune zone, e si era fermato in volo, per giocare alle ghiande!! Fu declassato a caccia, senza pietà).
Ma torniamo alla nostra guerra; — Dopo molte sere, finalmente il capo dei nordisti si fece vedere, tronfio e baldanzoso, nella nostra zona, in segno di sfida. Fu subito spedita una spedizione di caccia a mitragliarlo. Noialtri ci fermammo sul ciglio della collina a goderci lo spettacolo. I caccia arrivarono rombando in zona di operazioni, e aprirono il fuoco con le fionde. Ma non appena furono partiti i primi colpi, sbucarono da ogni parte torme di nordisti, armati dì un'arma insolita; enormi fasci di ortiche, coi quali colpirono a lungo le gambe indifese dei nostri caccia. Quando finalmente, arrivammo noi sul campo, non c'era più nessuno: anche i caccia, avevano pensato bene di tornarsene a casa, anziché al campo.
Non ci restò che tornarcene al quartiere a meditare sul tradimento.
Giurammo di vendicarci: loro avevano adoperato le ortiche? ebbene, noi avremmo messo in atto, qualche altro «colpo basso».
Dopo due settimane di preparativi, una sera ci avviammo in schiera verso l'alto.
Arrivammo indisturbati fino alla casa di Giusi Toriv: A un cenno del capo i bombardieri partirono velocissimi, e scagliarono il loro carico sui vetri della casa del capo avversario, e di quelle vicine.
Successe un parapiglia: la squadra del Nord si mobilitò tutt'a un tratto, e d insegui fino al serro: (noi fingevamo di scappare, ma in realtà volevamo allontanarci dall'ira dei «grandi» a cui avevamo rotto i vetri, e attirare il nemico nel nostro campo).
Giunti al serro, a voltammo, repentinamente e facemmo roteare ì nostri bastoni sulle teste avversarie; i caccia ci giravano intorno, scagliando all'impazzata con le fionde i loro pezzetti di piombo; tanta che una buona metà dei proiettili ce li ricevemmo noialtri invece degli avversari.
E quella vittoria fu per noi peggio di una sconfitta: oltre alle randellate nemiche e alla mitraglia dei nostri caccia, buscammo un'altra dose di botte (botte vere, questa volta!) dai nostri familiari che il fragore della mischia aveva richiamato a frotte sul luogo.
Intanto le famiglie dei «bombardieri» dovettero pagare le spese dei vetri rotti alle famiglie bombardate; Un nostro carro armato stava perdendo un occhio a causa di un «autogol» di un nostro caccia; E per lungo tempo, le rispettive famiglie ci vietarono le riunioni sul serro. Tutto per colpa di un'anguilla.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 18 febbraio 1956

Il testo è riproposto con la punteggiatura originale

 


 

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