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domenica 23 ottobre 2016

Another Time, Another Place (reg. Michael Radford - 1983)

Rimango e vi costringo a sostare ancora nelle pagine del libro citato nelle ultime pubblicazioni. Ci spostiamo a sud- est di Bombile: altra terra, altro passato, altre vicende che ancora non trovano sosta, il nostro paese. 
L’autore non ha bisogno di presentazioni incastonato com'è con la storia del paese che qui ci svela.
Ancora: questo post è dedicato a Giuseppe Barbaro (30 - 09 -1962/20-10 -2016) vittima della pace.
http://www.inaspromonte.it/plati-barbaro-giuseppe-discriminato-vita-morte/

PLATI’



L’etimologia di Platì, secondo la tradizione locale sostenuta anche da Saverio Mittica nel 1878, risale alla voce « prata » (prati), che ha sapore di poesia idillica. Il Moscato, invece, fa derivare il nome del Paese, dall'etimo greco << platus >> (largo, ampio, esteso) da cui sarebbe spiegata anche la topografia della valle. Si tratterebbe, in questo caso, del greco bizantino, anzichè di quello antico, in considerazione del fatto che nell'Aspromonte orientale, ad opera di monaci basiliani, vennero a costituirsi delle fiorenti « grancie ››, che erano altrettanti centri di vita economica e spirituale. Detta tesi è però contrastata dal prof. G. Roholfs che propende per l'origine del nome dal greco antico, più che da quello neo-ellenico. Finalmente, della questione controversa ebbe ad occuparsi anche il prof. Zangari, uno dei cultori più dotti di storia patria, il quale prospetta, invece, un'altra versione, secondo cui la voce << pratos ›› (venduto) starebbe a significare il passaggio del feudo, da un possidente all'altro. In definitiva, per lo studioso sopra citato, il nome di Platì deriverebbe dalla successiva alterazione delle voci « protì ›› e « prati ». 
Lungo i fianchi dell'Aspromonte orientale, si diparte da Monte Scorda, verso il mare Jonio, una dorsale, con pendio prima lieve e poi più ripido, che raggiunge la valle in cui scorre l'impetuoso Careri. Là dove il fiume si contrae in una specie di strozzatura, sorge l'abitato di Plati, la cui origine, stando alle fonti più accreditate, deve farsi risalire al secolo XVI. In quel periodo, mancando ai centri arroccati sui monti, ogni possibilità di espansione demografica, ebbe inizio l'esodo degli abitanti verso le valli, con la conseguente formazione dei primi agglomerati urbani. Tale pressione si accentuò per effetto del rapace fiscalismo che colpiva le famiglie più povere, tassandole per numero di fuochi, e mettendole in condizioni di dover abbandonare i vecchi centri medioevali, già sorti a causa delle incursioni piratesche e della malaria dapprima imperversante nelle zone costiere. Nel 1496 il re Federico d'Aragona concesse al conte Tommaso Marullo ( che aveva già ricevuto l'investitura del feudo di Condojanni e della baronia di Bianco) alcune foreste, riservandosene l'uso, per l'allevamento delle giumente reali. Poi, verso il 1507, Ferdinando il Cattolico rivendeva le foreste allo stesso conte, sotto vincolo di pagamento del canone, alla scadenza di sei anni. Secondo una comparsa anonima feudale, esisteva allora, fra quelle foreste, << quoddam territorum nominatum del Plati et de Sancta Barbara », lo stesso che il re aveva venduto precedentemente (20 febbraio 1505) a don Carlo Spinelli. Da una situazione cosi aggrovigliata, scoppiarono interminabili liti tra il Conte Marullo e don Carlo Spinelli, protrattesi per decenni, e riguardanti la delimitazione dei confini e delle rispettive pertinenze territoriali. Senonchè nel 1517, Carlo V e la regina Giovanna (Carolus et Joanna Reges) confermarono definitivamente, a don Carlo Spinelli, le terre del Fondaco di Platì e di Sancta Barbara. Gli succedette il figlio Pirro Antonio che verso il 1546 fece costruire, nella valle del « flumen Chareria ››, le prime rozze capanne di pastori costituenti il primo nucleo urbano. A Pirro Antonio, fondatore di Platì, tenne dietro, nel 1555, il figlio Carlo, il quale, pagando il relevio, venne investito dei beni paterni, ottenendo, nel 1557, il titolo di duca sullo stesso feudo. Disavventura volle, però, che il crescente sviluppo del nuovo abitato suscitasse le invidie e le gelosie del conte Vincenzo Marullo, nipote di Tommaso e figlio di Giovanni. La contesa si trascinò, così, per alcuni anni, finchè, nel 1568, il sacro regio consiglio non ebbe riconosciuto i diritti a Carlo Spinelli, ratificati ed omologati anche dal conte Marullo, in omaggio alla volontà del sovrano. Nel frattempo (1465) era rimasta erede della contea di Cariati, donna Francesca, figlia di Giovanni Spinelli, la quale, in seguito a dispensa apostolica, potè sposare Scipione, figlio di Carlo e duca di Seminara. Fu lui, difatti, ad assumere, nel 1569, i diritti ereditari sul casale di Motta Platì.
 continua ...                  

    Antonio Delfino

Tratto da:
STORIA E CULTURA DELLA LOCRIDE, a cura di G. Calogero, Editrice LA SICILIA Messina, 1964
          

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