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martedì 29 dicembre 2020

Speriamo bene [di Camillo Mastro5 -1945]

Poesia


O miei Genitori,
Vi porti il nuovo anno
salute e tesori,
senz’ombra d’affanno;
vi porti le gioie
più pure e serene,
centuplichi il bene
che fate per me!
 
 


Buon Anno e Buon Natale a tutti! 
a chi soffre, perché non soffra più! 
a chi è malato, perché guarisca! 
a chi è cattivo, perché diventi buono!
Immagini e testo tratti da:
IL CIANCIO PLATI'  Anno I  N. 1  ottobre-dicembre 1980

lunedì 21 dicembre 2020

Blue Christmas - Elvis Presley


Letterina ai genitori
NATALE 1980

Carissimi genitori,
Vi auguro tanta felicità e tanta salute. Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per rendermi serena e bella la vita. Prometto di essere più buono, più ubbidiente e più studioso per ricambiare tutte le attenzioni amorevoli che ogni giorno avete per me. Pregherò Gesù Bambino perché benedica la nostra famiglia, il nostro paese e il mondo intero.
Con affetto vostro figlio.


Immagini e testo tratti da:
IL CIANCIO PLATI'  Anno I  N. 1  ottobre-dicembre 1980

lunedì 16 novembre 2020

Intervallo - Kiss the Ground [di Joshua Tickell, Rebecca Harrell Tickell - 2020]




 La citazione inclusa nel film è di Allan Savory ecologista dello Zimbabwe.

martedì 4 agosto 2020

domenica 21 giugno 2020

La spiaggia [di Alberto Lattuada, 1954]


Sulle assolate spiagge joniche tra Brancaleone e Bianco gruppi di famiglie di Ferruzzano e Staiti scendono al mare per la stagione dei bagni. Nascono così, con paletti e  frasche di erbe veri accampamenti con cucine all’aperto e giacigli per riposare. Questa è una usanza veramente pittoresca che consente a numerose famiglie di vivere un paio di mesi a contatto con la natura una vita sana, riposante e - perché no? – particolarmente economica.
Foto e testo : GAZZETTA DEL SUD, 28 luglio 1957

Di questi tempi di villeggiature costose, voglio ricordare una villeggiatura che nessuno ha mai descritto, la villeggiatura dei paesani lungo i monti e i colli che guardano il mare Jonio. Erano venti chilometri per arrivare al mare, ma senza diligenza né autobus la distanza era molta, e a piedi o sulle cavalcature, un viaggio pieno di incontri, di paesaggi diversi, perché c'erano i colli bianchi abbaglianti di creta, ma c'erano pure i giardini di aranci col loro verde umido quasi di musco, gli alti uliveti; e infine si sboccava sul letto del torrente, il mare veniva incontro con le sue onde bianche come un armento, e non arrivava mai, e tornava indietro, e le fronde dure dei pioppi tremavano alla brezza crepitando in un sordo concerto.
Corrado Alvaro, Stagione sull’ Jonio.

"Una voce pulita e democristiana, un look da bravo ragazzo, una dote di scrittura spaventosa e un tale ... agli arrangiamenti":

martedì 21 aprile 2020

Catastrofe imminente [di John Terlesky, 1999]

“What catastrophe are you watching now? Political or natural?”

L'originale è qui:

domenica 5 aprile 2020

Un angolo di paradiso [di John S. Robertson, 1935]


ille terrarum mihi praeter omnes
angulus ridet.
per i comuni mortali:
quest'angolo di terra più d'ogni altro mi rende felice 
(Orazio, Odi)
PREMIO POESIA ANGULUS RIDET 2020
indetto 
dall'Associazione Culturale Girolamo Marafioti di PolistenaCittà del Sole
Edizioni di Reggio Calabria e con il patrocinio della Città Metropolitana

per saperne di più:
http://francoarcidiaco.blogspot.com/2020/04/dalla-parte-delleditore.html

lunedì 10 febbraio 2020

Cielo senza stelle [di Helmut Käutner, 1955]

