Miceli Pasquale, di
Francesco ed Elisabetta Catanzariti, di Platì (Reggio), nato nel 1804, vaticale*.
Condannato a 19 anni di ferri dalla Gran Corte Speciale di Reggio il 20
dicembre 1851, per discorsi in luoghi pubblici provocanti direttamente gli
abitanti ad armarsi, ma senza effetto.
Ricevuto a Nisida il 24 luglio 1852. Trasferito a Procida 15 giorni
dopo. Con un r. decreto del 26 ottobre 1858 la pena diminuita di 4 anni. Il 6
luglio 1859 in Darsena e quindi liberato per effetto del r. decreto del 16
giugno precedente.
Fu processato con altri sei, fra i quali una donna, Rosa Miceli, ma per
questi la Corte dichiarò abolita l’azione penale.
Al Sessanta fu nominato sindaco di Platì, e si adoperò a estirpare il
brigantaggio. Mittiga con la sua numerosa banda gl’impedì per 3 mesi di uscire
dall’abitato, e, quando venne il giorno dell’assalto Pasquale Miceli si batté
personalmente con lui. Arrestò il brigante Domenico Carbone, e fece che si
costituissero Jermanno e i fratelli Bisbanco.
La galera di Procida era la più vasta dei luoghi di pena dei dintorni
di Napoli e le facevano corona quelle di Nisida e d’Ischia e l’ergastolo di
Santo Stefano.
Monaco Attilio,I galeotti politici napoletani dopo il
Quarantotto, Libreria internazionale
Treves-Treccani-Tumminelli, Roma, 1932
Note:
* mulattiere
- Leggendo le pagine dell’Attilio oritano, si viene a conoscenza che la
Siberia era nel Golfo di Napoli per i rivoluzionari del Regno delle Due
Sicilie.
Per andare a Polsi, tanto dal versante del Jonio come da quello del Tirreno, si percorre per lungo tratto l’antica via Consolare o Traiana, che mette capo a Montalto, la più alta vetta della Calabria, esistente nel territorio della diocesi di Gerace, a 1950 m. sul livello del mare.
Oggi vi si può arrivare in automobile fino al Sanatorio, e quindi restano tre buone ore di strada mulattiera, giungendo a 1900 m. sul mare, alla contrada detta Cerasara e scendendo per giungere alla Valle prodigiosa, che resta a 900 m. sul livello del mare, ai piedi del gigantesco Montalto.
È precisamente il lungo tratto che Mons. Mittiga aveva sognato di trasformare in via carrozzabile, sogno che con molta probabilità avrebbe realizzato se gli amici, che lo circondavano, fossero stati sempre sinceri. Viceversa, il sogno ardito e geniale ha segnato l’inizio di una dolorosa odissea, culminata con la incompatibilità dell’alta carica di Superiore di quel Santuario, ove pure aveva tanto lavorato.
La posa della prima
pietra del Sanatorio pei tubercolotici di guerra ad Acqua del Faggio è avvenuta
ai primi di settembre 1923, presente il Vescovo Giov. Battista Chiappe che ha
eseguitola benedizione di rito, il Prefetto della Provincia, comm. Nobile, il
dott. Mannarella del Comitato Centrale dell’Associazione Mutilati, il dott.
Capua rappresentante la Croce Rossa, l’Ing. Pirrello con una eletta schiera di
professionisti e di quasi tutti i Sindaci dei Comuni più vicini. È stato quello
un giorno memorando che segnava l’inizio di una
imponente costruzione sorta per merito del Regime Fascista.
Il Sanatorio dedicato
al Re Vittorioso, è stato solennemente inaugurato il 28 Ottobre 1929 con
l’intervento di S. A. R. il Duca di Bergamo, di S. E. l’On. Manaresi, Sottosegretario
alla Guerra, presente il Comm. Birelli in rappresentanza della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, il Prefetto di Reggio Calabria ed i Rappresentanti dei
Prefetti di Cosenza e di Catanzaro e molte altre Personalità del Senato, della
Camera, dell’Esercito, della Federazione Fascista ed ella Milizia V. S. N. con
molti Professori di Università. La cerimonia si è svolta preceduta dalla benedizione
impartita dall’Arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Carmelo Pujia.
Il Sanatorio consta dei seguenti fabbricati:
Il padiglione dei
servizi generali. -- È composto d’un corpo centrale unito a due laterali da
due ampie gallerie d’accesso, fabbricato su due piani e provveduto di locali
sotterranei. Il piano terreno del corpo centrale è destinato agli uffici di
direzione ed'amministrazione ed alla accettazione degli ammalati; il
primo piano comprende gli alloggi del personale
amministrativo. Nelle due ali sono sistemati gli alloggi per le suore e l’altro
personale d’assistenza e di servizio, maschile e femminile.
La cucina e la sala da
pranzo. -- Il fabbricato della cucina è retrostante al precedente. Costruito
con ogni ampiezze vi trovano posto tutti i servizi per la preparazione degli
alimenti, le operazioni di lavaggio e di disinfezione delle stoviglie, un
frigorifero Frigidaire, e numerosi
locali per dispensa e deposito. La cucina
ha diretta comunicazione con la sala da pranzo, spaziosa,
bene illuminata, aereata e riscaldata, a sezione semicircolare.
