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giovedì 4 giugno 2020

Per un pugno di pecore [di Michele Lupo, 1967]


La Illustrissima Casa Cariati ed i contratti con Massari di Platì, Careri e Natile, ex feudi.


 A seguire dal post del 24 maggio 
ecco un secondo contratto fra la casa Cariati ed un Massaro di Platì con i suoi foresi.
Ogni volta che ho preso in mano un fascicolo degli atti notarili nell’Archivio di Stato a Locri, mi sono persuasa di essere la prima da anni, se non persino dalla sua archiviazione, a sfogliare quegli atti redatti nei primi decenni del 1800. Questa consapevolezza mi ha emozionata. A volte le pagine erano appiccicate ai bordi a causa dell’azione del tempo e dovevo staccarle con delicatezza per non rovinarle. L’emozione è stata più forte quando ho letto il contratto che segue perché oltre all’interesse come pezzo della storia di Platì, era anche un pezzo della storia della mia famiglia. Il Massaro Domenico Perre fu Francesco, detto Banto, è stato un mio antenato diretto risalendo indietro di sette generazioni. Nato nel 1773, sposò Francesca Caruso ed ebbe undici figli: nove maschi e due femmine. Nel 1824 aveva 51 anni.
Il nostro cognome è stato, nei registri delle Anagrafi del 1800, indifferentemente scritto come Perre e Perri. A volte, addirittura nello stesso atto, padre e figlio venivano indicati in maniera differente.

Torniamo al contratto. Come già detto nel post di cui sopra, la Casa Cariati stipulava contratti per la cura degli allevamenti, delle terre e delle macchine (mulini e trappeti). Quello che segue riguarda un gregge di ovini e caprini di proprietà dell’Illustre Casa Cariati a Soccio 1, cioè a custodirlo a metà frutto e guadagno, per un semplice anno, principiato dal dì primo Agosto di questo anno e terminando nel dì trentuno Luglio mille ottocento venticinque
Oggi che si contano li diciassette del mese di settembre dell’anno mille ottocento ventiquattro, in questo Comune di Platì. 


 Ferdinando primo Regnante, per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro “e Gran Principe Ereditario della Toscana””.
Avanti a noi Saverio Gliozzi, Figlio del fù Carlantonio notaio pubblico residente nel comune d’Ardore col nostro studio, Strada Pittellari, oggi in questo di Platì di passaggio, e de’ sottoscrivendi testimonj a noi ben cogniti, richiesti, ed aventi tutte le qualità prescritte dalla Legge; si sono personalmente costituiti il Signor Don Francescantonio Stillisano del fù Antonio proprietario domiciliato in questo sudetto Comune di Platì, Strada Chiesa Madre, bene a noi cognito, ed ai testimonj, il quale age nella qualità di attuale Agente, ed Amministratore de’ beni del Patrimonio Giudiziario dell’Illustre Casa Cariati, pe’ Comuni di Platì, Natile, e Careri, ed interviene alle cose infrascritte per se e per l’Agente suo successore, dell’una parte.
E dell’altra, il Massaro Domenico Perre del fù Francesco, e suoi foresi Domenico di Marco del fù Antonio, Francesco Molluso del fù Pasquale, Saverio Iermanò del fù Giuseppe, e Domenico Romeo di Rocco, proprietari, domiciliati in questo sudetto Comune di Platì, del pari a noi notajo e testimonj bene cogniti, li quali aggono ed intervengono alle cose infradicende per loro stessi, loro eredi e successori.

Restituito dal Massaro Domenico Staltari che deve aver deciso di cambiare occupazione in quanto nello stesso anno, con altro atto, riceve delle terre sempre dalla casa Cariati, il gregge è così composto:
Pecore grosse numero centosessantotto, per ducati dugentottanta cinque e grana sessanta;
montoni numero dodeci, per ducati venti e grana quaranta;
capre numero centosessantasette per ducati dugentottantatre e grana novanta;
caproni numero trenta, per ducati cinquantuno;
castrato numero uno, per ducato uno e grana settanta;
agnelli ed agnelle numero sessantacinque, per ducati cinquantotto e grana cinquanta;
capretti e caprette numero quarantacinque, per ducati quaranta e grana cinquanta;
in tutto numerano quattrocentottantotto, per ducati settecento quarantuno e grana sessanta
Secondo il calcolo che vuole un ducato corrispondere a circa 50 euro (basandosi sul valore dell’oro), il valore del gregge è di 37.000 euro, cifra inferiore alla mandria di bovini, ma sempre considerevole.

Compresi sono gli utensili: caccavo numero due, un caccavo di rame di circa libre trenta, un altro di circa libre quindici, una caldara di rame di circa libre sette, due cagne ed una cagnola, tavole per ripostarci il cacio, numero sei; scanni numero quattro, perché gl’altri inrecivibili consumati dall’uso.

Guadagni e perdite:
- se nel tempo della riconsegna precedente perizia da farsi di comune consenso, risulterà un numero di animali maggiori all’epoca in cui se l’han ricevuto, allora il detto Signor Agente fosse obbligato pagare alli detti Domenico Perre, Domenico di Marco, Francesco Molluso, Saverio Iermanò e Domenico Romeo e ai di loro eredi, per ogni animale grosso d’avanzo la somma  di grana cinquanta e sopra gli avanzi degli animali piccoli di quelli cioè meno di un’anno, la somma di grana diciassette
- il prodotto de’ latticini della lana, e dello stabio2 si dovesse dividere per mettà in favore della Casa Cariati e mettà a favore delli detti  Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo.

- in caso di perdita de’ sudetti animali, nascente da morte naturale, fossero obbligati detti Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo pagargli a grana cinquanta per ciascheduno, all’infuori de’ casi fortuiti, per li quali si rimettono al disposto della Legge.