CHE FINE HANNO FATTO I MERIDIONALISTI MERIDIONALI?
Ho l'impressione che la Calabria viva la situazione peggiore in Europa per quanto riguarda la povertà educativa: abbandono scolastico in costante aumento e analfabetismo strumentale sempre più diffuso (dati Istat, OCSE, Invalsi).
Le opportunità che ha un giovane calabrese nelle città e ancora di più nei paesi di usufruire di esperienze culturali sono sempre più scarse in quanto a lettura, cinema, musica, teatro, pratica sportiva. Sono stati elaborati una quarantina di indicatori che misurano l'assenza della povertà educativa e la media dei giovani calabresi arrivano a malapena a sperimentarne quattro.
Di fronte a questo sfascio la Calabria manifesta una preoccupante povertà della sua classe dirigente e, mafia a parte, l
'assenza di una robusta borghesia capace di comprenderne i problemi, reagire e costruire un diverso futuro. Anche lo Stato nel suo insieme sembra aver abbandonato il Sud al suo destino. Abbiamo di certo le scuole e molte delle quali anche buone, con buoni insegnanti, ma siamo quasi privi di biblioteche vere, librerie, teatri, cinema, musei che vadano oltre il folklore e l'archeologia, attività culturali degne di questo nome. E quelle poche infrastrutture culturali che esistono il più delle volte si rivolgono a gruppi di privilegiati.
La nostra povertà come società si manifesta nella fragilità delle famiglie, delle istituzioni, nei bassi consumi culturali, nella insufficiente spesa degli enti locali per la cultura e il sociale. Abbiamo indici di lettura tra i più bassi in Italia e non è, per esempio, che non si legga per colpa di internet, ma proprio perché mancano le occasioni nella vita di tutti i giorni di avere un contatto con i libri o con pratiche di promozione della lettura.
Si parla tanto di digitale omettendo che il libro tradizionale, che rappresenta ancora più del 70% dell'editoria, in Calabria è un bene raro, molte volte difficile anche da acquistare.
Un altro aspetto che scoraggia è che con tre università pubbliche pochissimi sono quei docenti o quegli intellettuali che rivolgono realmente uno sguardo al di fuori del loro specifico ambito di lavoro o che riescano a preoccuparsi di qualcosa che non siano le loro preziose pubblicazioni, e che la stessa inconsapevolezza manifestano i media nel loro insieme. Viene da chiedersi, che fine hanno fatto i meridionalisti?
Gilberto Floriani*
*Gilberto Floriani è il direttore del Sistema Bibliotecario Vibonese di cui vi evidenzio il seguente post:, Se la Calabria muore:
Il testo è riportato per come l'ho ricevuto, incluso l'evidenziatore.
Il disegno è di Iermanò Luigi che nel 2019 era in V B, particolare di un tema presentato al Premio Ernesto Gliozzi, ultima edizione.

giovedì 16 gennaio 2020

Quando volano le cicogne [di Michail Kalatozov, 1957]


LA NASCITA 24 giugno 1956

Nel tempo rimangono nella mente ricordi o lampi che sono lì e non li puoi datare perché fanno parte della tua coscienza.
Ricordo la ruvidezza di un costume da bagno di lana di colore verde bottiglia che mi pizzicava da asciutto e mi pesava come un macigno da bagnato; ricordo a Platì, seduta tra l’armadio e la cascia, la mamma che mi infila un pagliaccetto rosa di una stoffa così fresca che non ne ho più trovate uguali (avrò avuto 2 anni??!!)
E ricordo ancora l’odore di nafta della corriera al ritorno dal mare da Bovalino e quando questa si fermava davanti al panificio e la mamma scendeva e ci comperava i panini al burro e noi li mangiavamo piano perché non finissero mai... e altre cose che affiorano d’estate col caldo, non so perché.
Ed era l'estate dei miei quattroanniemezzo ed era caldo quel pomeriggio e la mamma, con una pancia enorme per me che la guardavo dal basso, forse si lamentava: tu volevi uscire.
Eravamo a Platì sulle scale di casa: ricordo la penombra e le correnti d’aria poi la mamma che scompare e la nonna Mariuzza che invita zia Pina a preparare me e Saro, ci vestono e nel sole cocente del pomeriggio veniamo portati a casa dello zio Giuseppino (il medico) perché a casa nostra doveva arrivare la cicogna.
Papà diceva ”sbrigatevi” ma nel tragitto Saro ed io scrutavamo il cielo per veder arrivare questa cicogna.
Papà ci lascia in quella enorme casa; i cugini erano già più grandi e noi ci sentivamo spaesati, ma la raccomandazione era che dovevamo fare i bravi: siamo stati seduti e zitti nell’atrio fresco e ventilato nell’attesa che ci riportassero a casa.
Anche se ci avevano detto che non era quella la rotta del volatile verso casa noi scrutavamo il cielo dalle tende svolazzanti leccando senza voglia un gelato.
Ogni tanto Saro mi guardava e io chiedevo "quando torniamo a casa?".
Era quasi l’imbrunire e l’aria si era fatta più fresca quando papà è venuto a riprenderci, felice ci raccontava che era arrivato un maschietto.
Forse correvamo per l’impazienza.
Ora le immagini mi diventano più nitide: facciamo di corsa le scale, mamma è a letto, tra lenzuola bianche pulite, sorride, Saro ed io saliamo sul letto e lei ci bacia, in quella entra la nonna: in braccio un fagottino avvolto in una copertina celeste, si avvicina a noi seduti al bordo del letto e ci porge il bambino.
”Guardate, ecco Gianni”.
Abbiamo gli occhi e il cuore pieni di gioia, guardo la pancia della mamma, ma non mi faccio domande, ti faccio una piccola carezza, ti ho subito voluto bene. Gianni.
Maria

