BOZZETTO CALABRESE
La ninfa del bosco Acone
Platì, 21 maggio
Mico si accese la pipa e aperse la bocca in atto di parlare. L'uditorio
divenne attentissimo, ma Mico, imperterrito apri la bocca ancora un pò, poi la
spalancò del tutto e infine la rinchiuse, tacendo. Aveva semplicemente fatto
uno sbadiglio. Ciccio Donarom si stizzì e mise subito in atto il suo metodo
infallibile per far parlare il vecchio. Gli diede una martellata su un
ginocchio, e, in atteggiamento michelangiolesco, gli gridò- «E perché non parli?»
- «Va al diavolo!» — ribatté Mico, ma incominciò
subito il suo racconto (Inutile
dire che l'aveva appreso dai libri
della Saggia Sibilla, di cui si vanta d'essere stato, l'ultimo
segretario).
— «La più bella ninfa del bosco di Acone era
Anna. Il suo sorriso si comunicava a tutta la natura. Nella zona non si trovava
più un salice piangente: quei pochi che c'erano s'erano riconfortati alla sua
vista e non facevano che ridere e cantare. Fu in quel periodo che nacquero gli
Ippocastani, quei bellissimi alberi s'erano fino allora chiamati «Ippobiondi», ma
decisero di cambiar nome per intonarlo al colore dei capelli della ninfa.
Avevano un bel da fare gli astronomi di quel tempo, per osservare le comete che
navigavano nello spazio: alla vista di Anna, quegli astri si mettevano ad
agitare la propria coda in segno di saluto, proprio come cagnolini affezionati..»
Qui ci parve che Mico cominciasse ad esagerare;
cercammo allora di interromperlo, perché, se il racconto prendeva quella piega,
chissà dove si sarebbe andati a finire.
— «Alle corte » — gli chiese a bruciapelo Ciccio Donarom, agitando
il martello, — « qual è il fatto che volevi narrarre?»
Mico parve imbarazzato. Con voce più cauta ci
confidò: «Quando le ninfe
sparirono dai
boschi, Anna promise alla natura, sua amica, che sarebbe tornata.
Ebbene, voi non ci crederete, ma la ninfa, dopo tanti secoli, ha mantenuto la promessa. Me
ne sono accorto
iersera, quando ho visto la cometa
«H» muovere la coda in segno di saluto...»
Decisamente Mico non era in vena che di raccontar balle. Lo mandammo a
quel paese in termini più che poveri, e uscimmo all'aperto.
Fuori c'era un'inondazione di sole. Guardammo instintivamente il
vecchio salice piangente, in un angolo del giardino: l'albero era scosso dalla brezza
e tra le sue foglie fremeva una interminabile risata d'argento.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 22 maggio 1957
Onirico
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