domenica 17 maggio 2015
martedì 12 maggio 2015
Il prezzo del potere (reg. Tonino Valerii - 1969)
Mons. Giosofatto Mittiga
1876 - 1951
ritratto di Luigi Musitano
Quanto si poteva raccogliere dei rapporti tra Platì e Polsi oggi ha
termine con il personaggio che più di tutti ha fatto parlare di sé: Monsignor
Giosofatto Mittiga, il quale destinò le sue capacità e le sue conoscenze alla
maggior gloria del santuario. Personaggio colluso col potere fascista ricorda
un altro paesano per molti aspetti simile. Ambedue finirono scaricati dopo un sommario processo segreto.
Si ricorre al capitolo I vescovi
di Locri-Gerace a Polsi a cura di Enzo D’Agostino apparso in S. Maria di Polsi – Storia e pietà popolare,
Laruffa editore, 1990.
Monsignor Giosofatto Mittiga era nato a Platì il 16 marzo
del 1876 da Domenico e Violi Maria.
Il Santuario, ora elevato ad
abbazia, mercé la solerzia di monsignor
Mittiga, allora non era che una chiesa alle dipendenze
della diocesi di Gerace, retta da un priore
e servita, per le questue, da un corpo
ristretto di frati secolari, non dipendenti da alcun ordine, che
giravano la provincia, come fanno tuttora, cavalcando i
loro bei muli gagliardi, e raccogliendo le offerte dei fedeli.
Francesco Perri, Emigranti
Giosofatto Míttiga, giovane sacerdote di Platì , arrivò a Polsi il 3
ottobre 1905 con l'incarico di economo curato, ottenuto dall'amministratore apostolico
fr. Sisto Paoleschi; il 10 aprile 1906 divenne titolare della parrocchia e
superiore del santuario; il 15 settembre 1908 ottenne di portare al cappello un
laccio nero dorato; il 4 maggio 1910 ottenne per sé e per i superiori suoi
successori il titolo di prelato domestico di S. S..: un crescendo di cariche e
di riconoscimenti che certamente alimentarono smodatamente le già presenti
inclinazioni ai fasti ed agli onori del Nostro. Il quale, vedendosi così
considerato, immaginò di poter fare di Polsi la sede idonea a realizzare i propri
sogni di indipendenza ed a praticare un potere effettivamente monocratico.
Polsi divenne una specie di cantiere onnicomprensivo e continuamente aperto:
furono restaurate o ricostruite parecchie abitazioni; fu innalzato il terzo
piano del convento; fu installato il telegrafo; fu realizzato il monumentale calvario
e fu posta in sito l'artistica balaustra dell'altare maggiore (opere di V.
]erace): il tutto contraendo molti debiti, ma sotto gli occhi entusiasti e
compiaciuti di pellegrini e pellegrinaggi sempre più frequenti e numerosi .
Dagli inizi del 1907 la diocesi di Gerace era retta da mons. Giorgio
Delrio …
Nei confronti del Mittiga, mons. Delrio fu all'inizio prodigo di
incoraggiamenti e di riconoscimenti; poi, quando si accorse che la situazione
debitoria stava diventando estremamente grave, intervenne con energia e
durezza; infine, reagendo alle ambizioni del superiore, tentò con tutti i mezzi
di liberarsene.
L'anno cruciale fu il 1913, nel quale, il vescovo, prese le distanze
dalle iniziative del Mittiga, e ridottine drasticamente i poteri, avocò
decisamente a sé l'effettiva direzione del santuario e riuscì quanto meno a
bloccare, sia pur temporaneamente, l'incremento dei debiti .
Il Mittiga, però, non rinunziò ai propri progetti e tentò in
tutti i modi e con diversi mezzi di creare le condizioni per raggiungere
l'agognata indipendenza. Di ciò è segno la petulante richiesta di poter abitare
a Polsi nel palazzo vescovile “, ma sono segno più evidente i tentativi operati
scopertamente per " inventare" una qualche autorità che fosse
superiore al vescovo e che dal vescovo non potesse in alcun modo essere
contestata.
Non può essere letta che in tale chiave l'operazione
"cardinale protettore", pensata e felicemente condotta a termine dal
Mittiga con la nomina pontificia, appunto a protettore del santuario, del
cardinale Filippo Giustini, ottenuta il 20 dicembre 1916. Da tale situazione il
Mittiga trasse l'aìre per riprendere le sue progettazioni fantastiche.
La nomina del cardinale, obtorto
collo salutata dal vescovo Delrio con una notevolissima lettera pastorale ,
consentì al Mittiga di organizzare grandi festeggiamenti per la venuta a Polsi
del protettore. L'evento si svolse il 2 settembre 1919 e ce lo ricorda
l'epigrafe posta l'anno dopo sulla facciata del convento ivi il vescovo Delrio è del tutto ignorato,
non essendo citato nello scritto e mancando il medaglione con la sua effigie accanto
a quelli di Benedetto XV, di Filippo Giustini e di Giosofatto Mittiga. Non
basta. Sempre più deciso a svincolarsi da qualsiasi tutela vescovile, il Mittiga,
favorito da ambienti romani interessati, andò precisando un nuovo progetto, con
il quale si proponeva di restituire "al santuario l'antico titolo di
Abbazia e quello di Abate al Superiore del tempo, con tutti quegli
onori e privilegi degli antichi abati, onori e privilegi che corrispondono a
quelli degli Abbati o Prelati Nullius, escludendo ben inteso
ogni idea di giurisdizione, la quale dovrebbe rimanere sempre al vescovo di
Gerace, come lo è attualmente .
Il progetto andò in porto (8.4.192O) , senza che vi si potesse
opporre il vescovo Delrio, il quale, anche se mancano documenti precisi, sembra
improbabile che potesse condividerlo .
Appena qualche mese dopo, il 16 novembre 1920, mons. Delrio
fu promosso arcivescovo e trasferito ad Oristano.
Il titolo di Abate
nullius consentì al Mittiga un nuovo periodo di gloria. Nello stesso 1920,
"sontuosamente vestito da vescovo”, partì per l'America e ne ritornò dopo
due anni con i ricchi proventi della sottoscrizione ivi operata tra i tanti
immigrati italiani. Nuovi privilegi (quello di celebrare in trono con baldacchino
e pastorale) ottenne dal protettore cardinale Michele Lega († 15.12.1935), che
era succeduto al cardinale Giustini, e dal pontefice Benedetto XV un chirografo
attestante stima.
Nel frattempo, però, egli, impenitentemente, non aveva smesso
le iniziative fantasiose e dispendiose, oltreché malviste e denigrate per le
umane debolezze di tutti i tempi nei confronti di chi comunque operi. Il Mittiga
aveva tentato un passo lungo. Forse era stato mal consigliato, ma è probabile
che fosse stato anche strumentalizzato. Le sue intenzioni erano probabilmente
oneste, le sue azioni non limpide e comunque non condivise, anzi in contrasto
con le intenzioni e le direttive dell'autorità vescovile.
Chiamato ancora una volta a rispondere del suo operato 91, il
Mittiga non riuscì più a convincere alcuno della bontà delle sue iniziative. Pu
così che il 10 novembre del 1927 fu privato del titolo di abate, ed il 26 ottobre
1928 fu costretto a dimettersi da arciprete. Da quel momento, con Polsi ebbe
rapporti soltanto per qualche debito da pagare. Morirà poverissimo (è questo è
segno della sua intima onestà) nel 1951.
Di seguito il filmato dell’inaugurazione del Sanatorio ”
Vittorio Emanuele II “ai Piani di Zervò. Alla cui edificazione contribuì in
vario modo Mons. Giosofatto Mittiga
lunedì 11 maggio 2015
Terra di conquista (reg.William C. McGann - 1942)
Alla
presenza di noi qui sottoscritti Donna Carolina Mittiga, suo figlio D.
