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lunedì 22 aprile 2019

Il vizio della speranza [di Edoardo De Angelis 2018]



La mia Platì
“Una proposta: facciamo il punto quarant’anni dopo l’alluvione”

di FRANCESCO CATANZARITI

Il caso Platì tiene ancora banco. La ragione, fondata e legittima, del particolare interesse della stampa questa volta va ricercata nella mancata presentazione di liste di candidati per il rinnovo del Consiglio Comunale. Le spiegazioni di questo fatto eccezionale e preoccupante, ma non nuovo in Calabria, sono state diverse. Si è parlato di degrado, di protesta, ma fondamentalmente di mafia. Sarà stato per colpa del caldo opprimente e pesante di questa torrida estate, sarà stato per la solita pigrizia politico-culturale, ma bisogna constatare, con amarezza e tormento, che non è stata fatta un analisi approfondita, seria e rigorosa della cosa. Eppure questo sarebbe stato opportuno e doveroso da parte particolarmente dei politici, tutti. Il caso Platì è un pericoloso campanello d' allarme per la democrazia, per le istituzioni democratiche e politiche. Può essere il sintomo grave di processi in marcia verso fenomeni di degrado politico, d'imbarbarimento, di insanabili lacerazioni del tessuto democratico e politico italiano. E indiscutibile per intanto che si è in presenza di una grave sconfitta dei partiti politici tutti, della sinistra e delle forze progressiste in primo luogo. Da questo pasticciaccio, confuso e contorto, non si esce manovrando, coscientemente o meno, gli strumenti della spettacolarizzazione e della strumentalizzazione. Ma neanche vestendo panni donchisciotteschi.
Ecco perché in questo contesto non mi convincono alcune uscite estemporanee. Sono venuto a conoscenza della disponibilità annunciata da Vito Rubini, segretario provinciale del PRI di Teramo, a presentarsi candidato alle selezioni amministrative di Platì. Non conosco le motivazioni specifiche che stanno alla base di questa decisione.
Le immagino e le deduco dall'influenza emotiva che avranno potuto esercitare certe rappresentazioni date dai mass-media. Apprezzo per le nobili intenzioni, ma non condivido una decisione, che non mi pare, al di là della emotività, sia sostenuta da giusti e seri intenti, tali da contribuire a dare un adeguato contributo a far uscire questo piccolo paese dalla grave e drammatica situazione in cui è venuto a trovarsi. E’ fuori strada il signor Rubini se crede che il problema di Platì e di tanti altri comuni dell’ Aspromonte e della Calabria, sia da ricercare nella rinascita di ruoli dei grandi giustizieri. Per evitare equivoci chiarisco che non penso siano questi i proposti che sono alla base dei proponimenti della sua disponibilità. Non sarei sincero se non dicessi che questa componente in parte ci può essere; e se fosse vera globalmente l’idea che Rubini si sarà potuta fare della Calabria e di Platì, particolarmente, attraverso l'immagine deformata che dà l’informazione spettacolo, non ci scandalizzeremo più di tanto e non la disapproveremo per amor di patria e gelosie di campanile. Anzi saluteremo con grande entusiasmo e compiacimento un contributo da un cittadino proveniente da una città che ha grande esperienza in materia, essendo stata in epoca sveva, come i libri ci ricordano, residenza del gran giustiziere d’Abruzzo.
Ma non è, quello di Platì, problema di giustiziere; né tanto meno di occupazione militare, come, con una disinvoltura ai limiti della serietà e della responsabilità, qualche volta si sostiene. Non è il tempo dell'audace “occupazione di Fiume”, come nel '18 tentò con coraggio e sprezzo del pericolo il Grande ed illustre D'Annunzio, spirito inquieto, figlio, anche Egli, come il nostro, di quella Terra, “forte e gentile d'Abruzzo.
L'aspirante candidato a consigliere comunale di Platì ha già registrato una risposta dal Vice-presidente della Giunta Regionale della Calabria, ed assessore regionale agli Enti Locali, Guido Rhodio, della DC. Anche Rhodio dichiara la sua disponibilità a partecipare, o a capeggiare, una lista civica “di persone meritevoli di ogni fede politica non solo per dimostrare che la società civile calabrese è in grado di colmare inammissibili vuoti istituzionali, politici e democratici, ma per dare forza e coraggio a tanta gente onesta e pulita che a Platì e in Calabria si oppone e resiste, in varie forme, ai disegni criminali e malavitosi”. (continua)