I padiglioni per gli
ammalati. - Sono in numero di due ed hanno la capacità complessiva di circa
170 ammalati. La loro orientazione verso Mezzogiorno assicura ad essi il
massimo dell’insolazione.
I due padiglioni sono identici: ciascuno è costruito su due
piani con un corpo centrale e due ali che si concordano con esso ad arco di
cerchio; nella parte frontale dei padiglioni sono distribuite le camere degli
ammalati - a due letti con doppio lavabo ad acqua corrente calda e fredda e
pavimento rivestito di linoleum - e le spaziose verande di cura. Inoltre ogni padiglione
possiede due sale di riunione, una camera da bagno con quattro vasche, un
servizio medico-chirurgico con sale di medicazione ed operazione, gabinetti per
indagini chimiche, batteriologiche e microscopiche, gabinetto di radioscopia e
radiologia, locali per disinfezione, cucina, guardaroba, magazzini ecc.
Oltre gli edifici ora descritti sono da noverarsi:
L'abitazione dei
medici, villino che sorge nelle adiacenze immediate del sanatorio.
La autorimessa,
per i veicoli in servizio del sanatorio, fra i quali è compresa una comoda
autoambulanza; il fabbricato comprende anche l’officina per le riparazioni, il deposito
del carburante e l’alloggio del personale addetto agli autoservizi.
La lavanderia,
fornita di acqua abbondantissima e degli apparecchi tecnici più moderni. Vi è annessa
una stazione di disinfezione con impianti completi per le disinfezioni generali
ed speciali.
La cappella per i
servizi religiosi. Nel sottopiano di essa è situata la camera mortuaria.
Il sanatorio è pure
munito dei seguenti servizi generali:
L'acqua potabile
derivata da sorgive purissime alla temperatura costante di 7° C. -- convogliata
al sanatorio per mezzo di un acquedotto espressamente costruito e distribuita
abbondantemente a tutto l’istituto.
Il riscaldamento
centrale, a termosifone, esteso a tutti gli edifici del sanatorio.
L'energia elettrica,
provveduta da una linea propria, tanto per illuminazione che per forza motrice.
Il telefono; la
linea telefonica del sanatorio si innesta alla rete generale della Calabria,
mettendo in comunicazione l’istituto con tutta l'Italia.
Alle confortevoli condizioni di soggiorno e di cura offerte
dall’istituto, si associano le attrattive dell’incantevole natura che lo circonda.
Secolari faggete e giovani abetine fanno da ogni lato corona al sanatorio per
vaste estensioni, ove gli ammalati trovano il conforto di comode passeggiate e
di soste riposanti. Splendidi panorami ne allietano la vista che per imponenti
discese dell’Aspromonte può spaziare sino all'uno ed all'altro mare.
Nel concetto dell’O. N. I. G. il Sanatorio Vittorio Emanuele
III sull’Aspromonte vuol essere la testimonianza tangibile dell’attaccamento
che l’Opera porta alle popolazioni meridionali. Quest’istituto benefico è il
primo che sorge nel Mezzogiorno continentale: presidio poderoso di lotta contro
il male e quindi emblema di civiltà, esso si apre tanto ai minorati della
guerra come a tutti i malati di petto, che tra le sue pareti ospitali troveranno
vigile, saggia e fraterna assistenza.
Attualmente il Sanatorio è da tre anni chiuso per costosi
lavori di restauro e trasformazione, a cura dell’I. N. F. P. S.
MONS. VINCENZO RASCHELLA’, Nuove Luci sul Santuario di Polsi, Pompei,
1938 - XVII
Note:
- Mons. Raschellà a Siderno, dove risiedeva, probabilmente non visionò mai il cinegiornale dell'Istituto LUCE. Oggi il suo testo è diventato il commento ideale a quelle immagini.
- Mons. Giosofatto Mittiga si avvalse di tutte le sue energie ed il suo potere per la costruzione della strada e l'edificazione del Sanatorio, per questo il ricorso al titolo in apertura. Leni Riefenstahl mi è sempre piaciuta come attrice e come regista ed, al di là della retorica e della propaganda nazista, il film citato rimane un esempio di vero cinema, che come ho detto in un post addietro, ha le sue origini in Caligari e Fritz Lang.
- Mons. Giosafatto Mittiga è ormai praticamente ignorato a Platì come don Gesufattinu Trimboli, anche lui per anni alla direzione polsiana, e nessun pezzo di marmo in paese li ricorda.
A polsi Mons. Mittiga gode ancora di questo ricordo ad opera dello scultore Vincenzo Jerace
Nel 1631, il detto casale fu visitato da D. Giovanni Mottamaros che, in sede di visita fiscale, vi eseguì un
censimento della popolazione attraverso il registro dei defunti della chiesa si
S. Maria di Loreto. Il controllo effettuato porta per porta, (ostiatim) potè
accertare la presenza di 80 famiglie e di 210 abitanti. Nel 1642, una « nova
numeratio Casalis fundaci, alias Platì », vide decrescere la popolazione a 132
abitanti,dediti, per la maggior parte, alla pastorizia. Oltre a un esiguo
gruppo di case, esisteva, allora, un’altra chiesa, nella parte centrale
dell'abitato, più « un carcere senza carcerati» ed una sola via di transito.
