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mercoledì 9 giugno 2021

Avventura in montagna [di Charles Lamont - 1943]

Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla.
 



BOZZETTO CALABRESE

Gita sull’Aspromonte

Platì, 21 aprile
 Dopo molti giorni di pioggia ininterrotta bruscamente spuntò il sole. Naturalmente ci ritrovammo tutti sulla strada a godercelo quel sole caldo che ti liberava dalla prigionia delle pareti domestiche e tutta la valle si beava con noi di quell’improvvisa inondazione di luce.
Seduto sul muro d’un ponticello Ciccio Donarom canticchiava tra sé con un perfetto senso del ritmo: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
A un tratto proruppe: farei volentieri una mangiata di funghi! E ci guardò in faccia illuminato; il dado era tratto: la gita ai funghi si organizzò lì per lì. Un’ora dopo eravamo in marcia verso le alture dell’Aspromonte. Superato il primo momento di stanchezza camminammo automaticamente sul ritmo che Ciccio Donarom ci segnava gentilmente: «Natatinni natatonni natatinni tonni tà». Ci arrestammo soltanto quando udimmo: il grido del maestro X che si accompagnava «- Rrigàmundi, cotrari, ca ncignaru a cumpariri!!». E si Ianciò con sacro zelo verso una grande macchia bianca, che si intravedeva nell'erba, a qualche passo di distanza, tornò deluso «- Era, nu pitaraci!». Non avemmo tempo di ridere del suo insuccesso perché già si era impadronita di noi la febbre del fungo.
La zona era infestata di quei; «Pitaraci. Si chiama così nei nostri luoghi una qualità di fungo che pur non essendo velenoso non è raccolto da nessuno perché di gusto sgradevole al palato; Cicclo Donarom per la stizza aveva smesso di canticchiare.
Ad un tratto lo vedemmo guizzare come un’anguilla verso un branco di mucche che pascolavano poco lontano: strappò qualcosa dal muso di una di esse urlando: «Pòsa, sdisonesta, pòsa!!». Intuimmo la tragedia e accorremmo all’arrembaggio; riuscimmo a ricuperare solo tre o quattro chili dell’enorme fungo porcino che la mucca aveva trovato e li distribuimmo equamente nei vari panieri, secondo il merito che ognuno di noi aveva avuto nel... combattimento.
Le mucche sono ghiottissime dei funghi e li scovano con un’abilità sorprendente. Avvistammo poco più in là un’altra del branco che mangiava qualcosa molto soddisfatta; ci precipitammo: era un enorme fungo, come avevamo previsto; solo che la presunta mucca era un toro il quale ci guardò con occhi tutt’altro che amichevoli: inducendoci a desistere da ogni tentativo bellicoso. Ci dovemmo contentare di assistere all’ingloriosa fine di quel povero fungo, standocene a rispettosa distanza. Quando le mucche abbandonarono il campo, questo era... sgombro nel vero senso della parola.
Continuammo il cammino verso mete più alte; arrivammo sui piani Aladi, e da qui ci trasferimmo sui piani di Zervò dalle fittissime faggete. Appunto in una cli queste faggete ci accorgemmo che nel gruppo non c’era più ’Ntoni Conio; lo cercammo per ogni dove sapendo che in mezzo a quegli alberi foltissimi era facilissimo spedersi ma senza risultato. Chiamammo; gridammo ma di ’Ntoni Conio nessuna traccia.
Ce lo vedemmo tornare tutto allegro dopo una mezz’oretta, e tutto... infungato dalla testa ai piedi: funghi gli spuntavano dalla giacca, dal cappello e perfino dai pantaloni, Aveva trovato una macchia letteralmente coperta di funghi q aveva pensato bene di non farne parola con nessuno; Ci promise di indicarcela solo se gli avessimo ceduto due delle nostre ceste per riporvi tutto quel ben di Dio dato che non sarebbe potuto tornare a Platì conciato in quel modo, che pareva una fungaia.
Dovemmo capitolare, sul luogo che ci indico erano rimasti molti funghi velenosi che riconoscemmo subito perché non erano morsicati dalla limaccia. Il segno inconfondibile dal quale noi riconosciamo la qualità mangereccia o no dei funghi, è il morso della limaccia che si trova solo sui funghi buoni; ’Ntonl Conio questo non lo sapeva e rimase molto male quando gli svelammo, tra le grandi risate che le sue ceste erano piene di funghi avvelenati. Dovette vuotarle tutte e tre; e noi per vendicarci lo lasciammo tornare a Platì con la cesta vuota.
Una fame impreveduta, intanto comincio ad attanagliarci le budella; dovemmo fermarci presso un recinto di capre a chiedere qualcosa ai pastori. Ci diedero del pane nero e secco che c'i sembro ambrosia e continuammo il cammino addentandolo con avidità.
S’era fatto tardi, ma chi se ne accorgeva? Si badava solo ai funghi; era come una specie di competizione, a chi ne raccoglieva di più.
La sera ci sorprese a molti chilometri di distanza dal paese e solo alle dieci di notte potemmo rientrarvi; Ma prima di salutarci, dividemmo fraternamente tra noi gli ottimi funghi che Ntoni Conio aveva buttato via dalle ceste credendoli avvelenati.
Ciccio Donarom canticchiava soddisfatto: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 aprile 1956
 

Ciccio Donarom era già apparso qui:

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