 Testo e foto:
IL GIORNALE DI CALABRIA  QUOTIDIANO REGIONALE D’INFORMAZIONE  -Anno XXIX – N. 208 Sabato 28 settembre 1991

continua qui:


giovedì 18 aprile 2019

Terra bruciata [di Fred F. Sears,1953 ]



Calabria terra bruciata

Santo Stefano, Palizzi, Condofuri
rocce sassi greti.
Sabbie inumidite dal sudore dei nudi piedi
di donne gravide affamate
fiumare assetate
prati
ove la morte dal sole arroventata
ogni filo d’erba strappò
dal vostro cielo il paradiso vi guarda.
In questa terra
dalla fiamma di ogni dolore  
di ogni amare bruciata,
anima mia
negli occhi di un fanciullo affoga.

Isa Miranda (1909 – 1982), Una formica in ginocchio, Bologna, 1957. p. 23
ripresa in ISA MIRANDA di Orio Caldiron e Matilde Hochkofler, Gremese  Editore, 1978.

La foto riporta un’immagine tratta da Patto col diavolo di Luigi Chiarini del 1949 su soggetto di Corrado Alvaro.

mercoledì 17 aprile 2019

Ring The Bells - James

Ring, ring the bells Wake the town
Everyone is sleeping 
Shout at the crowd 
Wake them up 
This anger's deeper than sleep.


"La Resurrezione di Piero della Francesca, con il suo dio campagnolo che riemerge rosa come l'aurora nella luce grigia del mattino mentre gli esseri umani dormono ancora, è un dio che " è stato adorato fin da quando l'uomo ha appreso che il seme non è morto nel terreno invernale, ma salirà a forza aprendosi una strada nella crosta di ferro".
Kenneth Clark citato da Attilio Brilli nella introduzione a "From Ritual to Romance" di Jessie Weston del 1920


Campane di Pasqua

Lanciano le campane il peana trionfale del meriggio di purezza e di pace sul mondo. E' il canto sonoro delle speranze che muoiono per risorgere -- scrive il gentile prosatore G. A  Quirico -- dei sogni che s’infrangono-per rinascere, delle fiamme che si spengono per risplendere ancora; è il poema candido e perfetto di tutte le cose forti, di tutte le cose buona, di tutte le cose pure; è la luce dello spirito invincibile che si irradia ancora, sempre sulla Ianda fangosa delle miserie umane. E questa luce vivida e abbagliante avvolge tutte le cose, incendia l’orizzonte, illumina tutte le anime.  
Sia la Pasqua apportatrice di bene per tutti; per lo stanco operaio e per chi vegliò le notti sul forte lavoro spirituale, che fu sempre tutto il suo sogno, tutta la sua vita, che scaturì superbamente dai meandri più ignorati della sua anima, che vive, gioisce piange, spera in qualcosa di più alto, di più puro di questa miserrima vita quotidiana.
La Pasqua è vita che si rinnova che si perpetua trionfante e orgogliosa. Noi che abbiamo nel cuor la fucina di mille canzoni, - continua il Quirico -- noi che trasciniamo per tutte le vie, sopra tutti i dolori, sotto tutte le umiliazioni, sempre intatte e fiere le nostre fedi; noi che agitammo sempre arditamente al sole i brandelli delle nostre bandiere lacerate dal vulgo briaco o invidioso, noi che soffrimmo tutto il dolore pur di mantenere alta l’Idea che ci cantava nel cuore il suo malioso invito; noi oggi, in questa novissima Pasqua che viene col sorriso della primavera, noi dobbiamo alzar la fronte, schiudere il cuore a questo soffio daria pura, perché vi porti il saluto augurale di una rinnovazione.
E l'augurio sia anche per tutti voi o lettori di questo quotidiano su cui scriviamo diuturnamente, forse anche con le lacrime, la parola che incita, che migliora; che conforta. Il nostro apostolato è denso di bene, come acqua limpidissima che fluisce invisibile nelle anime, e le lava e le abbellisce e le risana. Su quanti cuori la nostre parola, portò un sorriso, a quanti occhi terse una lacrima, a quante anime ridonò la fede.
Se questa festa non fosse una pia illusione d'un giorno solo; ma restasse indelebile in tutti i cuori come una data santa che s'incide nel bronzo perché sia intangibile nel tempo, se veramente l’uomo, negli allegri ghirigori sonori delle campane, ritrovasse le scaturigini perfette della sua gioia e tutto potesse lanciare nel cielo, inebriato di sole e di profumo della natura che si ridesta, questa sarebbe la vera Pasqua del risveglio e del lavacro che ci farà schiudere le labbra a un nuovo sorriso e ci spingerà tutti a un nuovo patto di santa fratellanza.
Ogni cuore, abbia la sua fiorita alba di risurrezioni e il peana trionfale delle campane benedette squillano nel gran cielo d’oro, sia il cantico di giubilo eterno, com’è eterno Dio risorto!