Durante il terremoto del 5 febbraio 1783, il nuovo centro che contava 1143
abitanti, subì la distruzione di gran parte dei suoi edifici, con 25 vittime e
danni considerevoli, per l’ammontare di centomila ducati, in base alle cifre
della perizia condotta dalla Giunta di corrispondenza e della Cassa Sacra.
Nel 1861 il territorio di Platì fu teatro di un sanguinoso brigantaggio
capeggiato da Ferdinando Mittiga, il quale aveva inquadrato nella sua banda,
grosse schiere di contadini renitenti alla leva e di delinquenti comuni, al fine di provocare la reazione contro il nuovo Stato unitario
italiano. Tale banda fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che il
Mittiga disponesse di forze ingenti, sicchè fu inviato il generale spagnolo Josè Borjes, con altri 22
ufficiali, che avevano il compito di galvanizzare le velleità combattive dei
banditi.
Ma la spedizione militare dall’esterno non poteva che fallire, ciò che
determinò l'uccisione del Mittiga e la fuga del Borjes. Si concludeva così, tristemente, uno dei
tanti episodi del brigantaggio politico, fenomeno non trascurabile della questione
meridionale, dalla quale, peraltro, non andavano disgiunte le cause di ordine
economico e sociale.
A distanza di un secolo
dall’unità italiana il comune di Platì ha visto il graduale aumento della sua
popolazione, nonostante il salasso di due grandi guerre, e la forte spinta migratoria
verso il Nord e i rovinosi effetti delle più recenti alluvioni.
L'espansione demografica in atto, accompagnata da vivi fermenti di
rinascita, induce alle migliori speranze sull'avvenire economico e civile del
Paese, che ha, tra l'altro, un'eccellente posizione geografica, a cavaliere
dell' Jonio e del Tirreno.
Antonio Delfino
ALBO D’ONORE
1 Giuseppe Delfino,
maresciallo dei carabinieri, ebbe notorietà in Calabria, col nome di « massaro
Peppe ››, per le sue brillanti azioni poliziesche. Corrado Alvaro gli dedica una
novella, nel libro « L'amata alla finestra ›
2 Giuseppe Fera (vivente),
insigne medico e valoroso combattente, è
la persona più rappresentativa della cultura locale aperta, nello stesso tempo,
al culto delle lettere e delle scienze.
3 Vincenzo Papalia, medico
chirurgo, scrisse alcune opere di carattere scientifico, andate purtroppo
disperse. Professionista e filantropo, egli seppe coraggiosamente affrontare le
vessazioni dell'odio politico, senza mai rinnegare le sue idee.
4 Agostino Mittiga, avvocato
e giornalista, visse a Roma, esercitando l'attività forense, presso la Sacra
Rota. Era una delle figure più note nella Capitale, per la sua profonda conoscenza
dei problemi giuridici.
5 Francesco Portolesi,
professore di chiara fama, latinista rinomato e poeta versatile, pubblicò numerose
poesie che trovarono larghi consensi. Più famoso è il libro intitolato: «La luce
››.
6 Giacomo Tassone,
agricoltore e poeta umorista, scrisse decine di poesie, già tanto ricercate, e
anche oggi non prive di freschezza immaginativa. Letterato ed uomo di profonda
cultura, ha lasciato di sè durevole ricordo.
7 Nicola Spadaro, farmacista
attivissimo, fu uomo di grandi virtù e chimico esperto.
Con generoso altruismo, egli profuse, intorno a sè, la luce del sapere
e della bontà.
Tratto da:
STORIA E CULTURA DELLA LOCRIDE,
a cura di G. Calogero, Editrice LA SICILIA Messina, 1964
Note:
-Saverio Mittica, per l’esattezza Mittiga,
sacerdote, professore e scrittore, trascorse buona parte della sua vita
lavorando e servendo Dio a Napoli. Egli era fratello di Rocco Mittiga, padre
della nonna Lisa. Mentre Giuseppe Fera, sempre alla nonna, veniva cugino per via della mamma, Caterina Fera.
Agostino Mittiga era cugino del primo Abate Nullius di Polsi, Mons Giosofatto Mittiga.
Il suo personale albo d’onore il simpatico e
lodevole Toto Delfino lo apre e chiude in famiglia: per altro, la sua cronistoria
platiota è indiscutibile, illuminante, facendo sorgere l’idea che un tempo,
inizialmente, esistessero due comunità in quel territorio, quella di Sancta Barbara e quella che avrebbe dato
origine al paese vero e proprio. Su questo può indagare solo Francesco di
Raimondo.
Rimango e vi costringo a sostare ancora nelle pagine del libro citato nelle
ultime pubblicazioni. Ci spostiamo a sud- est di Bombile: altra terra, altro
passato, altre vicende che ancora non trovano sosta, il nostro paese.
