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domenica 12 maggio 2019

Fango sulle stelle [di Elia Kazan,1960]




DOPO IL DILUVIO IN CALABRIA
Paesi di fango e di fame
La scuola di Platì pare la mostra della denutrizione – Labirinti di miseria nei villaggi montani – Il contrasto con Reggio – Quando riusciremo a mettere assieme l’Italia borghese con quella della fame congenita?

(Dal nostro inviato speciale)
Reggio Calabria 27 marzo
Sapevo che un rapido sbalzo di altezza può produrre disturbi bruschi, capogiro, mancanza di respiro, o quello che i medici chiamano anossiemia. Anch’io ho avuto l’altra sera un’anossiemia arrivando direttamente a Reggio da Platì. Naturalmente un’anossiemia mentale, soltanto nella testa. Ma è la stessa cosa, lo stesso choc e smarrimento, e il senso angoscioso di non capire più niente. Platì è un grosso paese sul versante jonico dell’Aspromonte, situato entro valle a una trentina di chilometri dal mare, sulla strada che da Bovalino Marina per Scido e Sinopoli porta a Bagnara.
Scido  Sinopoli  Platì, qui, l’orecchio è continuamente accarezzato da lontane cadenze greche. Platì è uno dei molti paesi della montagna che durante l’alluvione dello scorso ottobre subirono gravissimi danni dalle frane. Proprio nel punto in cui si trova il paese, la fiumara fa un gomito e una gola. Ora, la notte fra il terzo e il quarto giorno del diluvio calabrese, vere cateratte di acqua così impetuose da strappare ai monti vicini intere pendici coperte di uliveti, come si può portar via un mastello, strariparono sul paese. E il contrafforte, staccatosi, attraversò il cimitero e trascinò via i morti.

Dieci in una stanza

Le case sul fiume crollarono come castelli di carta. Tutte le vie, sino a quelle più vicino alla chiesa, furono sommerse da una corrente che per più giorni le tenne allagate, e che lasciò, ritirandosi, un indescrivibile sedimento di mota, di sassi, di tronchi, talmente che ci vollero mesi di lavoro per rimuoverlo. E adesso è rimosso, ma il paese ha conservato lo stesso il colore del fango; fango le catapecchie, dove in attesa che siano finite le prime case per i senzatetto, soltanto adesso in costruzione un paio di chilometri prima del paese, decine di persone per stanza vivono ammucchiate in promiscuità; fango le strade, fango i vestiti, fango persino le facce. Perché la denutrizione, me ne sono accorto, dà alla pelle lo tesso tono bigio, sordo, terreo del fango.
Chissà, girando, quanti affamati ho visto senza saperlo nella mia vita. Ma, devo dirlo con umiliazione, è solo in questi giorni che ho imparato a distinguerli. Fu la prima volta sulla strada tra San Giovanni in Fiore e Santa Severina. Eravamo scesi per esaminare la recente sistemazione a ripiani di un dosso collinoso, dove quotisti dell’Opera Sila avevano piantato grano. Era un punto bellissimo. Scavalcando la gran valle, la vista spaziava sopra una prospettiva di tonde cime lisce e armonicamente digradanti, pezzate di bianche crepe e si pascoli verdissimi, sulle quali spiegava lontano l’alto profilo di Strongoli, e su quel cielo terso e irradiato pareva una fantasia di Dorè.
Vedendo fermare la macchina, alcuni contadini vennero verso di noi. Uno dei miei compagni di viaggio, era addetto a quei lavori, e appunto veniva per questi, si mise a discorrere con loro, e subito notai la faccia di uno, e (lo capivo confusamente) si si lagnava perché per un certo disboscamento gli erano state conteggiate meno ore che ad altri suoi compagni che avevano lavorato come lui. Parlava con una strana concitazione, e m colpì subito l’espressione degli occhi, fissi incavati, cerchiati d’ombra e con un che di vagamente allucinato e febbricitante, nel viso di un color grigio e stanco, colore di argilla bagnata. Mentre l’altro parlava, mi volsi ad un amico calabrese che era con noi e gli chiesi sottovoce di osservare quel tale, se non gli pareva che avesse un po’ la faccia da cocainomane. “Oh, no – mi rispose calmo e obiettivamente – è un uomo che ha fame”.
Allora da quel momento, andando in giro per la Calabria, incominciai a studiare la faccia della gente che incontravo, e così in pochi giorni mi sono impratichito in questa triste perizia di distinguere la fame. Ecco perché ho subito visto quel colore, ho subito visto la fame a Platì. Intendiamoci, non è mica sempre una fame drammatica. Noi italiani, quando pensiamo alla fame, pensiamo subito al conte Ugolino. Ma no, è una fame molto meno cruenta, molto più blanda: è una fame congenita, quella che si porta con noi dalla culla, che non ci lascia mai, tanto che, vedete, alla lunga finiscono per immunizzarsi, e diventano vecchi magari centenari, e così servono agli igienisti per dimostrare che l’uomo sano mangia poco. (continua)
Filippo Sacchi, LA NUOVA STAMPA, 28 marzo 1952

NOTE. Ancora oggi questo testo di Filippo Sacchi splende di neorealismo cinematografico e letteratura  arrivando a far rizzare i capelli. L'autore arrivò a Platì accompagnato da Mario La Cava. La cartolina di Brancatisano appartiene agli eredi di Joe Ielasi di Adelaide. 


giovedì 9 maggio 2019

Destini di donne [di Marcello Pagliero,1953]



Mick,
approfitto della tua prodigiosa memoria.
Nel 1989 a Platì avvenne un fatto clamoroso: la Signora Casella, madre di un ragazzo sequestrato dall'anonima, si incatenò ad una cabina telefonica per chiedere la liberazione del figlio. In un articolo comparso sulla Gazzetta del Sud vengono nominate, quali persone intervistate, Maria Staltari e sua figlia Lisa Perre, "da tempo emigrate in Australia,  dove è forte la presenza di  platesi". Tu le conosci? Se non sbaglio Maria Staltari arrivò in Australia nel 52 e andò a vivere a Mile End (Questo dagli Australian National Archives.) Quale Perre ha poi sposato? Forse uno dei "consaroti"?
Questo è il post se lo vuoi leggere:
Rosalba

Ciao Rosalba
Grazie per il post……
Mi ricordo bene questa storia di la Casella in Platì e l’articolo chi hai mandato con Ia foto è molto interessante e porta avanti un parallelo di questa storia a confronto di un altra storia, di una signora in America soggetto di un film con l’attrice Frances McDormand…………..se non mi sbaglio nella prima foto la signora che si vede vicino la Casella sarebbe tua cugina Nazzarena sorella di Tony Perre “u zoppo” ??
A riguardo di questa signora Staltari e sua figlia Lisa Perre ti posso dire assolutamente che non incintra con “I consaroti”-     allora i consaroti forse erano immigrati verso il 52 e si c’è la figlia Lisa Perre e di ‘consaroti” adesso sposata con un certo Giovanni Daniele-ancora viva e residente in Mile End-  però sua mamma si chiamava Marianna (o Maria) ma lei era Portolesi (e no Staltari) sorella di Peppino Portolesi padre di Giuseppina.
Allora io penso che questa Maria Staltari sarebbe la figlia di Peppe Staltari detto “U bifaru” sorella di la buon anima di Micu u Bifaru compare di tuo Zio Frank.   Questa Maria Staltari ancora viva e residente in Melbourne ha sposato Giorgio Perre chi fa parte della famiglia “i giargani” e loro hanno una figlia Lisa Perre.  La cognata di questa Maria sarebbe Catuzza “ a ciciola” sposata con Vici Perre…………….per sicuro ti ricorde suo nipote Mimmo Perre chi abitava una volta in Torrensville con la sorella Antonietta e sua nonna………il loro padre era Rocco Perre e la mamma defunta da tanti anni prima faceva parte della famiglia di “francischani”
E solo questa che potrebbe essere perché tutti gli altri Staltari (fuori di bifari e donne) sono in Griffith o Canberra -un paio chi erano sposati con i fratelli Staltari detto “i ciancantani” primi cugini di mio padre………………..

Il mondo e piccolo !!

A presto
Mick (Pangallo)

Maria Staltari (nella foto) arrivò a Melbourne il 17 febbraio 1949 a bordo della mitica Ugolino Vivaldi

mercoledì 8 maggio 2019

La canzone delle rose [di Ugo Gracci, 1920]





LE ROSE

Dopo le umili e modeste viole de l'aprile, le rose superbe ed uberi del maggio.
Sboccian da per tutto al mite favonio che le nevi discioglie, sotto il tiepido raggio del sole carezzevole. Un sottile profumo lontano ci annunzia il loro ritorno. E volgendo qua e là, con impazienza, la pupilla vivace, le vediamo, piene di vita novella, su le verande signorili, nel vano scuro de le ruvide finestre, nei giardini in fiore, lungo i sentieri rinverditi dei prati e de le ville, sui cigli erbosi de le gore stagnanti. Ve ne ha de le tinte più varie, dei colori più disparati; sempre belle pero, sempre morbide, vellutate, fragranti.
Spuntano e muoiono in un giorno. E mentre alcune in pieno rigoglio, vengono spiccate da la materna aiuola, altre ed altre sbocciano sul cespo odoroso, anelando a la vita. E, strette in mille varie fogge, in mille modi eleganti, si spargono per la città rumorose, per i villaggi tranquilli. Ogni luogo inondato dal loro profumo inebriante: da le gigantesche e maestose basiliche, a l'umili e bianche chiesette rusticane: dai superbi palagi signorili a l'umide e buie catapecchie de la povera gente. E non vi è persona che non l'ami, non gusti il profumo soave, non se ne adorni il seno.
Questo è il loro mese, il mese de loro sovrano imperio.    
E rose, e non altri fiori, sui pettini inamidati, sui cappelli a l'ultima moda, ne le mani e in bocca, a tutti. A volte anzi per le vie e una pioggia di petali multicolori, che scendono lievemente, titubando, dai balconi e da le terrazze, abbandonate" con compiacenza da mani gentili.  
Oh, le rose, le rose, piccole creature delicate, di quanti cuori non sono regine, di quanti animi magiche conquistatrici, di quanti affetti inconsce messaggere.
In Chiesa, su l'Altare de la Madonna, non vi sono che rose. Son disposte a cono, le uno accanto a le altre, in alto, fino ai piedi de la buona Madre Celeste. E tutte, sembra vogliano ascendere, ascendere per essere più da presso a la pia Signora, che guarda con occhio buono, sorridendo.
Ascolta Ella i fremiti indistinti, le vocine sommesse, i susurri lievi de le rose? Che dicono esse, ai suoi piedi, nel loro strano linguaggio? Che dicono sommessamente? Deh, scostiamoci per poco dai rumori assordanti de la vita quotidiana, inoltriamoci riverenti e devoti ne la bionda penombra del tempio, accostiamoci silenziosi a l'Altare di Maria.  Udite? In quelle rose vibra l'anima di un popolo di credenti. In esse sono i palpiti, le aspirazioni di tanti cuori avidi di luce; sono le angosce e le lagrime di tanti infelici trafitti dal dolore; le preghiere di tante madri che vogliono veder buoni i figliuoli traviati; di tante spose che intercedono pace pel marito lontano; di tanti operai che chiedono pane per le famiglie affamate. E palpiti ed aspirazioni, preghiere e gemiti, s’elevano come una voce sola da tutte le rose.
lvi non vi è distinzione di classe. Daccanto a, le rose scialbe e scolorite de la povera gente, stanno le rose superbe e roride dei nobili. Oh quante cose non dicono quelle rose molteplici, strette da un supremo vincolo di santo amore verginale, a la Regina dei Cieli. E potrà Ella, la Madre de le misericordia, non esaudire loro fervide preghiere sommesse?
Oh, le rese, le rose!  `
Siete tanto belle, fresche ed aulenti, rose del maggio. Ma - è triste il dirlo - la vostra, non e che bellezza effimera e passeggera. Io vi ammiro, sì, e son lungi da l’odiarvi. Ma il mio cuore, il mio vergine cuore di giovane levita, non è per voi. Esso ama un'altra rosa, una rosa che non appassisce mai, una rosa fulgida di bellezza, eterna: ama, la Mistica rosa dei Cieli, Maria.
Francesco Portolesi
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 21  MATERA 24 MAGGIO 1903

NOTA. Don Ciccio Portolesi quando scrisse questo poetico, strappalacrime alla Raffaello Matarazzo, roseo testo era, come dice lui, un giovane levita. Durò qualche anno questa sua vocazione, unita a quella di poetare talvolta, prima di buttarsi anima e corpo negli affari pubblici e privati di Platì quindi essere ricordato come u segretariu Portolesi. In quegli anni levitici il nostro aveva pubblicato sempre su LA SCINTILLA lunghi articoli spesso di critica letteraria – Bricche di critica erano appellate - di opere edificanti come Le vittime il 3 maggio 1903, Rivali il 14 febbraio 1904 e Attraverso il prisma il 17 luglio 1904.
La seconda foto ritrae due gentlemen australianplatioti, Giuseppino Portolesi, son of don Ciccio, e Joe Ielasi, ora star di questo blog, alla vostra destra   

lunedì 6 maggio 2019

Io sono Serafina [di Peter Godfrey, 1948]




L’anno milleottocentosettanta sette, addì ventiquattro di Settembre a ore pomeridiane cinque e minuti quarantotto, nella Casa Comunale.
Avanti a me Rosario Fera Segretario delegato con atto del Sindaco del venti Gennaio ultimo debitamente approvato.
Uffiziale dello Stato Civile del Comune di Platì è comparsa Maria Treccasi, di anni cinquanta levatrice domiciliata in Platì, la quale mi ha dichiarato che alle ore antimeridiane sette e minuti cinquantadue, del di ventitre del corrente mese nella casa posta nella Via San Nicola, al numero ventitre, da Rosa Fera possidente moglie di Gliozzi Francesco, industriante, ambedue domiciliati in Platì è nato un bambino di sesso femminino che ella mi presenta, e a cui dà il nome di Serafina.
A quanto sopra e a questo atto sono stati presenti quali testimoni Giosofatto Virgara di anni quaranta  sarto, e Ferdinando Miceli, di anni trenta, sarto, entrambi residenti in questo Comune.
La dichiarante ha denunziato la nascita suddetta per avere nella sua indicata qualità di levatrice praticato i sussidi dell’arte sua nello atto del parto, e in luogo del marito della Fera, il quale non ha potuto denunciarla perché lontano di casa. Letto il presente atto a tutti gli intervenuti, viene sottoscritto da me, essendo gli altri analfabeti.
L’Uffiziale dello Stato Civile
Rosario Fera



Quello che vedete e leggete è l’originale atto di nascita della zia Serafina cui si è accennato nel precedente post. La zia nella memoria di tutti i pronipoti che arrivarono a conoscerla è rimasta sempre come la vedete nella foto (con Saro). Nata Gliozzi andò in sposa a Filippo Antonio Zappia, 15 settembre 1885, e fino alla prematura morte di esso abitarono nella casa in via XXIV maggio. Successivamente ella si prese cura del fratello Ernesto nelle varie sedi parrocchiali cui veniva designato, fino a quella definitiva di Casignana. La zia morì nel 1963, raggiunti gli ottantasei anni, nella casa che l’aveva vista nascere. In questo passaggio fu assistita dalla cognata Bettina e dai nipoti rimasti in paese: Ciccillo, Rosina, Cata, Ernesto, Peppe e in modo speciale da Amalia. La casa in via XXIV maggio dopo un breve periodo in cui l’abitarono il fratello della zia, nonno Luigi, fu acquistata dal nonno Rosario (Mittiga). Dall'atto potete notare anche la presenza di un altro ceppo storico platiese: Fera.

domenica 5 maggio 2019

Il filo nascosto [Phantom Thread di Paul Thomas Anderson, 2017]

 

.... a questo atto sono stati presenti quali testimoni Giosofatto Virgara di anni quaranta  sarto, e Ferdinando Miceli, di anni trenta, sarto, entrambi residenti in questo Comune”.
Dall’atto di nascita di Serafina Gliozzi 24 settembre 1877


“…Non so se te ne ho già accennato, ma io ho vissuto alcuni anni in Australia ed ho anche abitato con la mia prozia Bettina Perri madre di Rosario (Rosi per la famiglia). Lei è morta ultranovantenne ed anche lui è deceduto da qualche anno. Peppino Mittiga era parente (cugino, credo) di Giuseppe Ielasi che ha sposato la sorella di mio padre, Ada. Entrambi erano sarti e qui ci sarebbe da fare tutto un discorso a parte sulle botteghe di sarto di Platì e sui sarti che lì si formarono.
Ciao
Rosalba”


Dov'è Plati di don Giacomo Tassone, dell'avocato Fera, del maestro Gelonesi, del generale Gelonesi, luminare della medicina tropicale, dei Peroni, degli Zappia, degli Spadaro, dei Mittiga, del colonnello Fera, di massaru Peppe Delfino, di Ciccillo Prestia, della saggezza di massaru Cicco di Furnari, di massaru Jelasi, di massaru Cicco Barbaro, di Pasquale Agresta e degli artigiani (Sarti, barbieri, calzolai, falegnami, carpentieri, fabbri, tornitori, le cui botteghe erano per i giovani scuola di vita)? Pasqualino Perri

un agitarsi vario,
anzi straordinario
di sarti e calzolai,
e di fabbri-ferrai” Vincenzo Papalia

Negli anni ’50 e ’60, Hindley Street in Adelaide, Australia Meridionale, era il cuore pulsante della città. I suoi negozi, i bar, i ristoranti e le gelaterie ne facevano un centro multiculturale su cui gravitavano le nuove generazioni di australiani e di europei arrivati con la grande immigrazione di quegli anni.
“Dovunque era un lieto chiacchierare
Nelle diverse lingue e come attori
Si andava per vedere e per mostrare
Sembrava uno spettacolo a colori.
Barbieri e sarti al fascino italiano
Con tanti bei negozi e magazzini
Facevano commercio paesano
Per chi voleva spendere quattrini.”
(Reminiscenze di Hindley Street, Francesco Creazzo)


Il piano terra delle costruzioni, di solito a due soli piani, era dunque occupato dai negozi, mentre il primo piano era adibito ad attività artigianali come quelle dei sarti. Hindley Street e i suoi dintorni negli anni ‘50-‘60 ospitavano circa 15 sartorie. Titolari e lavoranti erano quasi tutti italiani, la maggior parte proveniva da Platì.
Il decano era Rosario Zappia nato nel 1898 a Platì, arrivato nel novembre del 1927 molto rispettato, conosciuto in tutta Adelaide come Mr Zappia, sposato con Caterina Mittiga.
Giuseppe Mittiga nato nel 1911 a Platì, arrivato in Adelaide nel 1939, sposato con la mia prozia Bettina Perri.
Rosario (Rosi) Mittiga nato nel 1923 a Platì, detto u piccirillu, nipote del summenzionato Giuseppe Mittiga in quanto figlio del suo fratellastro Domenico.
Giuseppe Jelasi, nato nel 1927 a Platì, arrivato in Australia nel 1950, sposato con mia zia Ada Perri. Di lui si è già occupato il blog…
https://iloveplati.blogspot.com/2018/12/a-tailors-secret-true-icon-of.html

Giuseppe Izzo di Napoli, classe 1920 o 1921.
Giuseppe Raniolo un siculo-triestino, classe 1923, arrivato con la famiglia nel 1955. Con lui lavorava Michele Papalia nato nel 1941 a Platì, figlio di Anna Perre, il cui padre Giuseppe (u zì’ Giusi) era fratello del mio bisnonno Pasquale.
Francesco Donato, nato nel 1918 a Platì, arrivato in Australia nel 1937.
Giuseppe Mittiga, nato nel 1917 a Platì, sposato con Rosa figlia di Mr. Zappia, insieme a Rocco Mittiga nato nel 1925 a Platì – Con loro lavorava Antonio (Tony) Staltari nato nel 1933 a Platì.
Rocco Mittiga, nato nel 1909 a Platì, cognato di Mr Zappia che ne sponsorizzò l’immigrazione in Australia.
Giovanni (Giannino) Mittiga, nato nel 1927 a Platì, lavorava per Colin Smith, altra grande sartoria che impiegò anche molte ragazze nate a Platì.
Ultimo arrivato dei sarti Antonino Perri, nato a Platì nel 1943, fratello di mio padre. “PERRE Antonino Michele - Nationality: Italian - Arrived Sydney per Aircraft AZ 764 29 October 1966” (National Archives of Australia). È l’unico ancora in attività.


“… I don’t know if I’ve ever mentioned it to you: I lived in Australia for a few years and I stayed with my great aunt Bettina Mittiga, née Perri, mother of Rosario (Ross for the Family). She died well in her nineties and her son also died a few years ago. Peppino Mittiga, her husband, was a relative, (a cousin) of Joe Ielasi who married my father’s sister, Ada. Both, Joe and Peppino, were tailors. A whole chapter should be dedicated to Plati’s tailoring activities and the tailors that were trained there.
Bye
Rosalba”

“Where has Platì gone? Platì of Don Giacomo Tassone, of Fera the lawyer, of Gelonesi the teacher, of General Gelonesi, an expert of tropical medicine, of the Peronis, the Zappias, the Spadaros, the Mittigas, of colonel Fera, of “massaru” Peppe Delfino, of Ciccillo Prestia, of “massaru” Cicco di Furnari’s wisdom, of “massaru” Jelasi, of “massaru Cicco Barbaro, of Pasquale Agresta e of the craftsmen (tailors, barbers, carpenters, blacksmiths and turners whose workshops were also a school of life for the young generations).
Pasqualino Perri

“a varied excitement,
better extraordinary
of tailors and shoemakers
and of blacksmiths”
Vincenzo Papalia

In the fifties and sixties, Hindley Street in Adelaide, South Australia, was the beating heart of the city. Its shops, bars, restaurants and ice-cream shops made of it a multicultural hub in which Australian new generations mixed the new generations arrived from Europe in the great immigration wave of those years.
“Everywhere there is a joyful chatter
In different languages and as performers
We went to see and to be seen
It was a colourful scene
Barbers and tailors for Italian glamour
With many nice shops and stores
Would trade as in their home town
For those ready to spend their money.”
(Hindley Street memories by Francesco Creazzo)

The ground floor of two storey buildings was used for shops while the first floor was occupied by activities such as tailoring. In those years Hindley St and its surroundings accommodated about 15 tailoring businesses. Patrons and workers were mostly Italians, the majority being from Platì. 
The oldest and most respected was Rosario Zappia, born in Platì in 1898, arrived in Australia in 1927, well known in the whole of Adelaide as Mr Zappia, married to Caterina née Mittiga.
Giuseppe Mittiga, born in Platì in 1911, arrived in Adelaide in 1939, married to my great aunt Bettina née Perre. 
Rosario Mittiga born in Platì in 1923, aka Rosi the little one, nephew of the above-mentioned Giuseppe Mittiga being the son of his half-brother Dominic. 
Giuseppe Ielasi, born in Pkatì in 1927, arrived in Australia in 1950, married with my aunt Ada née Perre. This blog has previously posted about him …
https://iloveplati.blogspot.com/2018/12/a-tailors-secret-true-icon-of.html


Giuseppe Izzo, born in Naples in 1920 or 1921. 
Giuseppe Raniolo, born in Sicily in 1923, had lived in Trieste, arrived with the family in 1955. He employed also Michele Papalia, born in Platì in 1941, son of Anna née Perre whose father Giuseppe (uncle Giusi) was my great grandfather’s brother. 
Francesco Donato, born in Platì in 1918, arrived in Australia in 1937.
Giuseppe Mittiga, born in Platì in 1917, married to Mr Zappia’s daughter Rosa, working with Rocco Mittiga, born in Platì in 1925. They employed Tony Staltari born in Platì in 1933. 
Rocco Mittiga, born in Platì in 1909, brother-in-law to Mr Zappia who sponsored him to immigrate to Australia. 
Giovanni (aka Giannino) Mittiga, born in Platì in 1927, worked for Colin Smith, a big tailoring activity where also many girls from Platì were employed. 
Last to arrive was Antonino (Nino) Perri, born in Platì in 1943, my uncle. “PERRE Antonino Michele - Nationality: Italian - Arrived Sydney per Aircraft AZ 764 29 October 1966” (National Archives of Australia). He is the only one of those tailors still in activity.


giovedì 2 maggio 2019

F for Fake [di Orson Welles, 1973]



Un racconto ipocrita, un finale ipocrita. La sua visione di come vanno le cose l'autore l'aveva già schierata nell'opera precedente: vicenda criminale con pentimento. Se lì il colore dello sfondo era rosso, in questa nuova fatica lo sfondo è nero. Il tutto, lì e qui, con l’occhio dei magistrati in ascesa. Location arraffate qua e là, manifesti, locandine, arredi ed utensili vintage. L'art director, bisogna riconoscerlo, ce l'ha messa tutta, come anche i parrucchieri. Nel film in questione, edito da poco, anzi no, nel file, perché di questo si tratta, la parola Platì è ripetuta per dieci volte. Una novità per gli schermi e per il paese. Il titolo a modo suo vorrebbe rimandare al capolavoro di Clint Eastwood ma la classe dell’autore in questione è acqua diluita con acquetta. Ai piccoli platioti poi è da sconsigliarne la visione onde evitare di ripetere gli errori di chi ha sperato nei facili guadagni, questa volta imitando le imprese attoriali cui si è costretti ad assistere, assi poco convincenti. Alcuni recensori – bullshits!- hanno definito il protagonista uno yuppie. Per dirla tutta, uno dei sedicenti attori parla l’idioma platiotu alla maniera di quelli di San Piero Patti (ME). Ok! per riprendermi mi sono rivolto a Kathryn Bigelow ed al suo Blue Steel, Platì non c'entra per niente e Jamie Lee Curtis e molto più maschio dello Scamarcio di turno.

In alto:
Lo spietato, 2019, di Renato De Maria



mercoledì 1 maggio 2019

Il vizio della speranza - ...un problema non il problema

Termina oggi il lungo testo dell’onorevole Francesco Catanzariti. Volutamente oggi, 1° maggio, giorno assai caro all’unico parlamentare platiotu e ancor prima ancora battagliero sindacalista, quando da patrocinare erano i braccianti agricoli, le raccoglitrici di olive e manovali di ogni genere. Dubito che all’epoca della pubblicazione dell’articolo qualche platiese l’abbia letto se non lo zio Ernesto il giovane che lo custodiva nel suo archivio. Della raffigurazione sofferta dell’onorevole oggi solo il panorama è mutato: un viadotto sospeso nell’aria, un accesso alla montagna negato e il Bonamico coperto di cellofan riflettente l’infinito. Il vizio della speranza sempre più rarefatto è devoluto solo a chi è nell’infanzia della vita, smarrito  – per usare un termine di Corrado Stajano – agli altri, nel tempo.

Il caso di Platì richiede altre soluzioni e tutti devono essere chiamati a fare fino in fondo la propria parte.
Il partito politico, il sindacato, lo Stato nelle sue diverse articolazioni (Comune, Regione, Provincia, Ministeri, dell'Interno, della Giustizia, ma anche, per non dire soprattutto, economici, dei LL.PP., delle PP.SS., dell'Agricoltura. . .).
E da tutti deve partire una vera autocritica e un profonda esame di coscienza, senza sicumera, ma con onestà ed umiltà.
Per fare qualche esempio:
- La Regione Calabria non avrebbe nulla da dire in merito al modo come ha operato ed ha raccordato la sua iniziativa e gestione a questa realtà? Non c'entra nulla con il clientelismo?
- Il Ministero dei Lavori Pubblici e la direzione dell'ANAS, non avrebbero da dare qualche spiegazione (faccio qualche riferimento specifico) per la strada 112 che collega o meglio dovrebbe collegare lo Jonio ed il Tirreno, unica arteria che attraversa Platì e che, distrutta dall’alluvione del 1951, a tutt'oggi (a quaranta anni esatti!) non è ripristinata?
- Il Ministero dell'Agricoltura è l’assessorato regionale non avrebbero nulla da rimproverarsi circa il modo di raccordarsi ai sistemi economici calabresi delle “zone interne”?
- Il Ministero dell'Industria, o che so io della Partecipazioni Statali o la Regione non avrebbero nulla da raccontarci sul fatto che l'unica fabbrica di lavorazione del legno, la ex Primerano, a pochi km, boccheggia da tempo, quasi chiusa, e che nessuna fabbrica, neanche una fabbrica di bulloni, o di ceramiche o di altro genere, nell'Italia, grande potenza industriale, è stata da queste parti costruita?
Il cahier de dolèances potrebbe continuare...
Voglio dire che se si ha una visione d’assieme della situazione è possibile affrontare positivamente e seriamente i problemi, compreso quello delle elezioni del Consiglio Comunale. ln questi termini credo che la gente di Platì saluterebbe con compiacimento le disponibilità di candidatura, anche quelle provenienti dalla lontana Teramo.
In questa logica avanzo una proposta concreta al vice presidente Rhodio: nel mese prossimo di ottobre ricorre il 40° anniversario dell'alluvione che ha colpito, con la Calabria, questa zona. Per citare un dato drammatico e triste, ricordo che a Platì ci sono stati 17 morti! Ed altrettanti morti nella vicina Natile di Careri. Cogliamo l’occasione per organizzare a Platì, con la presenza di tutto il governo regionale, una delegazione di quello nazionale, i Partiti, i Sindacati per un esame approfondito. Potrebbe essere una occasione di grande rilevanza per esaminare, vedere, propone, ascoltare la gente, spesso etichettata, di Platì e tentare assieme la vita per uscire dal tunnel del degrado, dell’imbarbarimento, della criminalità. Non riguarderebbe un caso particolare, isolato. Potrebbe servire per tanti casi Platì: S. Luca, Africo, Careri, Benestare, Canolo, S. Ilario, Bruzzano...
O si capisce, secondo me, che all'interno della questione meridionale, c'è una questione calabrese, ed all'interno di questa un caso Platì, S. Luca... “zone interne”, caratterizzate da un impressionante degrado, che investe tutti i settori e provoca sciagure sconvolgenti o non si esce dal vicolo cieco in cui si è cacciati; non si arresta il rischio di precipitare nel baratro di non ritorno. Capire per operare non a livello di facciata, con le facili criminalizzazioni, con la spettacolarizzazione, con i processi sommari e polveroni, con i teoremi di maniera astrusi ed inconcludenti, che non servono neanche alla carriera degli artefici.
Affrontare la situazione con gli slogan dell'antimafia, significa portare avanti una strategia perdente, come i fatti dimostrano. Significa non capire che, per dirla con un grande storico siciliano, Francesco Renda “la mafia è un problema, non il problema del Mezzogiorno” e quindi Platì. “Un partito che riduce la realtà meridionale - dice Renda - alla sola questione criminale commette un doppio errore. Un errore di analisi, e un errore politico. E questo ammonimento lo volge al suo Ex PCI su “L’Unità”.
Su questa proposta d’incontro si è già cercati di avviare un certo lavoro. Si è sollecitato l’apporto prezioso di una alta istituzione, come quella della chiesa; ed abbiamo già intravisto la disponibilità e la sensibilità spiccata del vescovo di Locri, mons. Ciliberti. Non sarebbe questo e non vorrebbe essere un incontro per una ammucchiata elettorale, né per un accordo di gestione della miseria, di un meschino potere locale.
Credo si contribuirebbe seriamente a rendere un servizio alle istituzioni, alla democrazia, alle popolazioni, alla stessa unità politica del Paese, alla sua concordia e comprensione, arrestando separatismo, di chiusura nel gretto localismo, nel barbaro egoismo.
Altre soluzioni saranno pannicelli caldi e Platì potrebbe avere seguito e conseguenze disastrose per le istituzioni democratiche, in tanti comuni, non solo occupati dalla mafia, ma dalla sfiducia, dalla disperazione, dal sottosviluppo, dal degrado.
E chissà che con l’incontro non potrebbero venire fuori idee, indicazioni, fatti, speranze e scrivere, così, una nuova, bella pagina per la storia, la giustizia, la democrazia, lo sviluppo.
FRANCESCO CATANZARITI
Foto e testo
IL GIORNALE DI CALABRIA  QUOTIDIANO REGIONALE D’INFORMAZIONE  -Anno XXIX – N. 208 Sabato 28 settembre 1991



martedì 30 aprile 2019

Il vizio della speranza - una contro storia


Platì, fino alla seconda guerra mondiale, aveva un suo sistema economico, autarchico e quasi autosufficiente, sia pure con bassi redditi, a livello spesso della sussistenza. Ma veniva garantito un certo equilibrio, una vasta occupazione anche se non con elevata remunerazioni. Era rivelante la produzione agricola (specie quella granaria, olivicola, zootecnica...). Platì era il granaio di una vasta zona. Al primario si affiancava una industria- artigianato, sia pure di basso livello tecnologico, (mulini, frantoi, falegnamerie...).
Oggi questo sistema, travolto dalla competizione-concorrenza, ed in assenza di investimenti adeguati di ammodernamento e rafforzamento, non esiste più. L’equilibrio è stato rotto. L’eliminazione, eccezionalmente imponente, ha anche privato il sistema di valide e preziose energie.
Il sistema autarchico- autosufficiente, per il quale non abbiamo nostalgie, è stato sostituito (questo è il rammarico) dal “nulla”, almeno a livello economico-produttivo.
Progresso-benessere (discutibile), senza sviluppo.
Non una fabbrica non un’azienda agricola moderna, nessuna riconversione produttiva, nessuna intrapresa sul piano turistico.
Qualche tentativo d'imprenditorialità locale, se non scoraggiato, non è stato certo incentivato, anche dalla logica aberrante della criminalizzazione generalizzata, di facili etichettature.
Infrastrutture e servizi al di sotto del terzo mondo. Un reddito fatto di trasferimenti (spesso artatamente gonfiati a fini strumentali), di qualche centinaio di retribuzioni mensili nella forestale, di poche decine di stipendi nella pubblica amministrazione, di una-due rivendite di tabacchi, qualche bottega commerciale. La disoccupazione è massiccia, specie dei giovani e delle ragazze, al di sopra della stessa grave media regionale. Ecco lo stato di un comune con circa quattromila abitanti!
In questa situazione aggrovigliata e degradata si acuiscono e si aggravano processi di degrado, d'imbarbarimento, nell’ assenza di una opera di repressione rigorosa e giusta, non di facciata e di polverone (come spesso avviene: la storia della giustizia è ricca di errori giudiziari, di fumosi indizi, di generiche accuse, significativo il caso del sequestro Casella, allorché dopo aver dato in pasto al Paese l’operazione-blitz-trasporto aereo di alcuni platiesi, si riconosce di aver sbagliato (ma per intanto si dà linfa all'immagine di Capitale dei sequestri). Mi pare superfluo parlare dell’assenza totale di prevenzione socio-economico-culturale in grado di rimuovere le cause, di svolgere azione di recupero e di ribaltare le condizioni di fertilità di una sotto-cultura dominante, di un ambiente socio-economico criminogeno
Si esce da questa situazione dando solamente un Consiglio Comunale a Platì, che finirebbe di gestire solo degrado, disgregazione, disperazione, sottosviluppo? (CONTINUA)
FRANCESCO CATANZARITI
foto e testo:
IL GIORNALE DI CALABRIA  QUOTIDIANO REGIONALE D’INFORMAZIONE  -Anno XXIX – N. 208 Sabato 28 settembre 1991

giovedì 25 aprile 2019

Il vizio della speranza - il degrado



Se è vero che oggi la vita politica a Platì è stata distrutta, che i partiti, strumenti e pilastri insostituibili dalla democrazia, non esistono più, è pur vero che tutto ciò non si è verificato per una maledizione divina. Ci sono responsabilità ben precise e che ricadono, in dimensioni diverse, su tutti o su molti. Responsabilità che vanno ricercate non solo in sede locale. Il processo di degrado, che ha investito i partiti, nella logica del voto di scambio, clientelare, della lottizzazione ed occupazione selvaggia del potere, la gestione a livello di clan, la sostituzione della tensione e della passione politica con l’affarismo, in una parola il male della cosiddetta partitocrazia, hanno avuto qui, a Platì, come in tanti altri comuni, manifestazioni acute e drammatiche da mettere in moto processi di sfascio di non ritorno.
E’ vero che non esistono i partiti, ma è anche vero che il loro posto è stato occupato da una miriadi di piccoli clan, di ricercatori e distributori di voti e di tessere, che agiscono sotto la protezione di personaggi che dominano la scena politica calabrese, appartenenti a tutte le aree. Sarebbe lungo e forse inutile fare l’elenco.
E pure Platì ha alle spalle una ricca tradizionale di vita e di lotte politiche e sociali caratterizzata da grande respiro morale e politico.
Lo stesso movimento spontaneo di “protesta delle donne vestite a nero”*, a parte limiti e contraddizioni, non nasce dal nulla, ma si colloca e si raccorda a questo patrimonio di combattività. Perché si è caduti così in basso, oggi? È la domanda, piena di angoscia e di preoccupazione, che non solo io mi pongo. Certo il non aver dato risposte adeguate alla lotta, alle aspirazioni, alle speranze e sete di giustizia, di progresso e di sviluppo ha contribuito ad aggrovigliare ed a far degenerare la situazione. E la responsabilità, rapportata al peso ed al ruolo, è di tutte le forze politiche.
Su Platì, come “sulle zone interne' ', si è soltanto blaterato. Di fatto si è continuato con processi di emarginazione, essendo l’attenzione e l’impegno rivolti a rafforzare ed agevolare le zone ed i soggetti forti e garantiti. Quello che io chiamo, forse impropriamente, corporativismo categoriale e territoriale. Si è così mandato allo sbaraglio, a volte alla distruzione, preziose risorse, vasti territori, diverse comunità, molti sistemi economici. (continua)
FRANCESCO CATANZARITI
IL GIORNALE DI CALABRIA  QUOTIDIANO REGIONALE D’INFORMAZIONE  -Anno XXIX – N. 208 Sabato 28 settembre 1991

mercoledì 24 aprile 2019

Il vizio della speranza - sotto l'ombra d' "a spica"


Essendo nato in questo tormentato centro aspromontano, di cui, per tanti anni, sono stato Sindaco, credo, di essere interprete fedele se dichiaro che la disponibilità di Rhodio ad essere consigliere comunale è motivo di onore e di forte compiacimento per la gente della mia Platì.
La disponibilità di Rhodio trova largo consenso non solo per l'umiltà che la caratterizza, ma anche per la motivazione che rientra nella linea dell'opera di servizio.
Il tumore non si cura con l'aspirina.
Il problema di Platì, e di tanta altra parte della Calabria, più che dare, comunque e solamente, un consiglio comunale, è bensì più arduo e complesso. Non è un problema di paura o di mafia, secondo me, la causa della mancata presentazione delle liste di candidati al Consiglio Comunale o comunque non è solo questo e non sta in questo tutta la verità. Sarebbe contradittorio, se così fosse, con quanto si sostiene, non solo negli ambienti della Liga dei Lumbard circa il fatto che la criminalità mafiosa ed organizzata è fortemente interessata ad entrare direttamente, o con personaggi di comodo, nelle istituzioni per una gestione finalizzata agli affari. Non si capirebbe - in una realtà di assoluto dominio monopolistico, come si sostiene e come si evincerebbe dalla diserzione quasi compatta dal voto - questa eccezione e deroga.
D'altronde, non essendo nata nel 1991, la mafia o la 'ndrangheta, non si capirebbe perché nel passato non ha impedito, né condizionato in maniera determinante la vita e le decisioni delle forze politiche.
Vorrei a questo proposito ricordare, perché ritengo sia molto significativo, la grande e sofferta vittoria amministrativa di una larga ed unitaria concentrazione popolare (comunisti, socialisti, e forze progressiste...), sotto il simbolo della Spiga, nell’immediata dopoguerra. Alla testa di questa formazione, troviamo due illustri personaggi: U Massaru Peppi (il maresciallo dei carabinieri, Giuseppe Delfino, che si era tanto distinto nella lotta contro la criminalità e che realizzò il primo blitz in occasione del Summit di Polsi) ed il giovane, allora, Francesco Prestia (trucidato assieme alla moglie, alcuni anni or sono, certamente, e contrariamente a quanto a volte si cerca di far trasparire a sostegno, di assurdi e sinistri teoremi, non per motivi di mafia, né tanto meno per motivi attinenti a questioni politiche o amministrative). Il primo è stato eletto Sindaco ed il secondo vicesindaco e successivamente, e per lungo tempo, è stato Primo cittadino. (continua)
Francesco Catanzariti
Foto e testo:
IL GIORNALE DI CALABRIA  QUOTIDIANO REGIONALE D’INFORMAZIONE - Anno XXIX – N. 208 Sabato 28 settembre 1991