Nota.Testo risalente alla prima/seconda decade del secolo scorso di autore ignoto, non rintracciabili testata e data di pubblicazione, incluso nell’archivio documenti di E. Gliozzi senior. A rileggerlo sembra scritto proprio per una riscossa della Valle del Ciancio e del Bonamico dove ancora i semi stentano ad aprirsi una strada nella crosta di ferro.

martedì 16 aprile 2019

La luce che torna [di Benito Perojo, 1940 ]




R.mo Signor Parroco
Sac. .Ernesto Gliozzi
Platì
(RC)

Carissimo D. Ernesto
Mi accingevo a scriverle un biglietto di auguri e saluti, quando ho appreso l’agghiacciante notizia dell’assassinio del Sindaco De Maio, che mi ha tanto addolorato, avendo ancora vivo il ricordo della sua testimonianza nella recente missione.
Purtroppo, la violenza, frutto di vigliaccheria e di prepotenza, continua a riempire le pagine della cronaca nera. Ma io credo che nonostante ciò, abbiamo il dovere, di adoperarci perché la luce disperda tanto buio, ma anche di far nostre le parole del Cristo morente: “Padre, perdona loro …”
Penso alla povera ragazza, nel cui animo risuonerà sempre quel beffardo “ciao”, ma vorrei anche per Antonella risuonino parole di speranza e che la luce della Pasqua, anche se offuscata da così terrificante ricordo, penetri nella sua anima e senta viva la presenza del Risorto che ancora sussurra: “Sono io, non temete”.
La prego di farsi interprete di questi sentimenti presso la famiglia e presso la Comunità parrocchiale che ricordo con tanto affetto, avendo notato in essa delle qualità umane e cristiane non indifferenti; anche se, purtroppo è costretta ad assistere a degli episodi che non servono certo a creare un giudizio tanto favorevole.
Ringrazio Lei e le sorelle per le fraterne attenzioni avute durante la S. missione, di cui auguro che, nonostante tutto, anche se lentamente, qualche frutto maturi. A tutti faccio i migliori auguri per la S. Pasqua, assicurando il mio ricordo nella preghiera perché il Risorto sia presente con la sua benedizione e il suo annunzio di pace.
Affettuosamente …
P Mosè Simonetta

P. Mosè Simonetta (1933-2015) è stato un missionario redentorista molto attivo nel sociale.

giovedì 11 aprile 2019

Journey Through the Past - Neil Young



UN VIAGGIO NEL PASSATO                                                                            

La mente mia mi porta
indietro agli anni verdi
il cuore si commuove
con tutti quei ricordi.
Un piccolo paese
la chiesa il cimitero
I monti le colline
coperti di mistero.
Il sarto il falegname
l'osteria col vino
la piazza la fontana
la posta il tabacchino.
Le favole e le fiabe
intorno al focolare
al lume di lumiera
ci facevan trasognare
Che gioia i di di festa
coi gridi dei bambini
il suon delle campane
zampogne e tamburini.
lo era ancor piccina
da scuola ritornavo
coi libri sotto il braccio
mentre in cuor sognavo
Tanti anni son passati
ancora io sto a sognare
la cara mia casetta
col vecchio focolare.