- siccome le pecore e capre che si riceverono li cennati Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo sono affette dal morbo chiamato vucculo superiore a qualunque rimedio, se mai per l’avvenire continuasse il detto morbo, allora tutti gli animali che verranno a perire collo stesso dovranno andare a carico del Patrimonio. In tal caso però dovranno ativarsi due Periti per conoscersi la causa della morte; indi si dovrà formare un foglio annotandosi in esso tutti gli animali giudicati morti col vucculo3, un tal foglio firmato da esso Signor Agente per ogn’animale morto, dovrà conservarsi da esso Perre per presentarlo nella riconsegna.

Erbaggi.
- gli erbagi per popolare la sudetta gregge4 si dovessero pagare per mettà fra le parti, di unit’a tutte le altre spese che occorreranno nel corso dell’anno, e che potessero mettere le capre di detta gregge nel carruso pagando quant’è giusto
- Dichiarano ancora essi Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo di aversino ricevuto del mentovato Signor Agente gl’erbaggi de’ fondi chiamati Santa Barbara e Bollarino, siti nel Territorio di Platì, per poter pascolare la mentovata gregge nel corso dell’anno, per la mercede di ducati settanta, restando a carico di esso Signor Agente di pagare la rate de’ pascoli ai Coloni di detti fondi coll’obbligo a detti Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo di pagare a tutt’il mese di luglio venturo anno, la mettà degl’erbagi sudetti.

Anticipo.
Dichiarano ancora essi Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo aver sino ricevuto da esso Signor Agente docati dieci di contante moneta d’argento5 corrente in Regno, a titolo di soccorso, per restituirli nella fine dell’anno.

Firme
Franc. Ant. Stillisano Ag. Contraente
Giovanni Mittiga sono presente Testimonio
Pasquale Zappia son Testimonio
Saverio Gliozzi, figlio del fù Carlantonio


Ricerche svolte presso l'Archivio di Stato di Locri, Atti notarili, Notaio Saverio Gliozzi fu Carlantonio di Ardore, atto n. 61, Anno 1824.

1 -  dal vocabolario Treccani.
sòccio s. m. [lat. sŏcius «compagno, socio»]. – 1. Chi prende il bestiame a soccida, soccidario. 2. tosc. a. Soccida: dare, pigliare a soccio. b. Il bestiame dato o preso a soccida.
sòccida (ant. sòccita) s. f. [lat. sociĕtas «società» (nella variante pop. sòcietas)]. – Contratto diretto a costituire un’impresa agricola di natura associativa, nella quale si attua una collaborazione economica tra colui che dispone del bestiame (soccidante, concedente) e chi deve allevarlo (soccidario, allevatore), al fine di allevare e sfruttare una certa quantità di bestiame ed esercitare le attività connesse, ripartendo spese e utili inerenti sia all’accrescimento del bestiame sia ai prodotti (latte, formaggio, ecc.) che ne derivano. Si distinguono tre tipi di soccida: s. semplice, in cui il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario presta l’attività necessaria all’allevamento, dividendo tra loro gli accrescimenti, i prodotti, gli utili e le spese secondo le proporzioni stabilite dal contratto o dagli usi; s. parziaria, in cui il bestiame è conferito da entrambi i contraenti, mentre il soccidario presta in più l’attività necessaria all’allevamento; s. con conferimento di pascolo, in cui il soccidante conferisce il terreno per il pascolo, e ha la direzione dell’impresa, il soccidario conferisce il bestiame e il lavoro necessario, con il diritto di controllare la gestione.

2 - dal vocabolario Treccani.
stàbbio s. m. [lat. stabŭlum «dimora, alloggio», e in partic. «dimora, recinto per animali, stalla», der. di stare «stare, dimorare»]. – 1. Spazio, recinto in un terreno a pascolo, dove si tengono gli animali all’addiaccio per concimare il terreno (v. stabbiatura). 2. Stalla, ricovero per animali: Belan le capre ne lo s. pien (Carducci); sul tetto di latta della sua abitazione che pareva uno s. per le pecore (Pasolini). 3. Sterco di animali da allevamento; letame, concime costituito da sterco animale: fumava lo s. in mezzo alle vie, ammassato fuori delle scuderie

3 – vucculo = ipotiroidismo spesso con gozzo

4 - fra le curiosità linguistiche di questi testi, oltre ad un’abbondanza di virgole e di quelli che oggi sarebbero errori grammaticali, vi è anche la gregge che giustifica il plurale le greggi.




5 -  le monete d’argento di solito erano: la piastra (120 grana, cioè 1,20 ducati), la mezza piastra (60 grana), il carlino (10 grana), il tarì (2 carlini). In un ducato vi erano 100 grana.
ROSALBA PERRI

Nota. La foto introduttiva: per quanto possa fare riesco a distinguere in costume calabrese la zia Amalia, al centro, con il braccio appoggiato sulla zia Iola; il resto sono una nebulosa, the location and the young boys, il primo alla vostra sinistra mi pare il giovane Totò Delfino, e, forse, uno degli Spadaro accanto alla zia Amalia.
Alla foto allego questo brano della virtuosa dell'organetto celtico:

mercoledì 3 giugno 2020

L'ultima fuga [di Richard Fleischer, 1971]

E non c’è storia di platiese o di Platì che possa essere raccontata da altro sangue.
Antonella Italiano


È il 17 giugno del 1861. Da appena tre mesi, poggiata sul giaciglio d’Europa come una creatura dalla longilinea forma, assetata di democrazia e giustizia, l’Italia unita implora presente e futuro da grande nazione. È figlia di tanti padri giunti a ogni compromesso pur di generarla: taluni speculatori hanno comprato per rivendere, talaltri hanno corrotto e svenduto, non senza aver rubato, intrepidi quelli che invece hanno combattuto invocando
libertà e Costituzione; e poi, sia i taluni che i talaltri hanno tradito in nome di un Risorgimento che ha fatto rinascere la sorte e gli interessi di pochi.
Nel più profondo e remoto Sud, laddove il Signore perse scarpe e camicia, volge al termine un giorno uguale a mille altri. Sul promontorio dell’Aria del Vento, mille metri d’altura attorniati da lecci e querce, siede un uomo; barba incolta e occhi nelle orbite scavate dalle ultime notti insonni lo fanno più vecchio dei suoi trentacinque anni. Gli giace accanto un cucciolo di maremmano, fedele nel rispettare il silenzio del padrone.
Michele Papalia, Caci il bigante, Citta del Sole Edizioni, 2020

Come annunciato qualche post addietro è stata approntata un' edizione aggiornata del libro di Michele Papalia, Caci il brigante. Chi vuole acquistarlo in rete lo trova qui:

sabato 30 maggio 2020

AGONIA - Una mini serie su Platì di GIANNI CARTERI - Pt 4 - La terra «sfilesata»

Che brutta cosa la città. 
Qui basta niente per parlarmi di tutto!

