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giovedì 4 aprile 2019

OUR DAILY BREAD [di King Vidor, 1934]



Using your loaf
THE ADVERTISER oct., 21 1992
Nigel Hopkins goes on a quest for real bread and finds it is a rising trend around Adelaide

  I’M NOT sure if remember rightly but I think the bread I ate as a kid growing up in a country town was real bread. It came in big, square loaves with crisp crusts and, after school, it could be cut into thick slices and slathered with Vegemite or jam, or both together.           
But Something went wrong with our bread. It lost its grip on our appetites, although we kept on eating it – even though it tasted like cotton wool, even though we were told it was nutritionally sound and good for us. It became almost universally soft, fluffy and boring.
At least two things helped bring about change. One was greater nutritional awareness - the demand for increased fibre in our diet - and quickly our loaves were filled with bran and multigrain and all sorts of chook food, which at least made supermarket bread healthier and more interesting.        
Another factor was the growth of boutique bakers. The quest by more discerning bread eaters helped build the businesses of firms such as the Lyndochn Bakery and Millies at Mt Barker, just two of many. The big commercial bakers could see the potential threat this posed to their sales and moved to head it off.
But the greatest thing since sliced bread is the more recent production of breads in Adelaide by artisan bakers at a cottage industry level, the equal of any you will find in Europe. These are breads with thick crusts and chewy insides, with such flavor it seems almost a shame to smear them with spreads and jams, although I still do.
If you want to find out why Italian bakers are special you should read Carol Field’s book, The Italian Baker. If that doesn’t make you want to bake your own, nothing will. It’s not s0 difficult; colleague Paul Lloyd’s sevenyear-old daughter is experimenting with mulberry juice in her homemade bread; it’s child’s play, really.
Ms Field reports that every day in Italy some 35,000 bakers rise early to knead their dough. Ninety per cent are small-scale artisan bakers …
    Even more of a cottage industry is Guisseppina Agresta’s bread, which she bakes in a wood-fired oven in a shed in her Mile End backyard.   It’s not for sale commercially; the most she bakes a day is 40 small loaves and it all goes to the family’s restaurant, Cafe Salsa at West Beach, which specializes in her authentic
Calabrian food.
Guisseppina is terrific; wiry; tough, her face creased by a million smiles. She mixes her dough by hand, flexes her muscles in a sparrow-like imitation of Arnold Schwarzenegger; she's no less formidable.        
 Her husband, Pasquale, and her sons chop the firewood for the oven, but Signora Agresta is up by 5.30am to make the dough seven days a week when the restaurant is busy; she disdains using a “machina” to mix the dough; it wouldn’t taste the same and flavor is everything for her bread with its thin, tough crust and elastic dough.
For me, this is the best bread in town; eaten without butter, just dunked in some of the Agrestas’ own green, peppery olive oil. A simple, perfect feast. Tip Top and all the others, no matter how clever they
get, simply can't compete with bread like this.           
It's as good as Guisseppina remembers when she started baking bread before she was 10 in Platì, Calabria, where her father grew the wheat that made the flour, It may even be better bread than they make now
in Platì; immigrant Italians have tended to maintain standards which have been eroded at home.  


Usa la pagnotta (Usa il buonsenso)
The Advertiser 21 ottobre 1992
Nigel Hopkins a caccia di buon pane, trova una tendenza in ascesa in giro per Adelaide.

Non so se ricordo bene, ma penso che il pane che mangiavo da bambino, crescendo in una cittadina rurale, fosse il vero pane. Era venduto in grandi pagnotte squadrate con una crosta croccante e, dopo la scuola, si tagliava in fette spesse spalmate con la Vegemite* o la marmellata o entrambe.
Qualcosa però è andato storto: il nostro pane ha perso mordente. Abbiano continuato a consumarlo benché sappia di ovatta, benché ci abbiano informati che è valido dal punto di vista nutrizionale e quindi buono per noi. È diventato quasi dappertutto soffice, vaporoso e noioso.
Almeno due fattori hanno portato ad un cambiamento. Il primo è una più grande consapevolezza dei valori nutrizionali e quindi la richiesta di aumentare le fibre nella nostra dieta, e quindi le pagnotte sono state riempite di crusca, cereali vari e altri mangimi per polli, il che ha reso il pane dei supermercati più salutare e interessante.
Il secondo fattore è stata la crescita di piccole panetterie. La ricerca dei mangiatori di pane più esigenti ha aiutato lo sviluppo di aziende comee Lyndoch Bakery e Millies in Mt Barker, solo per nominarne due. Le panetterie della grande distribuzione hanno capito la potenziale minaccia ai loro affari ed hanno cercato di scongiurarla.
Ma, partendo dal pane a fette, la cosa migliore avvenuta è la più recente produzione di pane in Adelaide da parte di panettieri artigianali a livello domiciliare, simile a ciò che si trova in Europa. Questi tipi di pane con spesse croste e mollica morbida hanno un tale sapore che sembra peccato spalmarli di marmellata o altro, anche se io lo faccio comunque.
Se volete sapere perché i panettieri italiani siano speciali, dovreste leggere il libro di Carol Field “Il panettiere italiano”. Se il libro non vi invoglierà a fare il pane in casa, null’altro lo farà. Non è difficile, la bambina del mio collega Paul Lloyd, sette anni, sta facendo esperimenti aggiungendo succo di mora di gelso al suo pane fatto in casa; un gioco da ragazzi!
La signora Field scrive che in Italia, ogni giorno circa 35.000 panettieri si alzano presto per impastare. Il novanta percento è costituito da panettieri artigianali …

