Dopo aver esplorato l’Aspromonte sulla direttrice San
Luca-Platì-Ciminà, il giovedì successivo ci affidiamo alla guida esperta di
Mimmo, giarruneiu, Catanzariti che,
oltre a conoscere i luoghi, ne conosce la Storia e gli studi più aggiornati. Ci
diamo appuntamento a Bianco dove dobbiamo incontrarlo. Siamo in cinque più
Blondie (la mia nevrotica cagnetta): Marina e Sergio (che ha guidato con
perizia su strade impraticabili), io, Marilisa e Pina. Ci fermiamo in un bar di
Bianco ed ecco arrivare Mimmo che conoscevo solo in foto. Un abbraccio di ben
ritrovati parenti poiché sua nonna era prima cugina con il mio bisnonno. Il
nostro antenato comune è Antonio Perre nato nel 1814 e deceduto nel 1881, ma in
Calabria la parentela, la cuginanza, vale e si sente fino alla settima
generazione.
Dopo un caffè prendiamo la strada per Pentedattilo, il borgo
abbarbicato sotto una rupe le cui rocce a punta ricordano una mano e le sue
cinque dita. È un paese disabitato, ora una frazione di Melito Porto Salvo, che
riprende vita d’estate con le sue botteghe artigiane ed alcune case
ristrutturate da affittare “con o senza fantasmi” come ci informa Giorgio nella
sua bottega denominata Pentegatto (sopra ed accanto, un rifugio ospita una
colonia di gatti). Ci intrattiene a lungo con i suoi racconti sul paese, i suoi
fantasmi, le tragedie del passato ed il film festival di cortometraggi.
Riscendiamo sulla costa per avviarci verso Bova. A
Condofuri, fra il traffico veloce sulla 106, incontriamo un cane in palese
difficoltà che rischia di essere investito o forse lo è già stato. Mimmo,
Marina e Sergio lo soccorrono, viene rifocillato e legato all’ombra in attesa
di soccorsi perché intanto sono stati informati e coinvolti sindaco,
associazioni animaliste ed ENPA. Riprendiamo la strada con il magone e la
speranza che venga raccolto ed accolto da qualcuno. (Saremo in seguito
informati che il padrone del cane era stato rintracciato e lo aveva ripreso con
sé.)
Ci arrampichiamo verso Bova su strade che solcano i calanchi
delle brulle colline a sabbia calcarea erose dalle acque piovane. Arriviamo in
tempo per pranzare su un piccolo terrazzo con vista sulla vallata. Marilisa ci
offre gli antipasti preparati da lei e dalla mamma. Ordiniamo una lestopitta ripiena (pane azzimo fritto)
presa da un localino gestito da due simpatici e flemmatici fratelli gemelli.
Hanno anche semi-adottato (nel senso che va e viene a suo piacimento) un ex
cane da pastore che ha preferito la libertà alla pratica della pastorizia. La
mia lestopitta è ripiena di salsiccia
e di una gustosa parmigiana che Cracco lévati! Incontriamo le sorelle Romeo
impegnate nella Pro Loco e nella promozione della lingua grecanica e delle sue
tradizioni.
Dopo una digestiva grappa alle ciliegie ed il caffè,
riprendiamo il viaggio verso l’interno dell’Aspromonte fra strade che si
inerpicano su calanchi e si immergono in boschi di faggi: aumentano gli
incontri con greggi di capre sorvegliate dai cani ed aumentano anche i tratti
di fondo-strada dissestato. Mimmo ci precede con la sua auto e dopo un
interminabile percorso in mezzo a boschi così fitti da oscurare la luce del
sole, salite e discese da capogiro, paesaggi di pendici boscose e l’Amendolea
che serpeggia nel fondovalle, arriviamo ad una passerella di legno.
Parcheggiamo e percorriamo la passerella. Marilisa si blocca, poco prima di una
curvatura del percorso, Pina chiede se c’è qualche animale, Mimmo annuisce
sornione, mi affaccio e lo vedo: il gran testone di pietra del Drako. Una
roccia che il caso o l’uomo ha poggiato su un basamento. Ricorda la testa di un Drago con cerchi
incisi dall’uomo a formare, forse, gli occhi della gran bestia. È un luogo
antico, magico, che trasmette vibrazioni particolari e che guarda ad un
declivio sotto al quale altre rocce particolari ricordano dei capezzoli ed
infatti vengono chiamate le Caldaie del Latte dove si favoleggia che la gran
bestia andasse a nutrirsi. Lasciamo che Blondie scenda dall’auto e sembra
felice perché ama i luoghi primitivi e selvaggi senza auto e con solo gli umani
conosciuti.
Risaliamo in auto e scendiamo, scendiamo verso torrenti che
scorrono profondi fra massi bianchi, risaliamo una costa e riscendiamo di nuovo
verso Roghudi “quello vecchio, fuori di mano”, verso il costone roccioso su cui
sorge, circondato dall’ampio letto dell’Amendolea fatto di case da cui si
godeva lo spettacolo della grande fiumara, stradine, una chiesa, una piazzetta
semicoperta da un pergolato, un pezzetto di orto in cui una mucca pascola,
sembra impastoiata ma non lo è e ci aspetterà, al ritorno, in mezzo alla via
quasi ad impedirci di andare e lasciarla di nuovo sola. Il borgo è stato
abbandonato negli anni ’70 da abitanti convinti a spostarsi in un borgo nuovo
sulla costa, vicino a Melito Porto Salvo, lontanissimo dal borgo vecchio, fatto
da case che sembrano container, senza tetti di tegole e senza carattere. Ho
l’impressione che ci sia stata la volontà di distruggere la peculiarità degli
insediamenti in Calabria: luoghi impervi, ma con carattere; difficili da
raggiungere, ma immersi nella geologia della Regione; luoghi dalle economie
povere, ma più vicine ai cicli della natura. Come ha scritto Stajano in
“Africo”, montanari dediti alla pastorizia costretti a diventare altro, ma poi
cosa? Emigranti? Pescatori senza barche? Contadini senza terre?
La strada del ritorno è lunga e tortuosa come l’andata, ma
senza le interruzioni per “vedere” solo una pausa per comprare un famoso amaro,
vedere la luna sorgere e poi per conoscere e salutare la famiglia di Mimmo.
Foto e testo Rosalba
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