Parte Quarta

Di certo appare semplicistico attendere dallo Stato e dalla «Divina provvidenza» la soluzione «magica» e «caritatevole» agli endemici problemi della società del Sud, incapace di scrollarsi di dosso sonni della regione e lassismi incomprensibili.
«La politica non sempre dalle nostre parti viene eletta a nobile sistema di spinta e di crescita civile, ma viene spesso intesa come piccolo cabotaggio per accaparrarsi posti negli enti e nei centri di potere» mi dice un anziano ex consigliere comunale.
E cosi molti giovani continuano a fuggire per liberarsi psicologicamente dall’ossequio formale ai notabili del luogo. Un fuggi-fuggi dalla totemica civiltà contadina e pastorale che per lunghi decenni aveva mantenuto intatti gli equilibri sociali. Non sempre il viaggio verso gli hinterland milanesi e torinesi approdano a lavori onesti. Ma questa e ormai storia di molti paesi.
Le croci di pietra del Sud, impastate di sudore e sangue, ma anche di tanta paura e di tanta omertà, rendono sempre più immobile e immutabile la società del paese. Mancano i nuovi orizzonti ed emerge intanto uno zoccolo duro di criminalità che ingiustamente criminalizza l'intera popolazione. Le vecchie «famiglie», basate sul rispetto dell'uomo e sull'onore, riescono ancora a mantenere in vita equilibri vecchi e nuovi, rinsaldati dai matrimoni e dai vincoli di parentela strettissimi.
Le nuove filosofie edonistiche hanno allontanato per più di un decennio molta della popolazione dalla attenzione per i problemi della scuola. Il tessuto sociale tra il finire degli anni Settanta ed Ottanta si sfalda ulteriormente. La scuola viene considerata come parcheggio. Scuola e famiglia stentano a capirsi e collaborare.
A metà degli anni Ottanta ed in modo particolare negli ultimi anni si registra una inversione di tendenza ed il rapporto diventa di affiancamento collaborativo, grazie anche ad una diversa attenzione del Provveditore agli Studi, Dott.ssa Vincenzina Greco, e della Regione Calabria in termini di aiuti economici.

Gli ultimi avvenimenti politici sono cronaca di questi ultimi mesi. Pur nella precarietà e nell'assenza di un’Amministrazione Comunale, qualcosa lentamente si sta muovendo.
«Si riparla di scuola - mi dice l'ins. Domenico Riganò responsabile dei servizi sociali e dell’Ufficio elettorale del Comune di Platì - ma anche dei problemi dei disabili mentali, di problemi di integrazione sociale degli anziani e dei soggetti portatori di handicap».
Mi fa vedere il piano del Comune che è partito in data 22.6.90, (predisposto dall'ultima Giunta guidata dal ragioniere Natale Marando). Una richiesta di interventi per complessivi 405.000.000 che attende di essere finanziato dalla legge regionale n. 5/87. Alcuni vecchi dell'ex P.C.I. mi evidenziano come lo spirito aventianiano del partito, sul finire degli anni Settanta, ha fatto sì che tanti problemi di Platì incancrenissero.
Gettare la spugna, fare un manifesto accusatorio e non impegnarsi dai banchi dell'opposizione e cosa fin troppo facile.
Qualcuno ricorda con amarezza Micu «u Togliatti» e qualche altro compagno che tennero lutto nella locale sezione comunista per un'intera giornata all'annuncio della morte di Stalin.
Certo, ritornare alla vita democratica, alla lotta politica di un tempo significa dare voce alle aspettative dei giovani, creare luoghi di ritrovo, impianti sportivi, che tolgano dalla strada tanti ragazzi spesso neanche scolarizzati.
«L'angusto cortiletto delle elementari- mi dice Domenico, alunno della scuola media - non può bastarci. Il campo sportivo non è stato ancora terminato».
Si impone una inversione di tendenza nell’approccio ai problemi secolari di questa comunità che registra un dissesto idro-geologico non indifferente, aggiunto ad un alto tasso di affetti da epatite virale che tocca punte del 30 %.
Le azioni repressive dello Stato hanno fatto sì che semplici cittadini, magari denunciati 30-40 anni fa per pascolo abusivo o indebito porto di coltello, non siano stati ancora riabilitati dagli organi competenti. E ciò è grave danno anche per l'economia del piccolo centro. L'Italia, paese delle municipalità, deve restituire anche a Platì il gusto di credere in un'amministrazione comunale propria. Le strategie dei partiti, per lungo tempo impegnati ad occupare i centri di potere dello Stato, devono restituire ai giovani il gusto di far politica.
Basta leggere tra i segni, tra i gesti, tra i messaggi, tra i silenzi che a Platì sono tanti. Domande ben precise che aspettano risposte chiarificatrici.
«Le false complicità vanno evitate - mi dice Maria, giovane insegnante platiese. Gli atteggiamenti repressivi ed autoritari non sempre creano da soli le condizioni per uno sviluppo equilibrato della società».
Mi indica l'enorme ferita, in alto, sopra la montagna che sovrasta pericolosamente il paese. Ha acquisito con il tempo sembianze umane. Agli occhi di Maria è diventata una sorta di «gigante buono» tra la terra «sfilesata»* dell'Aspromonte.
«Ogni volta che ritorno dal Centro ltalia» - mi sibila, illuminandosi in viso - «lo cerco con lo sguardo: è un appiglio per non scivolare nel baratro nel nulla. Che brutta cosa la città. Qui basta niente per parlarmi di tutto!».
Continua a fissare quella montagna, mentre controlla con la mente il suo respiro, il suo corpo vacillante in terra infidelium. Poco più in là, un gruppo di bambini guarda, scruta, quasi, l'elicottero della Polizia di Stato che, assordante, disegna strane geometrie nel cielo. Mi sfrecciano davanti girando per la piazzetta, quasi isolati dal mondo, allargando le braccia per meglio librarsi in volo. D'improvviso si rannicchiano dietro il muretto per difendersi dal terribile nemico... cui indirizzano anatemi e dichiarazioni di guerra, con lo sguardo complice dei più anziani, che sulla soglia della porta appaiono pensosi, come sospesi tra due mondi.
È l'imbrunire, quando lascio il paese salutato dalle donne che, con i loro pesi in testa, ritornano dalla campagna, strappata alla furia della fiumara, con una mano appiccicata al fianco. Sono alla ricerca continua di un equilibrio che solo loro sanno ben mantenere. Continuano a saltellare per evitare di inciampare nelle pozzanghere d'acqua, che riflettono case disegnate in stile ionico e nascondono per alcune ore i buchi della storia ...!
Gianni Carteri
Testo e foto: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992
Restyling editoriale del testo Rosalba Perri.