Ancora più casalinga la produzione di Giuseppina Agresta che fa il pane nel forno a legna in una rimessa dietro casa a Mile End. Non lo vende, ne produce circa 40 pagnotte al giorno per il ristorante di famiglia, Cafe Salsa a West Beach, le cui specialità sono i suoi autentici piatti calabresi.
Giuseppina è formidabile: snella, tosta, il suo volto sgualcito da mille sorrisi. Lei impasta a mano, mostra i muscoli in una imitazione da uccellino di Arnold Schwartznegger e non è da meno di lui.
Il marito, Pasquale, ed i loro figli, tagliano la legna per il forno, ma la Signora Agresta si alza alle 5 e 30 ogni giorno per preparare l’impasto, anche sette giorni a settimana quando il ristorante è in piena attività. Disprezza l’uso della “macchina” per impastare, il pane non avrebbe lo stesso sapore ad il gusto è tutto per il suo pane con la sua crosta sottile e dura mentre la mollica è elastica.
Per me questo è il miglior pane in città, da mangiare senza burro, inondato di olio d’oliva, quello degli Agresta: verde e dal gusto leggermente piccante, semplicemente una goduria. Tip Top e tutti gli altri, non importa quanto si impegnino, non possono competere con pane come questo.
È buono come quando Giuseppina iniziò a fare pane prima di compiere i dieci anni a Platì, Calabria, dove suo padre coltivava il grano con cui si faceva la farina. Probabilmente è anche migliore del pane che adesso si fa a Platì perché gli immigrati hanno mantenuto standard che invece lì si sono abbassati.
*Vegemite è una crema nera, molto densa, a base di lieviti, ricca di vitamina B. Si spalma sul pane imburrato in piccole quantità perché ha un sapore, molto intenso e salato, detto umami.


NOTA - Il testo che avete appena letto, scoperto da Rosalba nel suo recente trip in Australia e tradotto, fa parte di un più ampio articolo apparso su The Advertiser il 21 ottobre 1992 nella rubrica Taste (Sapori) firmato da Nigel Hopkins, con un titolo ambivalente: Using your loaf che vale per Usa la pagnotta, Usa il buonsenso. L’autore si è spesso occupato di cibo nei suoi scritti apparsi su varie testate australiane. In quello citato egli affronta la questione del pane e la sua trasformazione in prodotto massificato diventando così soggetto/oggetto di cultura. Nell’articolo appaiono altre due forme di panificazione ad opera di un immigrato abruzzese ed uno originario della Germania. Quello relativo a Platì si rivela, dopo ventisette anni dalla sua pubblicazione, un omaggio all’antica arte pratiota del fare il pane e il metodo usato, e sapientemente illustrato, da Giuseppina Agresta è quello tramandato nei secoli. Se per molti giornalisti Platì ha esportato piombo per altri ha tramandato cultura sotto forma di antichi mestieri. Peppina, la Schwarzenegger paesana, vive ancora in Adelaide ed il suo locale Cafe Salsa ha cambiato gestione. Sposata Agresta, è nata Barbaro alias pillari e noi siamo grati a Nigel Hopkins “for the nice to meet her”. Questo per altro è il primo di una serie di pubblicazioni sugli antichi mestieri pratioti sopravvissuti e traslocati altrove.



2 commenti:

  1. un ringraziamento va a Caterina Mittiga in Portolesi che mi ha portato l'articolo nei giorni in cui ero ad Adelaide. Caterina è cugina di Rocco Demarco per parte di madre.

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  2. Invece di star li a perdere tempo a scarabocchiare le foto ricordo degli altri con il tuo insulso watermark: MINE ANTI-TANK oppure MINAANTICARRRO con tre R , cercati qualcosa di meglio da fare, perche` il TANK CHE SAREI IO (CARRARMATO) TI DISINNESCA TUTTE LE MINE CHE METTI nello spazio di pochissimi secondi. Manda qualche tuo scagnozzo sul mio profilo cosi` avranno modo di vederle tutte le tue mine anti Carrarmato disinnescate!!!!!! ANCORA UNA VOLTA HAI VOLUTO PROVOCARE E RESTASTI VASCIU A PRACATA

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