domenica 10 novembre 2019

Le tre sorelle [di Irving Rapper,1942]


TRE RUDERI CALABRESI

Come stemma del malgoverno della Calabria meriterebbero di essere posti tre ruderi: malgoverno non solo politico ma anche amministrativo, che suscita cattedrali nel deserto, e magari il deserto invece è una oasi meravigliosa, come la piana di Gioia Tauro, dove prima vengono irrorati miliardi sacrosanti per l’agricoltura e l’irrigazione, e poi si distrugge tutto per una acciaieria, dove ogni posto di lavoro supererà di gran lunga il milione, risultando in più di una capacità di occupazione assai modesta appetto alla spesa faraonica e al bisogno della regione. In questo caso le cattedrali c’erano già, nel senso di chiese abbaziali, in parte crollate per i terremoti, ma non così completamente da non potere essere salvate in quei residui che erano rimasti in piedi e che, per la storia e per l’arte, costituiscono avanzi preziosissimi, forse i più antichi della nuova contea normanna, poi regno, di Roberto il Guiscardo e di Ruggero I.

mercoledì 6 novembre 2019

Col ferro e col fuoco [di Fernando Cerchio, 1962]


L’INDUSTRIA SIDERURGICA
DELLE SERRE CALABRE

Boschi (carbone), acque (forza motrice), miniere (ferro) sono gli elementi della TRINITA’ materiale delle ferriere delle Serre calabre.
«La ferriera di Mongiana, fondata durante il regno di Ferdinando IV di Borbone, è l'ultimo episodio di una attività fusiva, che in Calabria ha origini antichissime - fonderie fenicie - di cui restano numerose tracce nel territorio compreso tra Stilo e Serra San Bruno (...). La storia delle miniere e dei primi rudimentali forni (data) fin dal lontano 1094, anno in cui Ruggero Guiscardo il Normanno cede al Santo Brunone i proventi delle miniere di ferro e dei forni fusori esistenti nel circondario di Stilo e Arena. La 'Mongiana' è una filiazione delle amiche «Ferriere del bosco e del demanio di Stilo» delle quali (...) si distacca nella seconda metà del secolo XVIII. L'enorme fabbisogno di combustibile rendeva le ferriere industrie nomadi all'inseguimento di boschi da carbonizzare (...) «che non disponendo di trasporto adeguati a quel fabbisogno›› metteva le bocche dei foni in cammino alla ricerca di nuovi pascoli da divorare. Nel 1771, distrutto il bosco stilense, i forni giungono in località Cima, al centro di foltissime selve, (...) alla confluenza del Ninfo con l'Alaro (...) a circa mille metri d'altitudine, a cavallo tra Jonio e Tirreno dove è minore la distanza tra i due mari». Località all'incirca equidistante rispetto ai porti d’imbarco per cui, per il versante tirrenico, assicura maggiore celerità di comunicazione con la capitale, l’utilizzazione del porto di Pizzo.

giovedì 31 ottobre 2019

Marjorie Prime - un ologramma

a proposito di ologrammi:
è papà o è Volonté?


martedì 29 ottobre 2019

Marjorie Prime [di Michael Almereyda, 2017]

Sic transit vana et brevis gloria mundi.
et qae originem suam traxit ex alto.
non fluxa sed aeternam.
et qaue sanctorum est gloria divina
semper crescit eundo

Così passa, vana e breve, la gloria del mondo;
ma quella che trae origine dall’alto,
 immutabile ed eterna,
la gloria divina dei santi
sempre va crescendo.
Antonio Vivaldi, Ostro picta, armata spina RV642


Riprendo oggi un tema lamentato recentemente su queste pagine sulla memoria e la relativa fruizione sul terreno ad essa deputato come può esserlo il cimitero, dove sempre più si privatizzano gli accessi. Il motivo è scaturito dalla visione di un lungometraggio di recente produzione: Marjorie Prime (2017) di Michael Almereyda. Vi è anche l’avvicinarsi della ricorrenza rituale della commemorazione dei defunti.

 “So che se mi permetti di visitarti, ti vedrò con i ricordi così come con gli occhi”.

Il film in un forma fantascientifica narra di un prossimo futuro nel quale una straordinaria tecnologia olografica permette ai vivi di poter (illusoriamente) conversare con coloro che ormai non ci sono più e che sopravvivono solo in forma di ricordi audiovisi. Tutti i membri della famiglia diventeranno essi stessi proiezioni di un passato perennemente immutabile. Marjorie Prime concentra il proprio intero fulcro narrativo sul tema della persistenza della memoria – e sul rischio del relativo deterioramento a causa della revisione operata dal passare del tempo. Da questo punto di vista qualcosa già era stato fatto da Stanley Kubrick e Andrej Tarkovskij. La stessa presenza di spazi chiusi ai margini dell’oceano era stato visto in Solaris del 1972 dove il protagonista ricreava l’ologramma della moglie scomparsa. Oggi qualcosa è cambiato anche perché la fruizione della memoria è ricreata virtualmente da pagine come queste e attraverso la persistente pubblicazione di volti e figure sulla rete che possono essere prese come ologrammi. Il guaio è che molti editori si limitano alla sola pubblicazione senza un corrispettivo coinvolgimento letterario se non in forma di faccina sorridente o di un mi piace di rito preconfezionati. Nel film, oops nel file, citato, un'avveniristica trenodìa da consigliare al Capossela nazionale, invece, grazie alla sua eccellente drammaturgia, si riflette compiutamente sulla memoria, sull’elaborazione del lutto, sull’assenza. Del resto continuiamo a parlare con quelli che ci mancano, i morti non muoiono, tanto per citare un file appena uscito.
In corsivo è quanto ho rubato

L'odierna pubblicazione è dedicata a Paolo, vajana, Trimboli.


domenica 6 ottobre 2019

The Trip [di Roger Corman,1967]


Dopo aver esplorato l’Aspromonte sulla direttrice San Luca-Platì-Ciminà, il giovedì successivo ci affidiamo alla guida esperta di Mimmo, giarruneiu, Catanzariti che, oltre a conoscere i luoghi, ne conosce la Storia e gli studi più aggiornati. Ci diamo appuntamento a Bianco dove dobbiamo incontrarlo. Siamo in cinque più Blondie (la mia nevrotica cagnetta): Marina e Sergio (che ha guidato con perizia su strade impraticabili), io, Marilisa e Pina. Ci fermiamo in un bar di Bianco ed ecco arrivare Mimmo che conoscevo solo in foto. Un abbraccio di ben ritrovati parenti poiché sua nonna era prima cugina con il mio bisnonno. Il nostro antenato comune è Antonio Perre nato nel 1814 e deceduto nel 1881, ma in Calabria la parentela, la cuginanza, vale e si sente fino alla settima generazione.
Dopo un caffè prendiamo la strada per Pentedattilo, il borgo abbarbicato sotto una rupe le cui rocce a punta ricordano una mano e le sue cinque dita. È un paese disabitato, ora una frazione di Melito Porto Salvo, che riprende vita d’estate con le sue botteghe artigiane ed alcune case ristrutturate da affittare “con o senza fantasmi” come ci informa Giorgio nella sua bottega denominata Pentegatto (sopra ed accanto, un rifugio ospita una colonia di gatti). Ci intrattiene a lungo con i suoi racconti sul paese, i suoi fantasmi, le tragedie del passato ed il film festival di cortometraggi.

Riscendiamo sulla costa per avviarci verso Bova. A Condofuri, fra il traffico veloce sulla 106, incontriamo un cane in palese difficoltà che rischia di essere investito o forse lo è già stato. Mimmo, Marina e Sergio lo soccorrono, viene rifocillato e legato all’ombra in attesa di soccorsi perché intanto sono stati informati e coinvolti sindaco, associazioni animaliste ed ENPA. Riprendiamo la strada con il magone e la speranza che venga raccolto ed accolto da qualcuno. (Saremo in seguito informati che il padrone del cane era stato rintracciato e lo aveva ripreso con sé.)

Ci arrampichiamo verso Bova su strade che solcano i calanchi delle brulle colline a sabbia calcarea erose dalle acque piovane. Arriviamo in tempo per pranzare su un piccolo terrazzo con vista sulla vallata. Marilisa ci offre gli antipasti preparati da lei e dalla mamma. Ordiniamo una lestopitta ripiena (pane azzimo fritto) presa da un localino gestito da due simpatici e flemmatici fratelli gemelli. Hanno anche semi-adottato (nel senso che va e viene a suo piacimento) un ex cane da pastore che ha preferito la libertà alla pratica della pastorizia. La mia lestopitta è ripiena di salsiccia e di una gustosa parmigiana che Cracco lévati! Incontriamo le sorelle Romeo impegnate nella Pro Loco e nella promozione della lingua grecanica e delle sue tradizioni.

Dopo una digestiva grappa alle ciliegie ed il caffè, riprendiamo il viaggio verso l’interno dell’Aspromonte fra strade che si inerpicano su calanchi e si immergono in boschi di faggi: aumentano gli incontri con greggi di capre sorvegliate dai cani ed aumentano anche i tratti di fondo-strada dissestato. Mimmo ci precede con la sua auto e dopo un interminabile percorso in mezzo a boschi così fitti da oscurare la luce del sole, salite e discese da capogiro, paesaggi di pendici boscose e l’Amendolea che serpeggia nel fondovalle, arriviamo ad una passerella di legno. Parcheggiamo e percorriamo la passerella. Marilisa si blocca, poco prima di una curvatura del percorso, Pina chiede se c’è qualche animale, Mimmo annuisce sornione, mi affaccio e lo vedo: il gran testone di pietra del Drako. Una roccia che il caso o l’uomo ha poggiato su un basamento.  Ricorda la testa di un Drago con cerchi incisi dall’uomo a formare, forse, gli occhi della gran bestia. È un luogo antico, magico, che trasmette vibrazioni particolari e che guarda ad un declivio sotto al quale altre rocce particolari ricordano dei capezzoli ed infatti vengono chiamate le Caldaie del Latte dove si favoleggia che la gran bestia andasse a nutrirsi. Lasciamo che Blondie scenda dall’auto e sembra felice perché ama i luoghi primitivi e selvaggi senza auto e con solo gli umani conosciuti. 


Risaliamo in auto e scendiamo, scendiamo verso torrenti che scorrono profondi fra massi bianchi, risaliamo una costa e riscendiamo di nuovo verso Roghudi “quello vecchio, fuori di mano”, verso il costone roccioso su cui sorge, circondato dall’ampio letto dell’Amendolea fatto di case da cui si godeva lo spettacolo della grande fiumara, stradine, una chiesa, una piazzetta semicoperta da un pergolato, un pezzetto di orto in cui una mucca pascola, sembra impastoiata ma non lo è e ci aspetterà, al ritorno, in mezzo alla via quasi ad impedirci di andare e lasciarla di nuovo sola. Il borgo è stato abbandonato negli anni ’70 da abitanti convinti a spostarsi in un borgo nuovo sulla costa, vicino a Melito Porto Salvo, lontanissimo dal borgo vecchio, fatto da case che sembrano container, senza tetti di tegole e senza carattere. Ho l’impressione che ci sia stata la volontà di distruggere la peculiarità degli insediamenti in Calabria: luoghi impervi, ma con carattere; difficili da raggiungere, ma immersi nella geologia della Regione; luoghi dalle economie povere, ma più vicine ai cicli della natura. Come ha scritto Stajano in “Africo”, montanari dediti alla pastorizia costretti a diventare altro, ma poi cosa? Emigranti? Pescatori senza barche? Contadini senza terre?

 
La strada del ritorno è lunga e tortuosa come l’andata, ma senza le interruzioni per “vedere” solo una pausa per comprare un famoso amaro, vedere la luna sorgere e poi per conoscere e salutare la famiglia di Mimmo.


Foto e testo Rosalba

A viaggio lisergico, soundtrack lisergico:

lunedì 20 maggio 2019

Capriccio passeggero [di Yasujirō Ozu, 1933]



Da Gallico si fa prima

Sambatello è un grappolo
di strade, la riserva animale
di un secolo.
                   Rosa l'esemplare
più raro vive nella casa
della chiesa. A terra tiene
saletta da ballo a nuovo
e teatrino parrocchiali, mentre
l'edera del giardino è sul terrazzo,
si contano le fila trai muri
scalcinati.
                         Dimmi Rosa se sei
sopravvissuta agli antenati
tuoi gli:
non c'è a morire
per prima nessuna metafora.

(Ottavio, Mema e Zio Arciprete)

Conosco dalle foto a Sambatello
un loro sembiante
(e i nomi ripetuti da mia madre).
Rosa invece si guarda allo specchio
specchiandosi li forma la polvere.

DEMETRIO MARRA

Quello che avete letto lo devo a Nina (A.) Balena che si è ricordata, leggendole, di quanto vado facendo. L'autore, reggino, è forse il livello più alto delle calabre arti, come pure l'autore della foto in apertura, Enzo Penna. Leggere e vedere non vi costa tempo e per una volta tanto vado fuori strada. Forse! L'unico a cui è lecito accostarsi in questi casi è il maestro giapponese.
Gli originali li trovate qui:

e qui Demetrio Marra conversa con Enzo Penna:
https://inchiostro.unipv.it/2017/09/27/intervista-enzo-penna-fotografo/

mercoledì 8 maggio 2019

La canzone delle rose [di Ugo Gracci, 1920]





LE ROSE

Dopo le umili e modeste viole de l'aprile, le rose superbe ed uberi del maggio.
Sboccian da per tutto al mite favonio che le nevi discioglie, sotto il tiepido raggio del sole carezzevole. Un sottile profumo lontano ci annunzia il loro ritorno. E volgendo qua e là, con impazienza, la pupilla vivace, le vediamo, piene di vita novella, su le verande signorili, nel vano scuro de le ruvide finestre, nei giardini in fiore, lungo i sentieri rinverditi dei prati e de le ville, sui cigli erbosi de le gore stagnanti. Ve ne ha de le tinte più varie, dei colori più disparati; sempre belle pero, sempre morbide, vellutate, fragranti.
Spuntano e muoiono in un giorno. E mentre alcune in pieno rigoglio, vengono spiccate da la materna aiuola, altre ed altre sbocciano sul cespo odoroso, anelando a la vita. E, strette in mille varie fogge, in mille modi eleganti, si spargono per la città rumorose, per i villaggi tranquilli. Ogni luogo inondato dal loro profumo inebriante: da le gigantesche e maestose basiliche, a l'umili e bianche chiesette rusticane: dai superbi palagi signorili a l'umide e buie catapecchie de la povera gente. E non vi è persona che non l'ami, non gusti il profumo soave, non se ne adorni il seno.
Questo è il loro mese, il mese de loro sovrano imperio.    
E rose, e non altri fiori, sui pettini inamidati, sui cappelli a l'ultima moda, ne le mani e in bocca, a tutti. A volte anzi per le vie e una pioggia di petali multicolori, che scendono lievemente, titubando, dai balconi e da le terrazze, abbandonate" con compiacenza da mani gentili.  
Oh, le rose, le rose, piccole creature delicate, di quanti cuori non sono regine, di quanti animi magiche conquistatrici, di quanti affetti inconsce messaggere.
In Chiesa, su l'Altare de la Madonna, non vi sono che rose. Son disposte a cono, le uno accanto a le altre, in alto, fino ai piedi de la buona Madre Celeste. E tutte, sembra vogliano ascendere, ascendere per essere più da presso a la pia Signora, che guarda con occhio buono, sorridendo.
Ascolta Ella i fremiti indistinti, le vocine sommesse, i susurri lievi de le rose? Che dicono esse, ai suoi piedi, nel loro strano linguaggio? Che dicono sommessamente? Deh, scostiamoci per poco dai rumori assordanti de la vita quotidiana, inoltriamoci riverenti e devoti ne la bionda penombra del tempio, accostiamoci silenziosi a l'Altare di Maria.  Udite? In quelle rose vibra l'anima di un popolo di credenti. In esse sono i palpiti, le aspirazioni di tanti cuori avidi di luce; sono le angosce e le lagrime di tanti infelici trafitti dal dolore; le preghiere di tante madri che vogliono veder buoni i figliuoli traviati; di tante spose che intercedono pace pel marito lontano; di tanti operai che chiedono pane per le famiglie affamate. E palpiti ed aspirazioni, preghiere e gemiti, s’elevano come una voce sola da tutte le rose.
lvi non vi è distinzione di classe. Daccanto a, le rose scialbe e scolorite de la povera gente, stanno le rose superbe e roride dei nobili. Oh quante cose non dicono quelle rose molteplici, strette da un supremo vincolo di santo amore verginale, a la Regina dei Cieli. E potrà Ella, la Madre de le misericordia, non esaudire loro fervide preghiere sommesse?
Oh, le rese, le rose!  `
Siete tanto belle, fresche ed aulenti, rose del maggio. Ma - è triste il dirlo - la vostra, non e che bellezza effimera e passeggera. Io vi ammiro, sì, e son lungi da l’odiarvi. Ma il mio cuore, il mio vergine cuore di giovane levita, non è per voi. Esso ama un'altra rosa, una rosa che non appassisce mai, una rosa fulgida di bellezza, eterna: ama, la Mistica rosa dei Cieli, Maria.
Francesco Portolesi
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 21  MATERA 24 MAGGIO 1903

NOTA. Don Ciccio Portolesi quando scrisse questo poetico, strappalacrime alla Raffaello Matarazzo, roseo testo era, come dice lui, un giovane levita. Durò qualche anno questa sua vocazione, unita a quella di poetare talvolta, prima di buttarsi anima e corpo negli affari pubblici e privati di Platì quindi essere ricordato come u segretariu Portolesi. In quegli anni levitici il nostro aveva pubblicato sempre su LA SCINTILLA lunghi articoli spesso di critica letteraria – Bricche di critica erano appellate - di opere edificanti come Le vittime il 3 maggio 1903, Rivali il 14 febbraio 1904 e Attraverso il prisma il 17 luglio 1904.
La seconda foto ritrae due gentlemen australianplatioti, Giuseppino Portolesi, son of don Ciccio, e Joe Ielasi, ora star di questo blog, alla vostra destra   

giovedì 18 aprile 2019

Terra bruciata [di Fred F. Sears,1953 ]



Calabria terra bruciata

Santo Stefano, Palizzi, Condofuri
rocce sassi greti.
Sabbie inumidite dal sudore dei nudi piedi
di donne gravide affamate
fiumare assetate
prati
ove la morte dal sole arroventata
ogni filo d’erba strappò
dal vostro cielo il paradiso vi guarda.
In questa terra
dalla fiamma di ogni dolore  
di ogni amare bruciata,
anima mia
negli occhi di un fanciullo affoga.

Isa Miranda (1909 – 1982), Una formica in ginocchio, Bologna, 1957. p. 23
ripresa in ISA MIRANDA di Orio Caldiron e Matilde Hochkofler, Gremese  Editore, 1978.

La foto riporta un’immagine tratta da Patto col diavolo di Luigi Chiarini del 1949 su soggetto di Corrado Alvaro.

mercoledì 20 marzo 2019

Turn! Turn! Turn! - The Byrds

To Everything (Turn, Turn, Turn) There is a season (Turn, Turn, Turn) And a time to every purpose, under Heaven





LA PRIMAVERA
Calabria Martina
Quarta A/elementari

È arrivata la primavera
Con le sue rondini e
Con gli alberi tutti verdi;
con farfalle gialle e colorate,
fiori di ogni colore.
Il vento trascina via
Tutto quanto,
e il sole brilla come un diamante.
È primavera tutto si sveglia.



LA PRIMAVERA
Giuseppe Virgara
Quarta B/elementari

La primavera,
così dolce, così sincera,
ha molti fiori che crescono sul prato,
primule, rose, viole, papaveri e tulipani con un fiato
respiro già aria di primavera,
questa è una nuova cera,
poi torna l’estate,
senza più pietate.




I testi fanno parte del corpus di lavori presentati alla Prima edizione 2017 del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi" istituito dall' Ass. Santa Pulinara.

lunedì 4 febbraio 2019

Ricorda il mio nome - Angelo [di Ernst Lubitsch,1937]


 Perre Marisa 
1986 - 2018

Noi habiamo qualcuno di speciale in
cielo che in passato ci è stata sempre
accanto ed ora è diventata il
nostro angelo custode.
MAMMA TI
VOGLIO BENE
Maria


domenica 23 dicembre 2018

Entr'acte - [Nothing But] Flowers


Forever Talking Heads