Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla.
BOZZETTO CALABRESE
Gita
sull’Aspromonte
Platì, 21 aprile
Dopo molti giorni di pioggia
ininterrotta bruscamente spuntò il sole. Naturalmente ci ritrovammo tutti sulla
strada a godercelo quel sole caldo che ti liberava dalla prigionia delle pareti
domestiche e tutta la valle si beava con noi di quell’improvvisa inondazione di
luce.
Seduto sul muro d’un ponticello
Ciccio Donarom canticchiava tra sé con un perfetto senso del ritmo: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a
cirimindòla».
A un tratto proruppe: farei
volentieri una mangiata di funghi! E ci guardò in faccia illuminato; il dado
era tratto: la gita ai funghi si organizzò lì per lì. Un’ora dopo eravamo in
marcia verso le alture dell’Aspromonte. Superato il primo momento di stanchezza
camminammo automaticamente sul ritmo che Ciccio Donarom ci segnava gentilmente:
«Natatinni natatonni natatinni tonni tà». Ci arrestammo soltanto quando udimmo: il grido del
maestro X che si accompagnava «- Rrigàmundi, cotrari, ca ncignaru
a cumpariri!!». E si Ianciò con sacro
zelo verso una grande macchia bianca, che si intravedeva nell'erba, a qualche
passo di distanza, tornò deluso «- Era, nu pitaraci!». Non avemmo tempo di ridere del
suo insuccesso perché già si era impadronita di noi la febbre del fungo.
La zona era infestata di quei;
«Pitaraci. Si chiama così nei nostri luoghi una qualità
di fungo che pur non essendo velenoso non è raccolto da nessuno perché di gusto
sgradevole al palato; Cicclo Donarom per la stizza aveva smesso di
canticchiare.
Ad un tratto lo vedemmo guizzare
come un’anguilla verso un branco di mucche che pascolavano poco lontano: strappò
qualcosa dal muso di una di esse urlando: «Pòsa, sdisonesta, pòsa!!». Intuimmo la tragedia e accorremmo all’arrembaggio;
riuscimmo a ricuperare solo tre o quattro chili dell’enorme fungo porcino che
la mucca aveva trovato e li distribuimmo equamente nei vari panieri, secondo il
merito che ognuno di noi aveva avuto nel... combattimento.
Le mucche sono ghiottissime
dei funghi e li scovano con un’abilità sorprendente. Avvistammo poco più in là
un’altra del branco che mangiava qualcosa molto soddisfatta; ci precipitammo: era
un enorme fungo, come avevamo previsto; solo che la presunta mucca era un toro
il quale ci guardò con occhi tutt’altro che amichevoli: inducendoci a desistere
da ogni tentativo bellicoso. Ci dovemmo contentare di assistere all’ingloriosa
fine di quel povero fungo, standocene a rispettosa distanza. Quando le mucche
abbandonarono il campo, questo era... sgombro nel vero senso della parola.
Continuammo il cammino verso
mete più alte; arrivammo sui piani Aladi, e da qui ci trasferimmo sui piani di Zervò
dalle fittissime faggete. Appunto in una cli queste faggete ci accorgemmo che
nel gruppo non c’era più ’Ntoni Conio; lo cercammo per ogni dove sapendo che in
mezzo a quegli alberi foltissimi era facilissimo spedersi ma senza risultato. Chiamammo;
gridammo ma di ’Ntoni Conio nessuna traccia.
Ce lo vedemmo tornare tutto
allegro dopo una mezz’oretta, e tutto... infungato dalla testa ai piedi: funghi
gli spuntavano dalla giacca, dal cappello e perfino dai pantaloni, Aveva
trovato una macchia letteralmente coperta di funghi q aveva pensato bene di non
farne parola con nessuno; Ci promise di indicarcela solo se gli avessimo ceduto
due delle nostre ceste per riporvi tutto quel ben di Dio dato che non sarebbe
potuto tornare a Platì conciato in quel modo, che pareva una fungaia.
Dovemmo capitolare, sul luogo
che ci indico erano rimasti molti funghi velenosi che riconoscemmo subito perché
non erano morsicati dalla limaccia. Il segno inconfondibile dal quale noi
riconosciamo la qualità mangereccia o no dei funghi, è il morso della limaccia
che si trova solo sui funghi buoni; ’Ntonl Conio questo non lo sapeva e rimase
molto male quando gli svelammo, tra le grandi risate che le sue ceste erano
piene di funghi avvelenati. Dovette vuotarle tutte e tre; e noi per vendicarci
lo lasciammo tornare a Platì con la cesta vuota.
Una fame impreveduta, intanto
comincio ad attanagliarci le budella; dovemmo fermarci presso un recinto di
capre a chiedere qualcosa ai pastori. Ci diedero del pane nero e secco che c'i
sembro ambrosia e continuammo il cammino addentandolo con avidità.
S’era fatto tardi, ma chi
se ne accorgeva? Si badava solo ai funghi; era come una specie di competizione,
a chi ne raccoglieva di più.
La sera ci sorprese a molti
chilometri di distanza dal paese e solo alle dieci di notte potemmo rientrarvi;
Ma prima di salutarci, dividemmo fraternamente tra noi gli ottimi funghi che Ntoni
Conio aveva buttato via dalle ceste credendoli avvelenati.
Ciccio Donarom canticchiava soddisfatto: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a
cirimindòla».
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 aprile
1956
Ciccio Donarom era già apparso qui:
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