A journey in the past.

My mind goes back
to the green years
stirred is my heart
by the memories.
A small town
a church, a graveyard
mountains and hills
wrapped in mystery.
A tailor, a carpenter,
a tavern and its wine
a square and a fountain
a post office and a tobacco shop.
Stories and fairy-tales
that around a fireplace
mesmerized us.
How joyful the festivities
with the kids shouting
the bells ringing
bagpipers and drummers.
Oh, little me
coming back from school
books under my arm
day-dreaming in my heart.
Many years have gone by
and still I am yearning for
the old hearth in
my dearest little home.

Caterina Portolesi
1996

Nota di Rosalba che ha provveduto anche alla traduzione in inglese: "Caterina Portolesi è nata a Platì nel '42 da Rosario Mittiga alias "forgiaru", e Maria De Marco sorella del prof. De Marco. Arrivò in Australia insieme alla madre, alla sorella ed al fratello nel 1957 con la nave Australia (Fonte: National Archives of Australia) mentre il padre li aveva preceduti nel 1949. Caterina si è poi sposata con Francesco Portolesi e, come in uso nei paesi anglosassoni, ha adottato il cognome del marito.  Dopo aver lavorato per molti anni in una grande sartoria di Adelaide (Colin Smith) Caterina ha anche assistito per 17 anni il marito vittima di un invalidante ictus. Molto religiosa, amante dei cani, Caterina trova il modo di esprimere nostalgie e affetti profondi con la poesia. Nella foto Caterina è la quarta da destra nell'ultima fila. Il primo da destra con il pullover a V è Benito Caruso, fratello di Attilio. La seconda da sinistra sempre nell'ultima fila, è Elisabetta Perri (Scarpareja) mentre sua sorella Cata è la seconda da sin della fila in mezzo (si tocca un occhio). Sono figlie del mio prozio Francesco (Cicciu u muzzuni)".


mercoledì 10 aprile 2019

La ricetta perfetta [di Jon Favreau, 2014 ]




Ricetta guti di Platì a cura di Rosalba

Dosi:
1 kg di farina: 500 gr 00 e 500 manitoba
8 uova intere più uno per spennellarli prima di metterli in forno,
1 bicchiere di olio di oliva (80-90 gr) oppure 2 bicchieri, no latte
1 bicchiere di latte (80-90 gr)
un cubetto di lievito di birra (o 300 gr lievito madre),300 gr di zucchero
 la buccia grattugiata di un limone
1 cucchiaino da caffè di miele

1 – primo impasto:
                500 gr di farina (metà 00, metà manitoba)
                300 gr di lievito madre o 1 cubetto di lievito di birra
                4 uova
                150 gr di zucchero
                40-45 gr di olio
                40-45 gr di latte
Sbattere uova con zucchero, aggiungere olio e sbattere bene, aggiungere lievito sciolto nel latte tiepido, impastare, mettere a lievitare in contenitore chiuso e al caldo (io avvolgo il contenitore in una copertina di pail) fino al raddoppio della pasta (con il lievito di birra in 2-4 ore, con il lievito madre lo sa solo DIO)

2 – secondo impasto
500 gr di farina (metà 00, metà manitoba)
                4 uova
                150 gr di zucchero
                40-45 gr di olio
                40-45 gr di latte
                la buccia grattugiata di un limone
                ½ cubetto di lievito di birra o 150 gr di lievito madre

impastare e re-impastare insieme alla pasta già lievitata. Quanto tutto è ben amalgamato e la pasta è soffice, formare le gute. Se si vuol mettere l’uovo, bisogna prima cuocerli e poi fissarli con dei bastoncini di pasta.
Coprire con un canovaccio pulito e rimettere a lievitare sempre al caldo fino al raddoppio.
Spennellare con un tuorlo sciolto in latte (con più latte che uovo viene meno scura)
Infornare a 180 gradi per circa 20 minuti.

Per formare la pecorella qui sotto, prendere un po’ di pasta alla volta e formare dei bastoncini dello spessore di un dito con cui formare i riccioli e sistemarli sulla teglia coperta da carta da forno come da foto.



martedì 9 aprile 2019

Tutti in piedi [di Franck Dubosc, 2018]



Per completare la figura, l’opera e il ricordo lasciati da Pasqualino Perri in quanti l'hanno conosciuto e frequentato ecco alcuni commenti apparsi su https://www.facebook.com/groups/mempopoli/permalink/2608289362534228/

Vincenzo Acerbo
Rosalba !! Grazie per la pubblicazione della foto !! Non sto a ripetere i nomi delle persone nella foto ma ho il piacere di ricordare le molteplici attività cui il prof. Perri è stato protagonista negli anni di permanenza a Popoli! Educatore: ha contribuito con il suo lavoro a far crescere una generazione in anni difficili nel nostro paese!
Attività sociali: Ha dedicato il proprio tempo nella società di calcio, sia come tecnico ma anche come dirigente della società ed anche come scopritore di talenti: mi piace ricordare che accompagnò un giovane popolese bravo nel calcio ad un provino con la Juventus a sua spese e con la sua 850. Vale la pena ricordare il prof. Perri che con il suo impegno unitamente ad altri insegnanti popolesi effettua  lezioni per permettere persone giovani e meno giovani di poter ottenere la terza media; indispensabile per qualsiasi impiego pubblico (ospedale).
Attività culturali: Forse non tutti ricordano il circolo culturale Salvador Allende messo su in quegli anni che ha rappresentato un punto di riferimento nella cultura popolese per la mole di attività prodotta e per la partecipazione delle personalità coinvolte. Io ricordo un volume scritto dal prof. Perri unitamente a don Pasqualino lannamorelli ed una veglia perla pace effettuata nella Taverna Ducale.
Attività politica e finisco: la partecipazione all'attività politica popolese è stata per Pasquale Perri intensa ed interessante per le realizzazioni cui ha contribuito per l'attività amministrativa prodotta nei vari enti popolesi e non e per il rinnovamento cui ha contribuito nella stantia classe dirigente che c'era! Senz'altro un uomo che ha lasciato un segno nel nostro paese. Grazie Rosalba
Luciano Martocchia. Ricordo il tuo papà Pasquale Perri, ottima persona, fu il mio prof di educazione fisica all’avviamento professionale primi anni '60 , era atletico ed ex calciatore , ci faceva partecipare alle corse campestri da lui introdotte nell'insegnamento
Sandro Pescara. Ciao Rosalba, che bel ricordo! insieme a tuo padre qui c'è anche mio zio lgeo Pescara.
Fabio Forcucci. Da sinistra: lgeo Pescara, Morra, Pasquale Perri, il vigile urbano detto Ju Pepe', William e seduto Gildo Forcucci detto Tuticchie … Il gotha del PSI popolese inizio anni 70

Rosalba: Vincenzo Acerbo è stato un militante socialista fin da giovanissimo, tanto da essere eletto sindaco di Popoli appena maggiorenne. In quel momento era il sindaco più giovane d'Italia e fu simpaticamente soprannominato "Woodstock ovvero l'infanzia al potere". Suo suocero è Gildo Forcucci, il signore seduto sulla panchina in foto. Da notare la postura del gruppo: benché i volti siano rivolti verso la macchina fotografica, i corpi sono girati verso il gruppo, quasi che il fotografo abbia interrotto una conversazione a cui tutti partecipavano.
Popoli, conosciuta come città delle acque per le tre sorgenti naturali che la circondano, era un paese rosso poiché molti dei suoi abitanti lavoravano per l'industria chimica nel vicino paese di Bussi e quindi legati ai movimenti operai. Il PCI aveva la maggioranza, ma mio padre riuscì a portare il PSI a governare il comune.