L’autore
non ha bisogno di presentazioni incastonato com'è con la storia del paese che
qui ci svela. Ancora: questo post è dedicato a Giuseppe Barbaro (30 - 09 -1962/20-10 -2016) vittima della pace. http://www.inaspromonte.it/plati-barbaro-giuseppe-discriminato-vita-morte/
PLATI’
L’etimologia di Platì, secondo la tradizione locale sostenuta anche da Saverio Mittica nel 1878, risale alla voce « prata » (prati), che ha sapore di poesia idillica. Il Moscato, invece, fa derivare il nome del Paese, dall'etimo greco << platus >> (largo, ampio, esteso) da cui sarebbe spiegata anche la topografia della valle. Si tratterebbe, in questo caso, del greco bizantino, anzichè di quello antico, in considerazione del fatto che nell'Aspromonte orientale, ad opera di monaci basiliani, vennero a costituirsi delle fiorenti « grancie ››, che erano altrettanti centri di vita economica e spirituale. Detta tesi è però contrastata dal prof. G. Roholfs che propende per l'origine del nome dal greco antico, più che da quello neo-ellenico. Finalmente, della questione controversa ebbe ad occuparsi anche il prof. Zangari, uno dei cultori più dotti di storia patria, il quale prospetta, invece, un'altra versione, secondo cui la voce << pratos ›› (venduto) starebbe a significare il passaggio del feudo, da un possidente all'altro. In definitiva, per lo studioso sopra citato, il nome di Platì deriverebbe dalla successiva alterazione delle voci « protì ›› e « prati ».
Lungo i fianchi dell'Aspromonte orientale, si diparte da Monte Scorda, verso il mare Jonio, una dorsale, con pendio prima lieve e poi più ripido, che raggiunge la valle in cui scorre l'impetuoso Careri. Là dove il fiume si contrae in una specie di strozzatura, sorge l'abitato di Plati, la cui origine, stando alle fonti più accreditate, deve farsi risalire al secolo XVI. In quel periodo, mancando ai centri arroccati sui monti, ogni possibilità di espansione demografica, ebbe inizio l'esodo degli abitanti verso le valli, con la conseguente formazione dei primi agglomerati urbani. Tale pressione si accentuò per effetto del rapace fiscalismo che colpiva le famiglie più povere, tassandole per numero di fuochi, e mettendole in condizioni di dover abbandonare i vecchi centri medioevali, già sorti a causa delle incursioni piratesche e della malaria dapprima imperversante nelle zone costiere. Nel 1496 il re Federico d'Aragona concesse al conte Tommaso Marullo ( che aveva già ricevuto l'investitura del feudo di Condojanni e della baronia di Bianco) alcune foreste, riservandosene l'uso, per l'allevamento delle giumente reali. Poi, verso il 1507, Ferdinando il Cattolico rivendeva le foreste allo stesso conte, sotto vincolo di pagamento del canone, alla scadenza di sei anni. Secondo una comparsa anonima feudale, esisteva allora, fra quelle foreste, << quoddam territorum nominatum del Plati et de Sancta Barbara », lo stesso che il re aveva venduto precedentemente (20 febbraio 1505) a don Carlo Spinelli. Da una situazione cosi aggrovigliata, scoppiarono interminabili liti tra il Conte Marullo e don Carlo Spinelli, protrattesi per decenni, e riguardanti la delimitazione dei confini e delle rispettive pertinenze territoriali. Senonchè nel 1517, Carlo V e la regina Giovanna (Carolus et Joanna Reges) confermarono definitivamente, a don Carlo Spinelli, le terre del Fondaco di Platì e di Sancta Barbara. Gli succedette il figlio Pirro Antonio che verso il 1546 fece costruire, nella valle del « flumen Chareria ››, le prime rozze capanne di pastori costituenti il primo nucleo urbano. A Pirro Antonio, fondatore di Platì, tenne dietro, nel 1555, il figlio Carlo, il quale, pagando il relevio, venne investito dei beni paterni, ottenendo, nel 1557, il titolo di duca sullo stesso feudo. Disavventura volle, però, che il crescente sviluppo del nuovo abitato suscitasse le invidie e le gelosie del conte Vincenzo Marullo, nipote di Tommaso e figlio di Giovanni. La contesa si trascinò, così, per alcuni anni, finchè, nel 1568, il sacro regio consiglio non ebbe riconosciuto i diritti a Carlo Spinelli, ratificati ed omologati anche dal conte Marullo, in omaggio alla volontà del sovrano. Nel frattempo (1465) era rimasta erede della contea di Cariati, donna Francesca, figlia di Giovanni Spinelli, la quale, in seguito a dispensa apostolica, potè sposare Scipione, figlio di Carlo e duca di Seminara. Fu lui, difatti, ad assumere, nel 1569, i diritti ereditari sul casale di Motta Platì.
continua ...
Antonio Delfino
Tratto da:
STORIA E CULTURA DELLA LOCRIDE,
a cura di G. Calogero, Editrice LA SICILIA Messina, 1964
Lungo la scalea, si svolge un continuo rosario di gente: ammalati che
vengono recati a forza di robuste braccia; devoti che scendono, - molti
ginocchioni - recitando le loro preghiere; ragazzi e giovani che la risalgono
d'un baleno; nella chiesa, un accalcarsi di gente che canta, che prega, che
invoca a gran voce, mentre all'altare si celebrano i divini Misteri; sullo spiazzo,
una confusione di gente d'ogni età e d'ogni provenienza; sotto le pareti della
roccia, teorie di rivenditori di candele, di oggetti di devozione e di
giocattoli, con cui saranno allietati i bambini rimasti a casa, o rivenditori
delle caratteristiche ciambelle, impastate di miele e farina. Intanto, squilli
a distesa si diffondono all'intorno, dalla campana issata sulla roccia, priva di batacchio, suonata con pezzi di legno o di
ferro, o con monete lanciate dai fedeli che qui arrivano per la prima volta, ligi
alla credenza, secondo cui chi suona la campana, avrà la ventura di tornare al
Santuario, negli anni successivi.
La maggior parte dei pellegrini, sciolti i loro voti, ripercorrono,
nello stesso giorno, il cammino che li porta ai loro paesi; molti, pero,
trascorrono la notte sul posto, alloggiando presso le ospitali famiglie di
Bombile o bivaccando all'aperto, quando il cielo è clemente. Altri intrecciano
suoni e danze paesane, o sostano nelle celle e nella chiesa, in fervida attesa del
passaggio del carro della Madonna, che, secondo una pia credenza, non manca mai
all'appuntamento, nella mezzanotte precisa, tra la vigilia e il giorno della
festa. Infatti. a quell'ora -- vuole la leggenda -- si ode, al di sopra della
grotta, uno stridio di ruote che, muovendo dalla porta, va a fermarsi dinanzi
all'altare: è la Madonna che dà ai suoi fedeli la sensazione quasi fisica,
della sua presenza. Ma, checché si voglia pensare di tale tradizione, sta dì
fatto che, attraverso i secoli, la Vergine invocata col titolo della Grotta, ha
sempre ricompensato la pietà dei suoi fedeli devoti, con grazie e favori
celesti.
Il Santuario della Madonna della Grotta di Bombile, con quello della
Madonna della Montagna di Polsi, sono le due gemme più fulgide della diocesi di
Gerace-Locri; il loro nome è un richiamo di fede profonda, nel cuore delle
popolazioni calabresi: D’altro canto, non si può tacere che entrambi i Santuari
soggiacciono, tuttora, alle più gravi carenze, per quanto riguarda i mezzi di
accesso a quei luoghi così impervi, e provo di qualunque conforto alberghiero.
Se gli Enti pubblici, a cui spetta il compito di provvedere,
rivolgessero qui le loro attenzioni; se i loro contributi, uniti alle offerte
generose dei fedeli, potessero allargare, con un muraglione, il piazzale della
Chiesa, rendendone più comoda la scala a mezzo di normali gradini; se, in una
parola, si avesse cura di riparare, periodicamente, le inevitabili ingiurie del
tempo e degli uomini, si otterrebbe il risultato inestimabile di vedere
infoltito il pellegrinaggio dei fedeli che amano raccogliersi, annualmente ai
piedi del celebre Santuario.
ERNESTO GLIOZZI
BIBLIOGRAFIA
A. Oppedisano,
Cronistoria della diocesi di Gerace, Gerace Sup. 1934, pp. 187-91
E. Gliozzi, Bombile,
nella Monografia Ardore, S. Maria C.
Vetere, 1905, pap. 55-56
V. De Cristo, Monografia del Santuario di Nostra Signora
della Grotta, presso Bombile di Calabria Ultra, Roma 1896
G. B. Zappia, Il
Santuario della Grotta di Bombile in Ardore, Diocesi di Gerace, Padova,
1936, 2 ed. 1940
Tratto da:
STORIA E CULTURA DELLA LOCRIDE,
a cura di G. Calogero, Editrice LA SICILIA Messina, 1964
Accanto
alla chiesa sorgevano alcune piccole grotte naturali in prossimità delle quali
altre ne furono scavate, che servirono e servono, tuttora, di abitazione ai
custodi del Santuario. Sulla volta di una di esse, la terza a sinistra della
chiesa, è scolpita la data 1751, anno in cui anche la grotta della chiesa fu
scavata in maggiore profondità e vi fu eretto l'altare di marmo della Madonna;
esso reca, alla sommità, un'importante iscrizione da cui si rileva che, sotto
il Vescovo Rossi, il lavoro fu eseguito a cura del Can. Del Balzo, con le offerte
dei fedeli: Ill . et rmo dno rubeo epo -
Deip. Virg. Templum - Collecta a piis fidelibus stipe
-Marmoreo sacello ornandum curavit - Can.
Thomas Baucius A. MDCCLI.Quali fossero í fedeli che offrirono il denaro, o che
almeno si occuparono di raccoglierlo tra i pochi abitanti, risulta da un'altra
iscrizione posta sulla base delle colonne, ai lati dell'altare: Io. Fr. Vincen Morabito - & Vic
Antoniusq. Carlino-Cimina (Giov. Franc. Vincenzo e Antonio Carlino da
Ciminà).
Alcuni anni più tardi, e precisamente nel 1758, sotto
il Vescovo Scoppa, il Rettore del Seminario, Can. Stefano Piteri, con l'aiuto
del Parroco Francesco Antonio Oppedisano, sempre con le oblazioni dei fedeli,
abbellì la facciata, ornandola di portale in pietra con due belle colonne. Al
disopra della porta si le legge la scritta:
D. O-
M – Dip. Virg. Templi frontem –Pet. Dom. Scoppa epo sedente – Steph. Can.
Piterius seminarii rector – et Par. Franc. Ant. Oppedisano Proc. – (CO) LL.
Eleem. Ornam. Curavit – (A) P. MDCCLVIII.
Poiché la
parete della roccia è a picco, e il punto dove sorge il Santuario è circa cento
metri sotto il livello dell'abitato di Bombile, per arrivarvi e necessario
percorrere, non senza difficoltà, una ripida scalea di centoventi gradini, alti
dai quaranta ai cinquanta centimetri. Scendendo, verso l'interno della Grotta,
si può ammirare la meravigliosa opera compiuta dall'acqua piovana che scorre
lungo la pendice: il molle tufo si è lasciato foggiare, quasi ricamare,
attraverso i secoli, dall'acqua che scende lenta dall'alto e sembra vederlo ricoperto
di un tenue merletto, dalla sommità alla base.
Della chiesa, all'esterno, non si vede che la facciata,
ben rifinita, adorna di tre finestre che lasciano filtrare un'abbondante luce
all'interno; quasi si stenta a credere che dietro quella facciata vi possa
essere, ricavato nella roccia, un ambiente capace di contenere comodamente
trecento persone. Appunto in ciò sta la caratteristica di questo Santuario, a cui accorrono i
fedeli da quasi tutti i paesi della Locride e della Piana di Gioia.
Varcata la soglia, si dimentica di essere nelle viscere
di una roccia; l'interno è ben adornato nelle pareti e nel soffitto, tutto ad
arco gotico su cui grandeggia il magnifico altare intarsiato in marmo
policromo.
La Pianta della chiesa e a croce greca, poiché a
destra e a sinistra, nell’anno 1891, il Parroco Domenico Morabito, bombi lese che
prodigò tutte le sue 'energie nell'abbellire ed ingrandire il Santuario, fece
scavare due cappelle di cui una dedicata al Crocefisso, l'altra,
all'Addolorata.
L'areazione è sufficientemente assicurata da un’
intercapedine che corre tra le mura della chiesa e la grotta.
Pregevolissima è la statua della Vergine, di aspetto
maestoso, che tiene in braccio il Bambino benedicente, il quale, a sua volta,
tiene nella mano sinistra, una colomba. Il viso ovale, perfetto, la delicatezza
delle mani, l'ampio manto regale, con le sue volute che sbalzano al naturale,
dal duro marmo, lo sguardo materno della Vergine, il portamento semplice e magnifico,
ad un tempo, del Divino Infante, che posa con straordinaria naturalezza sul
fianco della Madre, tutto concorre a fare, di questa statua, un capolavoro e ad
infondere, nel cuore dei fedeli, un sentimento mistico di pietà e di devozione,
al quale non si può resistere.
Qui, ai piedi di questo Simulacro, da quattro secoli
accorre, nel periodo della festa, che si celebra il 3 Maggio, e in tutti i
sabati dello stesso mese, una moltitudine innumerevole di fedeli.
continua ...
ERNESTO GLIOZZI il giovane
Tratto da:
STORIA E CULTURA DELLA LOCRIDE,
a cura di G. Calogero, Editrice LA SICILIA Messina, 1964
E' di questi ultimi tempi la notizia secondo la quale si intende mettere mano, per farlo risorgere, al Santuario di Bombile. Per quanti - studiosi, ingegneri, giornalisti aspromontani, lettori curiosi, prossimi architetti a Reggio impegnati a fare rilievi, ma soprattutto per i platioti devoti di quel luogo di culto - ecco un bel testo dello zio Ernesto il giovane. Il libro che lo contiene era da me considerato irrevocabilmente perduto, causa l'esodo familiare. Invece ... invece è custodito con cura gelosa da Bettina. Io la ringrazio e vi invito ad esserLe grati per averlo riportato alla luce.
IL SANTUARIO DELLA GROTTA DI BOMBILE
Bombile sorge su uno di quegli Schienali che, alle falde
dell'Aspromonte, declinano, a linee quasi parallele, verso il mare, aprendosi in
una piccola, ma ubertosa pianura, piantata di aranci e di ulivi, che erano l'anfiteatro
dell'antica Locri.
Dai fianchi di detti schienali, nettamente divisi l'uno dall'altro, da
torrenti e fiumare, si affacciano, sul mare, cittadine e contrade ridenti:
Patarriti, Portigliola, S. Ilario, Condojanni, Bovalino. Bombile, a differenza
degli altri abitati, sorge proprio nel punto in cui lo schienale sul quale si
adagia, come nido d'uccello, discende bruscamente a picco, dal lato Nord, su un
torrentello che si va a perdere nella fiumara dl Condojanni, e specialmente dal lato Ovest e Sud-Ovest, sul vallone della
Grotta o Ciccia, anch’esso affluente della fiumara di Condojanni. L’abitato è
così piccolo, che appena si intravede dalla zona costiera, da cui dista non più
di cinque chilometri; conta 650 anime ed è una frazione del Comune di Ardore
nella cui amministrazione ha
due consiglieri.