 FINE


* Secondo l'avvocato Michele Fera: Le «filese», le terribili frane dei nostri paesi, quando si muovono provocano effetti stranissimi e paurosissimi

Nota - A quasi trenta anni dalla pubblicazione del lavoro del compianto Gianni Carteri, il titolo del film scelto per la ripubblicazione su queste pagine rispecchia lo stato in cui il paese rimane ancorato. L'orizzonte è grigio, la voglia di riscatto... utopia! I sogni... covidizzati dallo smartphone.






venerdì 29 maggio 2020

AGONIA - Una mini serie su Platì di GIANNI CARTERI - Pt. 3 - E lo Stato?

La continuità del flusso migratorio, 
la rilevanza dei suoi effetti, 
le notevoli sofferenze ...


Parte terza

Al dramma dell'emigrazione si aggiunge il dramma del disastro dell’Andrea Doria che cola a picco il 26 luglio del 1956. Quella notte a Nantucket muoiono Concettina Zappia e i suoi quattro figli - Giuseppe, Anna Maria, Domenica e Rocco. Non riescono ad approdare negli Stati Uniti dove li attendeva il marito, Nino Sergi.
La continuità del flusso migratorio, la rilevanza dei suoi effetti, le notevoli sofferenze che hanno accompagnato il suo svolgimento, servono a sottolineare lo stretto rapporto tra l’esodo dalle campagne e l'avvio di un certo moto di sviluppo autonomo della società meridionale. Ma per Platì partire significa quasi sempre non ritornare. Si pensa a consolidare la presenza all'estero, fondando veri e propri quartieri «pratioti». Basti pensare a quel che succede a Griffith in Australia.
La popolazione nel giro di qualche lustro si dimezza, pur resistendo un certo gruppo di giovani leve che studiano nelle scuole di Locri e di Reggio. Pochi approdano all'Università.
Anche qui un altro primato: il primo e più giovane notaio donna d'Italia è Grazia Fera di Platì. Certo l'umanesimo meridionale incomincia a scricchiolare. La cultura del paese che un tempo contava insigni studiosi e cultori, intenti allo studio delle tradizioni, della storia, si esaurisce lentamente.
Eppure, lo spopolamento in Platì tra le due guerre era stato non poco contenuto rispetto agli altri paesi della Calabria: appena l’1,80% rispetto a quote del 13%-17% di altri paesi.
Questo aveva consentito un incontro formativo reale tra giovani e borghesia e aristocrazia locale. Non mancava di certo l'interesse per la coscienza viva dei problemi del Paese che di certo meglio li preparava ad affrontare la vita.
Nella vita amministrativa qualcosa cambia. Dopo alcuni scioperi si aprono i primi cantieri della Forestale e del Consorzio di Bonifica, la gente più povera può accedere ai boschi di proprietà del demanio del Comune per il «legnatico». C'era pure l'erba per l’allevamento delle bestie. «Ogni anno - mi dice una vecchia ottantenne in nero - il Comune il tre del mese di marzo vendeva gli erbaggi, quasi sempre a prezzi bassi. C'erano due guardiani che badavano a custodire e far rispettare le regole». Qualcun altro interviene nella discussione affermando che il vero problema non sono più le cicorie e la legna: «E’ il lavoro che manca ai nostri figli!».
Intanto il fronte cattolico-democristiano si sfalda: nelle elezioni amministrative del 1960 la lista «Spiga con foglia» capeggiata da Francesco Catanzariti e con Prestia e Michele Crea travolge gli avversari: 1.235 voti contro i 665 degli avversari. Inizia un lungo predominio della sinistra che si prolungherà fino al 1978, quando la Democrazia Cristiana del compianto Mimmo De Maio ha la meglio sulla Spiga: 1.370 voti contro i 719.


Gli anni Sessanta e Settanta incrementano la presenza della Forestale e del Consorzio di Bonifica. ln verità la sinistra favorisce non poco il settore scolastico, anche se le migliori intelligenze lasciano il paese per il Nord ed il centro Italia. Non si pensa, però, a creare una nuova classe dirigente e questo peserà non poco nella vita politica del paese, ormai dissanguato delle migliori intelligenze.
L’esodo delle famiglie della borghesia terriera infligge un ulteriore colpo alla ormai fragile società platiese.
E lo Stato? Viene visto più lontano, nonostante gli sforzi del Sindaco, Mimmo De Maio, di incrementare la presenza della Forestale, del Consorzio di Bonifica e del ripristino della vecchia statale 112, che riesce a farsi finanziare per rompere l'isolamento del paese. Forse appare poco per risollevare le sorti di un paese sempre più disgregato e sfilacciato. Lo stesso De Maio viene ucciso in un agguato il 27 marzo 1985 alle porte di Natile. Analoga sorte tragica toccherà a Ciccio Prestia, per lunghi anni sindaco del paese.
Momenti molto tragici per la vita del paese. (continua)
Gianni Carteri
Testo e foto: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992


giovedì 28 maggio 2020

AGONIA - Una mini serie su Platì di GIANNI CARTERI - Pt. 2 - Sotto il segno della «Spiga con foglia»

O professuri, la spiga chi vinciu era di granu, 
e nui 'ndi-'ndi futtimu i Don Peppinu

 Parte seconda



Sotto il segno della «Spiga con foglia» si rompe con il passato, così sembra, e nel maggio del 1947 il Delfino, dopo alcuni mesi di carica, cede la poltrona di sindaco ad un giovane della stessa lista: Ciccio Prestia. Il Prestia fece notizia: fu il sindaco più giovane d'ltalia in quell'anno ed alla sua scuola e a quella di Michele Crea si formerà politicamente Ciccio Catanzariti, che diventerà poi sindaco e deputato al parlamento, nelle fila del PCI, segnando un momento particolarmente felice nella storia amministrativa del centro aspromontano.

In verità quella del '46-'47 fu una battaglia aspra. La lista cattolica portò in processione la statua della Madonna del Loreto, la patrona di Platì («a Madonna du Ritu») ma tutto apparve inutile. Ben 500 voti distanziarono gli «eretici» dai loro «santi» avversari. Un tripudio popolare con la spiga di grano appesa ai balconi del paese per diversi giorni. Non mancarono le serenate consolatrici ai vinti (Don Peppino Zappia, l'ins. Rosario De Marco). Qualche vecchietto mi intona i versi mentre si forma un nutrito capannello di nostalgici e curiosi. « ... O professuri, la spiga chi vinciu era di granu, e nui 'ndi-'ndi futtimu i Don Peppinu, u signurinu». Si passava di poi sotto il balcone dello Zappia con una sola variazione: «’ndi-'ndi futtimu du vostru vinu, o Don Peppinu, o Don Peppinu...!».
Passati i fumi del vino, la concentrazione popolare si sfalda. Nel giro di qualche anno pressioni esterne ed iniziative giudiziarie degli agrari costringono qualcuno della Spiga alla defezione. Gli agrari prendono in mano il comune quindici giorni prima dell’alluvione del 18 ottobre 1951 ed eleggono sindaco proprio Giuseppe Zappia. Il cataclisma sconvolge il paese: diciassette sono i morti tra una popolazione sgomenta, atterrita per il lento disfacimento della montagna sovrastante il paese. Domenico Catanzariti, «u giarruni», padre del futuro sindaco e deputato, Francesco, scrive alcuni versi per ricordare la catastrofe:
U diciottu ottobri chi doluri
Quandu li frani vittimu scindiri,
si riuniru muntagni e vagliumi
paria lu giudiziu universali.

Il fango inghiottì tutto e mise in ginocchio l'economia agricolo-pastorale di Platì.
Scrisse Rizzuti sul Mattino di Napoli «Anche il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato il cimitero, lo ha sommerso». «. . .Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra, perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte».


Arrivano i primi soccorsi e nel marzo del 1953, in piena campagna elettorale, il capo del Governo Alcide De Gasperi sale a Platì per inaugurare le case popolari costruite in contrada Lacchi, alle porte del paese. Il corteo presidenziale viene fermato con uno stratagemma a Natile, lungo la vecchia statale 112: il tricolore deposto sull'asfalto obbliga il Presidente a fermarsi ed il capo-popolo, cavaliere Giovanni Napoli, consegna una lettera di protesta per il mancato trasferimento dell'abitato di Natile Vecchio. Si prosegue nel frattempo, superato lo scoglio della protesta popolare dei natiloti, verso Platì. De Gasperi nel vedere le casupole costruite alla frazione Lacchi ha un moto di ribellione, di stizza e non può non esclamare: «E che vi devono abitare i porci? Vergogna!». Altri tempi!
Dal balcone di casa Oliva lo statista tiene un comizio tra l'arciprete Gliozzi, l’on. Michele Murdaca ed il sindaco Peppino Zappia. C’è qualche contestazione popolare quando si arringa la folla paventando il pericolo comunista e gridando: «Il mostro comunista mangerà anche i vostri bambini ...». Domenico Catanzariti, mischiato tra la folla, risponde gridando: «Buum!». Accorrono i carabinieri e lo portano in caserma in stato di fermo e sarà poi lo stesso Capo del Governo ad invitare il Comandante della locale stazione a lasciarlo libero. De Gasperi, prima di partire, firma un assegno di un milione che consegna al Sindaco per i bisogni del popolo. Ma è proprio l'alluvione che determina lo sconvolgimento sociale di Platì. Un inesorabile processo di emigrazione che dissangua il tessuto economico platiese e dimezza nel giro di pochi anni la popolazione che contava più di 6.000 abitanti.
È un richiamarsi a vicenda; dall'Australia e dalle Americhe. Si abbandonano le campagne e conseguentemente i proprietari terrieri incominciano a perdere il loro potere. Furono in prima fila ad ostacolare il trasferimento dell'abitato di Platì che si voleva portare nella zona di S. Ilario dello Ionio. Si optò per il consolidamento. Con i contadini vanno via tanti bravissimi artigiani (in special modo sarti) cerniera sociale tra la borghesia terriera e la classe contadina: il vero collante insieme agli intellettuali (non pochi) della società platiese. (continua)
Gianni Carteri  Testi e foto: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992

La foto introduttiva è nella rivista che contiene il testo di Gianni Carteri. La foto con il professore De Marco e lo zio Ciccillo e quella dello statista con lo zio e don Peppino Zappia sono una cortesia di Francesco di Raimondo. L'immagine con Ciccillo Prestia è già apparsa in queste pagine.


mercoledì 27 maggio 2020

AGONIA [di Julio Bressane, 1978] - Una mini serie su Platì di GIANNI CARTERI (1952 – 2015) in quattro parti



DEMOCRAZIA NEGATA
IL «CASO» PLATI’

QUELLA VOLTA
CHE VENNE DE GASPERI

 [Una storia in quattro parti]

Lo Stato unitario che a Platì usò il guanto di ferro per sconfiggere il brigantaggio 
di Ferdinando Mittiga, è ancora visto come un 'entità lontana. Platì è oggi un paese che rischia di essere cancellato dalla mappa geo-politica dell'Italia. E come una rondine ferita adagiata con il becco ai piedi dei primi contrafforti aspromontani. E già passato un anno dalla rivolta delle donne in nero.



Prima Parte

Piove a dirotto su Platì e la primavera tarda ad annunciarsi. Montagne di nuvole cariche ancora di acqua non promettono nulla di buono e rinnovano le vecchie paure e le imprecazioni per uno Stato che non c'è.
Una presenza emotiva, episodica, fluttuante e spesso in veste repressiva. Uno stato di disagio tra la gente dove è facile leggere un senso di sfiducia quasi totale. Siamo tornati ai livelli del 1945. La gente semplice che stenta a mantenere una sua dignità di vita civile e democratica si rende conto che qualcosa si è rotto nel rapporto con il resto d'Italia. Lo Stato unitario che in Platì fu particolarmente violento per domare il brigantaggio di Ferdinando Mittiga è ancora visto come una entità astratta e lontana. Un paese che rischia di essere cancellato dalla mappa geo-politica dell’Italia.



È passato ormai quasi un anno dalla rivolta delle donne in nero che in 48 ore spazzò via l’Amministrazione Comunale. Ne parlò anche la stampa nazionale nella consueta logica del «mordi e fuggi» degli inviati speciali, interessati a dipingere il paese aspromontano come covo di briganti e sequestratori. Per rendersi conto del contrario basta addentrarsi nei vicoli del centro storico che quasi miracolosamente resiste al tempo; si ritrova l'anima del passato: ne viene fuori una Platì completamente diversa, magicamente attaccata alle proprie radici, alla cultura fatalista dei propri padri che in ogni casa ricordano fotografie a colori, adagiate su un centrino bianco sopra il comò: quasi fossero Numi tutelari, gelosi custodi di atteggiamenti e tradizioni da trasmettere ad intere generazioni.
Platì è un microcosmo, una sorta di rondine ferita, adagiata con il becco ai piedi dei primi contrafforti aspromontani. Certo una civiltà che muta e dove il moderno bisogno sfrenato di danaro ha reso più instabile le basi etiche di parte della popolazione, cresciuta nella montagna più aspra d'Europa. Sono ancora ben visibili le ferite dell’alluvione del 1951, spartiacque storico della vita politica e sociale del paese.
Gli anni del Fascismo avevano consolidato in Platì una classe agraria che nel 1946 aveva dato come altri paesi del Sud la sua preferenza alla Monarchia. Durante il regime finì esule una delle guardie del corpo del capo degli ustascia croati Ante Pavelic: si chiamava Ante Zizanovic e sposerà una figlia del possidente-poeta di Platì Don Giacomino Tassone.
Sul finire della guerra Platì di certo rispecchiava l'andamento che il prefetto Priolo di Reggio Calabria nel suo rapporto semestrale del 1944 al Governo di Roma, sullo stato della Provincia, enunciava con chiarezza: «Una gara di proselitismo tra i partiti antifascisti al fine di ottenere dal competente organo provinciale la nomina del maggior numero di sindaci, assessori provinciali» la cui assegnazione avveniva sulla base del numero degli iscritti ai rispettivi partiti. 
«Nella corsa al numero si bada - evidenziava il prefetto - alla quantità e non alla qualità degli aderenti. Tutti i partiti ammettono nelle proprie fila numerosi ex-fascisti e gerarchi, mentre, poi, ciascun partito proclama solennemente la necessita di defascistizzazione ed accusa gli altri di opportunismo e di fascismo». 
Viene nominato in Platì Commissario prefettizio il maresciallo in pensione dei Carabinieri, ormai mitico, massaru Peppi, Giuseppe Delfino. Nelle prime elezioni amministrative del dopoguerra si dà vita, su iniziativa dello stesso, ad una concentrazione popolare.
Testo e foto introduttiva: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992

Nella pubblicazione è allegata la copertina della nuova edizione di CACI IL BRIGANTE di Michele Papalia, in questi giorni edita da CITTA' DEL SOLE edizioni di Reggio Calabria.
Ante Pavelic invece lo ritrovate in compagnia dei suoi degni compari.

martedì 26 maggio 2020

Okaasan (Madre) [di Mikio Naruse, 1952]

Donna Peppina Violi
di Pasquale e Maria Ciampa
11 aprile 1925 - 8 luglio 1994
eterna sposa di Antonio Trimboli


8 maggio 2016

Comu forestera ccà rrivai,
famigghjia e lavuru affruntai,
dassai u me paisi comu “pratiota”
e janu janu diventai “carraffota”.

Dassai ricordi chini d’affettu,
u cchjiù bellu u misi nta lu pettu,
lu tinni strittu no mi nesci via:
è chiju di la cara “mamma” mia.

                    Mamma:

Ognunu i nui seguimmu a nostra sorti,
rrestasti sula ma tu sempri cchjiù forti …
Fummu da tia, “figghjioli amati”
E nui di tia “mamma nnamurati”.

U cori d’amuri ndu parinchisti
E di cosi belli ndi nutristi,
nui li portamu tutti sigillati
no’ mi sunnu du tempu cancellati.

Ti portasti affanni e patimenti
Non ci fu tempu pe godimenti …
Chjiudisti l’occhji, cchjiù no nsentivi.
Chjiamavumu: mamma, ma tu no’ rispundivi.

Fusti mamma unica ed esemplari,
oji 8 MAGGIO, ti vorzi ricordari,
nta sti verzi attia dedicati
ci sunnu l’intenzioni di me soru e di me frati.

Comu forestera, nto pajisi chi nescia
Tornu mu dicu na preghiera attia:
                                     Mamma mia.

I tuoi figli amati

Silvana Trimboli, Caraffa del Bianco

 Il ritratto di Peppina concesso da Silvana risale al 19 gennaio del 1959, quattro mesi prima della tragedia che travolse Antonio Loreto e la sua famiglia.


Il film di Mikio Naruse citato in apertura contiene lo stesso struggente tono, nel ricordare okaasan - la grande, indimenticabile Tanaka Kinuyo, della poesia composta da Silvana: una riflessione sul tempo, sulla vita stessa, la vita che avanza irrimediabilmente senza fermarsi, portandoci in un altrove che con fatica accettiamo.


lunedì 25 maggio 2020

I lupi attaccano in branco [di Franco Cirino,1970]




SEGNALATI DAI PASTORI
Branchi di lupi sull’Aspromonte

Platì, 2 gennaio `
Molti pastori di questo centro, dislocati in vari punti dell'Aspromonte hanno segnalato la presenza di numerosi lupi nelle zone anche vicine all'abitato.
Nella serata di ieri alcune dir queste belve si sono portate in un recinto di capre posto in contrada Arcopallo e hanno sbranato alcuni capi della mandria. Altri capi di bestiame, tra cui sei mucche e diverse pecore sono scappati via impauriti dall'assalto e non sono stati poi ritrovati.
I pastori danno attivamente la caccia alle pericolose belve, che si presume siano in tutto una diecina, ma le battute condotte finora non hanno dato nessun risultato positivo.
La sera di martedì 27 dicembre, verso le ore ventitré, alcuni giovani di questo centro hanno dichiarato di avere visto, lungo la via Roma, risalire una piccola torma di cani uggiolanti. Appare probabile adesso, che dovevasi trattare di qualche lupo spinto dalla fame nel paese.
GAZZETTA DEL SUD 3 gennaio 1955

Dal tono, il testo è facilmente attribuibile a Michele Fera


domenica 24 maggio 2020

Roba da ricchi [di Sergio Corbucci,1987]



La Illustrissima Casa Cariati ed i contratti con Massari di Platì, 
Careri e Natile, ex feudi.

La casa Cariati, ossia la famiglia dei principi Spinelli, possedeva i Feudi di Platì, Careri e Natile con i relativi pascoli e foreste. Dopo l’abolizione del sistema feudale in epoca napoleonica, la proprietà rimase comunque agli ex baroni che possedevano le terre e il bestiame. Dei contratti furono stipulati con i Massari per la cura degli allevamenti o con “industrianti” per la gestione dei mulini. I contratti venivano stipulati per mezzo dei notai della zona: da Ardore a Santa Cristina.  Questi contratti sono interessanti in quanto testimoniano la ricchezza e l’economia di Platì e dell’area intorno.
Ve ne propongo uno, altri seguiranno, che riguarda una Masseria di Vacche in uso già da tempo: - Anche se in genere il padrone degli animali preferiva godere interamente del loro “frutto”, in alcuni casi, invece, sappiamo che poteva affidarli in rapporto di Soccida, dandoli “in guadagno” ad un altro, che s’impegnava a custodirli “a mita”, ovvero “in medietatem lucri”. – (*)
Atto nr 37, Anno 1822, Notaio Saverio Gliozzi fu Carlantonio di Ardore
Regno delle due Sicilie
Oggi che si contano li due del mese di Agosto dell’anno mille ottocento ventidue in questo Comune di Platì.
Regnando Ferdinando primo, per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza, Castro “Gran Principe Ereditario della Toscana”.
Avanti a Noi Saverio Gliozzi, figlio del fù Carlantonio Notaio pubblico domiciliato in quel Comune di Ardore col nostro Studio Strada Pittellari, Provincia della Prima Calabria Ulteriore oggi di passaggio in questo sudetto Comune di Platì, e dei sottoscritti letterati testimoni richiesti ed aventi tutte le qualità ordinate dalla Legge; si è personalmente costituito il Signor Don Muzio Lacava, Dottor Fisico, figlio del fù Don Pasquale domiciliato in questo sudetto Comune di Platì Strada La Chiesa Madre, Agente ed Amministratore dei beni dell’Illustre Casa Cariati in questi ex feudi di Platì, (ill), Careri, da noi Notaio e testimonj ben conosciuto, da una parte.
E dall’altra, il massaro Domenico Pangallo fu Diego ed il massaro Francesco Catanzariti fu Antonino, domiciliati in questo sudetto Comune di Platì da noi notaio, e da testimonj ben conosciuti.

Dunque, siamo nel 1822 e questo contratto ne rinnova uno precedente stipulato presso il Notaio Brancatisano di Santa Cristina. I Massari Pangallo e Catanzariti (ri)prendono in carico una masseria di vacche. Viene eseguita una perizia sul valore affidata a Domenico Portolese, di Vittorio, e a Rocco Lacava entrambi di Platì e quindi si fanno i calcoli con il valore dell’anno precedente. La masseria ha acquisito ben duecentotredici ducati di valore da dividere fra la Casa Cariati ed i Conduttori. In effetti finirà tutto alla Casa Cariati poiché i Massari sono debitori dell’affitto del Carruso, pascolo sempre di proprietà della Casa Cariati. Interessante è l’inventario delle bestie e del loro valore:
Vacche figliate a maschi numero venti per lo valore di ducati trecento novanta tre
Vacche figliate a femmine numero diciannove per lo valore di ducati quattrocento undeci
Vacche stirpe numero trentacinque per lo valore di ducati cinquecento novanta
Genche di tre anni numero due per lo valore di ducati trentaquattro;
Ienturi di due anni in tre numero quattro per lo valore di ducati sessanta,
Giovenche di due in tre anni numero sedici per lo valore di ducati duecento sessantatre.
Annicchie di un’anno in due numero quattordeci per lo valore di ducati centosessanta.
Annichi di un’anno in due numero quattordeci per lo valore di ducati centosedici
e finalmente due tori per lo valore di ducati cinquanta
che in una formano numero centoventisei per lo valore di ducati duemila settantasette.

Una breve digressione sul valore della Masseria di Vacche:  benché sia difficile ottenere una corrispondenza precisa fra il valore del ducato in quel periodo e l’euro, essendo molte le variabili che concorrono a determinarlo (non comparabili ad esempio il costo della mano d’opera o quello del mercato immobiliare), ci possiamo basare su due dati di fatto: il valore che venne dato al ducato all’Unità d’Italia ed il valore dell’oro materiale di cui era fatto il ducato. Se consideriamo il primo, 1 ducato napoletano = 4,25 lire (nel 1861). 1 lira del 1861 = 13 euro quindi un ducato circa 50 euro. Più o meno lo stesso risultato si ottiene considerando il suo peso in oro: 3,53 gr. Quindi 2077 ducati corrisponderebbero a circa 103.000 euro.
Oltre al bestiame, vengono consegnati ai Massari anche degli attrezzi:
Da vantaggio li sudetti Pangallo, e Catanzariti dichiarano di aversino ricevuto li seguenti utensili di masseria. Primo: tavole d’abeto numero sette usate. Secondo un caccavo (**) grande di rame da circa libre cinquanta. Terzo simile di libre trentadue i quarto, simile di libre ventisette; quinto una caldaja di rame del peso di libre venticinque, sesto un’altra di peso di libre nove; settimo, campane numero sette; ottavo, cani numero quattro cioè Turco, Palombella, Rosa e Berettone, essendo morte Schiavella e Marchesa. Oggetti che si riceverono nell’anno scorso dal Signor Passarelli, che si riconsegnano e si ricevono di nuovo per restituirli ai trentuno di Luglio dell’anno venturo milleottocentoventitre, unitamente alla masseria.
In cosa consistono i guadagni delle parti?
Si è convenuto che li sudetti massari Domenico Pangallo e Francesco Catanzariti fussero obbligati a custodire la sudetta Masseria delle Vacche da diligente Padre di Famiglia e tenerla a mettà guadagno tanto per gli animali che il frutto dei Latticini.
Alla riconsegna,
… conosciuto il valore degl’animali allora esistenti, si dovessero togliere i ducati duemilasettantasette, importo della masseria che si ricevono, quindi il rimanente tolta la spesa dei pascoli, sale, ed altro, dovesse dividersi per mettà tra ambe le parti contraenti.
Ma, restando ad arbitrio del Patrimonio di pagare in danaro contante cioché gli spetterà di avanzi sopra i sudetti animali.
Eventuali perdite sul capitale, non imputabili all’incuria dei Massari, saranno anche prese in carico dalle parti.
La Casa Cariati pur concedendo che la Masseria potesse pascolare nelle montagne di Alati e Fricuri appartenenti a detto Patrimonio senza chiedere nulla, li pascoli della Foresta nomata Carruso esistente nel territorio di Careri, dovessero restare per servizio della Masseria per l’estaglio(***) di ducati duecentosettanta, siccome si è praticato per lo passato.
A carico dei Massari vi è anche un compenso per l’Agente di Casa Cariati: i sudetti Massari siano obbligati di corrispondere al sudetto Signor Agente ed al suo fattore quei latticini freschi che secondo il costume si è pratticato per lo passato. Come si può leggere non è quantificato e si va per consuetudine.

I nostri massari non sapevano leggere e scrivere, ma letterati sono i testimoni che firmano insieme all’Agente ed al notaio. L’atto (o instrumento) viene redatto e letto in presenza dei sottoscritti testimonj  il Signor Don Giosafatto Furori del fù Francesco domiciliato in questo Comune di Platì e del Signor Don Pasquale Lentini del fù Antonio domiciliato in questo medesimo Comune, amendue possidenti, testimonj richiesti ed aventi le qualità prescritte dalla Legge, alla presenza dei quali, e di me notaio stipolatore li sudetti massari Domenico Pangallo e Francesco Catanzariti hanno dichiarato di non saper scrivere per non aver mai imparato.

Negli anni seguenti ci saranno altri contratti di rinnovo e l’Agente sarà Don Francescantonio Stillisano sposato ad una Oliva. Il terzo luogo del Feudo, illeggibile nel contratto del 1822, sarà in questo nuovo contratto nominato come Natile.

(*) Note per una storia dei bovini del ceppo Calabrese della razza Podolica (sec. XVI-XVII) di Pino RENDE Arsac Centro Divulgazione Agricola n°11
(**) CACCAVO, CACCAVELLA
Parliamo di grandi o più piccoli recipienti di rame e/o di coccio. il cui nome deriva dal latino caccabus, contenitore, a sua volta dal greco χαχχαβίς caccabios,  con la solita mutazione della b in v

(***) ESTAGLIO dal lat. mediev. extalĭu(m), comp. di ex-“fuori, da” e di un der. di taliāre “tagliare”. tipo di contratto a cottimo in uso nell’Italia meridionale


Ricerche svolte presso l' Archivio di Stato di Locri, Atti notarili, Notaio Saverio Gliozzi, atto n. 37 del 1822.
ROSALBA PERRI

sabato 23 maggio 2020

AMIGOS [di Paolo Cavara,1972]


Oggi sono qui con Francesco di Raimondo, il nonno di Francesco, Micuzzu, lo zio Ernesto, su tutti giganteggia a Madonna du Ritu :
https://ilpaesediplati.blogspot.com/2020/05/riecco-il-blog-su-plati.html