Ferdinando, e sua figlia Donna Mariantonia Gliozzi hanno dichiarato, che col
consenso del loro Padre D. Francesco Gliozzi marito della prima si hanno
ricevuto dal Sacerdote D. Filippo Gliozzi, la somma di docati trentasette per
loro vestimenti, e sovvenimenti, quale somma loro fu data perché gli dessero il
possesso, come glielo hanno dato, di altrettanta valuta consistente in quattro
piedi di olivi della valuta di docati quindeci, e docati ventidue di terra
boscosa, che in una formano docati trentasette, come sopra. Gl’olivi e la terra
boscosa suddetta limitano da una parte col suddetto Sacerdote D. Filippo
Gliozzi, e dall’altra con gli stessi dichiaranti. Il sentiero della parte di
sotto, dove sono i quattro piedi di olivo, che attaccano colla terra boscosa,
quanto prima verrà formato da una maceria, che principia dal primo piede di
olivo dei quattro suddetti e termina nella maceria di divisione della terra
così detta Colacchiata colla rasola della vigna d loro pertinenza. Di questi
due punti di maceria poi in linea dritta per sopra sino alle pietre volte
vicino il lacco del rimanente della terra boscosa nella contrada Petto, ossia
Boschetto, formano i quattro lati dei sentieri divisori di detta estensione,
che cedono a cono dei docati cinquantadue, che avea il dritto D. Francesco Fera,
e li ha ceduti a D. Filippo Gliozzi suddetto e che ancora non aveano ceduto,
perché il compratore Sig.r Gliozzi non avea dato loro il complimento, giusta la
loro convenzione, di docati cinquanta, riserbandosi di dare l’altro possesso
quando verrà aggiustata la somma di docati cinquanta. I due ultimi si obbligano
ancora solidalmente all’evizione. Ed alla cautela, ecc.
Platì
li 4. Aprile. 1861
Diacono
Saverio Mittiga ho scritto e sono testimone
Ferdinando
Gliozzi
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Don Filippo Gliozzi,
Once upon a time in Platì
domenica 10 maggio 2015
La leggenda del santo bevitore (reg. Ermanno Olmi - 1988)
Da
oggi pongo alla vostra attenzione una raccolta di poesie dovute a Giacomo Tassone Oliva solo di recente ritornate alla luce. Vengono da una trascrizione a macchina, Olivetti Lettera 22, dovute
allo zio Pepé; una, su carta velina, illeggibile, ebbe pure la bontà, per noi,
di riportarla anche con la sua bellissima calligrafia. Eccovi la prima.
P
A S C O L I A N A
Se arde il sole
oppur fiocca la neve
MASTRO
MICHELE BEVE ... BEVE ... BEVE ... !!!
Giacomo Tassone Oliva
In
tutto tredici voci, nove puntini e tre punti esclamativi. E, il piccolo mondo antico platiota si erge davanti ai nostri occhi. C’è solo da
chiedersi chi fosse Mastro Michele, ora nella leggenda!
mercoledì 6 maggio 2015
All'ombra della montagna - redux
Anche lo zio Ciccillo fu a Polsi, nel 1950, aiutante di monsignor Antonino Pelle di Antonimina. Allora il viaggio, a piedi, da Platì avveniva risalendo la montagna alle sue spalle, prendendo per Misafumera si arrivava ai Piani di Zervò e così al Sanatorio. Quindi imboccando u passu da cerasara si scendeva a Polsi.
19 Aprile 1950
Carissimo papà
Lunedì scorso vi ho fatto spedire un telegramma per farvi sapere che ho
fatto un buon viaggio. Domenica sono arrivato qui alle quattro e un quarto. Il
viaggio è stato ottimo, solo un pò prima del sanatorio c'è stata una leggera
pioggia e per conseguenza mi son riparato' presso il guardiano del Sanatorio.
Per circa mezzora, poi ,scomparsa la nebbia e cessata la pioggia, mi sono messo
di nuovo in cammino. E' inutile dirvi che sono stato accolto bene da tutti e
specialmente dal Superiore. Ho a mia disposizione una bella stanza, letto con rete metallica e due materassi di lana ecc. La luce
elettrica funziona bene e nella mia stanza ci sono due lampadine da 50 candele
l'una. Vedete dunque che sfarzo di luce. Il mangiare è ottimo. Tutti già
incominciano a volermi bene
Domani il Superiore partirà per Roma e io gli darò una lettera per
Fina, che lui andrà a vedere. Al suo ritorno io verrò a casa per alcuni giorni.
Non mi resta che inviarvi i più cari abbracci e baci per tutti in famiglia, comprese
Rosina e Cata coi bambini e lo zio Michele, che spero sia già guarito. Saluti
agli altri parenti tutti. A voi e alla mamma bacio pure la mano, chiedendovi di
benedirmi
Aff.mo
Ciccillo
P.S. Scrivetemi e ditemi come state.
(A Polsi)Vi erano i rappresentanti di quasi
tutta la provincia: i Sanluchesi vestiti di orbace, agili e aitanti, coi
panciotti di panno turchino e i bottoni azzurri di acciaio, i riccioli sulla
fronte, le cicatrici delle pustole in mezzo alla guancia; vi erano i pastori selvaggi
di Solano, coi berretti di lana muniti di un fiocco, e
le zampitte allacciate con corregge sottili intorno alla gamba, come i sandali
nelle antiche statue; le
donne di Bagnara con le tradizionali sette sottane a piccole pieghe, strette intorno
ai fianchi, e aperte a
campana in fondo. Portavano i capelli spartiti sulla fronte, le trecce a
corona, le camicette di colori
vivaci; i loro occhi color nocciola lampeggiavano come lame. Si diceva
portassero iraisoi nei capelli, e maneggiassero
il coltello più arditamente degli uomini; E poi i mulattieri di Platì, i
pastori di Natile
sudici, alti, dalla parlata strascicante; i Benestaresí con accanto le loro
donne dai busti fortemente colorati; le popolazioni della marina, vestite di
chiaro, e col volto di un bronzeo
partico1are; le Cardítane che avevano fama di essere le più
Francesco Perri, Emigranti, Garzanti, edizione del 1941 XIX
lunedì 4 maggio 2015
La città dolente (reg. Mario Bonnard - 1949)
Da oggi, e per qualche tempo, do inizio alla trascrizione di
Caos, capitolo contenuto in Old Calabria di Norman Douglas, ricordo
che l’edizione è quella di Aldo Martello. Tema è la città dove vivo parte del
mio tempo: Messina, vista com’era prima e dopo il terremoto del 28 dicembre
1908. E’ un capitolo allo stesso tempo elegiaco e doloroso. Nessuno, come Norman Douglas, ha saputo cogliere il senso e il luogo di questa città,
ricostruita più volte, che occupa un sito che solo avendo il senso della
mitologia si può sottrarre.
O gioventù d'ltalia in alto i cuori.
Cantante Domino
Canticum novumm
Potessero ritornare in vita le povere
vittime del terremoto del 28 dicembre
1908,
per opporre questo cantico di
Dio
alle canzoni di Satana pubblicate nel
giornale “ il Telefono ,, e diffuse per le
vie e le case di Messina alla vigilia del-
l' immane distruzione !...
-
Voto e ricordo.
-
Quaresima del 1914.
CAN. TEOL. V. RASCHELLA’
CAOS
Non ho mai avuto occasione di ammirare la magica Fata Morgana dello Stretto di Messina quando,
in determinate condizioni atmosferiche, palazzi fantasmagorici di meravigliose
forme appaiono sulle acque - non riflessi,
ma come sorti dal mare; quasi tangibili,
eppur diafani come un velo.
Un monaco domenicano di nome Minasi, corrispondente dell'Accademia di
Napoli e amico di Sir W. Hamilton,
scrisse una dissertazione su questa beffa
atmosferica. Molti l'hanno vista e descritta: fra questi, Pilati de Tassulo. Nicola Leoni riferisce il
resoconto di un testimone oculare del
1643; e troviamo un altro resoconto nel
libro di A. Fortis, Mineralogische Reisen, 1788. L'apparizione è timida. Tuttavia,
alcune immagini del fenomeno appaiono in un articolo del Dr. Vittorio Boccara
in «La Lettura», nel quale l'autore accenna anche a un trattato scientifico
scritto da lui stesso sull'argomento; e
anche nel volumetto Da Reggio a
Metaponto di Lupi-Crisafi, stampato a Gerace alcuni anni fa. Cito questi scrittori per
coloro che, più fortunati di me,
potranno assistere al fantastico
spettacolo e interessarsi delle sue origini e della sua stona.
Le cronache di Messina registrano le sovrumane imprese del tuffatore Colapesce. Gli oscuri
paesaggi sottomarini dello stretto, con
le loro grotte e le loro foreste, non
avevano segreti per lui: i suoi occhi conoscevano i misteri marini quanto
quelli di un pesce. Alcuni ritengono che
la leggenda risalga a Federico II, al
quale Colapesce riportò quella coppa d'oro che venne poi immortalata nella
ballata di Schiller, Der Taucher. Ma Schneegans asserisce di aver trovato documenti
normanni che parlano di lui. C’è poi l'altra leggenda, secondo la quale
Colapesce, novello Glauco, avrebbe
esplorato il mare alla ricerca della fanciulla
amata, inghiottita dalle onde.
Fra le numerose favole che si
raccontano sul suo conto, ecco la più
portentosa: un giorno, durante uno dei
suoi vagabondaggi sottomarini, Colapesce scoprì
le fondamenta di Messina. Erano pericolanti! La città posava su tre colonne, la prima delle quali
era intatta, la seconda completamente
crollata e la terza parzialmente corrosa. Spuntando dalle azzurre
profondità, avvertì allora con un
distico i cittadini della minaccia che
incombeva su di loro. In questi profetici versi
attribuiti al favoloso Colapesce riecheggia un”apprensione generale,
anche troppo giustificata. Anche F.
Münter, uno dei viaggiatori che esplorarono la zona dopo il terremoto del 1783,
espresse i suoi timori che Messina non
avesse ancora sofferto tutto quello che
il Destino le riservava.
Norman Doulglas, Old Calabria
domenica 3 maggio 2015
All'ombra della montagna (reg. Alois Johannes Lippl - 1940)
Nell’estate del 1847 lo scrittore
inglese Edward Lear compì un lungo viaggio a piedi in Calabria e Basilicata. Il
tour ebbe inizio da Reggio. L’8 e il 9 di agosto soggiornò a Polsi e qui ebbe
modo di incontrare e conversare con il superiore di allora, Domenico Fera di
Platì, già avanti negli anni. Questa la sua narrazione ed la sua picture.
August 8. The
noontide hours were employed in sketching in the cloisters, and in
examining the
relics and treasures of the church under the auspices of the Padre
Superiore. The
subjects which weigh most heavily on his mind are " Quel tunnel," *
and
"Quei Preti
maritati ! Vescovi sposati ! o cielo ! Una moglie di arcivescovo ; O che
stravaganza ! The
afternoon we passed in strolling about the fine scenes around this
hermit-home ; but,
though containing endless material for foreground study, its general
picturesque
character is limited, and we decide on leaving S. ta Maria di Polsi
tomorrow. We must retrace
our steps as far as San Luca, and then make for Gerace,
sleeping either at
Bovalino or Ardore, as time may allow.
August 9. The
worthy Superior presented us with a medal and a print of the Madonna
di Polsi, the
original picture having been discovered by a devout ox, who inveigled one
of the early Norman
Conquerors of Sicily all the way from Reggio to this place, for the
particular purpose
of inducing him to build a monastery. The excellent ox, said the
monk, led on the
prince from hill to hill till he reached the proper spot, when,
kneeling down, he
with his pious horns poked up the portrait of the Virgin Mary, which
was miraculously
waiting some inches below the ground for its bovine liberator.
Nel
precedente post si è accennato ai superiori che Platì offrì a Polsi. L’elenco
era incompleto mancando dei nomi di Enrico Macrì (dal 1874 al 1879)e Antonio
Macrì (dal 1879 al 1903)ambedue originari della frazione Cirella. Il canonico
Francesco Pangallo fu invece vice superiore di Giosofatto Mittiga dal 1927 al
1929 quando fu elevato superiore, titolo che tenne fino all’1 dicembre 1939 quando sopraggiunse la
sua morte. Questi era nato a Plati il 24 dicembre del 1876 da Giuseppe Pangallo
e Portulesi Maria. Qui sotto il suo ritratto (per gentile dispensa di Francesco
di Raimondo)
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Once upon a time in Platì
lunedì 27 aprile 2015
Il piccolo conte (reg.Carl Lamac - 1935)
Pax
Passan le glorie come
fiamme di cimiteri
Come scenari vecchi
crollano regni e imperi
(Carducci)
Eterna vive solo l’Idea che
c’innamora
(Victor Hugo)
Signori,
Vi è un occhio spalancato nell’infinito che ci guarda - Iddio!- Vi è una voce nel mondo che parla .. e questa
voce non conosce le mistiche flessuosità della Sibilla, questa voce collettiva
è la voce del popolo.
Giudice inesorabile, esso è terribile nei suoi verdetti, come è solenne
nelle sue assoluzioni – questo giudice, il popolo, comparisce, delle volte,
intorno a le bare, non chiamato, non contattato – da solo – comparisce e
pronunzia delle sentenze …
Da qui la pia credenza che la voce del popolo sia la voce di Dio – ed
io ci credo.
XXX
Il conte Filippetto Oliva era un buono! – Una delle qualità che il
popolo apprezza –
Era buono di quella bontà – forse esagerata – ma che non conosceva
infingimenti.
Incapace del male, inclinevole al bene, molti sono i beneficiati,
nessuno l’offeso.
E se oggi volessi lanciarvi la sfida, che Gesù Cristo, un giorno
lanciava ai Farisei – Se volessi dirvi in altri termini: “ Chi ha ricevuto un
torto da Filippo Oliva, si appressi e lanci la prima pietra “- Io son sicuro
che, non per la pietà de le tombe, ma per un sentimento di giustizia e di
onestà, nessuno si appresserebbe!
Non è vero?
XXX
Io, del resto, non intendo perorare una causa già vinta e tu, o popolo,
parlasti con la tua rimostranza stamane.
Ne intendo raccogliere le lacrime di una vedova e di quattro orfani per
intenerire il vostro cuore e vincere così il terno della celebrità – Giammai!
Vengo per sciogliere un voto di dovere, di riconoscenza e mi spiego,
subito, in due parole.
Ero bambino, frequentavo le classi elementari e studiavo un poco. Il
Contino – così lo chiamavano allora – non so più per quale ufficio – vigilava
le scuole. Ebbene, fu proprio in quei due anni che io acquistai un certo amore
allo studio e stava per risentirsi il mio organismo. La spinta,
l’incoraggiamento e i premii, tutto mi veniva da lui e gli sono stato
riconoscente in vita, riconoscente in morte, Fo bene?
XXX
Altro da lui non ho preteso.
Ne crediate che questa specie di “ mecenatismo “, l’abbia esercitato
con me solo. Se fossero qui tutti i miei compagni d’allora vi ripeterebbero le
stesse parole mie, Filippo Zappia di Carlo e Pasquale Miceli già morti, furono
più amati e incoraggiati, perché più buoni – assai più buoni di me!
E sempre col sorriso sulle labbra, con la bontà nel cuore, mi prodigava
i consigli più saggi, mi spianava la via del dovere, de l’onestà, del vero
galantomismo, di quel galantomismo che non si trincera dietro l’interesse o
l’inganno, ma che forma l’Ideale degli uomini veramente buoni.
Quest’Ideale accompagnò sempre Filippetto Oliva nelle più orribili
convulsioni finanziarie che minacciarono la sua casa … finché una donna forte
non strinse con le sue braccia di ferro tutto l’edifizio della sua fortuna e la
risparmiò per i figli.
Visse quell’Ideale di bontà soprastante rovine, ma si riconcentrò, come
i raggi diffusi di una stella, ad illuminare e riscaldare una famiglia – Fu un
male? – Chissà! “ Nessuno – dice Victor
Hugo – ha il diritto di spegnere il sole per illuminare se stesso o il covo dei
propri amori “ – E basta.
XXX
Il mio Amico, dunque, è morto; non è morta la riconoscenza in me, la
riconoscenza in voi. Siete venuti ad accompagnarlo alla tomba. E’ giusto! Ma
egli è passato dalla grande ombra alla grande luce, dalla terra al cielo, dalla
materia a Dio; è morto come è vissuto: calmo, sereno e buono! – Che rimane? Un
dolore atroce nella famiglia, una tomba ed una croce nel camposanto. E il
resto? Oh, il resto non ha bisogno di noi, dei nostri cari ricordi, dei nostri
amari rimpianti! Forse, e senza forse, egli ci vede, ci ascolta ed è presente.
Come dalla crisalide nasce la farfalla, così, da questo corpo, messo in
dissoluzione si è sprigionata un’anima.
E’ l’ultima fase della vita, anzi è il principio de la vita stessa e le
parole – solenni come un monito – che il Mio Maestro ripeteva su la tomba di
Lazaro risuonano perfettamente così:
“ Chi crede in me, anche se morto, vive!
“
Filippetto Oliva credeva; ebbe il Pane de la Vita, ieri, - il Viatico –
ebbe il Battesimo di questa nuova vita, e fu segnato con l’olio, simbolo de
l’immortalità. Iddio, con le sue grandi ali, proiettò un’ombra su quel corpo ed
una luce sull’anima.
XXX
Addio, amico buono, mite e generoso!
Addio Filippetto Oliva, addio per sempre.
Verrò sulla tua tomba a pregare ed attingere forza. Ne le traversie de
la vita, ne l’afosità d’un ambiente saturo di fumo e di polvere, è bello
riposarsi, “ a l’ombra dei cipressi e accanto a l’urne “ pregando pace
Addio!
Platì 22 Giugno 1913
Sac. Ernesto Gliozzi
sen.
domenica 26 aprile 2015
La signora di tutti (reg. Max Ophuls -1934)
Questa è la copertina di un testo facilmente scaricabile da Google libri (a me è stato segnalato da Francesco di Raimondo) scritto da Domenico Fera di Platì, arciprete e superiore del Santuario di Polsi dal 1832 fino alla sua morte avvenuta sempre a Platì l'1 Luglio1856 e per suo espresso desiderio seppellito nel recinto dove vi erano i suoi predecessori. Incerta è la data di nascita. Riporto di seguito i Fera Domenico nati a Platì trascritti dai registri dei battesimi della chiesa per mano dello zio Ernesto il giovane
Fera Domenico di Giuseppe e Zappia Domenica 13.02.1766
Fera Domenico di Giuseppe e Cutrì Giovanna 15.11.1774
per l'esattezza vi sono anche un
Fera Domenico Antonio di Michele e Zappia Elisabetta 5.03.1773
e un
Fera Domenico Ferdinando di Mich.Ang. e mfNirta Candida 10.09.1792
Il libro, scritto con il gusto dei suoi tempi, ricco di leggende e miracoli per i posteri, trasuda venerazione verso la Taumaturga Signora della Montagna.
Ricordiamo ancora che da Platì oltre monsignor Fera partirono per reggere il Santuario, più volte citato in queste pagine, Don Giosofatto Trimboli e Monsignor Giosofatto Mittiga di cui leggerete nei post avvenire.
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Once upon a time in Platì
giovedì 23 aprile 2015
Il principe e il povero (reg. William Keighley - 1937)
A Sua Signoria Ill.ma
Il Signor Prefetto della Provincia di
Reggio
Calabria
Il sottoscritto, Catanzariti Francesco residente in Platì, (Reggio
Calabria) si permette inoltrare rispettosa domanda alla S. V. per esporre quanto
segue.
Essendo egli un povero padre di famiglia senza messi di fortuna da
poter vivere e dare da vivere a questa; e di più avendo due figli sotto le
armi, l’uno a nome Antonio della classe 1893 nel 17° Regg.to Artiglieria d’istanza, Novara, e l’altro
Pasquale classe 1888 di leva 1892,nel 41° Regg.to
Fanteria (Savona); prega caldamente V. S. Ill.ma, affinché gli venga
corrisposto un sussidio giornaliero, concesso alle famiglie bisognose dei
richiamati.
L’esponente si rivolge a Vostra Signoria Ill.ma, perché il piccolo
villaggio di Platì manca d’un Comitato per l’assistenza civile, e di un
segretariato analogo, che espleti le pratiche, come la presente, a favore di
poveri padri di famiglia, che hanno sì la fortuna di avere dei figli sacrati
sui campi d’Italia per la gloria della Nazione e del suo Re, ma che hanno pure
la sfortuna d’essere poveri nel più stretto senso della parola. Il
sottoscritto, entrato nel 60° anno di età, trovasi nella più squallida miseria,
e per giunta con la moglie e con una figlia ammalate da più tempo. Prega perciò
S. V. Ill.ma ripetutamente, affinché voglia prendere in considerazione tale
stato, e disponga gli si accordi un sussidio.
Ove la S. V. troverà di sua competenza il provvedere, si umilia la
preghiera di volere inviare la presente istanza all’Autorità o al Comitato
competente.
Platì, (Reggio Cal:) 12
Luglio 1915
Di V:
S: Ill.ma Dev.mo Servitore
Francesco Catanzariti fu Antonio
P. S. Per le debite informazioni sarà pregata la S. V. Ill.ma di rivolgersi
al Maresciallo dei Reali Carabinieri di questo Comando.
Al Sig. Commissario Prefettizio Platì
N. 1 Istanza di sussidio di Catanzariti Francesco
Per gli eventuali provvedimenti della Commissione locale
17 – 8 – 915 Prefetto Reggio
Fa conoscere che la commissione negò il sussidio non trovandosi il Catanzariti in alcuno dei casi
richiesti dalle istruzioni.
Il Prefetto
Giuffrioli
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