Vi si accedeva, fino a pochi anni or sono per una mulattiera tortuosa
ed irta di sassi, che serpeggiava lungo la collina, fino a raggiungere i duecento
sessanta metri di altezza, su cui è situato il paesetto; ora, invece, è in funzione
una rotabile, comoda ma non ancora rifinita, che lascia la statale 106 Jonica,
all'altezza di Km.91 e 800 metri. Tale rotabile attraversa, nel primo tratto di
due chilometri, la fiorente pianura della Marina di Ardore; poi, negli ultimi
tre chilometri, si inerpica, alquanto ripida, per vari tornanti, da cui
magnifico si slarga, tutt'intorno, l'orizzonte: dapprima è Condojanni, con la
sua torre quadrata, ultimo residuo di un antico castello; più in su, Ciminà,
distesa su una giogaia, come un panno messo ad asciugare al sole; da una parte
e dall'altra della strada, si allineano, a perdita d'occhio, ulivi verdeggianti
e mandorli, aranci e querce secolari, mentre l'aria è profumata dagli effluvi delle
erbe odorose, dei mentastri, delle nepitelle, della ginestra e della camomilla
che vi cresce abbondante.
Nei tempi trascorsi, non era difficile scorgere, nei cavi tronchi degli
alberi, sciami di api ronzanti intorno al loro alveare, tanto da giustificare in
pieno il nome di Bombíle, che si vuole derivato dal greco, e che significa appunto,
« ape ronzante ››.
Oscure ed incerte sono le origini del paese, sebbene lo stile delle
dimore più antiche, la foggia delle stradette, i ruderi di antiche abitazioni
che ancora affiorano dal terreno, assegnino a Bombile, un'origine molto antica,
mentre il sito dove sorge l'abitato fa supporre che esso sia stato rifugio
contro le incursioni dei Mussulmani di Sicilia, che, nel secolo X d.C.,
devastarono e distrussero la città di Locri, costringendo i suoi abitanti a
rifugiarsi sulle alture circostanti, dove fondarono, intorno a Gerace, discendente
diretta di Locri, numerosi altri centri abitati di varia importanza, come
Condojanni, Ardore, S. Nicola, Bovalino. Distaccato dall'egemonia di Gerace,
nel 1546 continuò a far parte della baronia di S. Nicola, seguendone le vicende,
passando cioè, via via, sotto la giurisdizione di Giovanni Ramirez, di Tommaso
De Marinis, di Scipione di Bologna, di Giovanni Capecelatro, di Carlo Gambacorta
e nel 1696, dei principi di Ardore.
Ma non interessa tanto la storia di Bombile, quanto, invece, l'oggetto
per cui il paese va giustamente nominato, specialmente nei circondari di Locri
e di Palmi, e cioè il caratteristico Santuario della Grotta, che, come dice lo
stesso nome, è costruito in una grotta scavata nel lato Ovest della roccia
sottostante al paese.
Anche le origini del Santuario sono circondate da fitte tenebre; nè
vale, in qualche modo, a diradarle, la leggenda che qui si riferisce sommariamente,
a titolo d'informazione, e che narra di un mercante, il quale, trovatosi in gravi
difficoltà in alto mare, fece voto alla Vergine di dedicarLe una statua, in
caso di salvataggio; eseguito il lavoro da un valente artista, esso fu affidato
dapprima alle sorti del vento, sul mare, poi, sulla terra, a due giovenchi
selvatici, i quali lo portarono fino al luogo dove ora sorge il Santuario. Tale
leggenda, che pure è consacrata in un canto popolare, non merita, in realtà,
alcun credito storico.
Si sa di certo, però, che sulla spianata della roccia dove sorge
Bombile, non molto distante dal paese, nella località detta «lo sperone ››, sorse,
nel 1502, ad opera dell'eremita Fra Giacomo da Tropea, compagno del B.
Francesco Zumpano, un Monastero di Agostiniani, di cui sono ancora visibili
alcuni ruderi. Si può pensare che la pietà di quei frati che vivevano nei Cenobi
li abbia portati a fare orazione e penitenza in una piccola grotta, scavata
nella roccia sottostante, e che tale grotta sia stata, a poco a poco, ampliata, adornata di altare e
di qualche statua o immagine della Vergine.
Un documento del 1507, custodito nell'archivio del Capitolo di Gerace,
reca che « sotto la timpa di Bombile … in
piedi la ditta timpa Frati Jacobo have comenzato a fare la grotta dove vole
stanziare esso et appresso voli fare la Ecclesia di S. Maria de la Grotta ››.
La statua di alabastro che oggi si venera nel Santuario, vi fu posta,
come dice il Sinodo di Mons. Mangeruva, nel 1625; ma poiché, sulla base di
questa statua si legge la scritta: S. Maria
della Grutta MDVIII, si deve arguire che essa fosse stata prima proprietà
degli Agostiniani e che la scritta sia di epoca posteriore.
