Donazione. Regnando Vittorio Emanuele Terzo per grazia di Dio e per
volontà della Nazione Re d’Italia. – Nel giorno venticinque Ottobre mille
novecentotre, 1903, in Platì nel palazzo del Signor Francesco Gliozzi, sito
nella piazza San Nicola. Innanzi a Noi Notar Carmelo Febbo fu Andrea qui
all’ogetto dell’atto presente iscritto presso il Consiglio Notarile
Distrettuale di Gerace, ed il presenza dei testimoni da Noi ben conosciuti e
forniti dei requisiti richiesti dalla Legge. Signor Giuseppe Morabito fu
Domenico, proprietario, Signor Francesco Gliozzi fu Domenico, proprietario,
ambo nati e domiciliati in Platì si sono personalmente costituiti. Anna Trecase
fu Antonio casalinga, maritata Francesco Fotia fu Rocco bracciante, che si
costituisce al solo scopo di autorizzare detta sua moglie Trecase a poter
donare quanto appresso, dall’una parte. E dall’altra la proprio di loro comune
figlia Maria Fotia del costituito Francesco, e marito di costei Francesco
Calabria di Domenico, bracciante, che si costituisce al solo scopo di
autorizzare detta sua moglie ad accettare la donazione che le farà sua madre
Anna Trecase. Tutti così costituiti sono nati e domiciliati in Platì, ben noti
a Noi Notaio e testimoni. La sopra costituita Anna Trecase autorizzata dal
marito dichiara che mossa da particolare affetto verso l’altra costituita sua
figlia Maria Fotia si risolse fare alla stessa, come in forza dell’atto
presente le fa donazione irrevocabile fra vivi, quindi le dona una piccola stanzetta,
sita in questo abitato di Platì, sul rione o contrada Rocca, soprapposta ad un
piccolo basso di esclusiva proprietà del marito e padre rispettivo di essa
donataria figlia, quale stanzetta limita
con un’altra piccola stanzetta che resta ad essa donante madre Anna Trecase, con Elisabetta Romeo e
strada; e dona detta stanzetta col dritto d’ingresso dove in atto vi esiste, o
proprio col basso sottostante. Quale donata stanzetta non è riportata in
catasto fabbricati di Platì, perché di nuova costruzione e non divenuta ancora
abbitabile. Essa donataria figlia Maria Fotia si terrà sin da oggi ed in piena
proprietà ed usufrutto la sopra donatale stanzetta per quota leggittimaria
materna, e laddove ve ne sarà supero ogni dippiù dovrà ritornarlo eziandio,
edoneo fin da oggi sul disponibile essa donante madre ed a titolo di prelegato
ed anteparte od esente di ogni collezione. Sopradetta donataria figlia Maria
Fotia autorizzata dal marito Francesco Calabria accetta la presente donazione,
e ne ringrazia la donante Madre Trecase Anna la quale dichiara che il valore
della … stanzetta può ascendere a lire centoquaranta e ciò a scopo di regolarsi
la tassa di registro. L’atto presente
non viene sottoscritto dalle parti per essere analfabeta. In seguito di ciò Noi Notaio abbiamo letto a
voce chiara ed intelligibile il presente atto ad esse parti in presenza dei
testimoni ed interrogate le parti stesse se in questo atto si contiene la loro
volontà ci risposero affermativamente e perciò l’approvano e l’accettano. Fatto
pubblicato e ricevuto in Platì, Circondario di Gerace, Provincia di Reggio
Calabria, oggi sudetto giorno, presente le parti e testimoni che con questi
ultimi e Noi Notaio sottoscrivono il presente atto che viene vergato su di un
foglio di carta di legale incisione in tre facciate meno righe di nostro
carattere e da Noi medesimo compilato. Firmato Giuseppe Morabito teste - Gliozzi Francesco testimone - Notar Carmelo
Febbo residente in Ciminà ho stipulato – Registrato in Gerace a 9 Novembre 1903.
lunedì 20 gennaio 2020
domenica 19 gennaio 2020
La strada del sud [di Bernard Vorhaus, 1939]
È un'opera avveniristica, che cambierà l'economia
della regione, spezzando l`isolamento di tanti paesini pedemontani, secondo
alcuni, e quindi rendendo più difficile il controllo del territorio da parte
dei locali malavitosi, ma devasterà lo splendore paesistico,
secondo altri “senza avere un volume di traffico tale da giustificarla”,
avverte per esempio Mimmo Gangemi l’ingegnere di Santa Cristina che si è messo
a scrivere romanzi sulla ‘ndrangheta, ma ha subito smesso “per non alimentare l’immagine
distorta di una terra dove si vive col giubbotto antiproiettile addosso, in un
regime di libertà vigilata”. Il progetto nato quarant’anni fa, prevede lo
sventramento dello Zillastro per unire Platì e Santa Cristina con un traforo di
6 chilometri a doppia canna; un ponte strallato in calcestruzzo, pilastri
giganteschi su 25 viadotti, 11 gallerie artificiali e naturali. Diviso in 5
lotti, secondo i piani originali avrebbe dovuto essere ultimato nel 2015, per
un costo di 835 milioni di euro. Il concorso è stato bandito nel 2003 ma i lavori
si sono subito fermati per contenziosi vari tra le ditte e l’amministrazione
locale. I cantieri abbandonati per due anni e mezzo. Il sito non più aggiornato
dal 2007. Poi i lavori sono ripresi, ma col contagocce e non senza incendi e
attentati ai danni delle due ditte siciliane appaltatrici; e
adesso, anche se mancano i soldi, il governatore Scopelliti vuole fame una
priorità del Piano di sviluppo integrato regionale.
Così, nell`attesa della nuova superstrada, per
traversare la montagna, a meno di non risalire sino a Gioiosa e passare sotto
la Limina, si può prendere la vecchia Statale 111 che da Gerace porta a
Cittanova.
Chiunque vi sconsiglierà di avventurarvi su per la
montagna dopo il tramonto. Non si sa mai. Di più non vi diranno, ma dietro l’avvertimento
si intuisce il peso della memoria e l`inerzia delle abitudini. Dunque partite all’alba,
o di prima mattina, Man mano che salite la montagna, vi prende la paura. Una
paura antica, irrazionale. In apparenza, nulla sembra annunciarla, eppure tutto
sta lì a giustificarla. Lo strano rarefarsi dell'ascesa, la strada che sale su sempre più ripida e
deserta, la nebbia che vi viene incontro e cresce insieme all'ansia di
raggiungere la cima. Poi …
Marina Valenzise, Il sole sorge a Sud, Marsilio 2012
giovedì 16 gennaio 2020
Quando volano le cicogne [di Michail Kalatozov, 1957]
LA NASCITA 24 giugno 1956
Nel
tempo rimangono nella mente ricordi o lampi che sono lì e non li puoi datare
perché fanno parte della tua coscienza.
Ricordo
la ruvidezza di un costume da bagno di lana di colore verde bottiglia che mi
pizzicava da asciutto e mi pesava come un macigno da bagnato; ricordo a Platì,
seduta tra l’armadio e la cascia, la
mamma che mi infila un pagliaccetto rosa di una stoffa così fresca che non ne
ho più trovate uguali (avrò avuto 2 anni??!!)
E
ricordo ancora l’odore di nafta della corriera al ritorno dal mare da Bovalino
e quando questa si fermava davanti al panificio e la mamma scendeva e ci
comperava i panini al burro e noi li mangiavamo piano perché non finissero
mai... e altre cose che affiorano d’estate col caldo, non so perché.
Ed
era l'estate dei miei quattroanniemezzo ed era caldo quel pomeriggio e la
mamma, con una pancia enorme per me che la guardavo dal basso, forse si
lamentava: tu volevi uscire.
Eravamo
a Platì sulle scale di casa: ricordo la penombra e le correnti d’aria poi la
mamma che scompare e la nonna Mariuzza che invita zia Pina a preparare me e
Saro, ci vestono e nel sole cocente del pomeriggio veniamo portati a casa dello
zio Giuseppino (il medico) perché a casa nostra doveva arrivare la cicogna.
Papà
diceva ”sbrigatevi” ma nel tragitto Saro ed io scrutavamo il cielo per veder
arrivare questa cicogna.
Papà
ci lascia in quella enorme casa; i cugini erano già più grandi e noi ci sentivamo
spaesati, ma la raccomandazione era che dovevamo fare i bravi: siamo stati
seduti e zitti nell’atrio fresco e ventilato nell’attesa che ci riportassero a
casa.
Anche
se ci avevano detto che non era quella la rotta del volatile verso casa noi
scrutavamo il cielo dalle tende svolazzanti leccando senza voglia un gelato.
Ogni
tanto Saro mi guardava e io chiedevo "quando torniamo a casa?".
Era
quasi l’imbrunire e l’aria si era fatta più fresca quando papà è venuto a
riprenderci, felice ci raccontava che era arrivato un maschietto.
Forse
correvamo per l’impazienza.
Ora
le immagini mi diventano più nitide: facciamo di corsa le scale, mamma è a
letto, tra lenzuola bianche pulite, sorride, Saro ed io saliamo sul letto e lei
ci bacia, in quella entra la nonna: in braccio un fagottino avvolto in una
copertina celeste, si avvicina a noi seduti al bordo del letto e ci porge il
bambino.
”Guardate,
ecco Gianni”.
Abbiamo
gli occhi e il cuore pieni di gioia, guardo la pancia della mamma, ma non mi
faccio domande, ti faccio una piccola carezza, ti ho subito voluto bene. Gianni.
Maria
Maria
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mercoledì 15 gennaio 2020
The Mule [di Clint Eastwood, 2019]
BOZZETTO CALABRESE
I racconti del mulattiere
Eravamo seduti accanto al vecchio focolare, poiché fuori c'era un metro di neve che impediva persino di mettere il naso fuori dall'uscio. Il più vecchio della compagnia, l’ex mulattiere Mico X, tra una boccata e l'altra,tirata dalla sua, assurda pipa di terracotta si mise a narrare. Era una vecchia abitudine di Mico X, quella di narrare le sue avventure ogni volta che se ne presentava l’occasione; e spesso si trattava di avventure sconclusionate, che deludevano l’uditorio: entravano, come si suol dire, da noi, «con la tocca», e uscivano «con la campana».
Comunque, ci accomodammo bene sugli sgabelli, per
prestare ai suoi discorsi la massima attenzione possibile. Il vecchio si mise a
rievocare.
Ai tempi d'oro della mia giovinezza, quando la gente
non pagava i contributi unificati, ero alle dipendenze del conte Don Vincenzo
di carbonìa; ma un giorno venni a diverbio con lo stesso, e me andai via. Ora
dovevo vivere con i miei mezzi, esclusivamente, perciò, la prima cosa che mi
toccò di fare, fu quella di scendere in paese e procurarmi un magnifico
coltello a serramanico. Me lo ricordo ancora: aveva una lama di circa venti
centimetri e uno scatto magnifico.
«Questo coltello» - pensai - «sarà la mia fortuna».
Il giorno dopo me ne andai nella vigna di un tale e mi
misi, a staccare grappoli e a mangiare; stacca e mangia, stacca e mangia, a un
certo punto comparve il padrone.
«Hei, là!» -- esclamò - «Qua il mondo è liberato?»
Io lo guardai bieco e risposi: «E' liberato, e tu che
vuoi?»
In così dire estrassi il coltello.
Quando vide il coltello, invece di scappare, come mi aspettavo,
divenne una bestia, Che lo avessero ammazzato dieci anni prima!!
Era uno solo, e fece quanto avrebbe potuto fare un
battaglione di soldati, mi si lanciò addosso con un bastone, mi fece volare via
il coltello dalle mani, e cominciò a picchiare come Briareo quando volle
suonarle a padre Giove.
Alla digressione mitologica, Mico X sorrise sotto i
baffi soddisfatto.
Io cercavo di vincolarmi, ma quel maiale mi tempestava
di geffole e di calci che avrebbero stordito un cervello elettronico. (Anche
stavolta Mico sorrise di soddisfazione).
A questo punto il racconto ebbe una pausa. Mico si
caricò la pipa nel focolare. Vedendo che continuava a tacere, lo stimolammo a
seguitare la narrazione. Ci guardò meravigliato e ci disse: «ma è finita da un
pezzo». Ci guardammo stupiti. Ma dovevamo essercelo aspettato. Non era la prima
volta che i racconti
di Mico X serbavano di queste sorprese. Non avemmo tempo
di rammaricarcene, che
Ciccio Domarom con un urlo di gioia scopri che le
patate sotto la cenere del focolaio erano cotte, sebbene noi, al principio del
racconto non ce le avessimo messe.
Intanto la vecchia moglie di Mico aveva tratto da uno
stipo una bottiglia di vino vecchio, e presi alcuni bicchieri, brindammo
allegramente. Ognuno disse la sua. Infine, nel silenzio generale si alzò il
vecchio ex mulattiere e declamò: «Eu mi lu jettu arretu a chista lamera -
brindisi fazzu a chista cumpagnèra».
Quando si trattava della rima, Mico X non transigeva,
doveva arrivare in fondo a tutti i costi. Il brindisi, tuttavia, non era
finito. Con la voce malferma, Mico continuò: «E ora guardu stu calici vacanti -
e dicu bona notti a tutti quanti».
Poscia si mosse soddisfatto, per andare a coricarsi.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD 23 febbraio 1956Per chi è interessato alle cose eastwoodiane ricordo che anche il rapporto Clint Eastwood-mulattieri trasi ca tocca e nesci ca campana: risale al Francis mulo parlante 1955, passa per il pugno di dollari 1964 , gli affamati avvoltoi 1968 e arriva a The Mule 2019.
E ora guardu stu calici vacanti e dicu bona notti a tutti quanti
lunedì 13 gennaio 2020
Il miracolo delle campane [di Irving Pichel, 1948]
Vita religiosa a Platì
(M. F.) - Sono stati ultimati e collaudati, nella Chiesa del
Rosario di questo centro i nuovi moderni impianti di amplificazione. Il potente
megafono ha diffuso nel cielo di Platì il suono armonioso o delle campane della
Basilica di San Pietro e di Santa, Maria Maggiore, riproducendolo da alcuni dischi.
L’audizione è stata perfetta, anche nelle campagne.
Al Reverendo Don Gliozzi autore della bellissima. iniziativa,
esprimiamo i sensi della nostra ammirazione.
(Michele Fera) GAZZETTA DEL SUD, 18 aprile 1956Inizia oggi una nuova etichetta creata per ricordare l'intensa attività giornalistica di Michele Fera. Essa ebbe inizio con l'apparire dell'edizione reggina della Gazzetta del Sud nel 1955 e protrattasi per alcuni anni. Ben prima di Antonio Delfino, con le sue corrispondenze da Platì egli si occupò di cronaca, storia del costume, tradizioni, racconti originali, che periodicamente apparivano sulla testata messinese. Con questo si tenta ancora una volta ricordare i figli più dotti della Platì che a partire dagli anni settanta del secolo della bomba atomica andavano ad essere più rari se non a scomparire del tutto. Mi è sembrato opportuno varare la nuova etichetta con qualcosa di personale, quindi la chiesa del Rosario e lo zio Ciccillo sono i protagonisti più adatti e per ricordarli meglio non potevano essere che Rossini e la sua Gazza ladra qui riproposta con il fruscio del 78 giri e Toscanini a condurla. Assieme alla mozartiana Marcia alla turca richiamava i fedeli alla messa domenicale, affollatissima per via della velocità rossiniana e toscaniniana con cui lo zio Ciccillo la portava a termine.
Nella foto mastru Domenico Ielasi (1932- 2014) e suo nipote Mimmo sul tetto della chiesa negli anni novanta del secolo citato.
domenica 12 gennaio 2020
Racconti dalla tomba - pt. 2
Torno oggi su una
pubblicazione sotto il titolo Racconti
dalla tomba. E precisamente sulla figura che in quella pubblicazione
Vincenzo istorosofo Papalia vi
celebrava, il dottor Domenico Zappia. Quello che segue è l’atto di morte
registrato presso il Comune di Platì del dott. Domenico Zappia
L’anno mille ottocento novanta quattro, addì sei di Marzo
a ore pomeridiane due e minuti trenta, nella Casa Comunale,
Avanti di me Oliva Cav. Francesco fu Don Arcangelo
Sindaco ed
Ufficiale dello Stato Civile del
Comune di Platì sono comparsi
Antonio Agresta, di anni cinquanta, bracciale domiciliato
in Platì, e Pasquale Bartone
di anni quaranta
sarto, i quali mi hanno
dichiarato che a ore
ante meridiane cinque e minuti trenta di jeri nella
casa posta in
Corso San Nicola, è morto il Sig.
D. Domenico Zappia di anni
ottantasei, medico, residente in
Platì,
nato in Varapodio da fu Rosario, medico,
domiciliato in Platì vivendo, e da fu Donna Rosa Lenzi, gentildonna domiciliata in Platì vivendo, vedovo di Fasano Giovanna.
A questo atto sono stati
presenti quali testimoni Antonio Barbaro
di anni trenta, bracciale e Giuseppe Mittiga
di anni trentuno calzolajo, ambi
residenti in questo Comune. Letto il presente atto a tutti gli intervenuti, viene da me sottoscritto, avendo eglino
asserito di non saper firmare.
L’ufficiale dello Satato Civile
Francesco Oliva fu Arcangelo
Il dottor Domenico Zappia
nacque in Varapodio da Rosario anch’esso medico e dalla signora Rosa Lenzi,
originaria di quel comune aspromontano.
Al momento del decesso aveva ottantasei anni. Stando ad altri atti di
nascita, il dottor Rosario, figlio di Pasquale e Michia Francesca, al momento
del parto di Domenico aveva trent’anni essendo nato il 18 agosto 1778, mentre
la sua signora ne aveva diciannove di anni. Domenico sposò in un primo tempo la
signora Rachele Brancatisano con la quale ebbe, tra il 1835 e il 1849, sette
figli. Rimasto vedovo a cinquantadue anni si unì a Giovanna Fasano, nata in
Oppido il 30 marzo 1839 e morta a Platì il 5 agosto 1873 a trentaquattro anni.
I due si erano sposati in Oppido il 9 novembre 1859, lei ventenne, e da essi
nacquero Francesco, Filippo, Carmelo e Pompeo.
Nelle immagini l'atto di matrimonio tra Domenico Zappia, medico e Donna Giovanna Fasano nello Stato civile della restaurazione di Oppido.
giovedì 9 gennaio 2020
God Bless America [di Bobcat Goldthwait, 2018]
Nella foto Giuseppe Antonio e Michelina.
Il tutto con il contributo di Francesco di Raimondo.
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Once upon a time in Platì
mercoledì 8 gennaio 2020
Racconto calabrese [di Renato Pagliuso 2016]
Schegge (direbbe Enrico Ghezzi) rubate a Mimmo Gangemi e alla sua Signora di Ellis Island
"Pochi
i meridionali: qualche campano, un paio di abruzzesi, un siciliano, uno del
Vibonese una bestia di fatica e di forza che tirava dal cottimo quasi quanto
due di loro. E Mico, con cui erano bordanti assieme. Era di Platì, un paese
vicino al suo, sulla fascia ionica però. Tra le due comunità si erano sempre
intrecciati matrimoni, comparati, amicizie, anche guerre, non di rado con il
morto. Li collegava una pista, poco più d'una mulattiera, che s'inerpicava fino
allo Zillastro - là dove s'incrociavano i venti che salivano dai due mari - e
discendeva ripida, cangiandosi con un taglio netto dal verde lussureggiante del
lato tirrenico a una terra secca e riarsa, appena ravvivata da radi arbusti che
la facevano più desolata, e con massi franati sulla pista o in equilibrio
precario sui costoni. Tranne che con Mico, con cui stimavano l'amicizia nata
fuori da lì e la fratellanza del vivere assieme, Giuseppe confidenza non ne
prese, né gli altri tra di loro".
"Giuseppe
a sera gli raccontava dell'Italia. Degli ulivi maestosi, dei boschi di faggio
che in autunno si tingevano d'irreale, in pieno splendore nelle foglie con i
vividi colori della morte, delle fiumare gonfiate a dismisura dalle piogge, dei
bagni che i ragazzi
prendevano nella pozza grande, della pesca alle trote e alle anguille - sezionando
la poca acqua estiva e stordendole con la calce buttata dentro - delle verdi
cime dell'Aspromonte, della curva lungo la pista per Platì da cui si abbracciavano
con un unico colpo d'occhio i due mari, della ripida costiera ricoperta
di fichi d'India i cui frutti nessuno raccoglieva per il veto del padrone, non
disposto a digerire che altri godessero di ciò che per lui, vecchio, era, impossibile".
NOTA. L'interesse per il film citato sta nella presenza di Robert Woods, saltato da protagonista di Spaghetti Western a vecchio incompreso tornato nel suo paese d'origine, in Calabria.
lunedì 6 gennaio 2020
The Celebration ... The Lizard
II°
PREMIO GIORNALISTICO-LETTERARIO ANTONIO DELFINO
Platì
28 dicembre 2019
Motivazione
Sezione Saggistica
“Lettere meridiane. Cento libri per conoscere la Calabria” è l’opera
di raccordo più notevole degli ultimi anni.
La sensibilità di Francesco
Bevilacqua ha saputo cogliere l’essenza del nostro essere senza stereotipare la
“regione più a sud del sud”, anzi, focalizzando l’attenzione sulle bugie
storiche che hanno vestito la Calabria di pregiudizi ai quali a nessuno è
facile sottrarsi. La fatica dell’astrazione ed imparzialità è
valsa questo
capolavoro che definire di taglio socio-antropologico sarebbe riduttivo. L’itinerario tracciato da
Bevilacqua per raggiungere la conoscenza/coscienza dei nostri luoghi, fisici e
metafisici, attraversa anche le opere più incisive di importanti scrittori non
solo locali che l’autore ha saputo magistralmente rileggere nel suo
meta-racconto. Finalmente la ricerca dell’identità attraverso la memoria non è
più pretesto di immobilità ma volano di apertura e crescita.
Motivazione
Sezione Narrativa
"Un acre odore di aglio":
è l'Odissea
del popolo aspromontano, vinto ma non domo, epopea familiare come pretesto per
una impalcatura di nobile letteratura: romanzo di intreccio, azione e non
groviglio di narrazione fine a se stessa, lirismo calibrato che non necessita
di eccessivi formalismi, accompagnato da un'analisi psicologica che muove fino
all'ultima pagina, da cornice un mondo femminile pulsante come il paesaggio
descritto, quindi la terra protagonista e antagonista, l'archè a cui l'uomo ritorna, tramestio di vita e di morte: perché
ogni uomo, ogni scrittore, è la cifra del luogo in cui nasce e vive.
domenica 5 gennaio 2020
Quei loro incontri [di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub, 2006]
Vuoi per la
scelta azzeccata dei premiati, vuoi per la loro presenza, insieme a quella di
altri non meno importanti intellettuali e personaggi accorsi dalle località
della provincia, la serata del 28 dicembre 2019 è stata una ulteriore
dimostrazione delle capacità organizzative dei soci della platiota Associazione Santa Pulinara che per il
secondo anno consecutivo indice il premio Giornalistico-Letterario
ANTONIO DELFINO. Ma non era tutto oro quello che luccicava negli occhi di
quei temerari, avendo bene in testa le reali difficoltà che l’organizzazione di
un evento così importante richiedeva e la scarsa locale manodopera.
A chi era assente
comunichiamo che la serata è stata presentata da Lucia giarruneiu Catanzariti e coordinata da Maria Teresa D’Agostino.
Se per l’avvocato
Francesco Bevilacqua, vincitore per la saggistica con il suo lungimirante “Lettere meridiane. Cento libri per conoscere la Calabria”, il Premio
è solo un pretesto, la scusa per stare insieme e fare comunità, bisogno sempre
più impellente nell'era dell'apparire social. Ma la condivisone delle comuni
radici deve essere reale non virtuale. La sua opera è destinata a indicare la testimonianza della vitalità della letteratura calabrese, e degli autori
più significativi, per le future generazioni. In quella sede si è scoperto che Francesco Bevilacqua è un camminatore
alla Henry David Thoreau e un amante degli alberi alla Jean Giono!
Mimmo Gangemi, premiato per
la narrativa con il suo acuto “Un acre
odore di aglio”. Allo scrittore gli si riconosce un modo originale di
narrare, mettere in discussione, se non altro la gente d’Aspromonte, gente di non facile trattazione. Egli ci offre il suo tributo ad Antonio
Delfino, guardato a volte con invidia. Gangemi, un fedelissimo delle iniziative
pulinarote, ancora una volta ci
ricorda i legami di parentela intessuti tra Santa Cristina d’Aspromonte e Platì
e precisamente con la famiglia di don Gustinu
Mittiga, quando le carreggiate erano un legame per lo sviluppo dei rapporti
tra i territori che sconfinavano sino alla Piana;
ripresa di rapporti auspicata anche dal presidente del Parco dell’Aspromonte dottor
Domenico Creazzo presente alla serata, finendo col renderla preziosa.
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