Using your
loaf
THE ADVERTISER oct., 21 1992
Nigel
Hopkins goes on a quest for real bread and finds it is a rising trend around
Adelaide
I’M NOT sure if remember rightly but I think the bread
I ate as a kid growing up in a country town was real bread. It came in big,
square loaves with crisp crusts and, after school, it could be cut into thick slices
and slathered with Vegemite or jam, or both together.
But Something went
wrong with our bread. It lost its grip on our appetites, although we kept on
eating it – even though it tasted like cotton wool, even though we were told it
was nutritionally sound and good for us. It became almost universally soft,
fluffy and boring.
At least two things
helped bring about change. One was greater nutritional awareness - the demand
for increased fibre in our diet - and quickly our loaves were filled with bran
and multigrain and all sorts of chook food, which at least made supermarket
bread healthier and more interesting.
Another factor was the
growth of boutique bakers. The quest by more discerning bread eaters helped
build the businesses of firms such as the Lyndochn Bakery and Millies at Mt
Barker, just two of many. The big commercial bakers could see the potential
threat this posed to their sales and moved to head it off.
But the greatest thing
since sliced bread is the more recent production of breads in Adelaide by artisan
bakers at a cottage industry level, the equal of any you will find in Europe.
These are breads with thick crusts and chewy insides, with such flavor it seems
almost a shame to smear them with spreads and jams, although I still do.
…
If you want
to find out why Italian bakers are special you should read Carol Field’s book, The Italian Baker. If that doesn’t
make you want to bake your own, nothing will. It’s not s0 difficult; colleague
Paul Lloyd’s sevenyear-old daughter is experimenting with mulberry juice in her
homemade bread; it’s child’s play, really.
Ms Field reports
that every day in Italy some 35,000 bakers rise early to knead their dough.
Ninety per cent are small-scale artisan bakers …
Even more of a cottage industry is Guisseppina
Agresta’s bread, which she bakes in a wood-fired oven in a shed in her Mile End
backyard. It’s not for sale commercially;
the most she bakes a day is 40 small loaves and it all goes to the family’s
restaurant, Cafe Salsa at West Beach, which specializes in her authentic
Calabrian food.
Guisseppina
is terrific; wiry; tough, her face creased by a million smiles. She mixes her
dough by hand, flexes her muscles in a sparrow-like imitation of Arnold Schwarzenegger;
she's no less formidable.
Her husband, Pasquale, and her sons chop the
firewood for the oven, but Signora Agresta is up by 5.30am to make the dough
seven days a week when the restaurant is busy; she disdains using a “machina”
to mix the dough; it wouldn’t taste the same and flavor is everything for her
bread with its thin, tough crust and elastic dough.
For me, this
is the best bread in town; eaten without butter, just dunked in some of the Agrestas’
own green, peppery olive oil. A simple, perfect feast. Tip Top and all the
others, no matter how clever they
get, simply
can't compete with bread like this.
It's as
good as Guisseppina remembers when she started baking bread before she was 10
in Platì, Calabria, where her father grew the wheat that made the flour, It may
even be better bread than they make now
in Platì;
immigrant Italians have tended to maintain standards which have been eroded at
home.
Usa la
pagnotta (Usa il buonsenso)
The Advertiser 21 ottobre
1992
Nigel Hopkins a caccia di buon pane, trova una tendenza in ascesa in
giro per Adelaide.
Non so se ricordo bene, ma penso
che il pane che mangiavo da bambino, crescendo in una cittadina rurale, fosse
il vero pane. Era venduto in grandi pagnotte squadrate con una crosta croccante
e, dopo la scuola, si tagliava in fette spesse spalmate con la Vegemite* o la
marmellata o entrambe.
Qualcosa però è andato storto: il nostro pane ha perso mordente.
Abbiano continuato a consumarlo benché sappia di ovatta, benché ci abbiano
informati che è valido dal punto di vista nutrizionale e quindi buono per noi.
È diventato quasi dappertutto soffice, vaporoso e noioso.
Almeno due fattori hanno portato ad un cambiamento. Il primo è una più
grande consapevolezza dei valori nutrizionali e quindi la richiesta di
aumentare le fibre nella nostra dieta, e quindi le pagnotte sono state riempite
di crusca, cereali vari e altri mangimi per polli, il che ha reso il pane dei
supermercati più salutare e interessante.
Il secondo fattore è stata la crescita di piccole panetterie. La
ricerca dei mangiatori di pane più esigenti ha aiutato lo sviluppo di aziende
comee Lyndoch Bakery e Millies in Mt Barker, solo per nominarne due. Le
panetterie della grande distribuzione hanno capito la potenziale minaccia ai
loro affari ed hanno cercato di scongiurarla.
Ma, partendo dal pane a fette, la cosa migliore avvenuta è la più
recente produzione di pane in Adelaide da parte di panettieri artigianali a
livello domiciliare, simile a ciò che si trova in Europa. Questi tipi di pane
con spesse croste e mollica morbida hanno un tale sapore che sembra peccato
spalmarli di marmellata o altro, anche se io lo faccio comunque.
…
Se volete sapere perché i panettieri italiani siano speciali, dovreste
leggere il libro di Carol Field “Il panettiere italiano”. Se il libro non vi
invoglierà a fare il pane in casa, null’altro lo farà. Non è difficile, la
bambina del mio collega Paul Lloyd, sette anni, sta facendo esperimenti
aggiungendo succo di mora di gelso al suo pane fatto in casa; un gioco da
ragazzi!
La signora Field scrive che in Italia, ogni giorno circa 35.000
panettieri si alzano presto per impastare. Il novanta percento è costituito da
panettieri artigianali …
Ancora più casalinga la produzione di Giuseppina Agresta che fa il pane
nel forno a legna in una rimessa dietro casa a Mile End. Non lo vende, ne
produce circa 40 pagnotte al giorno per il ristorante di famiglia, Cafe Salsa a
West Beach, le cui specialità sono i suoi autentici piatti calabresi.
Giuseppina è formidabile: snella, tosta, il suo volto sgualcito da
mille sorrisi. Lei impasta a mano, mostra i muscoli in una imitazione da
uccellino di Arnold Schwartznegger e non è da meno di lui.
Il marito, Pasquale, ed i loro figli, tagliano la legna per il forno,
ma la Signora Agresta si alza alle 5 e 30 ogni giorno per preparare l’impasto,
anche sette giorni a settimana quando il ristorante è in piena attività.
Disprezza l’uso della “macchina” per impastare, il pane non avrebbe lo stesso
sapore ad il gusto è tutto per il suo pane con la sua crosta sottile e dura
mentre la mollica è elastica.
Per me questo è il miglior pane in città, da mangiare senza burro,
inondato di olio d’oliva, quello degli Agresta: verde e dal gusto leggermente
piccante, semplicemente una goduria. Tip Top e tutti gli altri, non importa
quanto si impegnino, non possono competere con pane come questo.
È buono come quando Giuseppina iniziò a fare pane prima di compiere i
dieci anni a Platì, Calabria, dove suo padre coltivava il grano con cui si
faceva la farina. Probabilmente è anche migliore del pane che adesso si fa a
Platì perché gli immigrati hanno mantenuto standard che invece lì si sono
abbassati.
…
*Vegemite è una crema nera, molto densa, a base di lieviti, ricca di
vitamina B. Si spalma sul pane imburrato in piccole quantità perché ha un
sapore, molto intenso e salato, detto umami.
NOTA - Il testo che
avete appena letto, scoperto da Rosalba nel suo recente trip in Australia e tradotto, fa parte di un più ampio articolo
apparso su The Advertiser il 21
ottobre 1992 nella rubrica Taste (Sapori) firmato da Nigel Hopkins, con un
titolo ambivalente: Using your loaf
che vale per Usa la pagnotta, Usa il buonsenso. L’autore si è spesso occupato
di cibo nei suoi scritti apparsi su varie testate australiane. In quello citato
egli affronta la questione del pane e la sua trasformazione in prodotto massificato
diventando così soggetto/oggetto di cultura. Nell’articolo appaiono altre due
forme di panificazione ad opera di un immigrato abruzzese ed uno originario
della Germania. Quello relativo a Platì si rivela, dopo ventisette anni dalla
sua pubblicazione, un omaggio all’antica arte pratiota del fare il pane e il
metodo usato, e sapientemente illustrato, da Giuseppina Agresta è quello
tramandato nei secoli. Se per molti giornalisti Platì ha esportato piombo per
altri ha tramandato cultura sotto forma di antichi mestieri. Peppina, la
Schwarzenegger paesana, vive ancora in Adelaide ed il suo locale Cafe Salsa ha cambiato gestione. Sposata
Agresta, è nata Barbaro alias pillari
e noi siamo grati a Nigel Hopkins “for the nice to meet her”. Questo per altro
è il primo di una serie di pubblicazioni sugli antichi mestieri pratioti
sopravvissuti e traslocati altrove.