giovedì 4 aprile 2019

OUR DAILY BREAD [di King Vidor, 1934]



Using your loaf
THE ADVERTISER oct., 21 1992
Nigel Hopkins goes on a quest for real bread and finds it is a rising trend around Adelaide

  I’M NOT sure if remember rightly but I think the bread I ate as a kid growing up in a country town was real bread. It came in big, square loaves with crisp crusts and, after school, it could be cut into thick slices and slathered with Vegemite or jam, or both together.           
But Something went wrong with our bread. It lost its grip on our appetites, although we kept on eating it – even though it tasted like cotton wool, even though we were told it was nutritionally sound and good for us. It became almost universally soft, fluffy and boring.
At least two things helped bring about change. One was greater nutritional awareness - the demand for increased fibre in our diet - and quickly our loaves were filled with bran and multigrain and all sorts of chook food, which at least made supermarket bread healthier and more interesting.        
Another factor was the growth of boutique bakers. The quest by more discerning bread eaters helped build the businesses of firms such as the Lyndochn Bakery and Millies at Mt Barker, just two of many. The big commercial bakers could see the potential threat this posed to their sales and moved to head it off.
But the greatest thing since sliced bread is the more recent production of breads in Adelaide by artisan bakers at a cottage industry level, the equal of any you will find in Europe. These are breads with thick crusts and chewy insides, with such flavor it seems almost a shame to smear them with spreads and jams, although I still do.
If you want to find out why Italian bakers are special you should read Carol Field’s book, The Italian Baker. If that doesn’t make you want to bake your own, nothing will. It’s not s0 difficult; colleague Paul Lloyd’s sevenyear-old daughter is experimenting with mulberry juice in her homemade bread; it’s child’s play, really.
Ms Field reports that every day in Italy some 35,000 bakers rise early to knead their dough. Ninety per cent are small-scale artisan bakers …
    Even more of a cottage industry is Guisseppina Agresta’s bread, which she bakes in a wood-fired oven in a shed in her Mile End backyard.   It’s not for sale commercially; the most she bakes a day is 40 small loaves and it all goes to the family’s restaurant, Cafe Salsa at West Beach, which specializes in her authentic
Calabrian food.
Guisseppina is terrific; wiry; tough, her face creased by a million smiles. She mixes her dough by hand, flexes her muscles in a sparrow-like imitation of Arnold Schwarzenegger; she's no less formidable.        
 Her husband, Pasquale, and her sons chop the firewood for the oven, but Signora Agresta is up by 5.30am to make the dough seven days a week when the restaurant is busy; she disdains using a “machina” to mix the dough; it wouldn’t taste the same and flavor is everything for her bread with its thin, tough crust and elastic dough.
For me, this is the best bread in town; eaten without butter, just dunked in some of the Agrestas’ own green, peppery olive oil. A simple, perfect feast. Tip Top and all the others, no matter how clever they
get, simply can't compete with bread like this.           
It's as good as Guisseppina remembers when she started baking bread before she was 10 in Platì, Calabria, where her father grew the wheat that made the flour, It may even be better bread than they make now
in Platì; immigrant Italians have tended to maintain standards which have been eroded at home.  


Usa la pagnotta (Usa il buonsenso)
The Advertiser 21 ottobre 1992
Nigel Hopkins a caccia di buon pane, trova una tendenza in ascesa in giro per Adelaide.

Non so se ricordo bene, ma penso che il pane che mangiavo da bambino, crescendo in una cittadina rurale, fosse il vero pane. Era venduto in grandi pagnotte squadrate con una crosta croccante e, dopo la scuola, si tagliava in fette spesse spalmate con la Vegemite* o la marmellata o entrambe.
Qualcosa però è andato storto: il nostro pane ha perso mordente. Abbiano continuato a consumarlo benché sappia di ovatta, benché ci abbiano informati che è valido dal punto di vista nutrizionale e quindi buono per noi. È diventato quasi dappertutto soffice, vaporoso e noioso.
Almeno due fattori hanno portato ad un cambiamento. Il primo è una più grande consapevolezza dei valori nutrizionali e quindi la richiesta di aumentare le fibre nella nostra dieta, e quindi le pagnotte sono state riempite di crusca, cereali vari e altri mangimi per polli, il che ha reso il pane dei supermercati più salutare e interessante.
Il secondo fattore è stata la crescita di piccole panetterie. La ricerca dei mangiatori di pane più esigenti ha aiutato lo sviluppo di aziende comee Lyndoch Bakery e Millies in Mt Barker, solo per nominarne due. Le panetterie della grande distribuzione hanno capito la potenziale minaccia ai loro affari ed hanno cercato di scongiurarla.
Ma, partendo dal pane a fette, la cosa migliore avvenuta è la più recente produzione di pane in Adelaide da parte di panettieri artigianali a livello domiciliare, simile a ciò che si trova in Europa. Questi tipi di pane con spesse croste e mollica morbida hanno un tale sapore che sembra peccato spalmarli di marmellata o altro, anche se io lo faccio comunque.
Se volete sapere perché i panettieri italiani siano speciali, dovreste leggere il libro di Carol Field “Il panettiere italiano”. Se il libro non vi invoglierà a fare il pane in casa, null’altro lo farà. Non è difficile, la bambina del mio collega Paul Lloyd, sette anni, sta facendo esperimenti aggiungendo succo di mora di gelso al suo pane fatto in casa; un gioco da ragazzi!
La signora Field scrive che in Italia, ogni giorno circa 35.000 panettieri si alzano presto per impastare. Il novanta percento è costituito da panettieri artigianali …

Ancora più casalinga la produzione di Giuseppina Agresta che fa il pane nel forno a legna in una rimessa dietro casa a Mile End. Non lo vende, ne produce circa 40 pagnotte al giorno per il ristorante di famiglia, Cafe Salsa a West Beach, le cui specialità sono i suoi autentici piatti calabresi.
Giuseppina è formidabile: snella, tosta, il suo volto sgualcito da mille sorrisi. Lei impasta a mano, mostra i muscoli in una imitazione da uccellino di Arnold Schwartznegger e non è da meno di lui.
Il marito, Pasquale, ed i loro figli, tagliano la legna per il forno, ma la Signora Agresta si alza alle 5 e 30 ogni giorno per preparare l’impasto, anche sette giorni a settimana quando il ristorante è in piena attività. Disprezza l’uso della “macchina” per impastare, il pane non avrebbe lo stesso sapore ad il gusto è tutto per il suo pane con la sua crosta sottile e dura mentre la mollica è elastica.
Per me questo è il miglior pane in città, da mangiare senza burro, inondato di olio d’oliva, quello degli Agresta: verde e dal gusto leggermente piccante, semplicemente una goduria. Tip Top e tutti gli altri, non importa quanto si impegnino, non possono competere con pane come questo.
È buono come quando Giuseppina iniziò a fare pane prima di compiere i dieci anni a Platì, Calabria, dove suo padre coltivava il grano con cui si faceva la farina. Probabilmente è anche migliore del pane che adesso si fa a Platì perché gli immigrati hanno mantenuto standard che invece lì si sono abbassati.
*Vegemite è una crema nera, molto densa, a base di lieviti, ricca di vitamina B. Si spalma sul pane imburrato in piccole quantità perché ha un sapore, molto intenso e salato, detto umami.


NOTA - Il testo che avete appena letto, scoperto da Rosalba nel suo recente trip in Australia e tradotto, fa parte di un più ampio articolo apparso su The Advertiser il 21 ottobre 1992 nella rubrica Taste (Sapori) firmato da Nigel Hopkins, con un titolo ambivalente: Using your loaf che vale per Usa la pagnotta, Usa il buonsenso. L’autore si è spesso occupato di cibo nei suoi scritti apparsi su varie testate australiane. In quello citato egli affronta la questione del pane e la sua trasformazione in prodotto massificato diventando così soggetto/oggetto di cultura. Nell’articolo appaiono altre due forme di panificazione ad opera di un immigrato abruzzese ed uno originario della Germania. Quello relativo a Platì si rivela, dopo ventisette anni dalla sua pubblicazione, un omaggio all’antica arte pratiota del fare il pane e il metodo usato, e sapientemente illustrato, da Giuseppina Agresta è quello tramandato nei secoli. Se per molti giornalisti Platì ha esportato piombo per altri ha tramandato cultura sotto forma di antichi mestieri. Peppina, la Schwarzenegger paesana, vive ancora in Adelaide ed il suo locale Cafe Salsa ha cambiato gestione. Sposata Agresta, è nata Barbaro alias pillari e noi siamo grati a Nigel Hopkins “for the nice to meet her”. Questo per altro è il primo di una serie di pubblicazioni sugli antichi mestieri pratioti sopravvissuti e traslocati altrove.



mercoledì 3 aprile 2019

ll terrore viene dalla pioggia [di Freddie Francis, 1972]





Era il 17/18 ottobre 1951 quando il paese di Platì fu messo in ginocchio da una violenta alluvione.
Pioveva a dirotto ormai da tre giorni, sembrava pioggia naturale fino a quando un forte rumore simile a un tuono svegliò tutti. “Le grida della gente, dice mia nonna, non le dimenticherò mai, scene terribili, è stata la notte più brutta della mia vita” dopo la mezzanotte del 17 il fiume aveva rotto il ponte e verso l’una erano iniziate a crollare le prime case. Le montagne erano letteralmente aperte la gente scappava, chi piangeva, chi gridava, chi correva. Per la strada non si capiva nulla, sembrava il diluvio universale.
“Ero piccolissima ma ricordo che scappammo in chiesa per pregare – aggiunge mia nonna – poi ci dirigemmo tutti verso l’inizio del paese dove l’alluvione non ha colpito”. Tutto ciò lascò un grande lutto per la cittadina di Platì provocando 19 morti, centinaia di feriti e cinquanta famiglie senza tetto. Passati i terribili giorni molti si accorsero che oltre ai parenti avevano perso anche la terra e la casa e tutti i sacrifici fatti in un’intera vita erano andati persi. Molte famiglie emigrarono in Australia, America e nord Italia e non fecero più ritorno il paese si spopolò: infatti prima contava quasi 11.000 mila abitanti dopo meno di 4.000. Questa fu una brutta emigrazione.
MARCO VARACALLI 2 B

Testo presentato alla seconda edizione, 2018, del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi".




lunedì 1 aprile 2019

La corsa della lepre attraverso i campi [di René Clément,1972]

A volte un ragazzo si sente
Come uno che parte o che muore
E scopre che non conta niente
Che il mondo è più grande di un cuore
Nel cuore il ragazzo coltiva
La rosa più bella che c'è
Chico Buarque + Ennio Morricone, ROTATIVA, (tem como esperar algo menos que magnífico?).
Dedicato a Pasqualino Perri che costruì il futuro e ancora nessuno lo sa, tanto meno a Platì.



This picture belongs to Rosalba Perri,
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“I Borboni erano venuti a sapere che sul monte Consolino si trovava in libertà la lepre della scienza ed erano convinti che chi mangiava questa lepre diventava sapiente. Arrivarono da Napoli dei signori e diedero la caccia alla lepre della scienza. La trovarono, la uccisero, l’arrostirono e la mangiarono. Tommaso, nascosto dietro un cespuglio, vide e, appena i signori se ne andarono, affamato com’era succhiò le ossa della lepre rimaste per terra. Quando tornò a scuola, tutti rimasero stupefatti perché conosceva bene ciò che il maestro aveva spiegato mentre era sul monte a fare pascolare le pecore. La scienza si trovava infatti non nella carne della lepre, come avevano creduto i signori mandati dal re ma proprio nelle ossa che il bambino aveva rosicchiato per fame”. 
Corrado Stajano, Africo, Einaudi, 1976 
A proposito di Tommaso Campanella