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giovedì 4 giugno 2020

Per un pugno di pecore [di Michele Lupo, 1967]


La Illustrissima Casa Cariati ed i contratti con Massari di Platì, Careri e Natile, ex feudi.


 A seguire dal post del 24 maggio 
ecco un secondo contratto fra la casa Cariati ed un Massaro di Platì con i suoi foresi.
Ogni volta che ho preso in mano un fascicolo degli atti notarili nell’Archivio di Stato a Locri, mi sono persuasa di essere la prima da anni, se non persino dalla sua archiviazione, a sfogliare quegli atti redatti nei primi decenni del 1800. Questa consapevolezza mi ha emozionata. A volte le pagine erano appiccicate ai bordi a causa dell’azione del tempo e dovevo staccarle con delicatezza per non rovinarle. L’emozione è stata più forte quando ho letto il contratto che segue perché oltre all’interesse come pezzo della storia di Platì, era anche un pezzo della storia della mia famiglia. Il Massaro Domenico Perre fu Francesco, detto Banto, è stato un mio antenato diretto risalendo indietro di sette generazioni. Nato nel 1773, sposò Francesca Caruso ed ebbe undici figli: nove maschi e due femmine. Nel 1824 aveva 51 anni.
Il nostro cognome è stato, nei registri delle Anagrafi del 1800, indifferentemente scritto come Perre e Perri. A volte, addirittura nello stesso atto, padre e figlio venivano indicati in maniera differente.

Torniamo al contratto. Come già detto nel post di cui sopra, la Casa Cariati stipulava contratti per la cura degli allevamenti, delle terre e delle macchine (mulini e trappeti). Quello che segue riguarda un gregge di ovini e caprini di proprietà dell’Illustre Casa Cariati a Soccio 1, cioè a custodirlo a metà frutto e guadagno, per un semplice anno, principiato dal dì primo Agosto di questo anno e terminando nel dì trentuno Luglio mille ottocento venticinque
Oggi che si contano li diciassette del mese di settembre dell’anno mille ottocento ventiquattro, in questo Comune di Platì. 


 Ferdinando primo Regnante, per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro “e Gran Principe Ereditario della Toscana””.
Avanti a noi Saverio Gliozzi, Figlio del fù Carlantonio notaio pubblico residente nel comune d’Ardore col nostro studio, Strada Pittellari, oggi in questo di Platì di passaggio, e de’ sottoscrivendi testimonj a noi ben cogniti, richiesti, ed aventi tutte le qualità prescritte dalla Legge; si sono personalmente costituiti il Signor Don Francescantonio Stillisano del fù Antonio proprietario domiciliato in questo sudetto Comune di Platì, Strada Chiesa Madre, bene a noi cognito, ed ai testimonj, il quale age nella qualità di attuale Agente, ed Amministratore de’ beni del Patrimonio Giudiziario dell’Illustre Casa Cariati, pe’ Comuni di Platì, Natile, e Careri, ed interviene alle cose infrascritte per se e per l’Agente suo successore, dell’una parte.
E dell’altra, il Massaro Domenico Perre del fù Francesco, e suoi foresi Domenico di Marco del fù Antonio, Francesco Molluso del fù Pasquale, Saverio Iermanò del fù Giuseppe, e Domenico Romeo di Rocco, proprietari, domiciliati in questo sudetto Comune di Platì, del pari a noi notajo e testimonj bene cogniti, li quali aggono ed intervengono alle cose infradicende per loro stessi, loro eredi e successori.

Restituito dal Massaro Domenico Staltari che deve aver deciso di cambiare occupazione in quanto nello stesso anno, con altro atto, riceve delle terre sempre dalla casa Cariati, il gregge è così composto:
Pecore grosse numero centosessantotto, per ducati dugentottanta cinque e grana sessanta;
montoni numero dodeci, per ducati venti e grana quaranta;
capre numero centosessantasette per ducati dugentottantatre e grana novanta;
caproni numero trenta, per ducati cinquantuno;
castrato numero uno, per ducato uno e grana settanta;
agnelli ed agnelle numero sessantacinque, per ducati cinquantotto e grana cinquanta;
capretti e caprette numero quarantacinque, per ducati quaranta e grana cinquanta;
in tutto numerano quattrocentottantotto, per ducati settecento quarantuno e grana sessanta
Secondo il calcolo che vuole un ducato corrispondere a circa 50 euro (basandosi sul valore dell’oro), il valore del gregge è di 37.000 euro, cifra inferiore alla mandria di bovini, ma sempre considerevole.

Compresi sono gli utensili: caccavo numero due, un caccavo di rame di circa libre trenta, un altro di circa libre quindici, una caldara di rame di circa libre sette, due cagne ed una cagnola, tavole per ripostarci il cacio, numero sei; scanni numero quattro, perché gl’altri inrecivibili consumati dall’uso.

Guadagni e perdite:
- se nel tempo della riconsegna precedente perizia da farsi di comune consenso, risulterà un numero di animali maggiori all’epoca in cui se l’han ricevuto, allora il detto Signor Agente fosse obbligato pagare alli detti Domenico Perre, Domenico di Marco, Francesco Molluso, Saverio Iermanò e Domenico Romeo e ai di loro eredi, per ogni animale grosso d’avanzo la somma  di grana cinquanta e sopra gli avanzi degli animali piccoli di quelli cioè meno di un’anno, la somma di grana diciassette
- il prodotto de’ latticini della lana, e dello stabio2 si dovesse dividere per mettà in favore della Casa Cariati e mettà a favore delli detti  Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo.

- in caso di perdita de’ sudetti animali, nascente da morte naturale, fossero obbligati detti Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo pagargli a grana cinquanta per ciascheduno, all’infuori de’ casi fortuiti, per li quali si rimettono al disposto della Legge.

- siccome le pecore e capre che si riceverono li cennati Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo sono affette dal morbo chiamato vucculo superiore a qualunque rimedio, se mai per l’avvenire continuasse il detto morbo, allora tutti gli animali che verranno a perire collo stesso dovranno andare a carico del Patrimonio. In tal caso però dovranno ativarsi due Periti per conoscersi la causa della morte; indi si dovrà formare un foglio annotandosi in esso tutti gli animali giudicati morti col vucculo3, un tal foglio firmato da esso Signor Agente per ogn’animale morto, dovrà conservarsi da esso Perre per presentarlo nella riconsegna.

Erbaggi.
- gli erbagi per popolare la sudetta gregge4 si dovessero pagare per mettà fra le parti, di unit’a tutte le altre spese che occorreranno nel corso dell’anno, e che potessero mettere le capre di detta gregge nel carruso pagando quant’è giusto
- Dichiarano ancora essi Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo di aversino ricevuto del mentovato Signor Agente gl’erbaggi de’ fondi chiamati Santa Barbara e Bollarino, siti nel Territorio di Platì, per poter pascolare la mentovata gregge nel corso dell’anno, per la mercede di ducati settanta, restando a carico di esso Signor Agente di pagare la rate de’ pascoli ai Coloni di detti fondi coll’obbligo a detti Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo di pagare a tutt’il mese di luglio venturo anno, la mettà degl’erbagi sudetti.

Anticipo.
Dichiarano ancora essi Perre, di Marco, Melluso, Iermanò e Romeo aver sino ricevuto da esso Signor Agente docati dieci di contante moneta d’argento5 corrente in Regno, a titolo di soccorso, per restituirli nella fine dell’anno.

Firme
Franc. Ant. Stillisano Ag. Contraente
Giovanni Mittiga sono presente Testimonio
Pasquale Zappia son Testimonio
Saverio Gliozzi, figlio del fù Carlantonio


Ricerche svolte presso l'Archivio di Stato di Locri, Atti notarili, Notaio Saverio Gliozzi fu Carlantonio di Ardore, atto n. 61, Anno 1824.

1 -  dal vocabolario Treccani.
sòccio s. m. [lat. sŏcius «compagno, socio»]. – 1. Chi prende il bestiame a soccida, soccidario. 2. tosc. a. Soccida: dare, pigliare a soccio. b. Il bestiame dato o preso a soccida.
sòccida (ant. sòccita) s. f. [lat. sociĕtas «società» (nella variante pop. sòcietas)]. – Contratto diretto a costituire un’impresa agricola di natura associativa, nella quale si attua una collaborazione economica tra colui che dispone del bestiame (soccidante, concedente) e chi deve allevarlo (soccidario, allevatore), al fine di allevare e sfruttare una certa quantità di bestiame ed esercitare le attività connesse, ripartendo spese e utili inerenti sia all’accrescimento del bestiame sia ai prodotti (latte, formaggio, ecc.) che ne derivano. Si distinguono tre tipi di soccida: s. semplice, in cui il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario presta l’attività necessaria all’allevamento, dividendo tra loro gli accrescimenti, i prodotti, gli utili e le spese secondo le proporzioni stabilite dal contratto o dagli usi; s. parziaria, in cui il bestiame è conferito da entrambi i contraenti, mentre il soccidario presta in più l’attività necessaria all’allevamento; s. con conferimento di pascolo, in cui il soccidante conferisce il terreno per il pascolo, e ha la direzione dell’impresa, il soccidario conferisce il bestiame e il lavoro necessario, con il diritto di controllare la gestione.

2 - dal vocabolario Treccani.
stàbbio s. m. [lat. stabŭlum «dimora, alloggio», e in partic. «dimora, recinto per animali, stalla», der. di stare «stare, dimorare»]. – 1. Spazio, recinto in un terreno a pascolo, dove si tengono gli animali all’addiaccio per concimare il terreno (v. stabbiatura). 2. Stalla, ricovero per animali: Belan le capre ne lo s. pien (Carducci); sul tetto di latta della sua abitazione che pareva uno s. per le pecore (Pasolini). 3. Sterco di animali da allevamento; letame, concime costituito da sterco animale: fumava lo s. in mezzo alle vie, ammassato fuori delle scuderie

3 – vucculo = ipotiroidismo spesso con gozzo

4 - fra le curiosità linguistiche di questi testi, oltre ad un’abbondanza di virgole e di quelli che oggi sarebbero errori grammaticali, vi è anche la gregge che giustifica il plurale le greggi.




5 -  le monete d’argento di solito erano: la piastra (120 grana, cioè 1,20 ducati), la mezza piastra (60 grana), il carlino (10 grana), il tarì (2 carlini). In un ducato vi erano 100 grana.
ROSALBA PERRI

Nota. La foto introduttiva: per quanto possa fare riesco a distinguere in costume calabrese la zia Amalia, al centro, con il braccio appoggiato sulla zia Iola; il resto sono una nebulosa, the location and the young boys, il primo alla vostra sinistra mi pare il giovane Totò Delfino, e, forse, uno degli Spadaro accanto alla zia Amalia.
Alla foto allego questo brano della virtuosa dell'organetto celtico:

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