Quando, nel 1653, papa Innocenzo X soppresse quel convento, non fu però abbandonata la chiesa della Grotta, la quale dapprima rimase affidata alle cure dei monaci del convento soppresso, finché vissero; poi, verso il 1700, fu aggiudicata alla giurisdizione del Seminario di Gerace.
Il giorno, in cui i paesi delle Calabrie vedessero sedere al
banco, ove si fanno le offerte votive alla Madonna di Polsi, due Agenti
dell”Economato, anziché due Canonici, mandati dal Vescovo di Gerace, non
darebbero più un quattrino! Nella festa del 1905 è bastato aver sentore della
prossima venuta del R. Sub -Economo che in seguito però non andò affatto,
perché tutti i fedeli gridassero ad una voce che non avrebbero dato un
centesimo! E chi sa dire inoltre quali tumulti avverrebbero in una montagna come
quella di Aspromonte, ove per la festa annuale del 1, 2, 3 settembre, accorrono
oltre a trenta mila uomini, armati di fucili e pistoloni, e senza alcun
permesso di armi (cosa che le Autorità non hanno potuto o non hanno creduto
conveniente impedire), ove l’Economato provasse d’ingerirsi nelle offerte dei
fedeli?
MONS.
VINCENZO RASCHELLA’,
Nuove Luci sul Santuario di Polsi,
Pompei, 1938 - XVII
La grande ammirazione per l’opera sua preziosa e la squisita gentilezza
dell’animo suo che tanto più è umile per quanto è grande, mi danno
fiducia a scriverle.
Alcuni amici fra i quali d. Macrì, P. Ghignoni, P. Semeria ed altri
stanno preparando un piccolo album per ricordare la mia assunzione al sacerdozio. Ora io umilio al lei il mio modesto invito pregandola
a favorirmi qualche cosetta perché il
breve volumetto sia adornato dal suo nome prezioso.
Per la fede della mamma sua mi favorisca qualche cosa. Perché non vorrà
mandarmi due versi fatti con quell’arte che l’è propria? Aspetto fiducioso,
pieno della sua bontà d’animo.
Le unisco alla presente alcuni miei versi di cui vorrà dare quel
giudizio che si meritano.
Spero non isdegnerà darmi sua risposta
con la più profonda ammirazione
Platì di Calabria – 10 – 6 – 1906
Suo dev.mo
Francesco Portolesi
Mandi tutto a.
Francesco Portolesi
(Prov. Reggio Cal.) Platì
L'illustre e grande maestro a cui si rivolgeva Francesco Portolesi, con un garbo di altri tempi, era niente di meno che Giovanni Pascoli; il documento e la foto in chiusura sono qui:
Eccomi qua. Il certo, quidam, Gino Mittiga, con il suo fastidioso brontolio di fondo, che si è fatto tanti nemici, famiglia Perri inclusa. Pazienza!
Come dice Stefano, Horcinus Orca, D’ Arrigo quello che conta non è il sentito dire ma il visto con gli occhi.
Però i Perri infastiditi nelle loro certezze non si sono manco brigati di vedere le cose come si sono svolte le vicende, per altro sbocciate fuori da questo blog.
Allora per tagliare la testa al solito, incolpevole, povero toro ecco le frasi che hanno fatto scattare una certa indignazione non tanto sullo scrittore careroto ma su quelli che hanno accentato il suo antifascismo con fiumare di Careri in piena d’inchiostro: Il Fascismo, come tutti i movimenti cementati col sangue e col sacrificio …. il Fascismo scrive la sua vera storia sui campi di battaglia … Può darsi, ed io me lo auguro vivamente, che il clima fascista, questo prepotente risveglio dell’orgoglio nazionale …
Quel cementato movimento, quel prepotente risveglio dell’orgoglio nazionale è stato imbrattato col sangue e il sacrificio di quanti persero la vita in Albania, in Russia, e nell’Italia dove si innalzò la bandiera della Resistenza.
E da me, cultore di cinema essenzialmente, so benissimo che il Fascismo aveva tutti i numeri per divenire materia d’arte, come li aveva Joseph Paul Goebbels nel dare origine all’arte nazista. Per restare al cinema: Vittorio de Sica, durante il Fascismo foggiò la sua arte nutrito dei capolavori del cinema muto italiano, per divenire il Maestro neorealista; non ci volle nulla per lui passare da I bambini ci guardano (1943) a Sciuscià (1946). Il cinema di Goebbels fu cementato sull’espressionismo di Murnau e Lang per sfociare nelle camere a gas.
Ora invito tutti a confrontare le risposte di Francesco Perri con quelle neutre di Corrado Alvaro riportate sullo stesso giornale il 12 marzo 1939 (1), il quale aveva capito istintivamente quale è la chiave del successo.(2)
Eccomi ora accusato di favoritismi e campanilismo. Pazienza, come diceva Carlo Campanini. (1) http://daplatiaciurrame.blogspot.com/2016/10/lintervista-atto-ii.html (2)Corrado Alvaro, Quasi una vita, 1950, pag. 15 dell’ediz. Bompiani del 1994
«I poeti non sono mai stati uomini politici!»
Francesco Perri
Invito altresì i signori Perri a leggere quanto da me pubblicato sul loro genitore e scoprire qualcosa che ignoravano, come l’incriminata intervista: