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giovedì 24 gennaio 2019

TRAGICO DESTINO [di Frederick De Cordova,1946]

generalmente a proposito della formazione delle tradizioni e della storia leggendaria di un popolo si deve tener conto del motivo tendente a eliminare dal ricordo tutti i fatti penosi per il sentimento nazionale. Sigmund Freud


In attesa che veda la luce quel volume troppe volte annunciato come “Storia di Platì” non si possono non ripercorrere, a tratti e all’occasione, avvenimenti anche tragici che videro uomini cadere tanto inutilmente quanto brutalmente. Rocco Sergi è stato vittima di un delitto inutile come saranno quelli di Mimmo De Maio e Ciccillo Prestia. Mimmo De Maio, al contrario degli altri ricordati, ha avuto l’onore dell’interesse dei media, spinti dal prestigio attribuitogli da partito politico cui apparteneva, giungendo così al tributo con una piazza a lui intitolata. Sergi e Prestia hanno ancora l’onore… dell’oblio.
Rocco Sergi è stato il primo ed unico martire dei moti che accaddero in paese subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale all’alba della Prima Repubblica. Cadde compiendo il proprio dovere, come si dice per un pubblico ufficiale. Ancora oggi il putiferio che echeggiava di corse sul selciato, colpi d’armi da fuoco e l’agitazione di quanti cercavano di sottrarsi al peggio, risulta oscuro come la notte in cui avvennero quei tragici eventi e che portarono alla sua inutile morte. In casi del genere è l’onore di una popolazione che viene intaccato. Nella decade che conduceva al termine del secolo, che vide atroci sciagure e più numerose vittime di stragi organizzate dai poteri forti, la famiglia di Rocco Sergi in procinto di innalzare la cappella di famiglia nel cimitero pensò anche di rinnovare la lapide dietro cui egli riposa, così incaricò lo zio Ernesto il giovane di redigere un’epigrafe da apporre sulla lastra marmorea. Epigrafe rimasta anch’essa dimenticata che oggi vede almeno un virtuale inserimento:



 QUI GIACE
ROCCO SERGI FU ANTONIO
GUARDIA MUNICIPALE
21 GENNAIO 1907 +21 OTTOBRE 1945

PADRE AFFETTUOSO
CITTADINO ESEMPLARE
DEVOTO AL DOVERE FINO ALL’ESTREMO SACRIFICIO DELLA VITA
QUANDO IL DOVERE NON ERA TRASCURATO SENTITO
E IL SACRIFICIO SEMBRAVA FOLLIA

forse lo zio con l’onestà che caratterizzò la sua vita vide oltre/altro ...

mercoledì 23 gennaio 2019

The Village - Il sentiero dei due mari



Cirella è un centro collinare sul versante ionico dell’Aspromonte. Il suo abitato ricade all’interno dell’incantevole paesaggio del Parco dell’Aspromonte.
Cirella sorge ad un altitudine di 250 metri sul livello del mare, lungo il sentiero dei “due mari”, antico cammino commerciale che collegava lo Ionio al Tirreno, attraverso incantevoli paesaggi. Si trova a 16 km dalla statale 106 e a 9 Ciminà e 16 km da Platì e a 5 da località “Pantanelle” sulla cresta dei monti aspromontani. Gli abitanti sono circa 900.
Nel suo territorio, in una parte dell’immensa “vallata delle pietre”, troviamo scorci di incredibile bellezza, i torrenti inerpicandosi sui monti si trasformano in veri e propri canyons. Modellate dall’acqua, formano delle singolari sculture, inoltre vi è la presenza di diverse cascate: schioppo, hjascu trippusu, scalette dell’edera; ancora, troviamo strapiombi dei monti Iacono, Calacuri e Pentuduri, nomi significativi come la Rocca dei Smaliditti, la Rocca dell’Agonia e  l' Aria del vento.
La nascita del paese si fa risalire al XVII secolo, là dove sorgeva l’antica Barbatano dominio del duca di Bovalino, Geronimo del Negro, conte di Quaranta. Il duca sposò Eufrasia Serbellone Manriquez, Principessa di Marano e marchesa di Cirella oggi frazione nel comune di Diamante in provincia di Cosenza. Si narra che la principessa era triste pensando alla sua terra d’origine, oltretutto distrutta da un violento terremoto. Il duca per alleviare la nostalgia della moglie gli regalò un feudo in segno d’amore, ella allora scelse il Barbatano al quale fu dato il nome di Cirella per ricordare l’amata terra di origine della principessa. La città divenne luogo di svago della principessa, prospero e ameno.
Oggi gli antichi fasti sono ricordati nell’attuale chiesa Santa Maria Assunta dove si possono ammirare un ciclo di pregevoli decorazioni in stucchi di origine barocca. La chiesa prima della nascita dei cimiteri, avvenuta dopo la legge del 1806, era anche luogo di sepoltura dei defunti.
La sapienza e maestria degli abitanti del luogo è testimoniata nel ricco patrimonio di tradizioni nell’ambito dell’artigianato e della gastronomia. La gente di questi luoghi vive principalmente di agricoltura, pastorizia; di notevole importanza sono i prodotti latticini e gli insaccati.
L’ambiente è ricco di manufatti di importanza storica quali i ruderi della chiesa bizantina di San Nicola e alcune strutture murali quali mulini, frantoi e i classici pagghiari, un tempo in uso per contadini e pastori e ricovero per animali. Inoltre si può ammirare l’uso sapiente della pietra locale per realizzare selciati e muri a secco (armacere o armacie) nel pieno rispetto del territorio circostante.
Ricca e variegata è la cucina tradizionale, si va dagli ricchi antipasti a base di insaccati e latticini, dove predominano la soppressata ed il caciocavallo, nei primi piatti predomina l’uso della pasta fatta in casa; la melanzana “mbuttunata” è la pietanza forte di questi luoghi. La varietà e tipologia di dolci segnano il susseguirsi delle feste: guti, ghiauna, zeppole e nocatole; miele e noci gli ingredienti genuini.
La festa di San Rocco è la prima settimana di settembre, è la più bella festa di Cirella e si protrae dal venerdì fino a domenica. Venerdì si fanno dei giochi per ragazzi e arriva anche la banda. La sera del sabato arrivano i cantanti. La domenica la mattina comincia a suonare la banda assieme ai giganti, poi alle undici c’è la messa, quindi la processione dove partecipano devoti che camminano scalzi e altri che si coprono di spine.
Cirella la voglio sempre così, mi piace essere cirellese e appartenere al mio dolce e incantevole Aspromonte dove ancora i valori e le tradizioni di una volta rimangono intatti come segno di un tempo che non ci abbatte.
Maria Lucia Malafarina
Scuola Media Cirella 1 D  28/03/18

Testo presentato alla Seconda Edizione del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi", 2018

lunedì 21 gennaio 2019

The Village - BARBATANO


Oggi vi racconto la storia di un piccolo Paesello, Cirella, il mio, con le sue tradizioni religiose e culinarie e avvenimenti importanti che sono rimaste nella storia. Cirella nacque nel diciassettesimo secolo e prende il nome da una piccola isola in provincia di Cosenza anch’essa chiamata Cirella. Anticamente Cirella si chiamava Barbatano. Il principe Caracciolo vendette al duca Calvazzano le terre di Bovalino, Benestare e Barbatano, siccome il duca era signore della città di Cirella di Diamante così cambiò il nome da Barbatano a Cirella. Anticamente a Cirella vi fu la chiesa dell’Immacolata rovinata dal terremoto del 1783 di cui ancora si conserva la statua nelle sua infinita bellezza. Cirella ha molte tradizioni religiose tra le quali quella di San Rocco il santo taumaturgico patrono del paese da tutti venerato anche dagli emigranti che ancora oggi contribuiscono alle spese dei suoi festeggiamenti che si svolgono la prima domenica di settembre. Le tradizioni culinarie sono tante tra le quali quella di un dolce pasquale che sono le “Gute” composta da una pasta brioche con decorazione di uovo, ci sono anche le “Jauna” fatte da pasta frolla e ricotta vaccina, per Natale è solito fare delle ciambelle chiamate “nocatule” ricoperte di zucchero. Due avvenimenti nella storia di Cirella sono stati l’alluvione del 1951 e l’associazione del 1936. Purtroppo l’alluvione è stata molto forte e non ha lasciato in pace neanche le anime del paradiso per la forte pioggia ha portato alla luce cadaveri e scheletrii di tante persone. L’associazione del 1936 per Cirella è rimasta nella storia a causa di un omicidio sono stati arrestati tutti gli uomini del paese pur essendo che non avevano nessuna colpa hanno scontato anni di carcere. Mia nonna racconta che quando si tosavano le pecore doveva lavare la lana, pettinarla e farla asciugare quindi lavorarla al telaio come anche con la ginestra dovevano fare gli stessi passaggi. Io sono fiera di essere Cirellese e amo il mio paese con la sua storia. 
PISTO MARIA EUGENIA
Cirella 28/03/2018
Classe 1 D

Testo presentato alla Seconda Edizione del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi", 2018
Nella foto la navata centrale del duomo di Cirella.


domenica 20 gennaio 2019

The Village [di M. Night Shyamalan, 2004]



Cirella è un paesino di montagna che nacque nel XVII secolo in piena epoca classica. Fin dall’antichità il popolo cirellese andava nelle campagne perché si viveva solo di agricoltura e per piantare gli ortaggi. Seminavano anche il grano per poi trasportarlo al mulino dove aveva inizio la macinazione da cui si ricavava la farina per uso quotidiano. La farina veniva utilizzata anche per fare i dolci nel periodo pasquale. I dolci sono: Le gute e i hiauna. Le gute sono realizzate con il lievito “Madre” con l’aggiunta di uova, zucchero, latte e olio. Invece i hiauna sono realizzati con una base di pasta frolla aromatizzata al limone e con il ripieno di ricotta, uova e zucchero. Tutti i cittadini cirellesi avevano gli animali ad esempio come la mucca da cui ricavavano il latte per fare i formaggi e i caciocavalli. Nelle loro case c’erano due stanze, in una stanza c’era la famiglia e nell’altra c’erano gli animali con i buoi, le capre e le galline. Le loro case erano formate dalla cucina dal focolare e da alcuni bauli che tenevano la biancheria. Per fare gli indumenti si facevano con le fibre tessili tra cui la seta, il cotone e la lana. La seta veniva lavorata dal baco a maggio tra 3 – 4 settimane, quando è nel periodo di metamorfosi produce dei bozzoli. Una volta queste uova venivano messe nel petto delle donne per stare al calduccio, finché non usciva il vermicello che si cibava solo di gelso. Il cotone invece proviene da una pianta e per lavorarlo lo dovevano filare con il fuso e arrotolarlo fino a formare un gomitolo. C’è anche la lana che viene ricavata dagli animali come la pecora che viene sottoposta alla tosatura (una o due volte l’anno), che fornisce filati voluminosi, morbidi e caldi. La tessitura di queste fibre viene effettuata con i telai. La tessitura consiste nell’intrecciare fra loro i fili di ordito e di trama. Il modo in cui si intrecciano i fili viene detta armatura.
Concludo che Cirella è un paese ricco di valori specialmente per le sue bellissime montagne che ci circondano. Cirella è viva e vive in ogni cuore di un cirellese.
Macrì Katya classe III D
Scuola Media Cirella

Testo presentato alla Seconda Edizione del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi", 2018

giovedì 17 gennaio 2019

Ricorda il mio nome - Leone l'ultimo [di John Boorman,1970]

Can you picture what will be,
... In a, desperate land.

Jim Morrison

Il 29 dicembre scorso veniva a mancare il dottor Leone Fera, aveva settantanove anni essendo nato a Platì il cinque ottobre 1939. Poco tempo prima era deceduta la sorella Maria. Erano l’ultima progenie di Rosario, avvocato, Fera e Giuseppina Zappia. Già da tempo si era spenta l’altra più anziana sorella Grazia, sposa Coppola. Compiuti con successo gli studi, tutti avevano deciso di lasciare Platì per dare avvio alle loro professioni. In paese, fin che visse, rimase solo l’anziana madre che abitava nella casa situata dove la via XXIV maggio incrocia il corso Umberto. E’ la fine di un distinto casato, quello dei Fera. Ancora una volta conviene ricordare ai platioti l'amaro che questi distacchi causano alla crescita morale di una popolazione altrimenti lasciata a se stessa e dove anche la mancata manutenzione di un collegamento stradale con gli altri territori, unita ad una emorragia da emigrazione, sterilizza lo sviluppo delle coscienze, delle arti, e peggio, lo sviluppo genetico/biologico.

Nella foto, una cortesia della Signora Nunzia Coppola, il dottor Leone Fera con la sorella Maria.

mercoledì 16 gennaio 2019

THE LAST WALTZ [di Martin Scorsese, 1978]




L’epigrafe iniziale apposta nella prima puntata di STILL LIFE ad alcuni può essere apparsa poco inerente al testo ad essa legato. Thomas S. Eliot e soprattutto Henry James sono da considerarsi gli adeguati riferimenti per la lunga narrazione a quattro mani, dove un identificato gruppo familiare è innalzato a protagonista della fluviale composizione che solo grandi autori possono tentare ed Henry James a detta di tutti era tra questi. Come oggi Rosalba Perri e Attilio Caruso per una storia che nasce da Platì, ne varca i confini e sfocia nei continenti australi e americani. Il testo complessivo è anche un valzer come quello della Band proposto sotto, gioioso e allegro ma allo stesso tempo serio. Meglio di altre volte il concorso tra scrittura, suoni, noise e immagini è servito a ricreare, negli animi di quanti vanno a leggere, una condizione spirituale corrispondente ai propositi degli autori. Niente di simile è mai stato tentato per Platì. Comporre un metatesto che sfiora la scientificità, utile a ricostruire legami e affetti, personaggi e attività … il corso della vita. La nascita di un casato e la sua naturale disgregazione, questa volta senza rimpianti perché quelle vite rinate per un istante hanno fatto ridestare altre vite, sommerse nel presente quotidiano, che negano la dispersione annunziata nel precedente post. There is no end, but addition, come chiudeva sempre lo stesso post.

NOTANella foto i fratelli Caruso: in primo piano Antonio (Totò) e a sinistra, tagliato e accosciato, Rosario (Rorò) con in braccio Attilio piccolino e in pantaloncini cortissimi. Se ci fate caso doveva essere un Venerdì Santo sul Calvario, vista la presenza di un confratello di spalle in mantellina nera, di fronte l'aria di ventu.

To be played at maximum volume. 

martedì 15 gennaio 2019

STILL LIFE - La dispersione


"niente voglio e niente spero ca tenerte sempe affianco a me"
Califano-Cannio,1915




4

Gli anni ’50 furono anche quelli dell’inizio della dispersione delle famiglie: i giovani emigravano in Argentina o in Australia oppure andavano a studiare a Roma, Torino, Milano e non tornavano se non per le vacanze estive. La morte del capo-famiglia, poi, dava il colpo finale. Le madri si trasferivano a vivere con uno dei figli, le case si riaprivano solo per l’estate e nemmeno tutti gli anni. Non fece eccezione la grande famiglia di zio Francesco: la prima a partire fu Marianna, figlia della seconda moglie, che andò in Argentina e fu seguita dopo qualche anno da Rosario.
Anna è l’unica ad essere sempre vissuta a Platì: “era figlia della prima moglie di papà, ricordo la casa dove abitava all'inizio dell'Ariella, dopo il negozio dei giarruni. Abitava sopra la bottega di falegname del marito, Pasquale Giorgio. Hanno avuto due figli: Domenico, che vive a Platì e lavora al Comune, e Tita (Teresa) che vive in Australia, sposa di Domenico Addabbo, morto un anno fa circa; a Platì, essendo molto industrioso lo richiedevano tutti, da monsignor Minniti, ai componenti la banda musicale o quanti avevano bisogno di un elettricista. Chi fu bambino tra gli anni ’50 e gli anni ’60 lo ricorda soprattutto come proiezionista del cinema parrocchiale .”

Giuseppe fu disperso in guerra. “Tre fratelli l'hanno combattuta,” - racconta ancora Attilio - due sono stati feriti e uno, Giuseppe, risultò disperso e mai ritrovato. Quindi, ormai da tempo, è stata dichiarata la morte presunta. Ovviamente nessun risarcimento dallo Stato, con la scusa che avrebbe fatto parte della "cessata Repubblica di Salò".* Cornuti e mazziati, direbbero a Napoli. Era figlio di primo letto di mio padre. Nato e vissuto a Platì, faceva il falegname. A casa mangiavamo su un tavolo da pranzo fatto da lui, che, all'occorrenza, si poteva aprire e diventava il triplo, con l'inserimento di otto tavole.”


Attilio continua con il ricordo dei fratelli: “Rosario faceva il barbiere in paese. Frequentava i vitelloni del tempo: Peppino Gliozzi, Gianni e Mario Spadaro, Saro Morabito, Saro Zappia, poi emigrò in Argentina, dove si sposò ed ebbe quattro figli. Li vivono la moglie Norma e i figli.
Antonio, nato dopo di Rina, seguì le orme di papà facendo il commerciante di generi alimentari, frutta e verdura. Lui fu l'unico maschio a non sposarsi. In un certo periodo si vociferava di un interesse per una delle figlie di Peppantoni, ma non se ne fece nulla.”
Domenico, istruito come tanti a Platì nell’arte della sartoria maschile, fu collaboratore di suo cugino Mimì Perri, grande sarto della borghesia romana e fratello di mio nonno Peppantoni. Successivamente emigrò in Canada dove vivono la moglie Colomba e tre dei quattro figli, la figlia Elisa è mancata un anno fa circa.
Benito imparò a fare il sarto da mastro Nicola Addabbo che aveva la bottega verso “u vajuni” e poi dal cugino Peppino u muttuiu, ma frequentava anche la bottega di mastro Saverino Marando sulla piazza del mercato, una specie di salotto paesano dove gli uomini si riunivano anche a chiacchierare e, perché no, a fare una partitina a carte. Partito soldato, in Piemonte dove si sposò, a Novara, aprì una sartoria con buon successo, ebbe due figli, prima di separarsi dalla moglie. Benito ospitò il fratello più piccolo, Attilio, che così lo ricorda ancora: “Ho potuto riprendere a studiare ed ho iniziato a lavorare nelle assicurazioni. A Platì ero candidato a fare il falegname da mastro Rosario Stancati. In seguito, ci raggiunsero mamma ed Antonio e prendemmo casa vicino a Benito. Franca invece andò a vivere con Marietta a Camigliatello, per via della prima figlia che era malata. Antonio trovò lavoro alla Rhodiatoce, ma in seguito decise insieme a Benito di aprire un negozio di Articoli Sportivi a Camigliatello Silano (Sci in particolare). Quindi a fine anni Sessanta il grosso della famiglia si concentrò a Camigliatello, mentre io andai a completare l'Università a Napoli, quando ero già dipendente della SAI. A Napoli ho trovato ospitalità da Elisa che viveva lì con il marito. Rina abitava a Catanzaro”.

Lo zio Francesco contrasse una asma bronchiale cronica che lo portò alla fine, a 71 anni, nel 1958; la sua famiglia si è dispersa, tra l’Italia, le Americhe e l’Australia, la sua casa sulla piazza del mercato non esiste più.
ROSALBA PERRI & ATTILIO CARUSO


There is no end, but addition.
Thomas S. Eliot*



NOTE
- * In effetti Giuseppe, nella foto in apertura, col grado di sergente, cadde a Pola, sotto il bombardamento, conseguentemente disperso, il 17 febbraio 1945. La notizia l’ho trovata qui: http://www.laltraverita.it/elenco_caduti_e_dispersi.htm
- Le foto incorniciate dal brano di Alan Lomax e Diego Carpitella ritraggono i piani di Zervò in autunno
- Nella foto centrale: Saro Morabito e lo zio Pepè (Gliozzi), un pò vanitoso, dove finisce la via Roma e si diparte la via XXIV maggio.
- Rosalba come commento musicale a STILL LIFE aveva pensato alle canzoni napoletane. Su questo argomento sono poco incline. Optando sulla tradizione calabra, per finire, non potevo tralasciare  'O surdatu 'nnamuratu eseguita dalla Fanfara di Piminoro il sabato sera, vigilia da festa i santu Rroccu all'uscita della messa celebrata, lo voglio ricordare, da don Pino Strangio alla fine dei ricordati anni '90 del secolo della bomba atomica. Devo ammettere una registrazione poco efficace, la foto appartiene agli eredi di Mimì "Colonnello" Fera.
* In my beginning is my end
per ricondurvi al principio di questo immenso racconto degno di Bernardo Bertolucci.

lunedì 14 gennaio 2019

STILL LIFE - Ricordi


"... i ricordi d'infanzia sono plasticamente visivi, anche in quelle persone i cui ricordi ulteriori mancano dell'elemento visivo". Sigmund Freud



3

I miei ricordi d’infanzia non sono legati strettamente allo zio Francesco che certamente conobbi, troppo piccola per ricordarlo, ma alla sua famiglia, specialmente a due delle sue figlie: Lisa (Elisabetta) che era la maestra di cucito di mia zia Lisa, e Marietta che aveva una figlia della mia età, nata con un grave handicap. Di Marietta ricordo il volto da madre dolente anche quando sorrideva. Conservo ancora un’immagine: un lungo tavolo in una stanza da pranzo usata anche come stanza da cucito con le due Lisa, maestra ed allieva, sedute alla macchina da cucire, e Marietta che imboccava una ragazzina di sei anni seduta in un seggiolone mentre sorrideva a me. C’erano altre donne nella stanza, forse anche la zia Bettina, la loro madre, ma nell’immagine ci sono solo Marietta e Lisa. È stata forse la prima volta in cui mi sono chiesta il perché del caso: perché io ero una bambina sana, vivace, cicciottella e rosata mentre la figlia di Marietta doveva essere imboccata dalla madre? Un senso di colpa si insinuò in me, lo vissi come un’estrema timidezza. Per fortuna allora gli adulti oltre a fare una carezza, offrire un sorriso ed un dolce, poco si interrogavano sugli stati d’animo dei bambini e li mandavano fuori a giocare con gli altri.  Lo zio Francesco doveva essere deceduto forse da un anno perché le figlie indossavano il lutto. Se ne era andato a 71 anni, lasciando l’ultimo figlio appena tredicenne.


Il ricordo di Attilio:

Papà, come si vede dalla foto, era elegante, considerando tempo e luogo. È una foto degli anni Cinquanta, lui è morto l'11 febbraio '58. Sicuramente era un uomo che apprezzava i piaceri della vita, tra questi il mangiare e il vestire bene. Ho impressi nella memoria i suoi cappelli che indossava malgrado i folti capelli. Era comunque un uomo saggio e dispensava consigli a noi figli e anche a chi frequentava abitualmente. Sapeva essere diplomatico, riuscendo a gestire la varietà di caratteri e ceti sociali degli abitanti del paese e dei dintorni che, per lavoro, frequentava. Era rigoroso con noi nell'educarci al rispetto e all'onestà. Ricordo che diceva: "ai soldi degli altri dovete dare del Voi, ai vostri date pure del tu". Purtroppo, negli ultimi anni ha attraversato problemi economici e di salute. Nonostante l'asma che lo ha condotto alla morte, ha fumato sino alla fine. A noi figli ha saputo dare buona educazione insegnandoci la dignità e l’etica del lavoro, dando un mestiere a tutti. Marietta era la prima delle figlie femmine e presto imparò a fare la sarta da donna Concettina, moglie di Rocco Barbaro. Caterina (Rina o Cata alternativamente) era la più "folle": simpatica, espansiva, dalla battuta facile, faceva la ricamatrice come pure Franca che, in più, lavorava benissimo all'uncinetto.  Franca insieme a Rina erano bravissime ai fornelli (leggi fornacetta). Elisa pure faceva la sarta e confezionava gli abiti per sé e per le altre sorelle. Devo dire che anche loro vestivano bene. Tranne Franca, che fu la prima a lasciarci, tutte le sorelle si sposarono ed ebbero figli.” (continua)
ROSALBA PERRI & ATTILIO CARUSO



NOTE
- La foto di Francesco Caruso, come quella di Lisa, Marietta e Rina sono di Attilio che le ha gentilmente concesse per questa occasione.
- La foto dell'uscita in processione della Madonna appartiene agli eredi di Mimì "Colonnello" Fera.
- Le registrazioni musicali sono mie: la prima in Platì negli anni '90, il Passu Cantandu è un "live in ciurr...."con suonatori locali.

domenica 13 gennaio 2019

STILL LIFE - "u ciancianu"





2
Cicciu come molti uomini della sua generazione, ma anche di quelle successive fino alla Seconda Guerra Mondiale, era un autodidatta non tanto nell’imparare a leggere e scrivere ché a quello ci pensava la scuola, ma nell’istruirsi nelle lettere. Mio nonno Peppantoni, suo nipote, diceva di lui che con lo zio Ciccio si poteva parlare di qualsiasi argomento.
Si era dato al commercio gestendo una bottega di tessuti prima ed una di vino in seguito.  Come commerciante di stoffe, lo chiamavano Manganaro, paragonandolo ad un grande commerciante di stoffe di Messina. Prosperava lo zio Francesco, tanto da far nascere leggende, come il fatto che accendesse la sigaretta coi soldi di carta. Oppure suscitava scandalo ed invidia che lui portasse un piatto di pasta con sopra il formaggio alla gatta che teneva nella bottega. A me fa venire in mente l’immagine di un uomo con un lato tenero ed affettuoso.


Sicuramente ha avuto alterne fortune nella sua vita economica. Stava bene prima della guerra, poi la guerra ne rovesciò le sorti. Un incarico amministrativo lo vide protagonista a Caulonia nel ventennio (non a caso diede al figlio nato nel '37 il nome di Benito) ricevendo anche un’onorificenza. Il dopoguerra regalò invece anni bui e di stenti che, come commenta il figlio Attilio, “in casa si facevano sentire e molto”. In quegli anni aveva una bottega alla "cresiola" all'angolo tra la 112 e via San Pasquale, dove vendeva il vino e qualche genere alimentare, praticamente di fronte alla casa della sorella Cata. “Ricordo”, racconta il figlio Attilio, “che verso giugno, ogni anno prendeva delle piante di fico in affitto per raccogliere i frutti dell'annata. Questo fondo mi pare che fosse di Furore e si trovava di fronte al cimitero. Si chiamava "u cianciano" forse dal nome del colono. Ricordo che veniva un perito che stimava i frutti della singola pianta e con un coltello faceva sul tronco tante tacche per quanto dovesse essere il canone: ogni tacca valeva dieci lire. Il canone per i frutti dell'annata costava di solito 90-110 lire. Papà prendeva tre piante coi fichi diversi: bianchi, neri e schiavi. Questi ultimi erano di un nero scuro e vellutato, in assoluto i più squisiti. Spesso papà mi portava a raccoglierli col paniere che, una volta colmo, copriva con le foglie e a piedi tornavamo a casa. In quel tempo i fratelli Mittiga - Cicciu, Rosi e Ninu – impiantarono subito dopo l’alluvione del 1951 il forno elettrico che, per il tempo e per Platì, fu un evento straordinario, un panificio innovativo che arrivava a rifornire le botteghe di alimentari dei paesi circostanti e perfino nelle marine. Una delle prime mattine di attività del nuovo forno, all'ora della prima sfornata, rientrando con i fichi appena colti, papà facendo la discesa che portava al forno, situato nella traversa della Strada Statale 112 che divide ancora il paese, nota come via 24 maggio, dove c'era anche il bar di Dante De Maio, prese dei filoncini caldi e fragranti e, tornatomi vicino, ne estrasse uno e lo tagliò per la lunghezza; sbucciando alcuni fichi, imbottì con essi il panino offrendolo a me affinché lo gustassi. Al solo pensiero ancora ho l'acquolina in bocca.” (continua)
Rosalba Perri & Attilio Caruso





Note.
- In apertura la Croce al merito di Guerra ricevuta da Francesco Caruso, bersagliere, per la sua partecipazione alla Grande Guerra.
- La foto centrale ritrae le Signore del forno elettrico dei fratelli Mittiga, dalla sinistra: Rosina Mittiga moglie di Rosi du bar, Ciccina Miceli, moglie di Ninu ca lapa e Caterina Marando moglie di Cicciu u carrarmatu.
- La registrazione musicale del primo video con Micheli u giamba e Silvano Barbaro è stata effettuata da me negli anni novanta del secolo delle stragi durante l'annuale festa du ritu.
- La foto del secondo video con registrazioni di Alan Lomax e Diego Carpitella, dalla vostra sinistra: la zia Jola sposa Tripepi, la zia Amalia, lo zio Pepè seduto e un non identificato signore.

giovedì 10 gennaio 2019

STILL LIFE [di Uberto Pasolini, 2013]



He’s like an amalgam of Henry James and T.S. Eliot’s



di Rosalba Perri & Attilio Caruso


1
Circa quattro anni fa, io, frequentatrice di quella folle piazza che è Facebook, ricevo una richiesta di amicizia da una persona il cui nome mi suona familiare, ma che non riesco a collocare nei ricordi se non come persona originaria di Platì. Accetto la sua richiesta di amicizia e gli scrivo un messaggio:
“Siamo forse parenti?” perché il dubbio mi era sorto.
“Se sei la figlia di Pasqualino, allora lo siamo.”
“Sì, e come?”
Lui mi spiega, la mia memoria arrugginita non riesce ad inquadrarlo, però in sottofondo cova ed in un lampo, qualche tempo dopo, ricordo.
  



La mia bisnonna Caterina Caruso, madre di mio nonno Peppantoni, è vissuta fino agli anni ’60. La ricordo vecchissima, seduta accanto al braciere, vestita di nero, che tagliava vecchi abiti a striscioline per fare il gomitolo che poi sarebbe servito a tessere le pezzare. Aveva l’abitudine, quando riceveva la pensione, di dare del denaro a mio nonno per comprare quei cioccolatini triangolari, simili a formaggini, avvolti in lucida carta colorata, che poi nascondeva nel cassetto della “cifunera” (by the way, cifunera* viene dal francese chiffonnière) e dava a noi nipoti più piccoli, spesso mesi dopo che erano stati comprati quando ormai sapevano di stantio. Le mie zie li snobbavano, ma poi li mangiavano lo stesso. Ai nipoti più grandi regalava del denaro, dicendo a ciascuno di non dire nulla agli altri: era il suo modo di far sentire ognuno un po’ speciale.
La nanna Cata aveva un fratello di nome Francesco. “U zi’ Cicciu Carusu” nato nel 1887, ultimo di cinque figli di Giuseppantonio, falegname, e Elisabetta Mittiga, tessitrice.
Cicciu si sposò una prima volta a ventitré anni nel 1910 con Maria Trimboli e nel 1911 ebbero due gemelli: Giuseppe ed Anna. I gemelli non devono essere sopravvissuti perché nel 1914 nacque un altro figlio di nome Giuseppe Antonio e nel 1915 un’altra Anna. Maria non sopravvisse, forse prese anche lei la spagnola che in quegli anni mieteva vittime tra tutte le classi sociali, e nel 1919 lo zio sposò Marianna Virgara da cui ebbe una figlia, Marianna come la madre. Anche la seconda moglie morì e, a trentacinque anni, Francesco sposò Elisabetta Romeo, di ben sedici anni più giovane di lui, da cui ebbe nove figli. In tutto, lo zio Francesco ebbe ben quattordici figli, 12 dei quali sopravvissuti alla prima infanzia. La persona che mi aveva contattato in Facebook era proprio l’ultimo dei suoi figli, Attilio Caruso, che pur essendo cugino di mio nonno ha solo nove anni più di me. (continua)

NOTE
- Il film che Uberto Pasolini ha girato in Inghilterra con il testo oggi proposto e con le intenzioni con cui questo blog si presenta hanno molto in comune: congiungere e ricostruire eventi fondanti dell’esistenza – la nascita, la morte - quindi quel still è più da intendere come fermo; alla fine ne vien fuori una sinfonia raffinatissima di immagini in cui il cromatismo di ogni narrazione riflette lo stato d’animo degli autori e, come in un crescendo musicale, alza gradualmente i toni riflettendo la metamorfosi emotiva da risultare tanto apparentemente comune, quanto profondamente speciale
- Per una volta tanto la base sonora è affidata alla musica folk calabrese con registrazioni live effettuate nel 1954 da due tra i più illustri etnomusicologi che attraversarono la nostra regione: Alan Lomax (1915-2002) e Diego Carpitella (1924-1990)*.
- Attilio Caruso detentore dell’immagine d’apertura: “La foto con la casa: a piano terra abitava una certa donna Pasqualina che aveva due figlie senza padre. Al primo piano invece abitava don Giovannino Zappia. L'arco era una "lamia" dalla quale si passava per andare verso la casa di Francesco Caruso. Questa casa fu abbattuta agli inizi degli anni settanta”.
- *cifunera: mobile alto per riporre la biancheria con tre cassetti e una cassa (baule) nella parte superiore .
- * In corsivo sono citazioni rubate qui: